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Autore: Darshan    10/09/2012    2 recensioni
Aprii gli occhi, come se mi fossi improvvisamente svegliato da un sogno troppo vivido. Giacevo, steso, su di una superficie dura e scomoda. La prima cosa che riuscii a mettere a fuoco fu il cielo; era notte ed io ero certo che fosse successo qualcosa, già, ma cosa?
Una storia che parla d'amicizia, di fiducia e di lealtà.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Axel, Nuovo personaggio, Riku, Roxas, Sora
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
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Questa storia trae ispirazione dalla trama di Kingdom Hearts, ma senza ricalcarla fedelmente; perciò, molte cose differiranno dalla storia originale, inclusi alcuni personaggi.

Se potessimo spingerci insieme oltre i confini del tempo
come certe idee, come le maree
come le promesse.
Se potessimo andare lontano
senza avere paura
come certe idee, come le maree
questa è la promessa che ti faccio.
(Niccolò Fabi)


1. È Solo Un Sogno - Part I

 
 
Aprii gli occhi, come se mi fossi improvvisamente svegliato da un sogno troppo vivido. Giacevo, steso, su di una superficie dura e scomoda.
La prima cosa che riuscii a mettere a fuoco fu il cielo; era notte ed io ero certo che fosse successo qualcosa, già, ma cosa?
Non ebbi il tempo, né il modo, di pormi delle domande, poiché la mia attenzione fu sollecitata dalla presenza di qualcun altro: non ero solo.
 
“Benvenuto.” Era una voce maschile, profonda e calma.
Mi portai una mano alla fronte e, con uno sforzo, sollevai il busto, finché i miei occhi furono in grado di raggiungere la sagoma di un uomo.
“Dove… dove mi trovo?” Chiesi e, nonostante la banalità della mia domanda, la risposta che ottenni fu piuttosto originale: “Questa è la tua nuova realtà”.
Poggiai i gomiti a terra e provai ad alzarmi. Mi sentivo intorpidito e debole.
Mi trovavo in un vicolo, stretto, illuminato (male) dal soffuso chiarore di un lampione, la cui luce giallognola si mischiava con l’odore umido e bagnato del pavimento.
L’uomo era sempre lì e pareva non essersi mai mosso; quella sua fermezza appariva naturale e rilassata.
Sentii una fitta fredda alla testa, quindi premetti con le dita sulla tempia sinistra, massaggiandomela: “Cos’è successo?” Chiesi ancora,  con un tono che tradiva un forte spaesamento.
“È ora di andare.” Rispose lui, ignorando completamente la mia domanda. “È tempo che la tua storia abbia inizio.” Aggiunse, pronunciando parole che sembravano provenire da molto lontano.
 
Era tutto così strano, eppure, allo stesso tempo, così normale. Ero confuso, disorientato, ma proprio non riuscivo ad avere paura: avevo come la sensazione di trovarmi esattamente dove dovevo essere.
Senza attendere una mia reazione, l’uomo mi voltò le spalle e prese a camminare, come se sapesse già che io l’avrei seguito senza esitazione; c’era qualcosa di automatico, di meccanico in lui, come se stesse recitando un copione, una parte che ormai sapeva a memoria.
Quando l’illuminazione fornita dai lampioni divenne più generosa, osservai meglio l’uomo che avevo davanti; dovetti accelerare un po’ il passo per portarmi al suo fianco.
Il suo volto aveva dei lineamenti gentili, il naso affilato gli conferiva un aspetto austero, mentre le labbra erano distese in un’espressione serena; esse erano, poi, circondate da un quadrato di barba appena accennata. Non fui in grado di stimare la sua età: sembrava quasi che quell’aspetto fosse l’unico che avesse mai avuto. Indossava una maglia molto larga e dei pantaloni lunghi, entrambi di lino bianco, che gli conferivano un’aria quasi esotica.
 
Stavamo camminando in una città a me sconosciuta, non avevo punti di riferimento, nulla che mi apparisse familiare. Essendo, poi, notte, non era facile comprendere che tipo di città fosse. Salimmo per una strada in salita, quindi svoltammo in una stradina più piccola.
“Ci siamo quasi.” Disse lui. “Dove stiamo andando?” Chiesi io; lui si limitò a sorridere, mentre giravamo in un piccolo vicolo e m’indicò un’abitazione a più piani.
Ci avvicinammo a essa e ci fermammo davanti a una porta di legno verniciata di verde scuro: “Benvenuto al quartier generale.” Disse, indicando la porta con un cenno della mano.
Quartier generale? Ripetei mentalmente, aggrottando le sopracciglia.
Egli si avvicinò alla porta e, con fare solenne, afferrò il batacchio d’ottone che era appeso a essa; batté due volte e, dopo aver atteso qualche secondo, batté altre tre volte.
Passò qualche istante di silenzio, quindi, da dietro la porta si udirono dei rumori di serratura.
“Prego.” Fece l’uomo, invitandomi a entrare. Io obbedii.
Mi ritrovai davanti ad un altro uomo: sembrava poco più giovane rispetto all’altro individuo; i suoi occhi erano di un colore verde acqua, limpida e trasparente. Anch’egli portava i capelli lunghi un poco oltre le spalle, ma i suoi erano neri e lucidi.
Dopo essersi aggiustato il giacchetto blu che indossava e avermi sorriso gentilmente, “Di qua.” Disse, dopodiché si mosse. Io lo seguii e l’altro uomo, dietro di me, fece lo stesso.
Mi trovavo in quello che sembrava un piccolo ingresso, poco illuminato. Scorsi due porte, una a destra e un’altra a sinistra, entrambe chiuse. Dritto davanti a me, vi era una scala, la cui cima non era visibile a causa del buio. Passammo a sinistra di questa e procedemmo in un’altra stanza, ben più illuminata; a prima vista sembrava un salotto, con dei divani, un tavolino e varie madie. Tutto il pavimento era coperto da una moquette bordeaux.
Notai un ragazzo seduto su di una poltrona rossa: egli mi guardò dritto negli occhi, con un’espressione fiera e orgogliosa. Non fui in grado di sostenere quello sguardo, per tanto spostai gli occhi sulla ragazza che era seduta su di un divano vicino a lui. Lei aveva un’espressione più severa; mi guardò per un istante e, come se in realtà io non fossi stato lì, volse la sua attenzione altrove.
L’uomo dai capelli scuri aprì una porta in fondo alla stanza, sulla destra. Da lì, accedemmo a una sorta di studio. C’erano due piccole librerie e una scrivania colma di fogli e scartoffie. Notai che la temperatura qui era leggermente più bassa, mentre i muri erano tutti in pietra.
L’uomo si diresse verso un armadietto di ferro appoggiato alla parete, dietro la scrivania. Aprì una delle ante e vi ci infilò un braccio; qualche secondo dopo si udì un sonoro ‘clack’ e uno stridio metallico: l’armadio si stava muovendo. 
Esso si spostò di lato, rivelando un passaggio nascosto.
 
Quest’ultimo era immerso nella più totale oscurità; quando mi avvicinai, l’uomo premette un interruttore, illuminando quella che si rivelò essere una scalinata in pietra che scendeva giù per una decina di metri.
L’aria si fece più densa e fredda. “Immagino tu abbia molte domande, ” Esordì l’uomo davanti a me, mentre scendevamo: “Con il tempo avrai le tue risposte.” Continuò, “Ma prima c’è qualcosa che dobbiamo fare… “ Concluse, aprendo una porta in fondo alle scale.
Ci ritrovammo in uno stretto corridoio con il pavimento e le pareti in metallo. Contai almeno quattro porte chiuse, che superammo per poi raggiungere una porta in fondo, oltre la quale si trovava una stanza circolare. Potei osservare un grande tavolo tondo, proprio al centro, con tante sedie intorno.
“Eccoci.” Disse, indicando un’ennesima porta. Superata questa, ci trovammo in una sala molto ampia; somigliava, in effetti, a una palestra.
L’uomo con i capelli biondi salì delle scalette d’acciaio per accedere a una sopraelevata, raggiungendo, da lì, una sorta di cabina, dotata di una larga finestra. Furono accesi dei potenti fari che illuminarono tutta la zona.
L’altro uomo si fermò e m’invitò a guadagnare il centro della sala.
 
“Sei pronto?” Mi chiese.
Io lo guardai con espressione interrogativa. “Pronto?” Ripetei a bassa voce. “Pronto per che… .“ Non feci in tempo a terminare la domanda che davanti a me si palesarono degli esseri misteriosi. Erano completamente neri, con dei piccoli occhi gialli e delle antenne. Non avevo mai visto degli animali del genere in vita mia… da dove erano arrivati?
Comunque sia, non tardarono a manifestare la propria ostilità nei miei confronti.
“Hey! Aspettate un attimo, che cosa…” Farfugliai. Tempo un secondo e mi avevano circondato. “Hey! No!” Esclamai.
Che cosa significava tutto ciò? Dove mi trovavo? E che cos’erano quegli esseri?
Improvvisamente, avvenne qualcosa d’inspiegabile e d’incredibile: una luce, chiara e brillante, si manifestò attorno al mio braccio destro e, senza che me ne potessi accorgere, mi ritrovai a brandire qualcosa nella mano. Guardai meglio e vidi che stavo stringendo uno strano oggetto che aveva le fattezze di una chiave enorme.
Senza preavviso, uno di quegli esseri mi fu addosso, istintivamente sferrai un colpo utilizzando quell’affare e la piccola creatura rimbalzò goffamente a terra. Dopodiché ci fu una grande esplosione di luce, come se dei fulmini si fossero abbattuti tutt’intorno; gli esseri neri erano scomparsi.
 
Scorsi l’uomo a qualche metro di distanza, brandiva un oggetto molto simile al mio, tenendolo puntato contro di me.
“Per me è sufficiente così.”
Era stato l'uomo dai lunghi capelli biondi a parlare; egli era uscito dalla cabina e si stava apprestando a scendere. Al che, quell’altro sorrise e abbassò quell’attrezzo, lasciando che scomparisse.
Tornai a fissare quella chiava gigante che tenevo e bastò solo un pensiero affinché svanisse nel nulla.
Contrassi il volto in un’espressione confusa: “Che cazzo significa tutto ciò?!” Sbottai.
“Laguna, lo lascio a te.” Con queste parole, l’uomo che avevo incontrato nel vicolo si congedò.
Laguna si avvicinò a me, sempre sorridendo.
“Da dove cominciare…” Disse, poggiando l’indice e il medio sulle labbra; inutile dire che pendevo proprio da quelle!
“Una cosa alla volta.” Annuì; quindi allungò il braccio aprendo la mano: con un lampo, la strana chiave riapparve.
“Questo si chiama ‘Keyblade’.” Disse, scandendo bene le parole: “È l’arma che noi utilizziamo per combattere quelle simpatiche bestiole che hai appena visto e che si chiamano ‘Heartless’.” Io lo fissavo, completamente spiazzato da quelle parole.
Egli parlava lentamente, quasi a voler verificare che lo stessi seguendo.
“Noi? Noi chi?” Chiesi, scuotendo leggermente la testa.
“Nexus!” Rispose, allargando un poco le braccia. “Così ci chiamiamo e questo, è il nostro quartier generale.” Terminò con aria soddisfatta.
“Nexus?” Ripetei.
“Proprio così.” Confermò. “E tu,” M’indicò: “Ne sei appena entrato a far parte.”
Corrucciai la fronte: “Perché proprio io?” Chiesi.
“Perché tu puoi utilizzare il Keyblade e questo ti rende uno di noi.” Spiegò, come se fosse una cosa ovvia; poi mi studiò per qualche secondo.
“Lo so, lo so, adesso ti sembra tutto molto confuso, sicuramente hai un sacco di domande che probabilmente non sai nemmeno come formulare, ma al momento preferisco non bombardarti d’informazioni; Keyblade e Heartless, questo è ciò che devi sapere al momento.” Mi disse. “Da domani, comincerai a capire meglio… promesso.” Concluse, facendo sparire il suo Keyblade; dopodiché s’incamminò verso le scale.
 
“Coraggio, Zack!” Mi esortò, chiamandomi per nome, “Torniamo su.”



________

Bene... che dire, what to say... in realtà questo primo capitolo (come anche quello successivo) funge un po' da introduzione. 
Ci sarà del cross-over con personaggi e luoghi di Final Fantasy, per lo più VII e VIII (anche se in realtà Kingdom Hearts è già un cross-over di per sé... diciamo cross-cross-over, và).
Zack è, in realtà, un personaggio inventato, quindi non si tratta di Zack Fair di FFVII... ed è uno dei protagonisti della storia; essendo però un personaggio personalizzabile (per questo non viene mai descritto nell'aspetto, né nell'età), ognuno se lo può immaginare come vuole, quindi anche come Zack Fair...
Ok, non avevo idea di che aspetto avrebbe avuto e mi sono inventato 'sta cazzata del personaggio personalizzabile...  
L'altro personaggio principale sarà Roxas e poi... boh, basta cuscì per ora.  :P
 
  
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