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Autore: ButterflyOfTheWords    12/09/2012    1 recensioni
Eppure che colpa potevo avere io, se ero stata dotata di una fertile immaginazione e di scarso coraggio? Al mondo c’erano molte persone, alcune del tutto incapaci di “sognare qualsiasi cosa”, così razionali da trovare la bellezza solo nella fredda matematica, altre del tutto incapaci di sottostare a schemi, perennemente inserite nel loro mondo di fantasie, infine qualcuno aveva avuto la fortuna di poter fare entrambe le cose. Non era il mio caso.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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La giornata successiva fu molto leggera: ci alzammo presto e, dopo una sostanziosa colazione, ci sedemmo in giardino al sole. Io facevo i compiti e studiavo qual cosina, mentre Marco scriveva a raffica sul mio computer portatile: forse anche lui stava svolgendo una consegna per scuola; tuttavia non glielo chiesi e mi limitai ad occuparmi dei miei problemi di matematica.
Il pranzo fu animato dalle domande dei miei nonni sul futuro, sulla vita di Marco e dai budini al cioccolato che la nonna aveva preparato in mio onore.
E poi venne il pomeriggio: l’aria iniziò a farsi soffocante, mentre entrambi, senza dircelo, pensavamo che quel weekend volgeva al termine e che in capo a dure ore avremmo dovuto tornare a casa. Per me non era un grosso problema: lo era per lui. Mi sentivo inutile, pur sapendo di averlo sottratto a quella casa da incubo per ben due notti.
Verso le cinque salutammo i miei nonni e salimmo in macchina. Il viaggio fu immerso nel silenzio e un leggero velo di imbarazzo calò fra noi. Era un’atmosfera surreale, che mi terrorizzava: avevamo già perso il nostro affiatamento iniziale?
Quando accostai sotto casa sua, avevo gli occhi pieni di lacrime.
- Cosa c’è, Giulietta?
- Da quando mi chiami così?
- Da quando il tuo nonno mi ha detto che ti piace essere soprannominata in questo modo.
- Che dolcezza. C’è che il weekend è finito. C’è che in tutto il giorno siamo stati vicini, ma lontani. C’è che..vorrei fare qualcosa di più per te, anche se so di non potere.
Marco mi prese il viso tra le mani, costringendomi ad alzare lo sguardo e a puntarlo nei suoi occhi scuri.
- Nemmeno io vorrei tornare a casa, passerei altri dieci weekend come questo, se possibile. Mi sono sentito a casa. Quando sono con te, io sono a casa. Eppure..la mia vita è questa. La mia vita è ascoltare quelle urla, lo è adesso. Nel momento in cui sarò grande, allora cambieranno le cose. Tu sei libera, Giulia. Puoi starmi accanto, oppure puoi andare via. Non ti tratterrò.
- Io non vorrei mai andare via. Non adesso che finalmente abbiamo una possibilità, senza nessun altro in mezzo. Marco..sai dove sono, per qualsiasi cosa. Tu mi chiami, io vengo. Corro. Vorrei solo essermi resa utile in modo più stabile.
- Quello che hai fatto è già stato importante. Grazie.. – bisbigliò, mentre posava le labbra sulle mie e suggellava tutte quelle promesse, quelle previsioni e quelle constatazioni con un bacio.
 
Maggio iniziò a volare via, tra studio, feste e Marco. Ormai veniva a casa mia il più spesso possibile, in modo da stare fuori dalla sua. Stava meglio, glielo si leggeva in faccia, ogni qual volta sorridesse o mi abbracciasse. C’era un affetto nuovo, che prima non mi aveva mai dimostrato. Forse quel ragazzo stronzo che non era mai stato in grado di amare sul serio stava aprendo il suo cuore, regalandolo proprio a me. Non gli chiesi più delle grida, di sua madre e di suo padre, perché quando ne parlavamo, all’inizio, bastava una frase a incupirlo.
Le mie amiche non riuscivano quasi a credere che andasse tutto bene, che lui ancora non mi avesse fatto del male; eppure erano contente per me e si sforzavano di uscire in gruppo anche con lui, qualora ve ne fosse l’occasione. Sapevo quanto lo avessero odiato, eppure forse in quel momento non sembrava tanto male neanche a loro. Non avevo fatto parola con nessuno della situazione famigliare di Marco, in ogni caso, perché non mi sembrava il caso. Era una cosa sua. Forse un po’ anche mia.
Una sera uscimmo, io e lui. Varallo era quasi deserta: quello era l’ultimo sabato di maggio e sapevo che ben presto mi sarei trovata faccia a faccia con tutte le mie più grandi paure.
Ad un certo punto entrammo in un bar: io mi ero lasciata guidare da lui, senza opporre resistenza a ogni sua decisione. La stanza era completamente addobbata con palloncini colorati e un tavolo era apparecchiato al centro del locale.
- E’ per te. – disse, semplicemente, inginocchiandosi ai miei piedi e infilandomi una fedina argentata al dito.  - Non importa se non siamo mai stati insieme veramente. Con te sono veramente me stesso, con te sto imparando cosa sia l’amore vero. Voglio che tu sia la mia ragazza. E voglio sposarti, un giorno.
Balbettai qualcosa, ma non uscirono parole di senso compiuto dalle mie labbra. Così mi affidai alle mie braccia e lo strinsi a me.
- E’ un sì?
Annuii, ancora senza voce. Volevo essere la sua ragazza, in quel momento probabilmente avrei anche voluto sposarlo, subito. Sapevo che era una pazzia: eppure non avevo chiesto altro che stabilità al suo fianco, per molto tempo.
 
Giugno ebbe inizio: la fine della scuola era sempre più vicina e si sparse la voce di un ballo elegante come conclusione dell’anno. Attendevo entusiasta che la notizia raggiungesse anche Marco, in modo che mi invitasse. Eppure quando lo vidi, quella mattina, mi salutò rapidamente e scappò via al fianco di un professore. Pensai che si trattasse di qualcosa di importante: sapevo che il suo rendimento scolastico era positivo, perciò non mi preoccupai più di tanto. Non potevano che essere buone notizie.
Quel pomeriggio andammo all’auto insieme, tanto ormai non importava che gli altri ci vedessero. Tuttavia Marco era taciturno, troppo serio e corrucciato.
- Tutto bene? – gli domandai, quando ci sedemmo in auto.
- Sì, certo.
- Non sembrava..
- Beh, lo sai, sta finendo la scuola. Un po’ di malinconia. E poi sto cercando un lavoro per l’estate. Sono impegnato, in sostanza.
Annuii, senza preoccuparmi. Solo troppi pensieri per la testa.
- Posso chiederti una cosa?
- Dimmi, Giulia.
- Ci sarà un ballo scolastico..ci verresti con me? Insomma è il mio ultimo anno qui, ci terrei particolarmente ad essere presente.
Mi rispose con un bacio:
- Lo prenderò come un sì. – risposi, sfiorandomi le labbra con un dito. – Ci vorrà una camicia..forse anche una cravatta, dei pantaloni lunghi e un bouquet per me.
 
Il ballo era sempre più vicino e Marco più sfuggente. Non capivo tutta quella preoccupazione continua. Non riuscivo a comprendere perché non me ne parlasse: se davvero mi amava e si fidava di me, avrebbe dovuto sapere di poter contare sulla sottoscritta. Ogni volta che cercavo di entrare in argomento, si chiudeva in se stesso, rispondendo: “Sto bene, Giulietta. Sono solo molto impegnato..vedrai che andrà tutto bene.”. Non ne ero sicura.
La sera del ballo temetti addirittura che non sarebbe venuto. Lo aspettavo all’ingresso, perché due giorni prima mi aveva detto di non passare a prenderlo. L’istituto era tutto decorato, con lanterne di carta e tavoli apparecchiati. Sulle scale erano stati disposti dei fiori gialli e arancioni, l’ingresso recava uno striscione con scritto “Prom” in grande. Tutto brillava e io mi sentivo morire, mentre vedevo passare tutte le persone che conoscevo, le quali si fermavano a chiedermi se fossi sola.
- Puoi entrare con noi! – mi offrì Emma, che era insieme ad altre nostre compagne di classe. Mi irritai: avevo un accompagnatore, perché tutti pensavano che mi avrebbe dato buca? Non era carino.
- No, ci vediamo dentro.
- Ma se non viene..
- Verrà. Lo so.

Ciao! Ecco un altro piccolo pezzetto...so che è tardi, sono le due e dieci di notte...ma...dopo l'ennesima delusione amorosa, mi manca del tutto il sonno...così spero che almeno qualche gratificazione verrà da questo nuovo capitolo. Un bacione
  
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