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Autore: Thiliol    09/09/2012    3 recensioni
C'era stata quella volta, troppe vite prima, in cui Sarah era entrata nella sala controllo vestita di bianco, avvolta in quell'abito che non le apparteneva ma che indossava come se per lei non fosse un problema. Era bellissima, ma lui era troppo preso da se stesso, dalla sua solitudine per poterglielo dire, anche se l'aveva notato.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doctor - 11, Sarah Jane Smith
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e i diritti del Doctor Who sono proprietà della BBC, scrivo senza scopo di lucro.



Una cosa sconnessa, poco più lunga di una flashfiction, scritta in uno dei miei momenti da maniaca dell'angst, e chissà perchè l'angst sul Dottore sembra sempre calzare a pennello. Non ha una collocazione precisa questa storia, ma vuole essere anche un piccolo omaggio alla grandissima Elisabeth Sladen.

Quella volta che...



Era iniziato tutti in uno di quei momenti di euforia, in cui si sentiva invincibile e spaccone. Avrebbe potuto prendere il Tardis e fare qualsiasi cosa, andare sulla cima del K2 o visitare la perduta Atlantide, invece si era materializzato in una comune cittadina inglese, con una strada all'apparenza innocua ed una casa come ve ne erano tante.

Avrebbe potuto andare a far visita ai Pond, come faceva quando si annoiava, o tornare negli anni '90 solo per poter parlare, anche per un fugace momento, con la piccola Rose Tyler e ricordare quanto fosse dolce il suono del suo sorriso.

Ma non aveva fatto nulla di tutto questo.

Era solo una strada normale in una città normale, ma lui la conosceva come le sue tasche.

Avrebbe dovuto accorgersene subito, non appena la porta non si era aperta al suo arrivo e lei non gli era corsa incontro... invece si era avviato fischiettando.

Ma la ragazza, Rani, lo aveva chiamato prima che potesse bussare alla porta.

Era iniziato in un momento di euforia ed era finito con lui che chiudeva le porte del Tardis e si accasciava a terra, scosso da singhiozzi come non gli era capitato mai, no, nemmeno quella volta che Rose era perduta per sempre.

Erano state lacrime silenziose, quelle, lacrime di un uomo distrutto, svuotato, costretto ad andare avanti.

Adesso sentiva solo il dolore, ed era rumoroso.

Sentiva se stesso piangere e la sua voce gli rimbombava nelle orecchie, sovrastando i rumori del Tardis che, quasi un atto di pietà, era ripartito senza che lui facesse nulla se non rimanere seduto lì, schiena contro la porta e mani sulla faccia, bagnate e tremanti.

Gli facevano male la gola e gli occhi.

Gli facevano male i cuori, soprattutto, e il cervello era un tumulto di ricordi troppo vividi.

C'era stata quella volta, troppe vite prima, in cui Sarah era entrata nella sala controllo vestita di bianco, avvolta in quell'abito che non le apparteneva ma che indossava come se per lei non fosse un problema. Era bellissima, ma lui era troppo preso da se stesso, dalla sua solitudine per poterglielo dire, anche se l'aveva notato.

E c'era quell'altra volta in cui Sarah aveva riso, investendolo di allegria e lui, sciarpa troppo lunga e cappello troppo grande, si era sentito parte di qualcosa.

Lei era sempre stata lì, giornalista, compagna, amica, costante nella sua vita, rassicurante, perchè nei momenti di solitudine sapeva che c'era Sarah da qualche parte nel mondo.

Ed era stato destino che si rincontrassero, perchè vi era un filo tra loro e c'era sempre stato.

Sarah Jane Smith, la sua Sarah Jane Smith.

Non riusciva a fermarsi ed era strano, preoccupante ed in un certo senso terrificante, sapere di poter ancora piangere così.

Solo dopo molto tempo, che fosse un'ora o una settimana, riuscì a riprendere il controllo di sé e alzarsi. Doveva farlo per lei, lo sapeva, perchè non poteva permettersi un crollo del genere, nemmeno per la sua Sarah, nemmeno quando aveva perso la compagna di molte vite.

Sarah Jane, che aveva amato più di chiunque altra ma non come aveva amato Rose, perchè non c'entrava la salvezza, il bisogno o la solitudine, era solo che aveva amato andare in giro con lei, il fatto che lei fosse sua amica sempre, qualsiasi fosse la sua faccia o la sua personalità.

Ecco, ora capiva: c'entrava quella volta in cui avevano mangiato insieme una jelly baby.


   
 
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