“Science sans conscience n'est que la ruine de l'âme.”
“Scienza senza coscienza non è che la rovina
dell’anima.”
(François Rabelais)
F r a m m e n t i
Act 2.
Stillborn.
Like God, arms thrown around the sky.
I giorni, i mesi si erano
susseguiti in una strana monotonia: tuttavia, il tempo era passato
relativamente veloce; il suo umore aveva risentito degli avvenimenti, ed
un’incomprensibile amarezza si era alternata ad un senso di pace interiore.
Non sapeva cosa fosse successo,
non sapeva come fosse successo. Sapeva solo che, dopo la morte del loro Ed, suo
marito era tornato a dormire nel loro letto. Suo marito al funerale le aveva
sorriso.
Suo marito, le aveva sussurrato, quella notte, di non preoccuparsi.
“Andrà tutto bene.”
La donna si era fermata sull’uscio
della stanza in penombra, e la tazza di tè aveva traballato tintinnante sul
vassoio che teneva tra le mani. Aveva battuto ciglio, chinato il capo d’un
lato, prima di muovere qualche passo nella stanza.
Sorriso tranquillo disegnato con il rossetto amaranto sulle labbra.
“Per me va già tutto bene. Sei tu che sei cambiato, caro.” Sospirò piuttosto platealmente, voce civettuola annacquata di malinconia. “Il tuo corpo potrà essere qui, ma la tua mente è altrove.” Poggiò il vassoio sulla superficie di legno scuro, chinando appena il volto da un lato. “Dov’è la tua mente, tesoro? Non riesco a raggiungerla: per quanto allunghi la mano, è sempre troppo lontana. Dove sei tu, ora?”
“Pensavo, Dante. Pensavo.” Mormorò lui, senza sollevare lo sguardo dal vecchio manoscritto “In questi ultimi anni ho studiato molti testi di alchimia antica, quelli che sono stati salvati dal fuoco della religione di sangue. I testi di Paracelsus che sono sopravvissuti alla censura. I testi di Zorimos. Prima di me, c’è stato chi ha studiato questa possibilità, cara. Ci sono stati studi, dibattiti…” la voce di lui scemò, pensosa, e Dante ne approfittò per intromettersi con una domanda intrinseca d’apprensione.
“Cos’è così importante da rubare la tua mente per così tanto tempo?”
Lui sollevò lo
sguardo.
“E’ possibile creare la vita?”
Un sussurro che ottenne una riposta immediata, accompagnata da una piccola e chioccia risata.
“Non è possibile.”
“Non è mai stata portata a termine, Dante.” Concesse l’uomo, solleticandosi la barba incolta con la piuma intinta d’inchiostro. “Ma i miei studi sono molto più precisi di quelli degli antichi. In fondo, che cos’è il corpo umano? Acqua, carbonio, ammoniaca, calce, sale…”
“… è un’assurdità, caro.” Cinguettò lei,
tranquilla, poggiandosi contro il tavolo di legno massiccio.
Lui la ignorò.
“ … posso crearla. Capisci, Dante?
Creare la vita.” Sorrise lui, quello stesso sorriso del funerale passato.
Dante capì.
Dante capì, e non le piacque per niente.
“Cosa te ne fai, comunque? Ti diverti a
giocare al piccolo dio sceso in terra?” tastò il terreno, con voce tranquilla.
La voce delle chiacchierate da tè, appropriata perché la tazza era ancora lì,
fumante. Anche se ignorata. “Non importa. Vivremo comunque per sempre, noi.
Perché ti interessa creare la vita? Stiamo bene così.”
“Non capisco per quale motivo tu sia
così contrariata, cara.” Obiettò lui, sollevando lo sguardo. “Sei sempre stata
una donna ambiziosa. E’ questo che amo, di te.”
“Una donna non sente il minimo bisogno di creare la vita in questo modo.
L’ho già creata, io. Perché potevo.” Volse lo sguardo verso la porta, quasi ad
evitare quello di lui. La voce era vagamente amareggiata, ma tutto qui. “Ed ora
che non c’è più, non mi va affatto di creare qualcosa per perderla di nuovo. Ci
sarà un motivo se non è mai stata creata, prima d’ora, con l’alchimia.”
“Perché erano sciocchi.” Sbottò suo
marito, tranquillamente. “Perché avevano paura di quel dio che non esiste più,
Dante. Il dio della croce non esiste più, ma a quel tempo loro avevano paura.”
La donna non rispose, crucciando solo le
sopracciglia. “Non passerai più tempo con me, vero?”
“Ma no, cara.” Replicò lui, scuotendo
mestamente il capo. “Non capisci? Possiamo vivere per sempre.”
“Viviamo già per sempre.” fu la caustica
risposta.
“No, no. Per sempre, noi tre. Posso
riportare indietro nostro figlio, e…”
“A te non interessa nostro figlio.” Lo
accusò lei, con voce tranquilla. “ Quando mai ti sei interessato a lui? Era
troppo poco intelligente. Sono stata io a pulirgli la bava dalla bocca fino a
quando è morto, sai? Non eravamo affatto interessanti, io e Ed. E non mi dire
che cercavi di capire come creare la vita in attesa della sua morte, caro. Non
ci crederei. Vuoi solo il mio consenso
per poter giocare al piccolo dio con lui.”
La parte di moglie e madre affranta era quella che le si addiceva di più, pensò
lui.
Pensò che se l’era cercata, innamorandosi in quella maniera di un’attrice di
teatro.
Era una primadonna, il suo posto era sul
palco, sotto gli occhi affamati della gente.
“… nostro figlio sarebbe con noi.”
mormorò lui, senza guardarla negli occhi, concedendole tuttavia quel piccolo
attimo d’istrionismo.
“Ma non per sempre.” ragionò Dante, con
voce piuttosto piatta.
“Quando morirà, lo porterò di nuovo in
vita.”
La voce di suo marito era una voce
sognante ed ormai troppo lontana. Troppo lontana, persa nel suo mondo.
Dante crucciò le sopracciglia sugli occhi scuri, ma non disse nulla
“E quando morirà ancora, lo porterò in
vita ancora una volta.”
La donna prese
la tazza fra le mani, prendendo un piccolo sorso. Hohemheim non la guardava,
fissando i suoi appunti.
“Ancora, ancora e ancora. Vivremo
insieme, tutti e tre, per sempre.”
Suo marito, dall’animo razionale e matematico, da sempre lo studioso ed
il ricercatore, era impazzito.
Suo marito doveva essere
impazzito – Dante ne era sicura, era sicura che la vita eterna l’avesse
accecato.
Dante era anche convinta che quella di suo marito fosse un’idea assurda,
un’idea che lui avrebbe portato avanti per un po’ di tempo, fino a quando non
si sarebbe reso conto della sua inattuabilità. Sarebbe rinsavito – si
ripeteva lei – e la loro vita sarebbe tornata tranquilla. La morte di
Edward sarebbe servita a qualcosa, sarebbe servita a riportarlo da lei, e
questo avrebbe lenito quel po’ che le rimaneva come senso di colpa.
C’era anche una minima possibilità che Hohemheim, l’Alchimista, non si
fosse sbagliato neppure questa volta.
Tuttavia, neppure questa possibilità le dispiaceva.
Se la soddisfazione alchemica di poter far finta di essere Dio – il dio
personale di loro figlio, che dona e toglie la vita - lo avesse tenuto
ancorato al suo fianco per l’eternità che spettava loro di diritto…
… Non le dispiaceva. Non le dispiaceva affatto.
“Trentacinque litri di acqua. Venti
chilogrammi e mezzo di carbonio. Tre virgola cinque litri di ammoniaca. Due
chilogrammi di calce. Ottocentoventi grammi di fosforo. Trecento grammi di
sale. Cento grammi di nitrati. Ottanta grammi di zolfo…”
“Ah, sembra quasi tu debba fare una
torta, sai?”
“… Settantacinque decigrammi di
fluorina. Cinque grammi di ferro, tre grammi di silicio.”
“Non capisco ancora come possa
funzionare, caro.”
“Sei una donna intelligente, Dante.”
“Intendi che, usando l’alchimia, è
possibile trasformare tutto questo in un corpo umano?”
“Ne sono sicuro.”
“Sarà solo un corpo, così.”
“Dante… chi meglio di noi sa che l’anima
è immortale? Ha bisogno solo di un segnale per tornare a casa.”
Dante si limitò ad inarcare un
sopracciglio.
Alla fine, decise – a malincuore - di sacrificare un dente della collezione da
latte del suo bambino,
conservata quando era ancora una madre innamorata ed amata,
lasciata in un angolo e dimenticata.
Hohemheim, ancora una volta, le aveva sorriso.
Come ai vecchi tempi.
Lei, madre assassina e colpevole, aveva ricambiato quell’espressione d’affetto
sfiorando le labbra di lui con le sue.
Macchiate di rosso, il rosso del rossetto.
C’era stata una luce accecante.
Dopo di che, il buio.
Due occhi liquidi ed iniettati di
sangue lo osservavano dal basso.
Spalancati, apparentemente inorriditi dal grido violento che si era spento
pochi attimi prima.
Probabilmente era solo un’impressione causata dall’assenza di palpebre a
coprirli, tuttavia – in quel momento -
sembrarono all’uomo più completi di quanto non lo fossero i suoi.
Il sangue fluiva, silenzioso, fra
le dita che ostinatamente premevano sull’orbita vuota, quasi a ricacciare
dentro un occhio che ormai non c’era più. Ma l’uomo non ansimava, sebbene
provasse dolore.
L’uomo stava zitto, perché aveva la sensazione che se avesse schiuso le labbra,
avrebbe finito col vomitare.
La cosa – in mancanza di una
definizione migliore, cosa che sicuramente non aveva la forza di pensare in
quel momento – sembrava affannarsi in qualche modo per respirare. Ma i
polmoni non c’erano – dio, dio,
[Non sono io]
i polmoni c’erano ma erano al posto
sbagliato, era tutto al posto sbagliato, e la creatura sibilava e
rantolava ed i denti scoperti cozzavano tra di loro ed i capelli sabbia sporca
di sangue e l’odore di sangue ovunque, ed il suo occhio sanguinava e le pupille
liquide di muovevano, si fissavano su di lui, i denti si aprivano ma
soltanto rantoli, rantoli e sibili, mentre quello che sembrava un
braccio si sollevava piano, scoordinato – non era nella posizione giusta,
era storto, e la pelle, la pelle… - si sollevava di qualche centimetro e
ricadeva, e di nuovo quel sibilo di polmoni che non erano polmoni ma solo
una massa che opprimeva il cuore, il cuore scoperto che tentava di battere,
tentava di vivere, e quelle fauci deformate si spalancavano quasi
volessero piangere e gridare, come piange e grida come un bambino nato per la
prima volta…
… Quando Dante sentì il grido disumano provenire dallo studio, lasciò
cadere la tazza che stringeva fra le mani.
Senza pensare a nulla in particolare, per puro istinto, corse verso lo studio
di suo marito. Finì soltanto per sbattergli contro, per le scale che portavano
al piano di sotto.
I suoi occhi scuri, confusi, incontrarono quello dorato di lui.
Ma quell’unico occhio dorato non le disse niente, scostandola con un gesto
brusco da sé e superandola.
Superandola prima che riuscisse a chiedere dov’era finito l’altro occhio.
Prima che riuscisse a chiedere cosa fosse stato quel grido orribile.
Orribile.
Lei rimase lì, ad osservare la schiena di quella figura.
Poi quel rantolio.
Quel rantolio le risuonò nell’anima, in quel corpo vuoto che lei aveva preso in
prestito.
Quel rantolio che richiedeva attenzione, perché non voleva stare da solo.
Un solo rantolio, debole, fioco, spettrale e patetico.
Fu come se il cuore si fermasse, d’un tratto.
Dimenticando suo marito, ragione offuscata dalla paura e dalle troppe
aspettative nel cuore
-
tu lo farai
restare sempre con me, tu sarai il nostro legame, tu sarai… -
-
corse fino allo studio, spalancando la
porta socchiusa.
Non ebbe la stessa forza di suo marito.
Vomitò prima ancora di riuscire a capire cosa stesse guardando.
Inconsapevole che, dopo quello scontro
sulle scale, suo marito sarebbe semplicemente scomparso.
Per molto, molto tempo.
A/N : forse dovrei
alzare il rating. Sta prendendo la via dell’horror.
Scusate per la descrizione vivida dell’homunculus. Paracelsus e Zorimos sono,
secondo le mie (poche) ricerche alchimista che hanno parlato degli homunculus.
Sono veramente esistiti? Boh.
Nell’anime viene chiaramente detto
che il Cristianesimo è esistito, ma non non esiste più. Nelle lettere d’amore
di Hohemheim a Dante, la data è scritta secondo il calendario cristiano, ovvero
ponendo come anno zero la nascita di Cristo.
Envy è sicuramente una
trasmutazione finita male, mi chiedo perché hohemheim non abbia usato la
pietra. La risposta che mi do è che non riteneva fosse necessario.
Dante umana? Nei ricordi vediamo
una Dante che ama alla follia Hohemheim, usando la pietra per mettere la sua
anima in un altro corpo. Penso che Dante sia peggiorata di gran lunga dopo. Ma
anche prima non era tanto messa bene. Che sia stata un’attrice – altra cosa che
ho aggiunto io. Come mi diverto a giocare con ste cose.
Ringraziamenti:
chibymiky: grazie mille! *_*
Contenta ti sia piaciuta!
Maochan_91: Uhm, penso che
Hohemheim sia migliorato dopo essersi innamorato di Trisha. D’altronde, ha pur
sempre creato la pietra filosofale usando una città. Sono contenta di non
essere piombata troppo nell’ooc, comunque. Assi *_*
jacky_dragon: non sai quante volte
controllo prima di pubblicare. Sono paranoica al riguardo. Comunque, sono
contenta che l’uso di Edward come nome sia stato trovato azzeccato. C’è
qualcuno che si confondeva, al riguardo °_°”
Un’altro paio di appunti. Hoheheim usa quantità di
elementi leggermente diverse per creare Envy. D’altronde, sono studi
sperimentali. I denti da latte… mia madre li conserva ancora. *sigh* Un'altra cosa. Stillborn: nato morto. I bambini che nascono già morti, insomma. E' il termine inglese.