CHAP1
I
rumori della corsia si facevano spazio tra il silenzio delle stanze, che si
annullava ad ogni sospiro affannato o ad ogni lamento.
Max
sussultò.
Si
destò sul letto e iniziò a guardarsi intorno, il bianco che predominava
nella stanza la costrinse a stringere gli occhi.
La
finestra dalla quale entrava un gran fascio di luce illuminava la camera.
La
pioggia incessante della sera prima aveva smesso di bagnare le strade.
-Dove
diavolo sono..?- si chiese riappoggiando con forza la testa sul cuscino alle
sue spalle.
La
flebo che le avevano attaccato al braccio le dava un grande fastidio.
Fissò
il liquido bianco simile ad acqua che a gocce scendeva.
Guardò
la mano destra, era completamente fasciata, le bende erano sporche di sangue.
Il
polso sinistro, aveva anch’esso una grande garza ingiallita dal
medicinale.
Si
tirò un pugno con violenza sulla fronte e strinse violentemente gli
occhi, facendo scendere alcune calde lacrime.
Non
avrebbe mai pensato che sarebbe andata a finire in quel modo.
Aspettò
per qualche secondo che qualche infermiera o qualche dottore entrasse da quella
porta.
I
secondi erano scanditi dal rumore delle gocce del farmaco.
Ed
ecco che finalmente un omone alto entrò dalla porta.
I
capelli neri che cadevano sugli occhiali eccessivamente grossi, erano
scompigliati.
Si
avvicinò al letto con una cartella tra le mani agitandola avanti e
indietro.
-Max
Potter?- chiese alla ragazza, quella annuì fievolmente.
Il
dottore senza dire altro prese le mani della ragazza e controllo le ferite.
-Sono
dei tagli molto profondi, temiamo che alcuni tendini della mano destra siano
stati rovinati in modo irreparabile…- continuò calmo.
Max
non rispose, cercò soltanto di non scoppiare in lacrime o almeno di non
mettersi ad urlare.
-Chi
mi ha portato qui?- disse infine, sentendo la gola bruciarle e la gola
rinvigorirsi come se avesse dormito per una notte durata troppo.
-Un
ragazzo, ma ha specificato di voler rimanere anonimo…-.
-È
ancora qui?- domandò, fissandosi l’arto destro.
-Non
so se posso dirglielo…-.
-Credo
di averne tutte le ragioni…- protestò, con tono placato, la
ragazza sistemandosi sul letto.
Il
dottore la fissò per qualche istante, i due si guardarono negli occhi,
ma fu l’uomo a cedere per primo.
-Vado
a vedere…-.
Max
prese la cartella che l’uomo aveva lasciato sulle lenzuola.
Lesse
quelle nozioni quasi incomprensibili per una persona senza un minimo diploma in
materia.
-Questo
cazzo di coso..- si lamentò strappandosi l’ago dal braccio,
staccò lo scotch che le era rimasto e si scoprì.
La
porta e la finestra aperta facevano entrare una forte corrente tra le pareti
della stanza.
Mise
i piedi sul pavimento gelido, bianco come tutto ciò che la circondava.
Cercò
di issarsi, ma vacillando si risedette sul letto.
-Sei
troppo debole per alzarti…- il medico di prima era rientrato nella camera
ed ora era appoggiato alla soglia.
-I
tuoi genitori saranno qui tra poco…- continuò, mentre la ragazza
non dandogli confidenza cercava di compiere la sua impresa.
-Non
contarci tanto…- disse indispettita alzandosi per poi tenersi la testa.
-Dov’è
quello?- chiese poi strascicandosi fino al dottore.
-Dice
che non c’è bisogno che lo ringrazi…- diede risposta.
Max
sorrise fievolmente. –Bella faccia tosta…Comunque rivorrei i miei
oggetti personali…- parlò socchiudendo gli occhi.
-Non
posso costringerla a restare ma…-.
-Infatti
non lo faccia… mi dica solo dove devo andare…-.
L’uomo
le spiego il luogo esatto e dopo alcuni attimi le fece spazio.
La
ragazza si strofinava il polso ancora dolorante e s’incamminò,
seguendo le precise indicazioni del dottore.
Frank
era seduto in una di quelle scomodissime sedie, bianche.
Bianca
come tutto ciò che lo circondava.
Dopo
aver chiamato l’ambulanza e aver fatto ricoverare la ragazza era rimasto
seduto lì per un paio d’ore.
Fremeva
dalla voglia di fumarsi una sigaretta, ma sapeva benissimo che in quei locali
era vietato.
Le
gambe gli tremavano per il freddo.
Il
viso ancora sporco di trucco dava segni dell’arrivo di un raffreddore in
piena regola.
Sbadigliò
senza coprirsi la bocca e alzandosi in piedi si stiracchiò.
Dopo
qualche secondo, il dottore che era stato congedato precedentemente da Max si
avvicinò al chitarrista.
-Allora?-
domandò il ragazzo mettendosi le mani nelle tasche. Il suo un metro e
sassantacinque sembrava anche minore in confronto all’altezza eccessiva
dell’uomo.
-La
ragazza ha deciso di andarsene. Ora è a prendere i suoi oggetti
personali…- rispose, spostando il ciuffo dalle lenti.
Frank
lo fissò inarcando un sopracciglio.
-Mi
scusi… non che io sia esperto in materia, ma non le sembra sconsiderato
lasciar andar via una ragazza che ha tentato il suicidio e che ha perso molto
sangue?- domandò.
Intanto
una finestra si spalancò di colpo a causa del vento, che diventava
sempre più forte.
Il
dottore esitò un attimo, poi pulendosi gli occhiali con un lembo del
camice, rispose.
-Io
sono un medico… il mio dovere finisce qui…-.
-È
bello sapere che se dovessi stare male troverei persone come lei a prendersi
cura di me…- disse sarcasticamente il chitarrista, rimanendo sorpreso
dalla pessima risposta che aveva appena udito.
-Beh,
io avrei altro da fare…
arrivederci…- l’uomo prese la mano del ragazzo e la strinse con
vigore.
Frank
lo fissò stupito per qualche attimo, capì il gesto solo, quando
quello si fu allontanato.
Il
brunetto aprì la mano destra e vide un documento plastificato.
Max Potter
23 anni
Belleville, NJ
Dopo
aver letto le informazioni scrutò la foto e la riconobbe subito.
La
ragazza della sera passata.
Si
diresse dalla prima infermiera che vide e le chiese informazioni sul luogo dove
si ritirassero gli oggetti personali, e dopo, le eseguì alla lettera.
Max
da qualche minuto era alle prese con un‘infermiera che diceva di non aver
ricevuto la sua carta d’identità.
-Signora,
la prego… sono stanca...- diceva con le palpebre a mezz’asta per la
stanchezza, la testa le doleva in modo pazzesco, la cosa migliore sarebbe stata
quella di rimanere lì per un altro po’ di tempo, ma non voleva
vedere il viso dei suoi, o sentire le loro frasi su quanto fossero sfortunati
ad avere una figlia come lei.
-Infatti,
figliola… perché non torni nel tuo letto…-la donna vestita
di rosa guardava la ragazza attraverso gli occhialini spessi.
-Le
ho detto di non insistere… voglio solo andarmene…- continuava la
riccia appoggiando il braccio sull’alto bancone, notando che le ferite
alla mano si stavano riaprendo.
-Ehi!-
Frank avendo vista la nuca della ragazza, e avendola conosciuta si
avvicinò a lei.
Dopo
essergli accostato le tamburellò con le dita sulle spalle.
-Mi
sa che questo sia tuo…- disse, mentre quella si voltava.
Max
lo fissò per qualche secondo, incredula che lui, il suo chitarrista
preferito, fosse lì di fronte ai suoi occhi.
-Ah…
sì… oddio…- sospirò, mentre quello sorrideva
placidamente.
-Tieni…
Max Potter…- disse leggendo il nome sul foglio.
-Grazie…-
concluse quella prendendo l’oggetto e infilandoselo in tasca.
Frank
sorrise nuovamente.
In
quel momento Max focalizzò, era lì con davanti Frank Iero con il
polso lacerato e con la mano destra dolorante.
-Beh,
sì… devo andare… grazie ancora..- si congedò
velocemente.
Prese
da terra lo zaino, rovinato dal tempo e mettendoselo in spalla si diresse verso
la porta a vetri.
-Aspetta…!-
disse Frank seguendola.
Max
era riuscita a mettere il piede fuori di quel maledettissimo ospedale.
Le
nuvole stavano prendendo il loro precedente posto.
Il
sole spariva lentamente dietro esse.
Il
vento andava dentro il giubbotto, forse troppo leggero, della ragazza.
Max
guardò in alto e sentì la prima goccia ghiacciata.
Prese
dal bagaglio i guanti che le aveva regalato la sua amica Sarah, forse
l’unica che le era mai stata veramente accanto.
Ed
ecco il secondo gocciolone, più pesante e freddo del primo.
Frank
uscì dalla porta e dovette socchiudere immediatamente gli occhi per la
raffica di vento che si era appena alzata.
Finalmente,
la vide.
-Non
ti sembra un po’ presto per uscire dall’ospedale?- domandò.
-Non
credo siano affari tuoi.. e comunque sto benissimo…- mentì con il
volto sempre più pallido.
-A
me non sembra.. anzi sei quasi peggio di ieri…- constatò quello
soffiandosi tra le mani.
In
quell’istante Max si fermò.
Frank
che non aveva notato il movimento dovette arretrare di qualche passo per
tornarle accanto.
-Tutto
apposto?- chiese.
La
ragazza alzò lo sguardo che s’incrociò con quello di lui,
non ci poteva credere.
Proprio
lui era stato il ragazzo che l’aveva portata lì, il bastardo che
l’aveva fatta tornare in quello schifoso mondo.
-Allora
sei stato tu…?- domandò cercando di placare la rabbia che
imperversava dentro di lei.
-Sì,
ma non devi ringraziarmi…- iniziò quello.
Max
si allontanò di scatto.
-E
ora mi spieghi dove stai andando?-.
-Lasciami
in pace!- urlò quella accelerando il passo per quanto gliene concerneva
in quella maledetta condizione.
-Neanche
mi ringrazi per averti salvato, e per giunta reagisci andandotene!- la
rimproverò quello tirando un calcio ad una lattina.
Max
nell’udire quelle parole si girò per fissarlo, si avvicinò
sospirando sempre più a fatica.
-Secondo
te… una che cerca di suicidarsi… ha voglia che qualcuno la salvi?-
domandò alzando il tono della voce.
Frank
la guardò, non sapeva che rispondere, non esistevano parole per
controbattere ad un’affermazione del genere.
-Ecco,
infatti… quindi adesso…- Max si piegò in due,
appoggiò il gomito sulle ginocchia e si accostò al muro di
mattoni alle sue spalle.
La
pioggia oramai si era trasformata in un nubifragio.
I
capelli schiacciati sulla fronte le andavano sugli occhi, aggiungendo un
qualcosa in più al tremendo dolore che stava subendo.
-Ehi..-
la chiamò il chitarrista, appoggiandole una mano sul braccio e
chinandosi per guardarle il viso.
-Sto…
be…- cercò di parlare, per poi sdraiarsi sul muro.
Il
guanto nero era oramai inzuppato di sangue che stava iniziando ad uscire fuori
del tessuto.
-Cazzo,
ma qui ancora stai sanguinando…- constatò Frank, alzandole
l’arto.
-Io
ti riporto in ospedale…- ormai anche il polso sinistro aveva riiniziato a
sanguinare violentemente.
-No…!-
si oppose. –Fra un poco arriveranno… lasciami… ce la faccio
da sola…- cercò di recuperare Max, mentre le forze si
allontanavano sempre di più da lei.
-Non
scherzare… ti porto a casa mia…-.
Dette
quelle parole se l’appoggiò sulla spalla e iniziò ad
aspettare l’arrivo di un taxi che fortunatamente dopo poco arrivò.
Intanto
la pioggia torrenziale puliva la chiazza di sangue, facendo sparire ogni segno
della permanenza della ragazza in quel luogo. Meno di dieci minuti dopo una
Ford nera posteggiò nel parcheggio dell’ospedale e un uomo e una
donna ne uscirono.
*
-Sì,
stai tranquillo… Si mammina, sto bene… e dai scherzo,
idiota…- Frank era da qualche minuto al telefono con Bob.
Il
ragazzo lo aveva chiamato per assicurare di stare bene e che era tornato a casa
per addormentarsi e per prendere qualcosa per il suo terribile mal di testa.
-Allora
ci vediamo domani…?- chiese quello dall’altra parte.
-Si,
certo… a domani…-.
Frank
riattaccò e si diresse verso il divano.
Guardò
l’ora nell’orologio appeso alla parete: 3.55.
Fra
poche ore avrebbe ricevuto la visita di tutta la band, non aveva trovato niente
da assumere per far calmare il dolore alla testa, arrivò al punto di
chiedere aiuto ai vicini, ma vista l’ora rinunciò.
Era
sfinito, non avrebbe mai pensato che il dopo concerto nella sua città
natale si sarebbe trasformato in un totale disastro.
Dopo
essersi struccato e spogliato, era rimasto per qualche ora a fissare la ragazza
che non dava segni di ripresa.
Era
riuscito a stento a fasciare le ferite, le gocce di sangue avevano macchiato le
lenzuola del letto matrimoniale dove l’aveva adagiata con cura.
Aveva
riflettuto sul doverla spogliare dei suoi vestiti, ma avendo notato il
carattere abbastanza impulsivo di Max, preferì cacciarle solo le scarpe
e il giubbotto bagnato.
Si
sedette sul divano nero.
Si
cacciò le scarpe poco delicatamente e le tirò sopra il camino
alla sua destra, poi accese la televisione.
120
canali.. e nulla da vedere… l’unica possibilità erano…
Si
voltò per dare un’occhiata alla camera da letto e controllare e
assicurarsi che la ragazza ancora dormisse.
Ed
ecco che velocemente postava sul primo canale porno che li venisse in mente,
non che lo facesse spesso, ma in certe situazioni, aveva bisogno di un
po’ di svago.
4.25
La
sveglia d’acciaio sul comodino della camera e la finestra semichiusa
erano le uniche cose che illuminavano la stanza altrimenti priva di
illuminazione.
Max,
aprì lentamente gli occhi. Davanti a lei la porta del bagno aperta
mostrava uno specchio che brillava per il riflesso della finestra.
Alzò
la testa dal cuscino bagnato per colpa dei capelli umidi.
Appoggiò
le mani sul letto per farsi leva per issarsi, ma senza produrre risultati a
parte un lancinante dolore.
Decise
di riposarsi un altro paio di secondi.
Mentre
gli occhi si abituavano al buio, anche la stanza prendeva forma attorno a lei.
Sapeva
benissimo dove si trovava.
“Ti
porto a casa mia”, queste furono le ultime parole che poté
ascoltare, prima di perdere nuovamente i sensi.
Era
a casa di Frank Iero.
Sbuffò,
avvicinandosi le mani alla bocca per poi soffiarci dentro.
-Sono
viva…- si disse, rassegnata e triste allo stesso tempo.
Guardò
sul comodino e si scoprì con silenzio e cautela.
Si
guardò gli arti, si notava che le fasciature erano state rifatte, e
neanche in modo perfetto.
Si
toccò il polso, anche con tutta la garza riuscì a sentire il
solco. Allontanò immediatamente la mano, quasi spaventata.
Con
delicatezza caccio la benda per controllarsi.
Il
sangue che aveva formato dei grumi tutto intorno al taglio, aveva cambiato
colore, divenendo quasi nero.
Il
rosso era arrivato fino a sopra il gomito.
Si
sedette alla fine del letto e notò anche l’ampia macchia scarlatta
che aveva lasciato sul lenzuolo.
Si
spostò, riuscendo finalmente ad alzarsi.
Ci
mise qualche secondo per ritrovare l’equilibrio.
Prima
di andare verso il salotto, dove sapeva trovarsi Frank, si avvicinò al
bagno.
La
matita nera sul suo viso aveva formato immense chiazze attorno agli occhi
nocciola.
Quegli
occhi che le sue compagne le avevano sempre invidiato, in cui lei non vedeva
nulla di speciale… nulla che potesse minimamente essere a confronto alle
meravigliose iridi verdi d’alcune sue coetanee.
Il
pallore, anche se in minor intensità, era rimasto a far contrasto con la
capigliatura nera.
Quest’ultima
era schiacciata sulla testa.
Si
sciacquò il viso.
Dopo
aver sospirato ed essersi presa di coraggio s’incamminò verso il
salottino che aveva intravisto dal letto.
Ad
ogni passo una nuova preoccupazione, una nuova paura si faceva largo tra i suoi
pensieri.
Come
avrebbe risolto la cosa con i suoi genitori, se sempre loro le avessero dato la
possibilità di farlo.
Come
spiegare ai suoi amici il suo gesto.
E
soprattutto, come avrebbe affrontato l’incontro con la mente più
lucida con il suo “salvatore”, nonché suo amato idolo.
Tante
domande nessuna risposta, topos della sua vita.
Dopo
essere uscita dalla camera, le caviglie iniziarono a farle male.
Il
pavimento freddo aveva iniziato a far dolorare le ossa del piede e di
conseguenza quelle della caviglia, questo poi va ad aggiungersi alla stanchezza
che non dava segno di placarsi.
Passò
accanto alla grande libreria d’acero che portava al soggiorno, quando ad
un tratto senti alcuni rumori strani.
Sospiri.
Gemiti,
provenivano dalla televisione.
Si
avvicinò e con un ghigno riconobbe immediatamente le immagini,
socchiudendo maggiormente gli occhi per focalizzare meglio, notò la
testa del chitarrista sul divano di fronte ad essa.
Con
passo lento si avvicinò a lui.
Tossicchiò
leggermente due volte, facendo seguire i colpi di tosse da un riso silenzioso.
Frank
preso dalla visione del film, solo grazie a quei forti rumori si rese conto
della presenza di Max.
Velocemente
prese il telecomando da accanto a se, ma per la troppa fredda lo fece cadere a
terra ben due volte.
Intanto
la ragazza era riuscita a sedersi alla destra di questo, e guardava la scena
divertita.
Finalmente
il chitarrista era riuscito a chiudere quella televisione.
Diventato
rosso, dall’imbarazzo si girò verso Max.
-Allora
ti sei svegliata…- disse per rompere quel silenzio, passandosi la mano
dietro la nuca.
-Si…
è da un po’ che osservo il programma educativo che stavi
guardando…- mise il dito nella piaga lei.
-Ah
sì quello…- enunciò Frank sempre più rosso.
-Ma
ora cambiamo discorso…- riprese successivamente, risistemandosi sul
cuscinone del divano.
-Cazzo,
ti sei cacciata la garza…!- disse arrabbiato, prendendo la mano di Max e
avvicinandosela al volto.
-Si,
volevo vedere la condizione del graffio…-confessò.
-Mi
sembra un po’ limitativo chiamarlo graffio…- il chitarrista si era
alzato e si era avvicinato ad un comeau da dove aveva tirato fuori alcune garze
e dello scotch medico per tenerle unite.
-Per
fortuna che di bende ne ho in abbondanza…- dopo essersi riaccomodato,
aveva ripreso la mano sinistra di Max.
-Almeno
all’ospedale te l’hanno medicata…- constatò.
Max
che inizialmente guardava il grosso taglio, aveva spostato lo sguardo al viso
concentrato di Frank.
A
mano a mano, il rossore delle guance era sparito.
Gli
occhi verdi lucidi per la stanchezza si socchiudevano per poter controllare
meglio il lavoro.
-Quando
aveva 14 anni ho sognato di andare a letto con il professore di batteria di mio
cugino e il giorno dopo gliel’ho confessato, sapendo che aveva circa 15
anni in più di me…- disse tutto d’un tratto Max, ritornando
a guardare le bende che stavano fasciando il polso.
-E
perché mi hai detto ciò?- domandò Frank, ridendo.
-Così
siamo pari…- diede risposta pacata lei.
Quello
continuò a dare mostra del suo bellissimo sorriso.
-Ecco
fatto…!- disse dopo poco, appoggiando con delicatezza la mano sul polso e
poi riappoggiarlo sul divano.
I
due si fissarono per qualche secondo negli occhi, stranamente la prima ad
abbassare lo sguardo fu Max.
-Beh…
io vado a coricarmi… sono stanca…-.
-Si…
ok…vai… io starò qui.. a… dormire…- concluse
facendola sorridere.
Quella
si alzò e ritornò nella camera da letto.
Mentre
Frank le fasciava la mano aveva pensato se fosse stato il caso di ringraziarlo,
ma ancora non si sentiva pronta o almeno aveva la testa troppo piena per far
sopraggiungere anche questo problema.
Si
appoggiò al cuscino, evitando le tracce di sangue, guardò la
sveglia: 5.00
Decise
di chiudere gli occhi ,affannati da una giornata così stressante, e
pensare al fatto che il giorno dopo li avrebbe riaperti…