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Autore: Taraxacum    09/09/2012    0 recensioni
Quella notte Daphne attorcigliava i suoi lunghi capelli in una treccia confusa e storta, sotto le luminose luci dello specchio.
I suoi occhi lucenti risplendevano come due diamanti e le sue mani tremavano. C’era un motivo perché la sua pelle era fredda e perché il suo cuore batteva forte.
L’indomani, Max aveva un appuntamento con Daphne che, essendo la primissima volta che lei usciva con qualcuno dopo ben quattordici anni, era più che anormale.
Proprio così, da quando era nata, Daphne non aveva amici. Viveva contorta da musica, libri, fogli vuoti e penne biro nuovissime.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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La mattinata passò rapida, perché Daphne era intenta a pensare a quel pomeriggio e a Max, e anche se l’uscita di scuola fu un incubo, riuscì a salvarsi e a salire nuovamente a bordo del suo amatissimo skate che possedeva da ben quattro anni.
Tutto era nato da una cantante, Avril Lavigne, che iniziò la sua carriera anch’essa a bordo di uno skate.
Daphne era molto legata a lei, nella sua scatola c’erano alcuni poster che lei alcune notti stringeva forti a se.
Concentrata, diede un calcio al suolo e andò sempre più rapida, perché la rabbia la stava assalendo e la sua treccia si stava slacciando.
Arrivò a casa, lanciò lo skate all’ingresso e tornò a fissarsi allo specchio, come ogni pomeriggio.
I suoi occhi verdi brillavano, la lacrime iniziavano a scorrere per il suo viso e con una mano accarezzò la sua immagine riflessa nello specchio.
«Daphne, è pronto il pranzo.» strillò dal piano di sotto la madre.
La ragazza però sembrava non voler ascoltare, immobile, pietrificata, piangeva e fissava gli iridi che luccicavano.
I capelli strappati erano fragili, la sua pelle era nuovamente fredda e aveva ricominciato a tremare come la notte precedente.
«Daphne!» gridò una seconda volta la madre.
Ma lei voleva non ascoltare, dimenticare tutto e tutti. Stare sola, isolata. Sentirsi uguale agli altri, non diversa.
Era dell’intenzione di prendere gli auricolari e sentirsi libera, ma proprio in quel momento la madre salì.
«Daphne. Che ti prende?» le sussurrò.
«Mamma, lasciami sola.» disse, mentre asciugava le lacrime.
«È pronto il pranzo, quando vuoi vieni. Io vado al lavoro.» e chiuse la porta alle sue spalle.
In quella casa, regnava il silenzio; e dopo due minuti si udì il portone chiudersi e il motore della macchina accendersi.
Daphne era stanca, totalmente stufa della sua vita. Aveva vissuto già troppe volte queste scena, troppe volte era stata presa in giro, troppe volte aveva pianto ma mai aveva scaraventato i cuscini a terra.
Prese il vaso di fiori e lo lanciò nel pavimento, spargendo scintillanti e pungenti cocci di vetro per la moquette e acqua da tutte le parti.
La sua camera era disordinata ora, ricoperta di verto, acqua, cuscini e piume.
Non aveva mai fatto tutto quel caos in tutta la sua vita, eppure quella volta si sentiva ribelle, diversa.
«Perché devo essere sempre diversa?» disse sottovoce mentre stringeva forte la coperta.
«Perché?» urlò infine, mentre buttò il piumino sul suolo, come un segno di sfogo. Poi uscì dalla stanza e mangiò qualcosa.
Dopo aver pranzato, si lavò il viso per liberarsi dalle troppe lacrime versate ed evitò lo specchio.
Si ricordò dell’appuntamento, e anche se non ne aveva più voglia, s’imbatté di fronte all’armadio in cerca di qualcosa da mettere.
Cosa avrebbe potuto indossare? Di certo non un pantalone largo, ma nemmeno una gonna perché non ne aveva proprio. Perciò prese il paio di jeans, una maglia con una stampa viola, lavò i denti, intrecciò i capelli e nel mentre si liberò dai dubbi e dalle tristezze.
Essendo le quattro, aveva ancora un ora da usare, e la utilizzò per ascoltare la donna che la sentiva da dentro.
Si stese sul letto, a fissare il soffitto, infilò le cuffie ed ascolto “How Does It Feel”.
Non pianse, anche se voleva. Strinse solo i pugni e di seguito ad aver ascoltato almeno dieci volte la stessa canzone, si alzò e mise in ordine. Non voleva che la madre le facesse la ramanzina o facesse finta di starle accanto.
 
Quando si accorse che erano già le cinque e un quarto, ormai era in ritardo.
Attraversare l’intera città, in cinque minuti sarebbe stata un’impresa impossibile, eppure prese la borse e corse sino al parco.
Nel frattempo che i piedi sfioravano la terra violentemente, Daphne pensava a come si sarebbe fatta scusare.
Quando arrivò, era troppo tardi. Alle cinque e mezza il parco era vuoto, nessun’anima popolava quell’oasi verde.
Daphne cominciò a piangere, l’unico amico della sua vita era già tornato a casa. Si sedette su una panchina e appoggiò la testa tra le mani, mentre le lacrime bagnavano i suoi jeans.
«Daphne?» pronunciò una voce maschile alle spalle della ragazza.
Si voltò di scatto e vide il bellissimo viso di Max sorriderle.
«Max!» esclamò entusiasta.
Max si avvicinò a lei, mentre Daphne si alzava dalla panchina.
«Perché piangi?» le domandò perplesso, mentre asciugava una lacrima con un dito.
«Oh…» sussurrò Daphne mentre asciugava il viso con l’indice. «Avevo paura che te ne fossi andato.»
Max rise e poi la strinse forte, dentro le sue calde braccia.
«Daphne, stai tremando?» chiese Max, accorgendosi che la ragazza stava rabbrividendo. Lei non voleva, ma era più forte di lei. Il suo unico amico della sua vita, nonché ragazzo per cui aveva una cotta, l’aveva appena abbracciata.
«Sei il primo amico che mi abbraccia.» sussurrò per tenerlo segreto.
Lui non parlò, l’abbracciò e basta. Sotto una maestosa quercia, un sogno si stava realizzando.
«Ti va se andiamo a bere una cioccolata calda? Fa davvero freddo.» enunciò Max.
«Certo.» sorrise incerta Daphne.
Entrarono in un bar, ordinarono due cioccolate e infine Max disse:
«Mi dispiace per stamani.»
«Non fa nulla, è tutto a posto.» mentì Daphne.
Max tese la mano e sfiorò quella della ragazza. Gli iridi verdi di Daphne brillavano e quelli castani di Max erano dinamici.
Max pagò e poi si recarono nuovamente al parco, confidandosi e scambiando risate e sguardi.
Si sedettero sotto la quercia e quando i due nasi si stavano avvicinando, una goccia sfiorò la fronte di Daphne e le labbra di Max.
Alzarono lo sguardo e videro delle nuvole grigie coprire il sole.
«Sta per piovere, è meglio tornare a casa.» disse mentre prendeva per mano Daphne e partiva a correre. «Dove abiti?» aggiunse Max, riparandosi dalla pioggia con il giubbotto.
«È molto distante, meglio se prendiamo un autobus.» consigliò Daphne.
«Ottima idea.» e si avviarono per la fermata.
Dentro il bus faceva caldo, e Max si sedette vicino a Daphne.
«I tuoi occhi sono bellissimi.» disse Max.
«Grazie.» le guance si arrossirono e le spuntò un sorriso.
Arrivati a destinazione, lei lo ringraziò e rintanò in casa.
Aveva appena trascorso il pomeriggio più bello della sua vita, e anche se la sua treccia non si era disfatta lei ne fece una nuova e scrisse sul diario.
Successivamente ascoltò “Innocence” che le levò le parole di bocca.

 
  
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