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Autore: The Black Dahlia    07/09/2012    3 recensioni
Un uomo. Una giovane ragazza. Lui professore alla University of New York, lei studentessa fuori corso a causa di mille problemi economici. Trentasette anni di differenza, un divorzio e un bagaglio di solitudine sulle loro spalle.
I loro destini si incrociano una sera come tante altre, ad una festa alla quale lei non sarebbe voluta andare e lui non avrebbe dovuto partecipare: il figlio del professor Mannrich festeggia la sua indipendenza nel suo nuovo appartamento, e Caileigh Hope Matthews è costretta prenderne parte a causa dell'insistenza della sua amica Janis, segretamente innamorata del tenebroso Arthur.
Ma Arthur non desidera Janis. Il suo cuore batte solo per Caileigh.
E quando il professor Mannrich lo scoprirà sarà solo troppo tardi.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2 – Kiss Me Beneath The Milky Twilight



Caileigh Hope e il professor Mannrich camminavano fianco a fianco nella notte di New York, entrambi bene attenti a non dimostrare l’altro quanto avessero bevuto. Era una situazione fuori dagli schemi, in quanto Anthony non avrebbe avuto alcun problema nell’accompagnare la giovane a casa se non si fosse trattato di una sua studentessa, ma quel piccolo particolare rendeva quella situazione inopportuna. Aveva un gran numero di studenti e contrariamente ad alcuni suoi colleghi si tratteneva con loro solo il tempo necessario allo svolgimento dei suoi compiti di insegnate, come i colloqui inerenti le tesi o qualche chiarimento in merito ai test; a malapena ricordava i loro volti e i loro nomi, e sarebbe anche stato impossibile farlo. Il  suo corso era uno dei più frequentati della NYU*e contava quasi centocinquanta iscritti.
“Non credo di averti chiesto come ti chiami” le disse non appena se ne rese conto.
La ragazza sussultò. “Oh, gia’! Sono Caileigh Hope Matthews, ma la prego, mi chiami Hope”.
“Non ti piace il tuo nome?”
“Non proprio!” ammise candidamente.
“Ha un bel significato, indica una persona ‘giusta’, ‘equa’, e inoltre è tra i meno diffusi negli Stati Uniti, di conseguenza non rischi di passare inosservata o di venire confusa con gli altri”
“Oh mi creda, non ho di queste ambizioni, professore!”.
Anthony la osservò per un breve istante, stupito dalle sue parole. Solitamente i giovani che frequentavano il college erano tutto l’opposto e facevano di tutto per primeggiare ed essere notati, ma lei sembrava fatta di tutt’altra pasta. “E perché? Sempre se non sono indiscreto…”
A Hope non dispiaceva quella conversazione, nonostante facesse una fatica incredibile nel cercare di parlare correttamente senza mangiarsi le parole a causa dell’alcool e a camminare diritta senza sbandare. “Lei ha fratelli o sorelle, professore?” domandò.
“Sono il secondo di tre figli”
“Quindi non sa cosa si prova ad essere figlio unico in una famiglia di genitori giovanissimi, che ripongono nella loro unica creatura ogni speranza di rivalsa sulla vita? Da quando ero piccola non ho fatto altro che partecipare a qualsiasi tipo di concorso o provino, ero iscritta a ben tre società sportive diverse ed ero nella squadra di cheerleader del mio liceo, frequentavo lezioni di canto e ballo e studiavo pianoforte. Mi creda, dopo quello che ho fatto voglio solo stare in un angolo e trascorrere il resto della mia esistenza nell’anonimato!” disse tutto d’un fiato. Solitamente non era così logorroica ma la complicità del rum, del gin, della tequila e di chissà quale altra cose le avevano fatto bere Janise e Arthur la spingevano a parlare senza sosta e senza quasi prendere fiato.
Anthony rise. “Beh se la metti su questo piano la tua vita posso comprendere”.
Hope si distrasse un secondo a guardarlo ma non aveva calcolato il rischio che avrebbe corso nell’alzare la testa: perse l’equilibrio e fu solo grazie all’intervento del professore se non rovinò al suolo.
“Attenta. Ti sei fatta male?” le chiese mentre le tratteneva il braccio.
Ecco cosa l’aveva distratta, pensò. Per un istante aveva capito per quale motivo molte ragazze del suo corso lo trovavano affascinante: aveva un modo di sorridere particolare, disteso e rilassato ma allo stesso tempo distaccato, formale, e le rughe attorno agli occhi sembravano quasi mettere in risalto il loro color nocciola.
“Devo aver bevuto troppo stasera”, disse con voce confusa, ma il suo professore sembrò non giudicarla. Tutt’altro, la guardò con sguardo comprensivo e quasi divertito, senza dire niente. Anche lui aveva bevuto parecchio, non a caso aveva fatto un incidente con l’auto nel quale sospettava di aver rosso il radiatore, e in quel momento non riuscì a non trovare divertente quella situazione, dimenticandosi per un secondo dell’imbarazzo che provava.
“Non sono abituata a queste cose”, sospirò tra sé e sé Hope.
“Alle feste del college?” domandò incuriosito mentre riprendevano a camminare.
“Non era propriamente una festa del college, diciamo che si trattava di una festa e basta. Solo che mi sono fatta trascinare e… ed io a malapena riesco a bere due birre senza farmi girare la testa!”
“Quindi quando non ci sono lezioni non frequenti gli ambienti universitari?”
“Io lavoro. E quando non lavoro studio. Non sono giovane come sembro!” esclamò la ragazza.
“Quanti anni avresti, dato che non sei giovane come sembri? Quaranta?” chiese divertito Anthony.
“Venticinque. E per una ragazza che frequenta il college è come essere vicino alla pensione. Lei potrebbe capirmi!”. Ma subito Hope si pentì di quella uscita infelice. Aveva appena dato del pensionato al suo professore di Storia ed Origini del Continente Americano e non era una di quelle affermazioni che facevano guadagnare punti in proprio favore, se mai ne avesse guadagnati in quella mezz’ora. Si voltò a guardarlo mentre il sangue le si gelava nelle vene, e ciò che vide non le fu di conforto. Anthony Mannrich si era fermato qualche passo dietro di lei e la scrutava severo: “Puoi ripetere?” le chiese serio.
“No ma non intendevo dire che lei è…” provò a dire.
“No credo di aver capito bene cosa intendessi dire. Quindi io sarei anziano?”
“Non so neanche quanti anni ha! E comunque non ho mai usato la parola anziano”
“Ma il senso era quello” rispose burbero l’uomo.
“Assolutamente no! Ho solo detto… non giovane!” ripeté a bassa voce.
“Non giovane… Quanti anni ho?”
“Non lo so!”
“Ne ho sessantadue. Un’età nonostante tutto considerabile vicino all’adolescenza” disse serio Anthony. La faccia di Hope era tutto dire, perché si contrasse in una smorfia divertita che cercò immediatamente di nascondere sotto un’espressione seria ma che non sfuggi all’uomo.
“Cosa pensi?” le chiese divertito.
“Io? No, nulla”. Rispose la ragazza cercando di sembrare credibile, ma sfortunatamente non era mai stata brava a raccontare bugie, e nemmeno una buona attrice. Quella sera, poi, meno che mai.
Anthony fece qualche passo in direzione della ragazza e quando fu a suo fianco la invitò con un gesto a continuare il loro percorso.
“Andiamo, prometto di non offendermi” la stuzzicò.
“Beh, non ha tutti i torni se consideriamo l’infanzia un periodo che va dalla nascita ai quarantacinque anni” disse tutto d’un fiato.
“Questo è un colpo basso!” esclamò.
“Ha insistito lei affinché lo dicessi!” si scusò la ragazza.
“Ma lo è comunque…”
“Declino ogni mia responsabilità riguardante la mia affermazione. Siamo in territorio neutrale!”.
“Touché!”

Camminarono per circa venti minuti battibeccando sul fattore dell’età, dimentichi del fatto di essere due persone appartenenti a due mondi completamente diversi, complici le precarie condizioni psicofisiche di entrambi. Giunsero ad una palazzina nel classico stile Newyorkese, costituita da una ventina di piani e con una facciata di mattoni rossi uguale a quella di qualsiasi altra palazzina della città.
“Siamo arrivati! Io vivo qui!” disse Hope, stranamente dispiaciuta di porre fine a quella situazione.
“Siamo ancora in tempo per chiamare un’ambulanza. Sicura di non esserti fatta male?” domandò Anthony premuroso.
“No, sto bene. Mi sono solo spaventata. Ha fatto anche abbastanza, non c’era bisogno di accompagnarmi fino a qui. Adesso deve tornare indietro.”
“Chiamerò un taxi. Sono molto rammaricato per quanto è accaduto. Davvero”
“Beh è andata bene ad entrambi professore. Solo non si distragga più alla guida!” gli disse sorridendogli.
“Anthony. Stasera ero Anthony, e puoi darmi del tu, almeno per i prossimi due minuti!”
Non capiva per quale motivo avesse appena detto una cosa simile, forse per sdebitarsi, o per evitare di confessare che se aveva avuto quell’incidente non era stato a causa di una distrazione ma perché anche lui aveva decisamente alzato il gomito quella sera.
“Anthony!” disse Hope “Okay, devo essere completamente ubriaca per chiamare per nome e dare del tu ad un mio professore!”
“Io solitamente non me ne vado in giro per la città di notte ad investire le mie studentesse, direi che siamo pari” le fece eco Anthony.
“Gia’… beh allora, buonanotte Anthony!” disse la ragazza posizionandosi davanti all’uomo.
Il professore non sapeva cosa fare, capiva ben poco di quanto stesse accadendo quindi non seppe mai spiegarsi per quale motivo poggiò una mano sul braccio sinistro della ragazza per poi chinarsi leggermente nel tentativo di poggiare una guancia su quella di lei, a mo’ di saluto.
“In teoria se fosse un appuntamento questo sarebbe il momento perfetto per il bacio della buonanotte” mormorò Hope, che divenne viola in volto non appena si rese conto di cosa aveva detto. “Oddio! Oddio scusami! Sono ubriaca!” disse facendo un passo indietro e poggiandosi una mano sulla fronte nel vano tentativo di nascondere l’imbarazzo.
Ma Anthony scoppiò a ridere, pervaso da un brivido di eccitazione che non sentiva da tanto tempo. Per un secondo si lasciò andare e fu l’istinto a parlare per lui, con voce profonda. “Se fosse un appuntamento ti avrei già baciata, senza darti modo di mettere questi fastidiosi puntini sulle ‘i’”.
Hope lo guardò seria, scrutandolo intensamente nel volto.
“Ma questo non è un appuntamento” disse seria, alzando il viso.
“No, non lo è!” le fece eco il professor Mannrich, avanzando con un piccolo passo.
“Quindi…”
“Quindi presumo di dover prendere nota della tua osservazione e porre rimedio”. Decise di non pensare a quanto stava per accadere, a quanto fosse sconveniente o immorale, se fosse peggio il fatto che lui era un uomo di sessantadue anni e lei una ragazza nel fiore dell’età, appena venticinquenne. Non pensò a niente. Le scostò dal viso una ciocca di capelli castani e le si avvicinò, poggiando le sue labbra su quelle di Hope. Fece in modo che fosse il più delicato possibile. I suoi sensi erano allerta, pronti a captare qualsiasi cenno di tensione o di rifiuto da parte della ragazza, ma non ne ricevette, e allora si lasciò andare a quello che era il primo vero contatto con l’altro sesso che aveva da quando sua moglie se ne era andata. Si sentì giovane e spensierato, e percepire che Hope rispondeva dolcemente al suo bacio fu come ricevere una scarica elettrica nelle vene. Desiderò non finisse mai, ma non fece nulla per prolungare quel momento ulteriormente: non l’attirò a sé, non la strinse tra le sue braccia. Si limitò a baciarla e ad assaporare la sensazione di quelle morbide e giovani labbra sulle sue. Si separarono, Hope ancora ad occhi chiusi mentre Anthony osservava il rossore sulle guance svanire e lasciare posto al pallore.
La ragazza aprì gli occhi e li sgranò, incredula di quanto fosse appena accaduto: cosa le era passato per la mente? Come aveva potuto? Come ne sarebbe uscita da quella situazione? Con un veloce passo indietro che le fece quasi perdere l’equilibrio e borbottando un sommesso “Buonanotte professore”, si rifugiò all’interno del palazzo, tormentata dalla sensazione di aver commesso un errore. Perché gli aveva chiesto di baciarla? Perché l’aveva baciata? Poggiò le spalle sul pesante portone in legno del suo palazzo, e con le gambe molli si lasciò cadere sul pavimento. Oltretutto quel bacio era uno dei migliori che avesse mai ricevuto in vita sua.
Anthony la vide fuggire via, e nel momento esatto in cui sentì il portone chiudersi si rese conto di ciò che aveva appena fatto. Lei era una sua studentessa. Cosa gli era passato per la mente. Non rimase li a lungo, tantomeno chiamò un taxi: sentiva di avere ancora bisogno della fresca aria di New York sul viso, mentre si passava una mano tra i capelli grigi dandosi dello stupido e domandandosi cosa sarebbe accaduto l’indomani. Camminò più a lungo di quanto fosse necessario, fino a quando non sentì le gambe fargli male, e decise che il giorno dopo non sarebbe successo niente. Avrebbe fatto finta che nulla fosse accaduto quella notte, cancellando quell’episodio dalla sua mente per sempre. Avrebbe ignorato il bruciore sulle sue labbra e quella sensazione di essere ancora vivo, dopotutto.



*Abbreviazione della University of New York



***

Ci ho messo un’eternità ad aggiornare e vi chiedo scusa, ma così come ho detto in riferimento alle altre mie storie l’estate è stata densa di impegni e ho avuto pochissimo tempo per dedicarmi alla scrittura. Ma adesso sono tornata!
Spero che questo capitolo, seppur breve, vi sia piaciuto… i nostri due protagonisti bruciano le tappe!
Vi saluto, e come sempre vi ricordo la mia pagina Facebook che potere raggiungere semplicemente cliccando --> QUI <--
Un abbraccio,
Dahlia.
   
 
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