Capitolo 11- Sur le pont d’Avignon ()
Sur le pont d’Avignon,
L’on y danse, l’on y danse,
Sur le pont d’Avignon
L’on y danse tout en rond.
Les beaux messieurs font comme ça
Et puis encore comme ça.
Sur le pont d’Avignon
L’on y danse tout en rond.
Ad Avignone tirava vento. Il cielo era nuvoloso e le persone indossavano sciarpe e cappelli per scaldarsi; faceva freddo. Annabelle rimase seduta ancora un po’sull’arcata del ponte, con le folate che le facevano ondeggiare i capelli intorno al viso. Le ali sembravano meno gloriose, come se la tristezza di Annabelle fluisse fin lì e si riflettesse attraverso esse.
Lo specchio dell’anima di un angelo, più che gli occhi, sono le ali. E Annabelle lo sapeva bene.
Per questo si era nascosta da Arriane, da Cam e da chiunque altro angelo potesse vederla. Di certo al Trono non sarebbe andata bene quella sua scampagnata, soprattutto per le ali così bene in vista: qualsiasi umano avrebbe potuto vederla, da lassù. Eppure Annabelle se ne infischiava altamente.
Voleva piangere. Voleva commemorare le memorie di Bénézet. Povero, caro Bénézet.
Che vita dura. Che vita ingiusta.
E d’allora, Annabelle non era mai tornata sul ponte d’Avignone. Perché ballare se la persona amata era ormai morta? Ma Annabelle non si sarebbe mai dimenticata i pomeriggi passati a diffondere la gioia nella gente, perché si sa: quando un angelo è felice, contagia tutti. Quando ballavano tutti –lei e Bénézet insieme al centro del cerchio di persone- il ponte d’Avignone diventava un posto magico, e nessun abitante poteva resistere a quel richiamo divino colmo di felicità.
Questo è il passato.
Annabelle sospirò, si strinse tra le braccia e sollevò il viso verso il cielo, quasi volesse sfidarlo. In risposta –o forse fu solo suggestione- iniziò a piovere. Quei pochi turisti che stavano passeggiando sul ponte guardandosi intorno –quasi avessero paura che cadesse sotto i loro piedi- sparirono, e la gente aprì gli ombrelli cosicché, agli occhi di Annabelle, dall’alto sembravano delle macchie di colore sulla tavolozza di un pittore.
Ovunque lei andasse, non poteva evitare di meravigliarsi del mondo. Amava la bellezza e la vedeva in ogni cosa. Eppure, da quando era morto Bénézet, nella sua anima era morto qualcosa insieme a lui. I colori si erano spenti, la vita era diventata più smorta.
E il Paradiso era l’unico posto dove Annabelle si sentiva intoccabile da ogni emozione, fluttuava in uno stato di insensibilità, quasi non si rendesse conto di cosa le accadeva attorno e dentro. Si sentiva come drogata. Era il Trono che operava quella magia: e Annabelle, suo malgrado, era grata. Peccato che sarebbe durato poco: la rivoluzione era vicina, molto più vicina di quanto gli altri angeli volessero credere.
S’innalzò, senza rendersi invisibile agli occhi umani, e volò in alto, lasciando che la pioggia le inzuppasse le ali e i vestiti leggeri.