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Autore: Ayumi Zombie    11/09/2012    2 recensioni
I Keyblade Master, gli ripeté, mangiando l’ultimo cubetto di spezzatino. Chissà se aveva gradito. Sono dei coraggiosi combattenti, dotati di un’arma leggendaria chiamata Keyblade, che esistono per fare in modo che i Nessuno non uccidano o seminino il panico tra le persone. L’esserino alzò la testa verso Sora, di nuovo, guardandolo negli occhi con le sue iridi di plastica dipinta. Se stipulassi un contratto con me, potresti diventare Keyblade Master, Sora… ed essere il più forte mai esistito.
Ispirato un po' all'anime Puella Magi Madoka Magica.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Altro contesto
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Mi dispiace che la prima parte del primo capitolo abbia attirato così poche persone D: vaaaa beh, io posto la seconda parte comunque. Spero di avere più fortuna. Ringrazio comunque Kalea per avermi recensito e per i complimenti.

Keyblade Master Sora ♛ Predestinato



Lo conoscevo già, ma non lo avevo mai incontrato - parte II
「私は彼を知ってい たしかし彼に会ったことがなかった」- パートII
Watashi wa kare o shitteita, shikashi kare ni atta koto ga nakatta -  paato II


« Ragazzi, avrete sicuramente notato che il libro di quest’anno è diverso da quello che abbiamo usato l’anno scorso. »
Era riuscito a prendere uno dei posti migliori: la fila centrale, vicino alla finestra. Stare troppo indietro non era nel suo stile, e poi quelle erano le file che gli insegnanti sorvegliavano di più. Per la prima fila, poi, era ancora peggio. Non si poteva fare nulla, perché non c’era niente che separasse dall’occhio vigile dei professori. Inoltre,  tutti sapevano che i posti migliori erano ai lati. E nessuna delle cose migliori era estranea a Riku. Dal posto a sedere, in classe, al cellulare più costoso da usare di nascosto quando si aveva voglia di evadere un po’.
« Questo è molto migliore di quello che abbiamo già usato! Vi ricordate, che mi lamentavo del suo essere prolisso e praticamente privo di illustrazioni utili? »
Di fianco a lui sedeva una ragazza che non gli sembrava di avere mai visto. Per questo era stato colpito da lei: conosceva, almeno di vista, tutti quelli che frequentavano il suo anno. Era bionda, e portava i capelli, lunghetti, tutti raccolti da una parte. Aveva il vizio di giocare con la punta della chioma, arricciandola attorno al dito indice. I suoi occhi, di un bell’azzurro, sembravano velati da pensieri troppo grandi per una ragazzina della sua età. A Riku ricordava un po’ Kairi. Forse era per la stessa linea del naso, o per lo stesso fisico esile. Ma questa sembrava un’altra versione, una a cui importava qualcosa di più del ruolo di Odette o del Cigno Nero. Una che non si faceva problemi riguardo al comprare in questo o quel negozio del centro commerciale. Una che sapeva e capiva cose diverse. Su un’altra quota.
« Beh, questo, invece, è pieno di cose nuove! E poi ci sono un sacco di linee del tempo, cartine ed esercizi riepilogativi da fare alla fine di ogni capitolo… e non fate i furbi! Li dovete fare anche se non ve lo dico io! Quest’anno niente scuse o niente cani che sbranano le fotocopie… capito, Tidus? »
Molti degli studenti risero, capendo l’allusione, però Riku stava ascoltando solo con un orecchio. Ma lui non fu il solo a non prendere parte alla risata di gruppo. Naminè – così si chiamava quella ragazza, l’aveva scoperto poco prima, durante l’appello – nemmeno sembrava  fare fisicamente parte di quella classe. Sembrava una specie di ologramma, e che la sua mente, la vera essenza, fosse altrove. Più strofinava e attorcigliava la punta dei capelli lisci, più la sua mente volava via, più la sua anima si consumava, direttamente sotto gli occhi di Riku. Sì, sì confermò, quella ragazza era ad un altro livello rispetto a Kairi.
« Ma prof! Questa è discriminazione! » Un altro scroscio di risate, accompagnato da qualche battuta di qualche compagno. A quanto pareva, Tidus non lasciava che il suo cane sbranasse solo gli esercizi di storia.
Naminè si voltò verso di lui, e quasi Riku sobbalzò. Non se lo aspettava. Lei gli rivolse un sorriso veloce, per poi riabbassare la testa. Ma stavolta non riprese a giocherellare coi capelli. Aprì il blocco bianco per gli appunti che aveva tenuto chiuso per tutto il tempo davanti a sé. Strappò un pezzetto di carta da un angolo di una delle pagine in mezzo. Riku notò che le altre erano piene di disegni, figure umane stilizzate, ma non riuscì a vedere che cosa o chi rappresentassero. Naminè lo appoggiò, per essere più comoda. Aprì un astuccio, che, invece di penne, conteneva solo matite colorate. Ne scelse una azzurra, quasi per caso, ed iniziò a scribacchiare sul foglietto.



Si sarebbe addormentato sull’autobus, se non fosse stato così sobbalzante e pieno di ragazzine ridacchianti. Si sentivano anche nelle pause tra una traccia e l’altra che venivano riprodotte dal lettore musicale che teneva tra le dita. Con l’enorme scarpa – faceva parte di un paio spettacolare, che aveva comprato sacrificando più di metà dei suoi averi monetari – batteva il ritmo sul fondo dell’autobus.
Fermata. Alzò la testa di scatto. La sua? Ah, no, mancavano altri cinque minuti di marcia. La prossima e sarebbe finito a casa a fare merenda. Biscotti. Panini al burro d’arachidi. Patatine. Mmm.
Riabbassò gli occhi di quel suo blu intenso sulle sue scarpe. Spettacolari. Gli si riempiva il cuore solo a vederle. Davanti alle sue meravigliose opere d’arte, però, fecero la loro improvvisa comparsa un paio di ciabattine marroni, di quel modello specifico per le nonnine. Alzò di nuovo la testa. Gli si presentò davanti una vecchina tremolante, che sembrava fatta di uno scheletro di stuzzicadenti e carne di budino. Prima che l’autobus partisse, e che la signora si sfasciasse sotto i suoi occhi – dava l’impressione che al minimo imprevisto di sarebbe scomposta – Sora scattò in piedi e lasciò il posto alla vecchina. Quell’esemplare di Budiniana era stata sottratta al suo truce destino. L’anziana, riconoscente, gli disse qualcosa, sedendosi sul sedile. Lui non capì assolutamente niente, ma, come faceva sempre in quei casi, sorrise e annuì.
Ormai in piedi, guardò fuori dal finestrino.
Il negozio di videogiochi. Non appena avesse recuperato qualche soldo, sarebbe andato a prenotare il nuovo gioco dei Pokémon. E, ora che ci pensava, si era ridotto a giocare al DS con gli stuzzicadenti. Era urgente comprare degli stecchini – avevano un nome, quei cosi? – nuovi. Un ragazzo biondo vestito con un impermeabile nero, che correva. Un bar. Ah, ci era andato due o tre volte, quell’estate. Facevano delle brioche al cioccolato fantastiche, ma il ripieno di quelle alla crema sembrava cacca di piccione. Un vecchietto mezzo pelato che portava a passeggio un barboncino. Un negozio di animali. In effetti, doveva comprare un osso per il cane. Ora gli sbranava i calzini, ma non si è mai troppo prudenti: e se fosse passato alle scarpe nuove?
Scese alla sua fermata, salutando distrattamente l’autista. Cambiò canzone un paio di volte, trovò quella giusta e ributtò il lettore nella taschina davanti dello zaino blu elettrico, tutto scritto, firmato e vissuto, che teneva su una spalla sola. Non lo avrebbe cambiato nemmeno se lo avessero minacciato. Camminò per un po’ sul marciapiede della strada principale, ma poi entrò in una traversa. Lui abitava in un appartamento di un bel palazzone antico nella zona storica del centro città. Era una bella zona, se non fosse che era abitata per lo più da vecchietti e uomini d’affari. Pochi ragazzi giovani come lui. Non succedeva mai niente.
Un ombra nera gli tagliò la strada. Piccola e tremante, rimase di fronte a lui, ma gli voltava le spalle.
Sora si fermò di scatto.
Di fronte a lui e alla piccola ombra nera, spuntando da una via che convergeva in quella che stava percorrendo Sora, comparve un ragazzo. Portava un lungo cappotto nero. Allargò leggermente le braccia, come se avesse in mano delle armi con cui avrebbe potuto farsi male.
Aiutami, Sora! Aiutami!, strepitò una vocina acuta. Come era possibile che riuscisse a sentire qualcuno parlare sopra il volume delle cuffie?! Si sfilò un auricolare, un po’ confuso. Sbatté gli occhioni blu. Che caspita-
« Vattene, Sora. », gli disse il ragazzo di fronte a lui.
« Chi sei? Come sai il mio nome?  – gli chiese invece Sora, concitato. – Ti ho già visto, ma come ti chiami? »
« Non ti interessa, - rispose lo sconosciuto, in maniera spicciola. – Vattene. Potrebbe succedere un casino. »
Portava un cappuccio, ma, probabilmente, durante l’inseguimento della creaturina, era leggermente caduto indietro. Aveva i capelli biondi, corti, che sembravano puntare tutti in una direzione, e gli occhi di un azzurro chiaro piuttosto tempestoso.
Vuole farmi del male, ma non so perché. Non gli ho fatto niente. È malvagio!, di nuovo quella voce sottile? Ma allora non era un’allucinazione! Sora si guardò attorno. Non c’era nessuno, se non i due ragazzi e quella piccola ombra tremante.
« Sta’ zitto, bastardo! » urlò il ragazzo biondo. Le sue mani presero a brillare. Poi lo scintillio si allungò, come a creare una specie di forma. La luce sembrò rompersi in mille schegge, e lo sconosciuto strinse una enorme arma a forma di elaboratissima chiave per ogni mano. O, almeno, così gli sembrava. Sora deglutì. In che cosa caspita si era imbattuto? Cos’erano quelle robe?
« Chi sei? Cos’è quella roba? », chiese Sora. Si accorse che la sua voce era leggermente tremante, e la cosa lo stupì. Ma lo stupore non durò molto.
Il ragazzo non lo degnò della minima attenzione. Piuttosto, lo attaccò. Fu un unico scatto, fluido, rapido e preciso. Teneva il corpo chinato in avanti, con le due eccentriche spade dietro di sé, per lasciare una scia di scintille sull’asfalto. Sora fece in tempo a fare solo un passo indietro. Se l’avesse colpito, sarebbe stato spacciato. Fece appena in tempo a chiedersi perché, e l’arma che lo sconosciuto teneva nella mano destra, quella nera, calò su-
Sull’ombra tremolante?! 

   
 
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