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Autore: the princess    25/03/2007    5 recensioni
Aprì la porta facendola sbattere contro la parete.
Sette giorni che andava in quel posto lurido, e sette volte era tornata a casa con la coda tra le gambe.
Aveva troppa paura, non c’era mai riuscita.
Mai.
Genere: Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Frank Iero, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CHAP1

CHAP1

 

I rumori della corsia si facevano spazio tra il silenzio delle stanze, che si annullava ad ogni sospiro affannato o ad ogni lamento.

Max sussultò.

Si destò sul letto e iniziò a guardarsi intorno, il bianco che predominava nella stanza la costrinse a stringere gli occhi.

La finestra dalla quale entrava un gran fascio di luce illuminava la camera.

La pioggia incessante della sera prima aveva smesso di bagnare le strade.

-Dove diavolo sono..?- si chiese riappoggiando con forza la testa sul cuscino alle sue spalle.

La flebo che le avevano attaccato al braccio le dava un grande fastidio.

Fissò il liquido bianco simile ad acqua che a gocce scendeva.

Guardò la mano destra, era completamente fasciata, le bende erano sporche di sangue.

Il polso sinistro, aveva anch’esso una grande garza ingiallita dal medicinale.

Si tirò un pugno con violenza sulla fronte e strinse violentemente gli occhi, facendo scendere alcune calde lacrime.

Non avrebbe mai pensato che sarebbe andata a finire in quel modo.

Aspettò per qualche secondo che qualche infermiera o qualche dottore entrasse da quella porta.

I secondi erano scanditi dal rumore delle gocce del farmaco.

Ed ecco che finalmente un omone alto entrò dalla porta.

I capelli neri che cadevano sugli occhiali eccessivamente grossi, erano scompigliati.

Si avvicinò al letto con una cartella tra le mani agitandola avanti e indietro.

-Max Potter?- chiese alla ragazza, quella annuì fievolmente.

Il dottore senza dire altro prese le mani della ragazza e controllo le ferite.

-Sono dei tagli molto profondi, temiamo che alcuni tendini della mano destra siano stati rovinati in modo irreparabile…- continuò calmo.

Max non rispose, cercò soltanto di non scoppiare in lacrime o almeno di non mettersi ad urlare.

-Chi mi ha portato qui?- disse infine, sentendo la gola bruciarle e la gola rinvigorirsi come se avesse dormito per una notte durata troppo.

-Un ragazzo, ma ha specificato di voler rimanere anonimo…-.

-È ancora qui?- domandò, fissandosi l’arto destro.

-Non so se posso dirglielo…-.

-Credo di averne tutte le ragioni…- protestò, con tono placato, la ragazza sistemandosi sul letto.

Il dottore la fissò per qualche istante, i due si guardarono negli occhi, ma fu l’uomo a cedere per primo.

-Vado a vedere…-.

Max prese la cartella che l’uomo aveva lasciato sulle lenzuola.

Lesse quelle nozioni quasi incomprensibili per una persona senza un minimo diploma in materia.

-Questo cazzo di coso..- si lamentò strappandosi l’ago dal braccio, staccò lo scotch che le era rimasto e si scoprì.

La porta e la finestra aperta facevano entrare una forte corrente tra le pareti della stanza.

Mise i piedi sul pavimento gelido, bianco come tutto ciò che la circondava.

Cercò di issarsi, ma vacillando si risedette sul letto.

-Sei troppo debole per alzarti…- il medico di prima era rientrato nella camera ed ora era appoggiato alla soglia.

-I tuoi genitori saranno qui tra poco…- continuò, mentre la ragazza non dandogli confidenza cercava di compiere la sua impresa.

-Non contarci tanto…- disse indispettita alzandosi per poi tenersi la testa.

-Dov’è quello?- chiese poi strascicandosi fino al dottore.

-Dice che non c’è bisogno che lo ringrazi…- diede risposta.

Max sorrise fievolmente. –Bella faccia tosta…Comunque rivorrei i miei oggetti personali…- parlò socchiudendo gli occhi.

-Non posso costringerla a restare ma…-.

-Infatti non lo faccia… mi dica solo dove devo andare…-.

L’uomo le spiego il luogo esatto e dopo alcuni attimi le fece spazio.

La ragazza si strofinava il polso ancora dolorante e s’incamminò, seguendo le precise indicazioni del dottore.

 

 

Frank era seduto in una di quelle scomodissime sedie, bianche.

Bianca come tutto ciò che lo circondava.

Dopo aver chiamato l’ambulanza e aver fatto ricoverare la ragazza era rimasto seduto lì per un paio d’ore.

Fremeva dalla voglia di fumarsi una sigaretta, ma sapeva benissimo che in quei locali era vietato.

Le gambe gli tremavano per il freddo.

Il viso ancora sporco di trucco dava segni dell’arrivo di un raffreddore in piena regola.

Sbadigliò senza coprirsi la bocca e alzandosi in piedi si stiracchiò.

Dopo qualche secondo, il dottore che era stato congedato precedentemente da Max si avvicinò al chitarrista.

-Allora?- domandò il ragazzo mettendosi le mani nelle tasche. Il suo un metro e sassantacinque sembrava anche minore in confronto all’altezza eccessiva dell’uomo.

-La ragazza ha deciso di andarsene. Ora è a prendere i suoi oggetti personali…- rispose, spostando il ciuffo dalle lenti.

Frank lo fissò inarcando un sopracciglio.

-Mi scusi… non che io sia esperto in materia, ma non le sembra sconsiderato lasciar andar via una ragazza che ha tentato il suicidio e che ha perso molto sangue?- domandò.

Intanto una finestra si spalancò di colpo a causa del vento, che diventava sempre più forte.

Il dottore esitò un attimo, poi pulendosi gli occhiali con un lembo del camice, rispose.

-Io sono un medico… il mio dovere finisce qui…-.

-È bello sapere che se dovessi stare male troverei persone come lei a prendersi cura di me…- disse sarcasticamente il chitarrista, rimanendo sorpreso dalla pessima risposta che aveva appena udito.

-Beh, io avrei altro  da fare… arrivederci…- l’uomo prese la mano del ragazzo e la strinse con vigore.

Frank lo fissò stupito per qualche attimo, capì il gesto solo, quando quello si fu allontanato.

Il brunetto aprì la mano destra e vide un documento plastificato.

Max Potter

23 anni

Belleville, NJ

Dopo aver letto le informazioni scrutò la foto e la riconobbe subito.

La ragazza della sera passata.

Si diresse dalla prima infermiera che vide e le chiese informazioni sul luogo dove si ritirassero gli oggetti personali, e dopo, le eseguì alla lettera.

 

Max da qualche minuto era alle prese con un‘infermiera che diceva di non aver ricevuto la sua carta d’identità.

-Signora, la prego… sono stanca...- diceva con le palpebre a mezz’asta per la stanchezza, la testa le doleva in modo pazzesco, la cosa migliore sarebbe stata quella di rimanere lì per un altro po’ di tempo, ma non voleva vedere il viso dei suoi, o sentire le loro frasi su quanto fossero sfortunati ad avere una figlia come lei.

-Infatti, figliola… perché non torni nel tuo letto…-la donna vestita di rosa guardava la ragazza attraverso gli occhialini spessi.

-Le ho detto di non insistere… voglio solo andarmene…- continuava la riccia appoggiando il braccio sull’alto bancone, notando che le ferite alla mano si stavano riaprendo.

-Ehi!- Frank avendo vista la nuca della ragazza, e avendola conosciuta si avvicinò a lei.

Dopo essergli accostato le tamburellò con le dita sulle spalle.

-Mi sa che questo sia tuo…- disse, mentre quella si voltava.

Max lo fissò per qualche secondo, incredula che lui, il suo chitarrista preferito, fosse lì di fronte ai suoi occhi.

-Ah… sì… oddio…- sospirò, mentre quello sorrideva placidamente.

-Tieni… Max Potter…- disse leggendo il nome sul foglio.

-Grazie…- concluse quella prendendo l’oggetto e infilandoselo in tasca.

Frank sorrise nuovamente.

In quel momento Max focalizzò, era lì con davanti Frank Iero con il polso lacerato e con la mano destra dolorante.

-Beh, sì… devo andare… grazie ancora..- si congedò velocemente.

Prese da terra lo zaino, rovinato dal tempo e mettendoselo in spalla si diresse verso la porta a vetri.

-Aspetta…!- disse Frank seguendola.

Max era riuscita a mettere il piede fuori di quel maledettissimo ospedale.

Le nuvole stavano prendendo il loro precedente posto.

Il sole spariva lentamente dietro esse.

Il vento andava dentro il giubbotto, forse troppo leggero, della ragazza.

Max guardò in alto e sentì la prima goccia ghiacciata.

Prese dal bagaglio i guanti che le aveva regalato la sua amica Sarah, forse l’unica che le era mai stata veramente accanto.

Ed ecco il secondo gocciolone, più pesante e freddo del primo.

Frank uscì dalla porta e dovette socchiudere immediatamente gli occhi per la raffica di vento che si era appena alzata.

Finalmente, la vide.

-Non ti sembra un po’ presto per uscire dall’ospedale?- domandò.

-Non credo siano affari tuoi.. e comunque sto benissimo…- mentì con il volto sempre più pallido.

-A me non sembra.. anzi sei quasi peggio di ieri…- constatò quello soffiandosi tra le mani.

In quell’istante Max si fermò.

Frank che non aveva notato il movimento dovette arretrare di qualche passo per tornarle accanto.

-Tutto apposto?- chiese.

La ragazza alzò lo sguardo che s’incrociò con quello di lui, non ci poteva credere.

Proprio lui era stato il ragazzo che l’aveva portata lì, il bastardo che l’aveva fatta tornare in quello schifoso mondo.

-Allora sei stato tu…?- domandò cercando di placare la rabbia che imperversava dentro di lei.

-Sì, ma non devi ringraziarmi…- iniziò quello.

Max si allontanò di scatto.

-E ora mi spieghi dove stai andando?-.

-Lasciami in pace!- urlò quella accelerando il passo per quanto gliene concerneva in quella maledetta condizione.

-Neanche mi ringrazi per averti salvato, e per giunta reagisci andandotene!- la rimproverò quello tirando un calcio ad una lattina.

Max nell’udire quelle parole si girò per fissarlo, si avvicinò sospirando sempre più a fatica.

-Secondo te… una che cerca di suicidarsi… ha  voglia che qualcuno la salvi?- domandò alzando il tono della voce.

Frank la guardò, non sapeva che rispondere, non esistevano parole per controbattere ad un’affermazione del genere.

-Ecco, infatti… quindi adesso…- Max si piegò in due, appoggiò il gomito sulle ginocchia e si accostò al muro di mattoni alle sue spalle.

La pioggia oramai si era trasformata in un nubifragio.

I capelli schiacciati sulla fronte le andavano sugli occhi, aggiungendo un qualcosa in più al tremendo dolore che stava subendo.

-Ehi..- la chiamò il chitarrista, appoggiandole una mano sul braccio e chinandosi per guardarle il viso.

-Sto… be…- cercò di parlare, per poi sdraiarsi sul muro.

Il guanto nero era oramai inzuppato di sangue che stava iniziando ad uscire fuori del tessuto.

-Cazzo, ma qui ancora stai sanguinando…- constatò Frank, alzandole l’arto.

-Io ti riporto in ospedale…- ormai anche il polso sinistro aveva riiniziato a sanguinare violentemente.

-No…!- si oppose. –Fra un poco arriveranno… lasciami… ce la faccio da sola…- cercò di recuperare Max, mentre le forze si allontanavano sempre di più da lei.

-Non scherzare… ti porto a casa mia…-.

Dette quelle parole se l’appoggiò sulla spalla e iniziò ad aspettare l’arrivo di un taxi che fortunatamente dopo poco arrivò.

Intanto la pioggia torrenziale puliva la chiazza di sangue, facendo sparire ogni segno della permanenza della ragazza in quel luogo. Meno di dieci minuti dopo una Ford nera posteggiò nel parcheggio dell’ospedale e un uomo e una donna ne uscirono.

 

*

 

-Sì, stai tranquillo… Si mammina, sto bene… e dai scherzo, idiota…- Frank era da qualche minuto al telefono con Bob.

Il ragazzo lo aveva chiamato per assicurare di stare bene e che era tornato a casa per addormentarsi e per prendere qualcosa per il suo terribile mal di testa.

-Allora ci vediamo domani…?- chiese quello dall’altra parte.

-Si, certo… a domani…-.

Frank riattaccò e si diresse verso il divano.

Guardò l’ora nell’orologio appeso alla parete: 3.55.

Fra poche ore avrebbe ricevuto la visita di tutta la band, non aveva trovato niente da assumere per far calmare il dolore alla testa, arrivò al punto di chiedere aiuto ai vicini, ma vista l’ora rinunciò.

Era sfinito, non avrebbe mai pensato che il dopo concerto nella sua città natale si sarebbe trasformato in un totale disastro.

Dopo essersi struccato e spogliato, era rimasto per qualche ora a fissare la ragazza che non dava segni di ripresa.

Era riuscito a stento a fasciare le ferite, le gocce di sangue avevano macchiato le lenzuola del letto matrimoniale dove l’aveva adagiata con cura.

Aveva riflettuto sul doverla spogliare dei suoi vestiti, ma avendo notato il carattere abbastanza impulsivo di Max, preferì cacciarle solo le scarpe e il giubbotto bagnato.

Si sedette sul divano nero.

Si cacciò le scarpe poco delicatamente e le tirò sopra il camino alla sua destra, poi accese la televisione.

120 canali.. e nulla da vedere… l’unica possibilità erano…

Si voltò per dare un’occhiata alla camera da letto e controllare e assicurarsi che la ragazza ancora dormisse.

Ed ecco che velocemente postava sul primo canale porno che li venisse in mente, non che lo facesse spesso, ma in certe situazioni, aveva bisogno di un po’ di svago.

 

4.25

La sveglia d’acciaio sul comodino della camera e la finestra semichiusa erano le uniche cose che illuminavano la stanza altrimenti priva di illuminazione.

Max, aprì lentamente gli occhi. Davanti a lei la porta del bagno aperta mostrava uno specchio che brillava per il riflesso della finestra.

Alzò la testa dal cuscino bagnato per colpa dei capelli umidi.

Appoggiò le mani sul letto per farsi leva per issarsi, ma senza produrre risultati a parte un lancinante dolore.

Decise di riposarsi un altro paio di secondi.

Mentre gli occhi si abituavano al buio, anche la stanza prendeva forma attorno a lei.

Sapeva benissimo dove si trovava.

“Ti porto a casa mia”, queste furono le ultime parole che poté ascoltare, prima di perdere nuovamente i sensi.

Era a casa di Frank Iero.

Sbuffò, avvicinandosi le mani alla bocca per poi soffiarci dentro.

-Sono viva…- si disse, rassegnata e triste allo stesso tempo.

Guardò sul comodino e si scoprì con silenzio e cautela.

Si guardò gli arti, si notava che le fasciature erano state rifatte, e neanche in modo perfetto.

Si toccò il polso, anche con tutta la garza riuscì a sentire il solco. Allontanò immediatamente la mano, quasi spaventata.

Con delicatezza caccio la benda per controllarsi.

Il sangue che aveva formato dei grumi tutto intorno al taglio, aveva cambiato colore, divenendo quasi nero.

Il rosso era arrivato fino a sopra il gomito.

Si sedette alla fine del letto e notò anche l’ampia macchia scarlatta che aveva lasciato sul lenzuolo.

Si spostò, riuscendo finalmente ad alzarsi.

Ci mise qualche secondo per ritrovare l’equilibrio.

Prima di andare verso il salotto, dove sapeva trovarsi Frank, si avvicinò al bagno.

La matita nera sul suo viso aveva formato immense chiazze attorno agli occhi nocciola.

Quegli occhi che le sue compagne le avevano sempre invidiato, in cui lei non vedeva nulla di speciale… nulla che potesse minimamente essere a confronto alle meravigliose iridi verdi d’alcune sue coetanee.

Il pallore, anche se in minor intensità, era rimasto a far contrasto con la capigliatura nera.

Quest’ultima era schiacciata sulla testa.

Si sciacquò il viso.

Dopo aver sospirato ed essersi presa di coraggio s’incamminò verso il salottino che aveva intravisto dal letto.

Ad ogni passo una nuova preoccupazione, una nuova paura si faceva largo tra i suoi pensieri.

Come avrebbe risolto la cosa con i suoi genitori, se sempre loro le avessero dato la possibilità di farlo.

Come spiegare ai suoi amici il suo gesto.

E soprattutto, come avrebbe affrontato l’incontro con la mente più lucida con il suo “salvatore”, nonché suo amato idolo.

Tante domande nessuna risposta, topos della sua vita.

Dopo essere uscita dalla camera, le caviglie iniziarono a farle male.

Il pavimento freddo aveva iniziato a far dolorare le ossa del piede e di conseguenza quelle della caviglia, questo poi va ad aggiungersi alla stanchezza che non dava segno di placarsi.

Passò accanto alla grande libreria d’acero che portava al soggiorno, quando ad un tratto senti alcuni rumori strani.

Sospiri.

Gemiti, provenivano dalla televisione.

Si avvicinò e con un ghigno riconobbe immediatamente le immagini, socchiudendo maggiormente gli occhi per focalizzare meglio, notò la testa del chitarrista sul divano di fronte ad essa.

Con passo lento si avvicinò a lui.

Tossicchiò leggermente due volte, facendo seguire i colpi di tosse da un riso silenzioso.

Frank preso dalla visione del film, solo grazie a quei forti rumori si rese conto della presenza di Max.

Velocemente prese il telecomando da accanto a se, ma per la troppa fredda lo fece cadere a terra ben due volte.

Intanto la ragazza era riuscita a sedersi alla destra di questo, e guardava la scena divertita.

Finalmente il chitarrista era riuscito a chiudere quella televisione.

Diventato rosso, dall’imbarazzo si girò verso Max.

-Allora ti sei svegliata…- disse per rompere quel silenzio, passandosi la mano dietro la nuca.

-Si… è da un po’ che osservo il programma educativo che stavi guardando…- mise il dito nella piaga lei.

-Ah sì quello…- enunciò Frank sempre più rosso.

-Ma ora cambiamo discorso…- riprese successivamente, risistemandosi sul cuscinone del divano.

-Cazzo, ti sei cacciata la garza…!- disse arrabbiato, prendendo la mano di Max e avvicinandosela al volto.

-Si, volevo vedere la condizione del graffio…-confessò.

-Mi sembra un po’ limitativo chiamarlo graffio…- il chitarrista si era alzato e si era avvicinato ad un comeau da dove aveva tirato fuori alcune garze e dello scotch medico per tenerle unite.

-Per fortuna che di bende ne ho in abbondanza…- dopo essersi riaccomodato, aveva ripreso la mano sinistra di Max.

-Almeno all’ospedale te l’hanno medicata…- constatò.

Max che inizialmente guardava il grosso taglio, aveva spostato lo sguardo al viso concentrato di Frank.

A mano a mano, il rossore delle guance era sparito.

Gli occhi verdi lucidi per la stanchezza si socchiudevano per poter controllare meglio il lavoro.

-Quando aveva 14 anni ho sognato di andare a letto con il professore di batteria di mio cugino e il giorno dopo gliel’ho confessato, sapendo che aveva circa 15 anni in più di me…- disse tutto d’un tratto Max, ritornando a guardare le bende che stavano fasciando il polso.

-E perché mi hai detto ciò?- domandò Frank, ridendo.

-Così siamo pari…- diede risposta pacata lei.

Quello continuò a dare mostra del suo bellissimo sorriso.

-Ecco fatto…!- disse dopo poco, appoggiando con delicatezza la mano sul polso e poi riappoggiarlo sul divano.

I due si fissarono per qualche secondo negli occhi, stranamente la prima ad abbassare lo sguardo fu Max.

-Beh… io vado a coricarmi… sono stanca…-.

-Si… ok…vai… io starò qui.. a… dormire…- concluse facendola sorridere.

Quella si alzò e ritornò nella camera da letto.

Mentre Frank le fasciava la mano aveva pensato se fosse stato il caso di ringraziarlo, ma ancora non si sentiva pronta o almeno aveva la testa troppo piena per far sopraggiungere anche questo problema.

Si appoggiò al cuscino, evitando le tracce di sangue, guardò la sveglia: 5.00

Decise di chiudere gli occhi ,affannati da una giornata così stressante, e pensare al fatto che il giorno dopo li avrebbe riaperti…

 

 

  
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