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Autore: KrisJay    10/09/2012    5 recensioni
Bella Swan si è appena trasferita a Los Angeles con la sua figlioletta Allyson. Sta per cominciare una nuova vita lì, cercando di dimenticare il passato che le ha regalato qualche delusione e anche qualche dispiacere. Ci riuscirà, grazie anche all'affetto della sua famiglia, dei nuovi e vecchi amici che la circondano e, naturalmente, grazie ad un nuovo amore che la conquisterà quando meno se lo aspetta...
"«Oh, interessante!» quello, era un modo carino di dire “Non me ne frega niente di ciò che c’è scritto lì sopra, anche se tu me lo stai dicendo ugualmente.”
«Sì, molto interessante… ma non interessante quanto te, Isabella.» il dottor Cullen posò di nuovo la cartella sul tavolo e posò gli occhi su di me, guardandomi intensamente.
Oh, merda.
Ci stava provando con me dopo neanche cinque ore che ci eravamo conosciuti… era la prima volta in assoluto che mi accadeva una cosa simile!
«Eh… Dottor Cullen…»
«Ti prego, Isabella, chiamami Edward.»
«Edward,» dissi, accontentandolo, «non so… che stai facendo?»
«Sto cercando di conoscerti meglio, Isabella. Sai, non mi dispiacerebbe affatto sapere qualcosa in più su di te… in tutti i sensi.» sorrise sghembo, facendomi rabbrividire.
Dio mio, che persona sfacciata!"
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Solo il tempo... - Capitolo3

Solo il tempo…

 
 

Capitolo 3
 

Il soffitto della mia nuova camera era diventato, da un’ora a quella parte, veramente interessante per la sottoscritta; le prime luci dell’alba lo rendevano di uno strano colore indefinito, un incrocio di lilla e blu, invece del solito bianco sporco.
Distolsi lo sguardo di nuovo, e lo puntai – di nuovo - sulla sveglia: segnava le sei e cinquantacinque del mattino… ed io ero sveglia da più di un’ora.
Il nervosismo per il mio primo giorno di lavoro doveva avermi tolto il sonno… e a quanto sembrava, l’aver puntato la sveglia per le sette non serviva neanche, vista l’alzataccia che avevo avuto da sola.
Mi voltai su un fianco, e poggiai la testa sul mio braccio mentre guardavo verso la finestra; uno spiraglio di luce filtrava dalle persiane chiuse, e da quello che potevo capire sembrava che fuori fosse una bella giornata. Quella piccola osservazione non mi aiutò a far passare la punta di nervosismo ed ansia che provavo, anzi la peggiorò, se possibile.
Sobbalzai non appena sentii il ‘bip bip’ della sveglia - ero più nervosa e all’erta di quanto pensassi. La spensi subito, e non persi tempo nel restare ancora per qualche altro minuto a letto; mi alzai in tutta fretta e mi diressi in bagno.
Mezz’ora dopo, ero già lavata e vestita e stavo mettendo insieme qualcosa per la colazione, mia e di Allyson; stavo finendo di cuocere i pancake a forma di cuore – mia figlia li adorava, in quella forma - mentre avevo già portato in tavola il succo di frutta, del latte ed una confezione di cereali. Non appena finii di cuocere la colazione di mia figlia, portai anche quella in tavola insieme alla confezione di sciroppo alla fragola, il suo preferito, e poi andai a svegliarla.
Aprii piano la porta della sua cameretta per evitare di fare troppo rumore – era un controsenso bello e buono, quello, visto che dovevo svegliarla! -, e la osservai per qualche istante da lì: dormiva ancora beatamente, con il suo povero Stitch in bilico sull’orlo del materasso. Sorrisi, avvicinandomi subito a lei ed accovacciandomi accanto al suo viso.
- Ehi, dormigliona! –, dissi ad alta voce, scostandole piano i riccioli dal viso, - Amore, è l’ora della sveglia…
Allie mugolò piano, e dopo qualche secondo aprì gli occhietti azzurri, ancora pieni di sonno; se li strofinò con i pugnetti chiusi mentre sbadigliava.
- Buongiorno principessa! –, le dedicai la famosa battuta del film di Roberto Benigni, che era diventata un po’ il mio ‘motto del buongiono’ tutto per lei.
- Buoggiorno… -, borbottò lei, invece, e chiuse gli occhi mentre allungava le braccia verso di me e mi toccava le spalle.
- Hai sonno, piccola? Non puoi avere ancora sonno, è pronta la colazione! –, la presi tra le mie braccia, e le baciai le guance paffute e rosee mentre sbadigliava di nuovo. – Dai, sciacquiamo il visino e poi andiamo a mangiare… non possiamo fare tardi, sai che giorno è oggi?
- È il mio primo giorno di scuola. –, disse, con voce un po’ più vivace rispetto a prima: stava già perdendo gli ultimi residui di sonno. – E tu vai a fare l’infermeria, oggi, vero?
- L’infermiera, esatto! Non possiamo proprio fare tardi oggi, no no! –, mi alzai, con lei stretta tra le braccia, e mentre continuavo a baciarle il visino uscii dalla sua cameretta.
Una ventina di minuti dopo eravamo entrambe fuori di casa, pronte per affrontare le belle novità che ci riservava quella giornata: io il nuovo lavoro, e mia figlia la scuola. Allie era tutta contenta, e aveva sulle spalle uno zainetto rosa nuovo di zecca di Hello Kitty, un regalo da parte di Alice che già cominciava a viziarla e che lei aveva voluto mettere subito.
Se io ero ancora tesa e nervosa per quello che mi aspettava, Allie era entusiasta e trepidante, e non vedeva l’ora di arrivare a destinazione.
- Mamma, mamma, sbrigati! Facciamo tardi! –, urlava ogni cinque minuti dalla sua postazione, e incitandomi così a guidare più velocemente.
Lei mica lo sapeva, però, che se facevo un uso spropositato dell’acceleratore poi mi beccavo una bella multa da pagare… e nonno Charlie allora sì, che sarebbe stato fiero di me!
Altro che il giorno della mia laurea.
Le paure di mia figlia sul fatto di arrivare tardi scomparirono del tutto non appena fermai l’auto a una decina di metri dalla scuola, alle otto e quindici del mattino; eravamo in largo anticipo, anche se qualcuno sembrava essere arrivato ancora prima di noi.
Lasciai la borsa in macchina – le uniche cose che presi furono le chiavi e il cellulare -, e recuperata Allie che cercava di correre via da me, in direzione dell’edificio, ci avviammo insieme verso il piccolo gruppetto di persone che era riunito già davanti al cancello rosso.
Notai che c’erano pochi bambini, e solo uno sembrava avere l’età di mia figlia; gli altri erano tutti un po’ più grandicelli. Però, visto anche l’orario abbastanza mattiniero, dovevano sicuramente arrivarne altri.
- Va bene, eccoci qui… -, rimisi con i piedi per terra Allie, sicura che ormai non sarebbe scappata più via, e sfilai dalla tasca dei jeans il mio cellulare. – Che ne dici, amore, te la fai fare una bella foto?
Mentre lo dicevo, una piccola parte di me venne sommersa dall’emozione, come se avessi metabolizzato solo in quell’istante cosa stesse accadendo; quello era pur sempre il primo giorno di scuola della mia bambina, un evento che andava immortalato come si deve. Le mani cominciarono a tremarmi, e per cercare di fermare quel movimento strinsi con più forza il telefono.
- Sì, sì! Mami, fammi una foto! –, esclamò lei, contenta.
Gli piaceva un sacco farsi scattare le foto…
Mi inginocchiai alla sua altezza, e con un sorriso emozionato sul volto scattai la prima fotografia; ne scattai altre, dove la mia piccola birbantella si era divertita a fare le smorfie più buffe e disparate… ma quella che mi colpì senza dubbio di più fu quella dove sorrideva tranquillamente, e dove si notavano benissimo i suoi bellissimi occhi celesti.
Ero sicura che sarebbe diventata il mio nuovo sfondo del cellulare, e mi premurai anche di mandarla a mia madre per e-mail – lei voleva essere sempre informata su quello che accadeva alla sua unica, unica per ora, nipotina.
- Vieni qua, adesso! Devo dirti un paio di cosette… -, la presi per le manine e la feci avvicinare a me, e lei prese subito posto fra le mie gambe, guardandomi curiosa.
- Cosa, mamma, cosa? –, batté più volte le mani sulle mie cosce, senza però farmi male.
- Mi devi promettere che farai la brava bambina… -, cominciai, e le passai le dita tra i riccioli come per cercare di pettinarli, - e che ti comporterai bene con tutti gli altri bambini. Non devi dire neanche le brutte parole, ok?
- Perché non posso dire le brutte parole?
Mi venne quasi da ridere. – Perché sono brutte, amore! E i bambini non le devono sapere, certe cose.
Cercai di riordinare un po’ le idee per vedere se c’era qualcos’altro che potevo dirle – la sera prima la lista era diventata qualcosa di esageratamente chilometrico -, e nel mentre sentii qualcuno che singhiozzava alle mie spalle.
Mi girai, e vidi che a produrre quel rumore era stata una bimbetta dalle lunghe treccine corvine; se ne stava aggrappata al ginocchio della sua mamma, in lacrime, e sembrava non volerlo lasciar andare per nessuna ragione al mondo.
Mi fece tenerezza, e da una parte – una piccola parte – ringraziai il fatto che Allyson avesse accettato con gioia di andare all’asilo.
- Dai, Jenny, non fare così! –, esclamò esasperata la madre, una moretta con gli occhiali, che sembrava non sapere più che pesci prendere.
- Perché piange quella bambina? –, chiese Allie, che come me stava osservando la scena.
- Mi sa che non vuole andare a scuola… -, dissi, e non feci in tempo ad aggiungere altro che Allie era già partita in quarta, e correndo raggiunse madre e figlia.
- Allie! –, esclamai, rimettendomi in piedi per raggiungerla.
Mia figlia, nel frattempo, stava già facendo ‘amicizia’ con la bambina; la guardava attentamente, con le manine intrecciate dietro la schiena, e si dondolava con i piedini… era davvero molto tenera, dovevo ammetterlo! Alla fine, le sorrise e le fece ‘ciao’ con la manina.
- Ciao! Io mi chiamo Allyson… perché piangi? –, chiese subito.
- Allie, insomma! –, dissi, anche se ero più divertita che arrabbiata, e anche l’altra giovane madre che avevo di fronte sembrava della mia stessa idea. – Mi scusi…
- Oh, non si preoccupi! È davvero una bambina dolce. –, mi disse quest’ultima, sorridendomi.
- Non voio addare a ccuola… -, sentii mugugnare l’altra bambina, Jenny, mentre si strofinava gli occhi con una manina.
- Perché no? Io ci vado! –, Allie le prese la mano, e non sapevo davvero come faceva, alcune volte, ad essere così spigliata; c’erano dei giorni in cui era già tanto se non si nascondeva a forza dietro le mie gambe. – Vieni con me? La mia mamma ha detto che la scuola è bella e divertente!
Osservai mia figlia, senza parole; ricordava più o meno quello che le avevo detto qualche giorno prima, quando la stavo convincendo sulla scuola e sui suoi tanti aspetti. Era un po’ strano vedere che stava usando lo stesso discorso per convincere quella bimba.
- Se io veggo, tu retti con me? –, domandò Jenny, che nel frattempo aveva smesso di piangere.
Allie annuì, e due secondi dopo le due bambine si trovavano a due metri di distanza da me e dalla madre di Jenny, che era rimasta completamente sbalordita da quello che mia figlia aveva appena fatto.
- Ha fatto una magia! –, esclamò, portandosi una mano tra i capelli. – Come ha fatto? In due minuti ha fatto quello che non sono riuscita a fare io in due ore!
Scossi la testa. – Non ne ho la più pallida idea…
- Ah! Che stupida che sono stata, non mi sono neanche presentata… -, mi porse una mano, cercando di riparare alla cosa, anche se non ce n’era affatto bisogno. – Sono Angela, e lei è Jennifer… Jenny.
- Bella, e lei è Allyson… Allie. –, ricambiai la sua stretta, usando più o meno il suo stesso modo di presentarmi.
- Hai una bimba davvero dolce, Bella! Mi sa che ha stretto amicizia con la mia… -, mi fece notare, indicandomi con un dito le nostre figlie.
Seguii il suo sguardo, e le vidi che stavano girando in tondo con le mani strette tra di loro, e che ridevano come se non ci fosse stata cosa più divertente di quella.
Sorrisi, deliziata da quella visione. – Mi sa proprio di sì…
 

-
 

Salutata Allie, non appena fu entrata a scuola insieme alla sua nuova amichetta, e salutata anche Angela, tornai di gran fretta alla macchina e non appena misi in moto partii, diretta all’ospedale.
Il navigatore mi diceva che avrei impiegato una quindicina di minuti per arrivare a destinazione, però dentro di me pregavo che non ci fosse il traffico di mezzo a rallentarmi… oltre alla mia innata tendenza a perdermi nonostante le indicazioni.
Fortunatamente, non trovai traffico e non mi persi, e ben presto fermai la macchina nel grande parcheggio al di fuori del Good Samaritan; guardai l’edificio bianco con un senso di panico e di soggezione, con il mento poggiato sul volante e con il cuore che batteva a mille.
Stavo per compiere un passo davvero importante per la mia vita: stavo per entrare nella struttura che, da quel giorno in avanti, sarebbe stato il mio posto di lavoro. Stavo finalmente per cominciare a lavorare come infermiera, dopo quattro anni di studi di infermieristica.
In realtà sarebbero dovuti essere tre, gli anni di università, ma per un motivo di vitale importanza di nome ‘Allyson’, avevo dovuto abbandonare gli studi per un anno prima di riprenderli… ma non me ne ero affatto pentita.
Come ripetevo sempre, mia figlia veniva sempre prima di tutto il resto.
Presi un piccolo respiro, per schiarirmi le idee e per cercare di calmarmi, raccattai la borsa dal sedile del passeggero ed uscii dalla macchina, avviandomi poi verso l’entrata dell’ospedale.
Non restai molto colpita da quello che vidi, visto che era comunque un ospedale ed era risaputo che si somigliavano un po’ tutti, a parte le cliniche private per ricconi… però mi piacque lo stesso, e con quel pensiero per la testa puntai dritta verso il banco delle informazioni.
- Buongiorno. –, dissi subito, annunciandomi all’infermiera biondo platino che si trovava dietro di esso. – Sono Isabella Swan, avrei un appuntamento con il dottor Cullen…
La bionda mi osservò con un cipiglio arcigno e sospettoso sul volto, e senza dirmi nulla – che maleducata! - cominciò a cercare qualcosa sul pc, mentre masticava un chewing-gum rosa shocking a bocca aperta. Restai appoggiata con i gomiti al bancone, mentre aspettavo che quella specie di ‘essere’ si degnasse di una risposta. Mi sembrava anche un pochino rifatta, per via delle labbra abbastanza gonfie…

Smettila Bella, lei è una tua collega, se non te ne sei dimenticata!
Storsi il naso, leggermente schifata a quell’idea, nello stesso momento in cui quella sottospecie di Barbie siliconata mi diede le informazioni che mi servivano.
- Sesto piano, poi lì qualcuno ti indicherà la direzione giusta. –, disse con voce nasale e civettuola.
- Grazie mille. –, le diedi un’altra breve occhiata e poi me ne andai, diretta verso gli ascensori… però prima dovevo trovarli, gli ascensori!
Non appena arrivai al sesto piano cominciai a pregare tra me e me di trovare almeno una persona gentile che mi sapesse dare una mano, e non un’altra come la tipa/Barbie. Per fortuna un gentile medico di carnagione scura, che si presentò come ‘il dottor Black’, mi indicò il corridoio giusto in cui si trovava l’ufficio del mio nuovo capo, e dopo neanche due minuti stavo già bussando alla sua porta.
- Avanti. – una voce tranquilla e ferma mi diede il permesso di entrare, e mi affrettai ad aprire la porta.
Restai un po’ spaesata quando mi ritrovai davanti Carlisle Cullen. Mi ero da sempre immaginata un signore brizzolato con gli occhiali e con la barba, la copia di Babbo Natale però un po’ più giovane di qualche anno… o di diversi anni, insomma.
Il dottor Cullen invece era incredibilmente giovane!
Capelli biondi tirati all’indietro, pelle chiara ma non troppo, e occhi di un bell’azzurro brillante… però, come nella mia immaginazione, aveva gli occhiali. Avrà avuto più o meno una cinquantina d’anni, molti meno di quanto immaginassi. Mi sorrise calorosamente e in maniera gentile, non appena notò il mio smarrimento.
- Buongiorno, cara. Sei… -, abbassò gli occhi su di un foglio per qualche secondo, - Isabella Swan, o mi sto sbagliando?
Mi ripresi da quel mio piccolo momento di black-out e annuii, sorridendo e arrossendo allo stesso tempo. – Sì, sono io…
Il dottor Cullen ricambiò il mio sorriso. – Benissimo. Vieni, accomodati! Non restare sulla porta…
Feci come mi aveva detto e mi affrettai a sedermi su una sedia imbottita, di fronte alla scrivania del dottore. Poggiai la borsa sulla sedia a fianco, poi portai lo sguardo sul dottor Cullen, che stava scribacchiando qualcosa su una cartellina, e sull’ufficio di quest’ultimo.
Mi sentivo ancora un po’ nervosa, però sapevo che era solo il momento a farmi provare quello stato d’animo: il dottor Cullen a prima vista sembrava una persona a modo e abbastanza alla mano, gentile, quindi non dovevo preoccuparmi molto…
- Allora, Isabella! –, esclamò il dottore, battendo le mani tra di loro e ridacchiando. – Sono davvero molto contento di conoscerti, e di averti come collega di lavoro… spero che ti troverai bene qui.
- Lo spero anche io… -, mormorai, e per scacciare la tensione che ancora sentivo, cominciai ad arricciare una ciocca di capelli intorno alle mie dita.
- Ho letto il fascicolo che mi hai mandato per fax. Questa è la tua prima esperienza lavorativa, ho visto, ma non fa niente e non devi affatto preoccuparti: quando posso do una mano ai giovani, specialmente in questo periodo un po’ difficile dove il lavoro scarseggia un po’. –, sorrise di nuovo, e appoggiò la schiena sullo schienale della sua poltrona. – Adesso ti spiego il tuo orario lavorativo, poi ti accompagno nel tour dell’ospedale.
- Va bene. –, dissi, e cercai di concentrarmi per non perdere nulla di importante.
- Il turno in genere varia a seconda del reparto in cui si lavora, ma per adesso ho deciso di lasciartelo uguale per una settimana, dalle otto del mattino fino alle quattro del pomeriggio… poi, non appena avrai preso un po’ più di confidenza con il lavoro, te ne farò avere uno nuovo.
Annuii, mordendomi un labbro mentre riflettevo su un piccolo particolare. Se dovevo cominciare a lavorare alle otto del mattino per tutta la settimana, voleva dire che dovevo uscire prima di casa e che, di conseguenza, non potevo occuparmi di mia figlia per portarla all’asilo. Mi sa che dovevo chiedere una mano ad Alice…
- C’è qualcosa che non va, Isabella? –, mi chiese il dottor Cullen, guardandomi preoccupato.
Scossi la testa in fretta. – No no, tutto a posto, non si preoccupi! Davvero…
Lui mi guardò ancora per un paio di secondi, soppesandomi, e alla fine sorrise. – Benissimo allora. Andiamo a fare il tour?
- Va bene!
Mi alzai in fretta, e non appena ripresi la borsa mi sbrigai a seguire il dottor Cullen, che mi aspettava già fuori dalla porta del suo ufficio, con un sorriso sulle labbra.
 

-
 

Il ‘tour dell’ospedale’, come si divertiva a chiamarlo il dottor Cullen, ci portò via un’ora buona. Da una parte era stato divertente, però, e avevo potuto vedere in maniera più approfondita come era suddiviso l’ospedale.
Avevo potuto conoscere meglio anche il dottor Cullen, o Carlisle, come mi aveva chiesto di chiamarlo quasi subito; era davvero una brava persona e sembrava andare d’accordo con la maggior parte dei suoi colleghi. Avevo anche scoperto che, nonostante la sua carica di direttore, si occupava anche di qualche paziente.
Mi aveva presentato qualche medico che avevamo incontrato di passaggio e qualche infermiera, affidandomi successivamente alla capo infermiera, Brenda, una donnina dai capelli rossi e dal sorriso simpatico che mi aveva preso subito sotto la sua ala protettrice… peccato che, dopo avermi fatto indossare la divisa bianca da infermiera e descritto un po’ in che cosa consisteva il mio lavoro, mi incaricò di seguire in tutto e per tutto il lavoro della tipa bionda di prima, che scoprii chiamarsi Lauren.
Ecco, con Lauren capii sin da subito che tra di noi non ci sarebbe mai stato un buon rapporto di lavoro. Si vedeva sin da subito che era una persona competente e che svolgeva in maniera impeccabile le sue mansioni, ma era anche una persona molto civetta e superficiale. L’avevo vista più di una volta parlare al cellulare mentre controllava o cambiava la flebo ad un paziente…
Ed io che credevo di sbagliare presentandomi a lavoro con le unghie dipinte di giallo! E, continuando a parlare di unghie… Lauren le aveva ricostruite, lunghe come artigli e per di più dipinte di un rosso baldracca. Mi sembrava tanto una cosa poco igienica quella…
Comunque, non cercai di farglielo notare e non provai neanche a chiedergli qualcosa; me se stavo tranquilla per conto mio ed osservavo tutto quello che c’era da osservare, in modo da imparare meglio quello che sarebbe stato il mio lavoro per il resto della carriera.
Ero impegnata a prelevare del campioni di sangue a una vecchietta dall’aria arzilla, come Lauren mi aveva chiesto di fare, quando sentii il ‘bip bip’ del cellulare; non era il mio, visto che conoscevo a memoria la mia suoneria dei messaggi, e alzando lo sguardo da quello che stavo facendo notai che a suonare era stato, tanto per cambiare, il cellulare di Lauren.
Mentre scorreva quello che doveva essere un sms, un sorriso prese forma sulle sue labbra oscenamente rifatte; dopo un paio di secondi, lo riposò nella tasca del suo camice e puntò i suoi occhi nei miei, guardandomi in maniera a dir poco glaciale.
- Mi assento per una decina di minuti. Pensaci tu a portarli in laboratorio, non appena hai finito. –, mi disse, e senza dirmi nient’altro se ne andò via, fuori dalla stanza in cui ci trovavamo.
- E dov’è il laboratorio? –, dissi ad alta voce, completamente dimentica di quando il dottor Cullen me lo aveva mostrato durante il nostro ‘ Hospital tour’.
Per fortuna me ne ricordai in tempo, e consegnai i campioni da analizzare della signora Roberts a chi era di competenza. Impiegai più di una decina di minuti a fare tutto quello, e in quell’arco di tempo non vidi Lauren da nessuna parte, sembrava fosse completamente svanita nel nulla.
Stavo percorrendo l’ennesimo corridoio per tornare al pronto soccorso quando sentii qualcosa che non avrei dovuto sentire per nessuna ragione al mondo: un gemito. Un gemito femminile e anche abbastanza forte, che poteva significare una cosa sola…
Qualcuno stava facendo sesso a pochissimi metri di distanza da dove mi trovavo io.
Mi sentii improvvisamente a disagio, tanto che le mie guance arrossirono quasi subito. Camminai ancora per un po’, desiderando andare via da quel corridoio il più in fretta possibile, quando ne sentii un altro, più forte del precedente, e sembrava provenire da una porta alla mia sinistra, con la parola ‘sgabuzzino’ scritta a lettere cubitali in nero sulla superficie.
Era proprio vero allora, i medici dentro gli sgabuzzini si divertivano davvero parecchio!
Altro che ‘Grey’s Anatomy’!
La porta era socchiusa, naturalmente, e per evitare che altre persone oltre a me sentissero cosa stesse succedendo all’interno di quella stanza la chiusi, cercando di non fare rumore… anche se dubitavo che chiunque fosse in quello sgabuzzino si accorgesse di quello che avevo appena fatto.
Stavo per andare via e per lasciarmi alle spalle quella scena – alla quale non avevo nessuna intenzione di assistere! -, quando vidi un’altra infermiera venire verso di me; mi sorrise, e si fermò al mio fianco, allungando una mano verso la porta che avevo appena chiuso.
- Non lo fare! –, esclamai in fretta, avvertendola.
L’infermiera, una ragazza dai capelli scuri e dagli occhi altrettanto scuri, fermò la sua mano e mi squadrò con un sopracciglio inarcato dalla confusione. – Perché non dovrei farlo, scusa? –, domandò, e potei sentire nella sua voce un forte accento spagnolo.
- Perché… -, deglutii, sentendomi decisamente a disagio. – Perché lì dentro stanno facendo… quel genere di cose… -, mi fermai, non sapendo come continuare.
Vidi la ragazza alzare gli occhi al cielo, come se fosse seccata dalla cosa, e poi guardare l’orologio che aveva al polso. – Bene, quindi si sono riuniti qui per la loro scopata del mattino! –, esclamò. – Ma io non ho intenzione di fare l’intero giro dell’ospedale per prendere quello che mi serve, quindi…
Ad occhi sgranati, la guardai aprire con uno scatto la porta ed entrare nello sgabuzzino, con una mano a coprire un poco la sua visuale. – Continuate pure, non guardo mica!
Beh, lei non guardava… ma io sì.
Avevo davanti agli occhi una completa visuale di quello che stava accadendo lì dentro fino a pochi secondi prima: un uomo alto e dai capelli ramati mi dava le spalle, e aveva un paio di gambe a cingergli la vita come una cintura… inutile dire che aveva anche i calzoni calati fino alle caviglie, e che solo il camice bianco che gli arrivava alle ginocchia lo salvava dal mostrare le chiappe a tutti.
Scostai subito lo sguardo, improvvisamente pudica.
- Carmen, brutta stronza! –, riconobbi la voce di Lauren, che urlava a pieni polmoni all’interno dello stanzino. – Potevi andare da un'altra parte!
- Pff, no grazie, faccio prima qui. –, disse quella che capii essere Carmen. Uscì dopo un po’, carica di flebo e di kit per le analisi. – Continuate pure… ah, salve dottor Cullen! Non l’avevo mica vista, sa?
- Ciao, Carmen. –, una voce divertita e seccata allo stesso tempo ricambiò il saluto dell’infermiera.
Carmen chiuse la porta, ridendo tra sé e sé, prima di tornare a rivolgermi la parola. – Non farci troppo caso… ah, io sono Carmen.
Strinsi la mano che mi porgeva, ricambiando. – Io sono Bella, piacere di conoscerti.
- Piacere mio… sei nuova per caso? Non ti ho mai visto prima!
- Ho cominciato stamattina…
- Davvero? Ecco perché eri rimasta così scocciata da questo! –, e dicendo così, indicò la porta chiusa dello sgabuzzino.
Annuii, ridacchiando. – Non è una cosa da tutti i giorni…
- Qui da noi sì, e se siamo fortunate accade due volte al giorno! –, esclamò, alzando di nuovo gli occhi al cielo. – Comunque, devo portare subito queste cose al dottor Black o va a finire che non conclude niente! Vieni con me, così dopo ti offro un caffè…
Annuii, sorridendole. – Certo, volentieri.
 

-
 

- Hai una figlia? Sul serio? –, Carmen sembrò davvero sorpresa quando le rivelai quel ‘piccolo’ particolare della mia vita.
Annuii, prendendo un altro sorso del mio cappuccino. – Sì, ho una figlia. Ha tre anni.
Ci trovavamo nella piccola caffetteria dell’ospedale, sedute a uno dei vari tavolini che la riempivano; oltre a noi due e a qualche altro medico di passaggio, c’erano anche alcuni pazienti e altre persone, presumibilmente parenti, che erano venute a trovarli.
Carmen aveva cominciato a parlarmi di sé, e avevo così scoperto che la sua famiglia era di origini spagnole, come avevo capito per via del suo accento, ma che viveva a Los Angeles da tutta la vita; aveva cominciato, poi, a pormi delle domande per conoscermi meglio, e quando aveva saputo che mi ero trasferita da pochi giorni insieme a mia figlia era rimasta davvero senza parole.
- Dio, non immaginavo… ma sei giovanissima! –, esclamò, sgranando gli occhi, e alzando le mani per indicarmi. – Non avrai più di ventiquattro anni!
- Ventitré, a dire la verità… -, ammisi, sorridendo imbarazzata. – Ho avuto la bambina quando ero ancora al primo anno di università.
- Davvero? E hai continuato a studiare nonostante questo? –. Annuii di nuovo. – Sai in quante avrebbero fatto la stessa cosa al tuo posto? Pochissime! Ti ammiro moltissimo, Bella.
- Beh… ci tenevo a terminare gli studi, per me era importante. –. Scrollai le spalle, mentre le parlavo. – E volevo anche praticare la professione per cui stavo studiando, voglio dire… non mi andava di stare con le mani in mano dopo aver terminato l’università.
- Già, ti do ragione. –. Carmen bevve un po’ del suo caffè prima di tornare a rivolgermi la parola. – E com’è tua figlia? Ti somiglia?
Sorrisi. – Dimmelo tu…
Presi dalla tasca del camice il mio cellulare, e cercai nella galleria una delle tante foto che avevo scattato alla mia piccolina; ingrandii una delle tante che le avevo scattate quella mattina, davanti alla scuola.
– Ecco… -, glielo porsi, e restai ad osservare il suo viso che si apriva in un’espressione di divertimento e di tenerezza allo stesso tempo.
- Oddio, è meravigliosa! –, esclamò, portandosi una mano alla guancia. – Adorabile! Però, scusa se te lo dico, ma non è che ti assomiglia poi così tanto…
Annuii, ridacchiando. – Lo so, assomiglia più a suo padre che a me… però il carattere è quasi identico al mio, anche se è un pochino… vivace.
- Un giorno me la devi far conoscere! –. Carmen mi restituì il telefonino, annuendo. – Come si chiama?
- Allyson…
- Chi è Allyson? –, una voce maschile, che avevo sentito precedentemente ma non ricordai con precisione quando, interruppe la nostra piccola conversazione.
Alzai lo sguardo per capire chi era il ‘disturbatore di turno’, ed incontrai quello di un giovane uomo… e bello.
Aveva i capelli scombinati e ramati – avevo visto anche quel bizzarro colore di capelli -, il viso dai lineamenti mascolini e marcati, e gli occhi di un verde intenso semi nascosti da un paio di occhiali dalla montatura fine e semplice, simili a degli occhiali da lettura. Non aveva un filo di barba.
Chissà come mai, restai un po’ spaesata mentre lo osservavo e lo studiavo; aveva un che di familiare, ma non riuscii a capire per quale motivo avevo quella sensazione… mah. Avrei dovuto pensarci su, o non pensarci per niente.
- Nessuno! –, si affrettò a dire Carmen, rivolta all’uomo. - Dottor Cullen… si è ripreso da prima? –, lo salutò subito dopo, e allora capii chi era l’uomo che si trovava accanto a noi.
Oltre ad avere una certa somiglianza con Carlisle, era la stessa persona che avevo visto dentro lo sgabuzzino, anche se di spalle, chiaramente intento in una ‘piacevole’ attività. Smisi subito di osservarlo quando lo capii, intimorita e imbarazzata.
Però, non avevo nessun motivo per sentirmi in quel modo: non ero stata mica io, quella ad essere beccata mentre si stava scambiando delle effusioni un po’ troppo spinte con qualcuno.
Certe volte non mi capivo proprio.
Il dottor Cullen sorrise, alla piccola battuta che aveva fatto Carmen. – Sempre simpatica, Carmen, a quanto vedo.
Lei sorrise soddisfatta. Si voltò verso di me, poi, ed allungò una mano davanti a sé per indicarmi. – Vi siete già conosciuti, voi due? –, chiese.
Io scossi la testa, mentre sentii il dottor Cullen dire: - No, non ho ancora avuto questo piacere…
- Oh, bene allora! Bella, lui è il dottor Edward Cullen, chirurgo ortopedico… -, disse, rivolta a me, - e invece lei è Isabella Swan, la nuova infermiera! Preferisce essere chiamata Bella, però.
- Benissimo! –. Edward Cullen, la persona di cui Alice e Jasper mi avevano parlato quella sera a casa loro, mi rivolse un enorme sorriso tutto denti e mi porse una mano, che afferrai con un po’ di titubanza. – Piacere di conoscerti, Bella. Sono sicuro che ti troverai bene qui… hai già visto l’ospedale, vero?
Annuii. – Certo, dottor Cullen. Ci ha pensato… vostro padre… –, dissi, azzardandomi a fornirgli quell’informazione.
- Il vecchio ha già fatto tutto, quindi! –, disse, divertito. – Però, Bella, chiamami Edward, per favore.
Annuii di nuovo. – Va bene… Edward.
Mi resi conto che stringevo ancora la sua mano, e mi affrettai a lasciarla andare, riportando la mia sul tavolino accanto al bicchierone del cappuccino.
- Bene, vi lascio al vostro caffè! –, disse Edward, portando entrambe le mani nelle tasche del camice bianco. – Bella, è stato un vero piacere conoscerti… Carmen.
E andò via subito dopo, silenziosamente, così come era arrivato.
- Mmm… -, sentii mugugnare Carmen, al che mi voltai per osservarla in viso; aveva una ruga di sospetto sulla fronte, e si mordeva le labbra. – Mi sa che devi stare attenta, Bella.
Fu il mio turno di aggrottare la fronte, dopo aver sentito la sua frase. – Perché dici questo?
- Mah, ho un piccolo sospetto, tutto qui. –. Scrollò le spalle, e prese tra le mani il suo bicchiere di caffè. – In genere, Edward ti chiede di chiamarlo per nome quando… quando vuole provarci. Sai cosa intendo, vero?
Oh sì, lo sapevo benissimo!
- Ah. –, dissi, arrossendo, e per cercare di mascherare la cosa ripresi a bere il cappuccino; sperai che Carmen non lo notasse.
Edward Cullen neanche mi conosceva e già ci provava con me? Assurdo! Però era un po’ quello che mi aveva detto anche Alice (Se la tira un sacco, solo perché è un bel vedere e piace a molte donne!
), e se lo diceva anche Carmen… allora doveva essere proprio vero.
- Ci prova sempre con le infermiere carine, Bella, e tu lo sei… sei carina, e sei un infermiera! –, disse, sporgendosi sul tavolo verso di me. – Non ce ne sono molte in questo ospedale, e Lauren è la sua preferita. La chiama spesso, ma più che altro perché è sempre disponibile, e non perché è bella… si è rovinata, con tutto quel botox.
- Ci ha provato anche con te? –, chiesi, quando finii di bere e dovetti per forza posare il bicchiere sul tavolo. – Non sei brutta, Carmen…
Lei rise. – Eccome se ci ha provato! Però, vedi… -, mi indicò il suo anulare sinistro, su cui spiccava un anello con diamante che prima non avevo affatto notato, - non ci prova con le donne impegnate!
- Capisco… -. Annuii, abbassando lo sguardo.
- Sul serio, Bella, vedi di stare attenta con lui! –, continuò a mettermi in guardia Carmen. – Non vorrei che tu fossi la nuova ‘vittima’ del dottor Cullen. Mi sei simpatica, dopotutto…
Scossi la testa e rialzai il viso, convinta di quello che stavo per dirle. – Non lo sarò mai. Non è quello che cerco al momento…
Era la pura verità. Uscivo da poco da un matrimonio riparatore, e avevo avuto abbastanza problemi da affrontare nell’ultimo periodo… non mi serviva affatto un’avventura di sesso dentro le mura di quell’ospedale, specie se con Edward Cullen.
 
 
 

-
Ciao ragazze! Spero di non avervi annoiato troppo oggi ^-^’
In questo capitolo ci sono delle ‘new entry’, come avete potuto leggere, ma la più importante alla fine diciamo che è solo una… Edward.
Che ne pensate di lui? ‘Se la tira’ proprio come dice Alice oppure è peggio di come l’ha descritto? A me sta simpatico, a dire la verità XD
Ok, non ho nient’altro da dire. Ci sentiamo al prossimo capitolo, che forse arriverà un pochino in ritardo… sto scrivendo l’altra storia, che ho trascurato per scrivere questa, quindi per adesso quella ha tutta la priorità :D

Un beso a tutte! (oggi saluto spagnolo, LOL!)
P.S: non ho la più pallida idea di come funzionino i turni lavorativi in un ospedale, quindi ho dovuto fare tutto di sana pianta :)
   
 
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