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Autore: KrisJay    31/08/2012    2 recensioni
Bella Swan si è appena trasferita a Los Angeles con la sua figlioletta Allyson. Sta per cominciare una nuova vita lì, cercando di dimenticare il passato che le ha regalato qualche delusione e anche qualche dispiacere. Ci riuscirà, grazie anche all'affetto della sua famiglia, dei nuovi e vecchi amici che la circondano e, naturalmente, grazie ad un nuovo amore che la conquisterà quando meno se lo aspetta...
"«Oh, interessante!» quello, era un modo carino di dire “Non me ne frega niente di ciò che c’è scritto lì sopra, anche se tu me lo stai dicendo ugualmente.”
«Sì, molto interessante… ma non interessante quanto te, Isabella.» il dottor Cullen posò di nuovo la cartella sul tavolo e posò gli occhi su di me, guardandomi intensamente.
Oh, merda.
Ci stava provando con me dopo neanche cinque ore che ci eravamo conosciuti… era la prima volta in assoluto che mi accadeva una cosa simile!
«Eh… Dottor Cullen…»
«Ti prego, Isabella, chiamami Edward.»
«Edward,» dissi, accontentandolo, «non so… che stai facendo?»
«Sto cercando di conoscerti meglio, Isabella. Sai, non mi dispiacerebbe affatto sapere qualcosa in più su di te… in tutti i sensi.» sorrise sghembo, facendomi rabbrividire.
Dio mio, che persona sfacciata!"
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Solo il tempo... - Capitolo2

Solo il tempo…

 


Capitolo 2

 
- Mamma, ma quand’è che arriviamo? – era la quarta volta, o forse la quinta, che mia figlia mi ripeteva quella domanda nell’arco di pochi minuti.
- Presto, amore, arriviamo presto… - le risposi per l’ennesima volta, osservandola velocemente grazie allo specchietto retrovisore; Allie se ne stava seduta tranquilla sul suo seggiolino, e teneva stretto tra le braccia il suo peluche preferito, quello di Stitch. Ero riuscita a convincerla a prendere quello invece del suo nuovo amico, il cartonato di Trilli.
Sarebbe diventato il mio nuovo incubo quell’affare, ne ero sicura.
- Ma dove stiamo andando?
- Stiamo andando a vedere la scuola… - o almeno, ci stavo provando.
La sera prima, quando Allie si era finalmente addormentata ed avevo trovato un po’ di tempo libero, avevo preso il portatile e grazie ad Internet mi ero messa alla ricerca di alcune scuole materne per la bambina; mentre io lavoravo, il giorno, lei sarebbe rimasta lì.
Era la soluzione migliore, anche se mi dispiaceva lasciarla per diverse ore al giorno in un posto dove non conosceva nessuno; speravo, naturalmente, che facesse nuove amicizie e che relazionasse un po’ con altri bambini della sua età. A Forks e a Seattle non aveva avuto molte opportunità per farlo, visto anche quello che stava accadendo…
Comunque, quella mattina ci eravamo alzate entrambe presto e ci eravamo messe in marcia per vedere gli asili; ne avevo trovati alcuni, ed avevo preso nota dei vari indirizzi così da poterli inserire nel navigatore. Non volevo perdermi, ma chissà come mai ci stavo riuscendo alla perfezione: era già la terza volta che sbagliavo strada!
- Io non ci voglio andare a scuola… - si lamentò Allie.
- Non devi mica andarci adesso! – esclamai divertita. – La andiamo solo a vedere, e se ti piace ci andrai quasi tutti i giorni… altrimenti ne vediamo altre.
- Non voglio andarci uguale! Io voglio stare con te. – disse ancora.
Mi morsi piano l’interno della guancia, mentre continuavo a guidare.
Sapevo che per lei sarebbe stato un po’ difficile passare dalla fase ‘passiamo tutto il tempo insieme alla mamma’ a quella ‘passiamo un po’ di tempo anche a scuola’; per tutti i bambini era difficile, era risaputo, ma pian piano si abituavano a quella nuova condizione e per loro diventava sempre più facile staccarsi dai genitori e stare insieme agli altri. Sperai che per Allie non fosse un esperienza tanto traumatica, visto anche il distacco che c’era stato tra lei e suo padre nell’ultimo periodo…
Scossi la testa, cercando di mandare via quel pensiero. Non era proprio il massimo, in quel momento, pensare a James e a tutta la storia che ne era conseguita… no, era meglio tenere ancora per un po’ a bada quell’argomento. Dopotutto, quella sera ne avrei discusso sicuramente con Alice, e già quella prospettiva mi rendeva nervosa e tesa. Era meglio restare sereni e tranquilli, o almeno provarci fino a quel momento.
- Non puoi restare con me, Allie. Devo lavorare… - presi un piccolo respiro prima di continuare a parlare. – Però non starai da sola, lo sai? A scuola ci saranno sicuramente tanti altri bambini con cui giocare. Vedrai che sarà divertente!
Allie non rispose subito, e forse lo fece perché non sapeva come ribattere alle mie parole. Sbirciai di nuovo dallo specchietto retrovisore e la vidi che stava osservando attentamente il suo peluche, con le labbra imbronciate e una piccola ruga di concentrazione tra le sopracciglia.
Stava riflettendo sulle mie parole, a quanto sembrava, e trattenni una risatina tra le labbra. Quel suo visetto tutto concentrato e attento era davvero buffo, e se non fossi stata così impegnata a guidare la macchina l’avrei abbracciata e sommersa di baci.
Allie riemerse dai suoi pensieri dopo un po’, quando io avevo finalmente trovato la strada giusta e stavo osservando per bene la via, alla ricerca della scuola. – Davvero ci sono dei bambini con cui giocare? – mi chiese, ed avvertii una nota di preoccupazione nella sua voce.
- Ma certo! – le risposi subito, convinta e sincera. – Ci sono tanti bambini che non vedono l’ora di giocare insieme a te… guarda, la scuola è questa qui!
Come se fosse stata una cosa premeditata, mentre parlavo passammo davanti all’edificio scolastico, che riconobbi subito grazie alle varie foto che avevo trovato su Internet. Era grande, con i muri dipinti di un gradevole color pesca e con uno spazioso giardino/cortile che lo circondava; se non fosse stato per il cartello di legno con su scritto ‘Scuola per l’infanzia’, nessuno l’avrebbe riconosciuta come tale, nemmeno io.
- Uauuu! È questa la mia scuola? – esclamò mia figlia dal sedile posteriore, e sembrava davvero entusiasta. - È bellissima!
- Sì, è proprio bella. – la assecondai subito, con un sorriso: forse ero sulla buona strada per convincere finalmente Allyson ad andare a scuola. – Perché non andiamo a vedere com’è all’interno?
- Sì, andiamo! Andiamo, mamma!
L’improvviso buonumore che era comparso in Allie mi fece ben sperare, e dopo averla liberata dalle imbracature del seggiolino andammo a vedere ‘la sua scuola scuoletta’, come l’aveva già allegramente chiamata.
Per fortuna quel giorno era aperta, e una giovane e simpatica responsabile dell’istituto ci guidò all’interno dell’edificio per mostrarci le varie aule e stanze. Tutto, dai corridoi riccamente decorati alle aule dei bambini, trasmetteva allegria e simpatia. Mi piacque moltissimo, e la stessa cosa valeva per mia figlia che era rimasta particolarmente contenta di trovare un aula completamente dedicata al disegno.
Ad Allie piaceva molto disegnare e colorare, ed aveva una strana passione per gli acquerelli e per le tempere; se non stavi attenta e non la tenevi costantemente sott’occhio, ti dipingeva tutta la casa… altro che imbianchino!
- Mamma, posso restare qui? Per favore, per favore! – quella sua richiesta di rimanere lì mi sorprese davvero molto.
Avevo capito che gli fosse piaciuta la scuola, ma non immaginavo davvero che avesse voluto già restarci.
- Ma come, prima dici di no e poi vuoi restare qui? – dissi, scherzando. – Oggi non puoi stare qui, amore, ma tra qualche giorno ci torniamo di nuovo, va bene?
L’entusiasmo di Allie scemò un po’, però si vedeva lo stesso che era contenta all’idea di tornare in quel posto: non ci era rimasta troppo male per il mio ‘no’ di prima.
Non appena la bimba cominciò a concentrarsi sul suo pupazzo Stitch, che non aveva voluto lasciare in macchina, rivolsi la mia attenzione su Eleanor, la ragazza che ci aveva accompagnato a fare il ‘tour’ della scuola: era carina e bionda, e sembrava avere suppergiù la mia stessa età.
- Posso iscrivere già la bambina oppure devo ripassare… - dissi, non sapendo come comportarmi. Era una cosa tutta nuova per me, quella, contando che fino a poco tempo fa ero io quella che doveva ripetere ogni anno l’iscrizione all’università.
- No no, può farlo anche subito! – Eleanor si animò subito, ma solo dopo aver distolto la sua attenzione da Allyson che giocava; aveva colpito ancora, la mia streghetta. - Spostiamoci in segreteria, mi segua…
Nella segreteria, scoprii con sorpresa, trovammo altre tre persone, tutte donne – avevo dato praticamente per scontato che Eleanor fosse l’unica persona presente in tutto l’istituto. Mi sedetti ad una delle sedie poste di fronte alla scrivania di Eleanor mentre Annah e Julia, due allegre signore sulla cinquantina, avevano preso ‘sotto sequestro’ mia figlia e le stavano offrendo delle caramelle. Lei non sembrava per niente intimidita da loro… e come poteva esserlo, se poteva tranquillamente rimpinzarsi di dolciumi?
Mentre riempivo il modulo di iscrizione con tutti i dati di Allyson, Eleanor mi spiegava meglio come funzionavano le cose lì alla scuola, e a lei si aggiunse anche Mia, una ragazza che sembrava essere poco più vecchia di me e della sua collega. Una cominciava una frase e una la terminava… sembravano Pinco Panco e Panco Pinco.
- La scuola è aperta per cinque giorni la settimana, dal Lunedì al Venerdì…
- Dalle otto e mezzo del mattino alle quattro e mezzo del pomeriggio…
- I bambini mangiano nella mensa tutti i giorni, c’è qualcosa a cui Allyson è allergica? Così evitiamo spiacevoli inconvenienti…
- Il giovedì facciamo fare anche un po’ di ginnastica ai bambini, vedessi come si divertono!
Mentre procedevo a firmare e controfirmare il modulo di iscrizione, ascoltavo quello che le due ragazze dicevano e sorridevo tra me e me; non era cosa da tutti i giorni ritrovarsi delle segretarie così giovani in una scuola. Quelle che avevo io al liceo erano tutte vecchie racchie… pensai, con un brivido, alla signorina Cope, che era sempre uguale e che aveva da secoli la foto dello stesso e identico gatto, Mister Palletta, in bella mostra sulla scrivania.
- Fatto! – terminai la mia firma con uno svolazzo, interrompendo così Eleanor e Mia che stavano discutendo su quale fosse la maestra più buona e tranquilla di quell’asilo.
- Fatto? Benissimo! – Eleanor prese il modulo che le porgevo tra le mani e mi sorrise. – Per adesso non serve nient’altro…
- Ma che dici, Ele! C’è la tassa scolastica da pagare… se fosse per te non faresti mai pagare nessuno, rincretinita! – la rimproverò Mia.
- Rincretinita a chi?!
- Ragazze! – le ammonì Julia. – Se non lo avete ancora notato, qui c’è una bambina piccola che sente tutto quello che dite… e non penso che la sua mamma voglia che impari brutte parole, o sbaglio? – continuò, rivolgendosi a me e regalandomi anche un occhiata un po’ esasperata.
Mi venne da ridere, e scrollai le spalle. – Beh, rincretinita non è una così brutta parola… Allie ha sentito di peggio.
Tornai con la mente ai vari sabato sera trascorsi a casa dei miei genitori, con mia madre che cercava di distrarre sua nipote e con mio padre che seguiva le partite di football alla tv e imprecava, a poca distanza da loro… eh sì, aveva decisamente sentito di peggio.
- Porca trrroia!
- ALLYSON! – urlai, e al mio rimprovero si aggiunsero anche le esclamazioni sorprese delle altre signore presenti nella stanza.
Perché, perché mia figlia doveva mostrare a tutti che aveva davvero sentito parole più brutte di ‘rincretinita’? Perché doveva riuscire a mettermi in imbarazzo anche in quel momento? E per di più, perché doveva far vedere a tutti i costi che sotto a quel bel faccino innocente si nascondeva anche una piccola peste?
Io ancora non riuscivo a spiegarmelo…
- Non l’ho fatto apposta… - si scusò lei.
- Allyson, piccolina… sai che questa è una brutta parola, e che non si dice? Specialmente le belle bambine come te non la devono dire assolutamente! – Annah era rimasta davvero sorpresa e sconcertata dalla parolaccia che era uscita dalle labbra di mia figlia.
- Il nonno la dice sempre, però.
Sospirai. – Il nonno segue anche i Seattle Seahawks, però.
- Ah! Beh, questo spiega tutto… però, Allyson, questa parola non si dice, va bene?
- Va bene. – ripeté la bambina, mogia mogia, ma si riprese subito. – Posso avere altre caramelle, per favore?
- No tesoro, basta caramelle per oggi… ne hai già mangiate troppe. – le dissi, e le feci segno di raggiungermi. Allie lo fece subito, e quando mi fu davanti alzò le braccia in alto, chiaro segno che voleva essere presa in braccio. La accontentai di buon grado, e mi beccai anche una peluchata in faccia.
- Ma io voglio le caramelle, mamma!
- Più tardi, se farai la brava bambina. – le promisi. Allie annuì, e mi lasciò anche uno scrocchiante bacio sulla guancia. Faceva di tutto per ottenere quello che voleva, alcune volte, e per rendersi più brava ai miei occhi… cosa che non serviva proprio.
Anche se alcune volte mi faceva vedere i sorci verdi, non avrei voluto che cambiasse di una virgola.
- Quindi, cosa devo fare per pagare la tassa scolastica? – chiesi, tornando al discorso che stavo facendo prima con Eleanor e Mia.
La risposta era davvero molto ovvia: per pagare la tassa scolastica dovevo, per l’appunto, pagare. Però qualche informazione in più non faceva poi così male…
- Ah sì, giusto! – Eleanor, che si era seduta sulla sua scrivania, cominciò a frugare sopra di essa alla ricerca di qualcosa; alla fine sembrava averla proprio trovata, e si affrettò a scribacchiare sul foglio che aveva appena preso tra le mani. – Deve fare un bollettino postale… qui c’è tutto quello che serve per poterlo fare. – mi passò il foglio su cui aveva appuntato qualcosa, e lo presi con la mano libera.
- Bene, grazie.
- Beh, è tutto! Quindi… ci vediamo lunedì alle otto e mezzo per il primo giorno di scuola, eh Allyson? – Eleanor sorrise a mia figlia. – Puoi portare anche il tuo amichetto, se vuoi.
- Davvero? Mamma, hai sentito? Viene anche Sticch! – esclamò la bambina, guardandomi in maniera quasi adorante.
“Sempre meglio lui che Trilli”, pensai subito, ma non espressi a parole quella mia considerazione; mi limitai, invece, ad assecondare la piccola. – Ma che bello! Se non dovessi andare a lavorare ci verrei anche io, a scuola.
Salutammo le allegre signore della segreteria prima di andare via, poi Eleanor si premurò di accompagnarci fino al portone della scuola; ci salutò di nuovo, ricordandoci ancora una volta il giorno e l’ora in cui dovevo portare la bambina, dopodiché tornò dentro l’istituto.
Con Allyson ancora tra le braccia, che si era quasi aggrappata alla mia spalla con una manina, percorsi con calma il breve tragitto fino alla macchina; restai in silenzio, pensando che avevamo fatto presto e che non dovevamo restare tutta la mattina a cercare altre scuole materne. Forse potevo fare un piccolo regalino ad Allie, dopo aver pagato quella maledetta tassa scolastica…
- Amore, ti va di fare una cosa oggi? – le chiesi, mentre la rimettevo seduta sul seggiolino e le sistemavo le cinture.
- Cosa? – rispose subito; era sempre interessata a domande del genere, la birbante.
- Ti va di andare un pochino al mare più tardi?
Gli occhi di mia figlia si sgranarono non appena sentì la mia domanda; era dal giorno prima che mi chiedeva di portarcela, e adesso mi sembrava davvero l’occasione giusta per farlo. Per fare un pochino di spesa e per prepararci per la cena a casa di Alice avevamo tutto il pomeriggio, quindi potevamo andarci tranquillamente.
- Che bello, il mare! – urlò, e lanciò il peluche di Stitch da qualche parte nella macchina per potermi abbracciare. Mi baciò anche diverse volte la guancia.
Ridacchiai, contenta per la reazione – super scontata, tra le altre cose – che aveva avuto mia figlia. Farla felice era quasi sempre facile, si accontentava di poco e le cose più semplici e di poco conto le piacevano tantissimo. Era una delle pochissime cose che aveva preso da me, e che si erano tutte concentrate sul suo carattere… e invece di dispiacermene, ne ero davvero contenta. 

-

Eravamo tornate a casa verso le due del pomeriggio, dopo la gita al mare; Allie si era divertita tantissimo e sarebbe voluta rimanere per tutto il giorno in spiaggia, ma glielo avevo vietato categoricamente e, anche se aveva provato ad insistere, non era riuscita a convincermi in nessun modo a cambiare idea.
Il sole, a quell’ora, era diventato troppo forte ed era meglio se entrambe restavamo al coperto nelle ore più calde della giornata; il pomeriggio, poi, Allyson di solito faceva un piccolo sonnellino e volevo che lo facesse anche quel giorno. Già l’avevo svegliata di buon ora, quella mattina, cosa a cui non era proprio abituata, e dato che quella sera saremmo state a cena fuori riposare un pochino le avrebbe fatto bene.
Non sapevo quanto tempo saremmo state fuori, e se Alice non era davvero cambiata in quegli anni avrebbe chiacchierato molto a lungo… senza parlare del fatto che voleva sapere tutto su di me e su mia figlia. Sì, era meglio che dormiva un po’, la mia bimba.
Mentre Allyson riposava, avevo girato per un po’ di tempo dentro l’appartamento ed avevo fatto l’inventario di quello che mi sarebbe piaciuto comprare per renderlo più allegro e un po’ più mio e di mia figlia. La lista era diventata davvero lunga, tanto da preoccuparmi.
Sicuramente all’Ikea avrei trovato la maggior parte della roba che cercavo.
Cominciai, per l’appunto, a cercare sul sito dell’Ikea i vari mobili e le cianfrusaglie che volevo; trovai parecchie cose che mi piacevano e che sarebbero state bene con i pochi ed essenziali mobili che già c’erano nell’appartamento, e smisi di cercare solo quando la bambina si svegliò dal suo pisolino, reclamando la merenda.
Una mezz’oretta dopo, quando Allie si era svegliata per benino ed aveva mangiato la brioche al cioccolato che le avevo comprato prima in uno Starbucks, uscimmo ed andammo a fare un po’ di rifornimento per la dispensa; non potevamo continuare a vivere solo di pizza e di panini, giusto?
Una volta tornate a casa, dopo che avevamo svaligiato una buona parte del supermarket, trovammo Stan che ci stava aspettando davanti alla porta dell’appartamento; ai suoi piedi c’erano due grossi scatoloni dall’aria pesante. Li riconobbi quasi subito, erano quelli che mia madre aveva spedito un paio di giorni prima della nostra partenza, e che contenevano gran parte dei miei libri ed i giocattoli di mia figlia.
Così, una volta rientrate in casa, cominciai a sistemare la spesa ed il contenuto degli scatoloni mentre mia figlia giocava con il suo piccolo tesoro, che non aveva perso tempo a portare tutto in camera sua.
Verso le sei, però, la reclamai e la portai a fare il bagnetto: Alice ci aspettava per cena alle otto, e sapevo che era molto pignola in fatto di puntualità… quindi, era meglio evitare di arrivare tardi, contando che dovevo anche mettermi a guidare e che dovevo concentrarmi per rischiare di non perdermi, navigatore permettendo.
Ero impegnata ad insaponare attentamente i capelli di Allie mentre lei, come se niente fosse, mi passava la spugna insaponata sulle ginocchia. Farle il bagnetto cercando di non bagnarmi a mia volta era un impresa impossibile – Allie scalciava e si sbracciava peggio di una papera -, e avevo cominciato da diverso tempo a fare il bagno insieme a lei. La vasca del nostro appartamento era abbastanza grande da contenere tutte e due, e contando che per le sette e mezza dovevamo essere pronte quella era senza nessun dubbio la soluzione migliore.
- Maaaaa! Brucia! – urlò mia figlia, strofinandosi l’occhio dove, per sbaglio, le era andato un po’ di shampoo.
- Scusa amore! – mi affrettai a sciacquarle subito l’occhio e il visino con dell’acqua pulita, facendo piano. Non appena finii la bambina cominciò subito ad aprire e chiudere velocemente le palpebre, sorridendo e ridendo come una scemina.
- Ancora mamma, ancora!
Lo avevo detto che era una scemina!
Risi insieme a lei. – No, dopo facciamo tardi… chiudi gli occhi adesso, così ti sciacquo i capelli.
Ubbidì subito senza fare nessuna protesta, e restò buona buona per tutti i minuti che mi servirono per toglierle tutto lo shampoo dalla testa. Quando finii, uscii dalla vasca e mi avvolsi in un asciugamano, dopodiché presi l’accappatoio di Allie e la andai a recuperare, avvolgendocela dentro.
- Adesso ci andiamo a asciugare e a vestire, furfantella! – esclamai, strofinandole il piccolo cappuccio di spugna sulla testa. – Ci facciamo belle belle…
Allie mi guardò da sotto il cappuccio, incuriosita. – Perché ci facciamo belle belle?
- Perché andiamo a trovare Cece, dopo. Non te lo ricordi più? – la depositai con attenzione sul letto della sua stanza e cominciai ad asciugarla attentamente.
Lei si tolse il cappuccio dalla testa e mi guardò di nuovo, con gli occhi sgranati dalla sorpresa. – Andiamo da Cece? Che bellooooo! – esclamò, tutta contenta.
- Però dobbiamo sbrigarci, a Cece non piace quando le persone arrivano in ritardo… - le lasciai l’accappatoio addosso mentre mi spostavo verso il piccolo armadio della sua camera; lo aprii, lasciando poi vagare lo sguardo sui vari vestiti che avevo sistemato all’interno. – Che cosa ci mettiamo, vestitino oppure pantaloncini e maglietta?
- Vestitino, vestitino! – mi rispose lei; si divertiva sempre a scegliere da sola i vestiti che voleva indossare, e dovevo dire che rispetto a me aveva più gusto in fatto di moda… ed aveva soltanto tre anni. – Quello assurro e bianco, mamma.
- Va bene… - con un sorriso sulle labbra, afferrai l’abitino che mi aveva descritto e prima di chiudere l’armadio le presi anche un paio di mutandine pulite.
Tornata da lei, la vestii e le misi ai piedi i sandaletti rosa di Minnie, che voleva mettere sempre e comunque. Dopodiché, la portai di nuovo in bagno e mi occupai dei suoi capelli. Mentre mi occupavo di mia figlia, naturalmente, ero ancora avvolta nell’asciugamano ed avevo i capelli umidi che mi ricadevano sulle spalle… ma non mi importava proprio. Allie era sempre la mia priorità, tutto il resto passava direttamente in secondo piano.
Le asciugai i capelli e non appena furono tornati di nuovo ricci e morbidi glieli fissai ai lati della testa con un paio di mollettine azzurre, per restare in tinta con i suoi vestiti; le uniche cose che stonavano erano le scarpe, ma che ci potevo fare? Lei voleva quelle…
- Ma quanto sei bella! – le stampai un bacione sulla guancia. – Mi aspetti di là adesso? Mi sistemo e poi possiamo andare da Cece…
- Va beeeeeeene. – Allie mi lasciò da sola in bagno, tornando molto probabilmente in camera sua a giocare.
Passai una buona decina di minuti a cercare di districare i miei capelli e ad asciugarli, cercando anche di dare un senso al mio mosso un po’ strano e quasi ribelle; riuscii a farli stare come volevo io, anche se si gonfiarono un po’ di più rispetto al solito. Con uno sbuffo, li legai in una coda bassa che avrei sciolto un secondo prima di uscire di casa.
Lasciai il bagno, diretta in camera mia, senza neanche truccarmi: odiavo farlo, era uno di quei vezzi che non riuscivo proprio a sopportare… il mio massimo era un filo di gloss sulle labbra di tanto in tanto.
Un vezzo che mi sarei portata dietro fino alla morte, invece, era quello di avere le unghie delle mani e dei piedi sempre smaltate. Ero una patita degli smalti, ne avevo una pochette piena e di ogni colore più disparato… ma molto probabilmente quella mia piccola mania sarebbe dovuta essere messa da parte in vista del mio nuovo lavoro.
Da quel che ne sapevo io, non si era mai vista in giro un infermiera con le unghie dipinte di giallo canarino…
Mi vestii in fretta e furia una volta arrivata in camera, con i primi vestiti che mi capitarono sottomano per di più, ossia un paio di short di jeans, una canotta marrone e una camicia di lino beige a maniche corte. Non stavo poi così male, ma non mi andava di cercare qualcosa di più ricercato… mica dovevo rimorchiare qualcuno, dopotutto! Andavo soltanto a trovare una vecchia amica ed il suo nuovo ragazzo insieme a mia figlia, non era nulla di ché.
Sistemate anche le scarpe, andai dritta in cucina a recuperare la bottiglia di vino che avevo preso quel pomeriggio al supermarket; non mi andava di presentarmi senza niente da Alice. Stavo per poggiarla sul piccolo tavolo rotondo della cucina quando sentii il cellulare suonare… in camera.
Sbuffai, e feci per uscire dalla cucina per andare a prenderlo quando vidi Allie venire verso di me, con il telefonino tra le manine paffute e il suo Stitch sottobraccio. – Tieni mami.
- Grazie amore… - le diedi un bacino tra i capelli prima di rispondere alla chiamata, senza neanche vedere chi era che telefonava. – Pronto?
- Ciao tesoro! – era mia madre, allegra come sempre. – Ti volevo dire che stasera non faccio in tempo per la videochiamata, come ti avevo promesso… sono bloccata da Jane con la tinta ancora nei capelli.
Jane era la parrucchiera di fiducia di mamma.
- Non fa nulla, mamma, non preoccuparti. Noi stiamo per uscire, ci hanno invitato a cena… ti avrei mandato un messaggio per avvertirti. – tornai all’interno della cucina e poggiai, finalmente, la bottiglia sul tavolo.
- Vi hanno invitato? Ma… ma come? Siete lì solo da due giorni! – mamma era appena entrata in modalità ‘mamma-apprensiva’. – Tesoro, non è un pochino presto per… per queste cose?
Inarcai le sopracciglia. – Mamma, ma che stai dicendo?
- La verità, Bella. Accetti già inviti a cena da sconosciuti, e per giunta ti porti dietro la bambina! Pensavo che fossi un po’ più responsabile, signorina…
- Mamma, frena la lingua! Non mi sembra che Alice sia una sconosciuta, la conosci benissimo anche tu! – ribattei piccata; odiavo quando mi rimproverava, e per giunta quando non avevo fatto nulla di male.
- Alice? Alice chi?
- Alice Brandon, mamma. Ieri ci siamo incontrate per caso e mi ha invitato a cena da lei…
- Oh! – il suo tono di voce adesso era sorpreso. – Ma dici sul serio? Che bella cosa! Viene anche Allie con te, giusto?
- Sì, mamma, viene anche lei… ma che domande fai? – il mio umore era di gran lunga cambiato, e in peggio… mannaggia lei e le sue parole avventate!
Mia madre restò in silenzio per un po’, poi la sentii sospirare. – Bella, tesoro. Mi dispiace per quello che ho detto prima, è solo che… sei in una città completamente nuova e sconosciuta, e mi preoccupo per tutto! Cerca di capirmi, sei mamma anche tu dopotutto…
Annuii, anche se lei non poteva vedermi, ed era facile mettermi nei suoi panni e capire quello che stava passando in quel momento. – Certo che capisco…
- A parte questo, tesoro, salutami tanto Alice. E per qualsiasi cosa, chiama a casa senza paura di disturbare, ok?
- D’accordo.
- Dai un bacio alla piccola, e divertitevi! Ci sentiamo domani?
- A domani…
Poggiai il cellulare sul tavolo, guardandolo in cagnesco. Non ero stata molto buona con lei, nel chiudere la chiamata in quel modo così freddo e distaccato, ma non potevo farci nulla… mi aveva fatta sentire una ragazzina irresponsabile che se ne fregava di tutto e di tutti. Ma potevo davvero comportarmi in quel modo, per di più con una bambina piccola accanto?
Mi sa che la preoccupazione, l’ansia o chissà che altro le aveva fatto partire qualche rotella dal cervello.
Cercando di non pensare alla conversazione che avevo avuto con mia madre, ripresi il cellulare e la bottiglia di vino tra le mani ed uscii dalla cucina; era meglio uscire di casa e raggiungere casa di Alice, visto anche il fatto che non sapevo da che parte dovevo andare.
La fortuna quella sera però fu dalla mia parte: infatti, non mi persi e grazie al navigatore riuscii a raggiungere senza difficoltà la villetta su due piani in cui viveva la mia amica; sembrava una di quelle casette descritte nelle favole. Mia figlia già la credeva un folletto, e questo particolare l’avrebbe resa ancora di più il personaggio di una fiaba.
Alice venne ad aprirci neanche cinque secondi dopo che ebbi suonato il campanello, con un sorriso enorme e con gli occhi che le brillavano per la gioia… oltre all’ombretto brillantinoso che aveva sugli occhi.
- Sei in anticipo! Che fine ha fatto la Bella Swan ritardataria che conoscevo? – domandò, ridacchiando, mentre mi abbracciava e mi dava un bacio sulla guancia.
- Non si è persa per strada… però è un caso isolato. – ridacchiai, e lei mi imitò subito.
- Ceceeeeeeeee! – Allie, incurante del tono squillante di voce che aveva usato, si lanciò sulle gambe di Alice e le abbracciò, facendola sbilanciare.
- Ehi, tesoro! Ma quanto sei bella questa sera! – Alice si chinò mettendosi alla stessa altezza di mia figlia, sorridendole. – Me lo dai un bacino, piccolina?
Allyson la accontentò subito, e la cosa diede ad Alice il pretesto di ridere e di urlare come una ragazzina. Si rimise in piedi, prendendo in braccio mia figlia e dandole un sacco di baci sul visino, facendola così scoppiare a ridere.
- Quanto sei bella, quanto sei bella, quanto sei bella! Ti mangio tutta! Aww! – e detto questo, se ne andò dentro casa lasciandomi come una scema fuori dalla porta.
Restai un po’ sconcertata per il suo comportamento – non ero più abituata a stare così a stretto contatto con una Alice così esuberante -, ma alla fine scrollai la testa ed entrai, chiudendomi la porta alle spalle. Sentii provenire da poco lontano le urla divertite della bambina e quelle squillanti di Alice.
- Tu devi essere Isabella.
Sobbalzai sul posto a causa di quelle parole, e mi voltai in fretta; non mi ero accorta che nell’ingresso ci fosse qualcuno, e per essere più precisi un ragazzo. Era un ragazzo giovane e dall’aria gentile, con i capelli color miele e gli occhi grigi… doveva essere Jasper, il compagno di Alice.
- Bella. E tu, invece, sei Jasper… - mormorai, visto che mi stavo ancora riprendendo dallo spavento di poco prima.
Lui sorrise, mostrandomi una serie di denti perfetti e dannatamente bianchi. – In persona. Ti ho spaventata?
Scossi la testa. – Non poi così tanto…
- Mi scuso, allora. Beh, benvenuta in casa nostra! Alice mi è sembrata davvero occupata, e mi sa che sono io quello che dovrà fare gli onori di casa… - scherzò, indicando con una mano la direzione da cui provenivano le urla e le risate.
- Mi sa che è così, sì. – mi liberai della rigida posizione che avevo assunto, ed in quel momento mi accorsi della bottiglia che tenevo ancora in mano. – Questo è per voi.
Jasper prese la bottiglia che gli stavo porgendo. – Non dovevi disturbarti tanto, ma grazie. – sorrise, leggendo l’etichetta. – Chianti… buono! Stasera faccio ubriacare la mia ragazza.
Scoppiai a ridere, sentendolo dire quella frase.
 

-
 

- Quindi, questo Jones…
- James. – corressi la mia amica; sembrava di star parlando con Allie, che ancora non riusciva a pronunciare bene alcune parole.
Lei mosse velocemente la mano, cose se la cosa non contasse molto. – Allora, lui è il padre di tua figlia, ed è anche tuo marito…
- Ex marito, Alice.
- Ti ho davvero fatto ubriacare, tesoro… non ne hai azzeccata una! – la prese in giro Jasper, dandole un buffetto sulla guancia.
- Stai zitto, Jazz! Voglio capire meglio tutta questa storia. – Alice, dopo aver rimproverato il suo ragazzo, tornò a concentrarsi su di me, che le sedevo di fronte.
Dopo la cena, cucinata esclusivamente da Jasper – Alice era una frana in cucina – ci eravamo spostati in salotto, per bere con calma il caffè e per stare un po’ più comodi. Allie era sparita da un po’, sommersa in quello che doveva essere lo studio di Jasper: Alice le aveva prestato i suoi pastelli e le sue matite da disegno, chiedendole di disegnare qualcosa, in modo da poter parlare con me senza che lei sentisse i nostri discorsi. Una mossa astuta, la sua, e la ringraziai silenziosamente; Allie era sveglia, per avere solo tre anni, e forse avrebbe capito facilmente di chi stavamo parlando già da diversi minuti.
- Che altro c’è da capire, Alice? Ho detto tutto quello che dovevi sapere! – esclamai, e posai la tazza vuota che ancora tenevo tra le mani.
- Non ci credo, Bella, e sento che c’è altro che mi stai tenendo nascosto… insomma, ti lascio che eri fidanzata con Mike Newton, e ti ritrovo invece con una bambina di tre anni che hai avuto con un ragazzo di cui non conoscevo neanche l’esistenza! Dimmi qualcosina in più su di lui, dai! – gli occhioni sbrilluccicosi di Alice mi imploravano di andare avanti, ed era praticamente impossibile dirle di no… era la stessa sensazione che provavo sempre con Allie, anche se qualche volta a lei riuscivo a dire di no, ignorando il senso di colpa.
Alla fine, mi arresi. - Eh… l’ho conosciuto a Seattle, durante i primi giorni di università. Lui studiava meccanica, ma ha abbandonato la facoltà quando scoprii di essere incinta e cominciò a lavorare nell’officina dello zio…  
Riuscii a dire solo quello perché Alice mi interruppe subito.
- Ah, ma allora si è preso le sue responsabilità! – disse, sorpresa.
- Se ti ho detto che è il mio ex marito, deve essersi preso le sue responsabilità, no? – le feci notare. – Mi fai continuare a parlare adesso? Altrimenti non ti dico più niente!
- Non preoccuparti Bella, la tengo muta io! – Jasper piazzò la sua manona sulla bocca di Alice in modo che non potesse più dire nulla, ma lei si liberò subito dalla sua presa e se la prese con lui, picchiandolo sulla nuca.
- Piantala Jazz!
- Comunque… ci siamo conosciuti e abbiamo cominciato ad uscire insieme. Non era una cosa seria, e forse non lo sarebbe mai diventata se non fosse arrivata Allyson… però è successo. – scrollai le spalle, abbassando gli occhi sulle mie mani intrecciate. – Abbiamo divorziato da qualche mese…
- E perché avete divorziato?
- Mamma mia, Alice! Basta fare domande! – la rimproverò Jasper.
- Basta tu, cretino! Se non mi vuoi sentire la porta è là! – urlò, indicandola con un dito.
- Vado a vedere la piccola, invece… - Jasper se ne andò con un sorriso, per nulla offeso dalle parole che la sua ragazza gli aveva appena rivolto… che poi, il loro era solo uno scherzo! Erano davvero tanto carini insieme…
- Bene, ce lo siamo tolto dalle scatole! – Alice si sfregò le mani, ridacchiando. – Allora, me lo dici perché avete divorziato?
Scossi la testa, senza dire nulla.
Il suo sorriso si afflosciò subito, e assunse un aria delusa. – Non te la senti?
Sospirai. – È… è una cosa ancora troppo fresca per me, Alice, ho bisogno di ancora un po’ di tempo per metabolizzarla. Però te ne parlerò, promesso.
Non era una scusa, era quello che pensavo veramente; quello che era successo tra me e James, e che aveva portato al nostro divorzio, non era una cosa che ero già riuscita a superare.
- Ho capito… - Alice si alzò dal divano e venne a sedersi sul tavolino basso che si trovava di fronte a me; mi prese le mani tra le sue ed un nuovo sorriso prese vita sulle sue labbra… chissà cosa mi voleva chiedere. – E adesso mi racconti di quando è nata tua figlia? Sono curiosa!
Sorrisi, un po’ emozionata per via di quel ricordo… non era una cosa che si dimenticava facilmente, anzi non si dimenticava affatto. E poi, era una cosa che si poteva raccontare tranquillamente.
- Quel giorno, il 24 Maggio, ero andata in università, dovevo dare l’esame di anatomia e fui una delle ultime persone ad arrivare in aula. Non si poteva neanche dire che non davo nell’occhio: avevo un pancione enorme, sembrava un mappamondo!
Con quella frase feci ridere Alice. – Un giorno mi farai vedere quanto eri grossa.
- Se vieni a casa potrai vedere con i tuoi occhi! – ridacchiai. – Comunque, tornando a quel giorno… l’esame non era cominciato neanche da dieci minuti che cominciai ad avere le prime contrazioni, e non potevo abbandonarlo così su due piedi! Era il più importante ed il più difficile del primo anno, avevo passato anche un sacco di tempo a prepararlo… così l’ho continuato.
- Hai continuato l’esame mentre stavi per entrare in travaglio? Sei pazza! – mi rimproverò bonariamente.
- E che potevo fare, scusa? Sapevo che il primo parto poteva andare per le lunghe, e così ho continuato l’esame nonostante i dolori. Sono stata tra i primi a consegnare visto che cominciavo a sentirmi davvero troppo male, e mentre firmavo…
- Ti si sono rotte le acque. – Alice finì la frase per me.
Annuii. – Esatto. Allie è nata tre ore dopo, e già da quel giorno dovevo capire che sarebbe stata un bel peperino…
- Da quel che ho visto mi sembra che è proprio così! E l’esame è andato bene?
- È stato il 20 più doloroso e faticoso di tutta la mia carriera universitaria… - scoppiai a ridere insieme ad Alice.
In quel momento Jasper fece il suo ritorno in salotto, con un sorriso sulle labbra. – Perché ridete? Rendete partecipe anche me!
- No Jazz, sei arrivato troppo tardi! – lo prese in giro Alice, mandandogli un bacio con la mano.
Sorrisi, vedendo quella scenetta. – Jasper, che combina mia figlia?
- Dorme. L’ho spostata sul divanetto dello studio, così sta un po’ più comoda… non penso che sia comodo dormire sulla scrivania.
- Oh, è crollata! – diedi una rapida occhiata all’orologio, e scoprii che erano appena le dieci di sera. Di solito restava sveglia oltre quell’ora, e per farla addormentare ci mettevo sempre delle ore. - Deve essersi stancata molto… credo che sia meglio riportarla a casa.
- Eh no, Bella, devo farti ancora delle domande!
- Ma non ti è bastato l’interrogatorio che le hai fatto fino ad ora?
- No, e piantala di contraddirmi sempre! Rompi sempre le palle, Jasper.
- Dai Alice, sbrigati, così posso portare a letto la bambina… - quei due mi facevano un sacco ridere, però non volevo fare ancora più tardi con la bambina che dormiva già.
- Ah sì, giusto. In quale ospedale andrai a lavorare? Ti hanno già preso da qualche parte?
- Sono stata accettata al Good Samaritan Hospital. Lunedì ho un piccolo colloquio con il capo, prima dell’inizio del mio turno. Mi sembra che sia il dottor… - mi fermai, cercando di ricordare il nome del mio nuovo capo, ma non mi tornava in mente… che bella figura che stavo facendo!
- Il dottor Carlisle Cullen, Bella. È questo il suo nome. – Jasper, con un sorriso, venne in mio soccorso.
- Sì, è lui! – esclamai subito, ringraziandolo mentalmente per l’aiuto che mi aveva dato. – Lo conosci?
- Sì, anche se non molto. È una brava persona… Mia sorella è fidanzata con suo figlio maggiore, Emmett.
- Hai una sorella, Jasper? Non lo sapevo…
- Un giorno te la presenterò Bella, è davvero una brava ragazza… e non lo dico solo perché è tua sorella, Jazz! – Alice diede un leggero schiaffo sulla guancia di Jasper prima di baciargliela. – E ti presenteremo anche Emmett… non so se ti conviene conoscere anche suo fratello, però.
Un punto di domanda prese vita nella mia testa, facendomi incuriosire. – Il fratello di chi?
- Di Emmett, Edward. È davvero un ragazzo strano, tutto pieno di sé… e se la tira un sacco, solo perché è un bel vedere e piace a molte donne! No, mi sa che lui non te lo faccio proprio conoscere…
- Lo conoscerà ugualmente, Alice, rassegnati.
- Oh, Dio, è vero!
Cominciai a mordermi le labbra, confusa e nervosa perché non capivo di che cosa stessero parlando… uffa, volevo sapere anche io! – Che cosa state dicendo, non capisco…
Ci pensò Jasper a spiegarmi tutto. – Anche Edward lavora al Good Samaritan. C’è chi dice che ci è entrato per via di Carlisle che è il capo, nonché suo padre, e c’è chi invece assicura che il posto in quell’ospedale se lo è meritato perché ha studiato e lavorato sodo… comunque, lui è uno dei tuoi nuovi colleghi.
- Ah. – non dissi altro… e che potevo dire, dopotutto?
Mica lo conoscevo, questo Edward Cullen…
 
 
 
 

-
Ciao, ciao, ciao, ciao. Ciao! XD non fateci caso, sto vaneggiando u.u
Ho fatto presto, visto? Ho cercato di non farvi aspettare troppo per leggere il nuovo capitolo! Volevo ringraziarvi per come avete accolto questa mia nuova storia, quindi il secondo capitolo ci stava tutto :D
È un po’ lento, però vengono fuori un po’ di nuove informazioni: adesso sapete che il papà di Allyson si chiama James e che è stato sposato con Bella! Il resto della loro ‘storia’ verrà fuori più avanti :)
Reneè è un pochino apprensiva, e non la odiate se ha incolpato ingiustamente Bella di spassarsela a Los Angeles nonostante la bimba piccola… come ha detto, è una mamma e si preoccupa per tutto, anche per la più piccola cosa. A me piace molto, come personaggio ;)
E per finire… Alice e Jasper informano Bella di uno dei suoi nuovi colleghi all’ospedale, Edward Cullen. ‘Se la tira’ davvero come ha detto Alice, oppure è solo una sua impressione? Lo vedrete nel prossimo capitolo, dove farà la sua entrata in scena
Ok, ho detto tutto. Passo a salutarvi, dopodiché vado a rispondere alle vostre recensioni :)

Alla prossima, un bacione grande grande!
   
 
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