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Autore: _Fy    12/09/2012    1 recensioni
Sara è una ragazza allegra e solare eppure così insicura e timida. Come ogni adolescente si troverà ad affrontare le problematiche della sua età. Frequenta il terzo anno di scuola superiore ed è sempre in compagnia della sua migliore amica storica, Liliana. Tra qualche gioia e qualche dolore tipico dei suoi 16 anni, Sara affronterà mille avventure e finalmente conoscerà l'amore.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"C'erano cose che volevo dirgli.

Ma sapevo che gli avrebbero fatto male.

Così le seppellii e lasciai che facessero male a me."

 

- T...Tu??!

Sara emise un gemito strozzato mentre lasciava ricadere le braccia lungo i fianchi come fossero prive di vita.

- Tesoro, non sei contenta di vedermi? Volevo farti una sorpresa!

Gli occhi le si fecero lucidi e carichi di lacrime ma Sara non le lasciò libere, rimasero lì, prigioniere dei suoi occhi, cariche di emozioni contrastanti, le stesse emozioni che albergavano nel suo cuore inquieto, le stesse che adesso pulsavano nella sua testa facendole male.

- Pa...papà!

Non voleva mostrarsi debole, non voleva mostrare la sua gioia nel vederlo finalmente al suo fianco, non voleva far vedere la commozione nei suoi occhi, la rabbia sparire sostituita dall'estasi; sapeva che i suoi fantasmi sarebbero ritornati a farle compagnia più tardi ma in quel momento, davanti alla figura di suo padre, davanti a quegli occhi che aveva desiderato più e più volte di poter rivedere, voleva solo godersi quella sottile felicità, quel raggio di sole tenue capace di scacciare via le ombre del suo passato.

Claudio, suo padre, allungò le braccia verso sua figlia in un chiaro invito e la ragazza, senza indugi, mossa solo dal suo istinto, si fiondò al suo interno lasciandosi cullare come fosse ancora una bambina.

In quel caldo abbraccio, si sentì al sicuro, come quando da piccola, nelle notti buie in cui il sonno tardava ad arrivare, stringeva a sé il suo maialino di peluches, un regalo del padre che le ricordava che, nonostante la lontananza, lui c'era. Da piccola, stringerlo le infondeva calore e più volte, con l'indice, aveva tastato la dedica che il padre le aveva lasciato: "Al mio più grande amore" diceva.

Con il tempo, la dedica si era cancellata, così come le sue convinzioni.

Sara chiuse gli occhi, cercando di imprimere dentro di sé quel dolce senso di malinconia e felicità che sentiva nascere dentro, faticò a trattenere le lacrime quando avvertì le labbra del padre posari sulla sua testa lasciandovi un dolce bacio e mai come allora desiderò tornare bambina, solo per godere al meglio quelle attenzioni che tento aveva desiderato.

- Come mai non sei a scuola?

La ragazza sospirò, l'incanto era finito e l'abbraccio si era spezzato.

- Non mi sentivo granché stamani, la mamma ha lasciato che io dormissi.

-Uhm, è in casa adesso?

Sara abbassò lo sguardo scuotendo la testa; si era sempre domandata perchè il padre sembrasse quasi allergico alla sua famiglia, a sua madre o a chiunque avesse avuto rapporti con lei; una separazione, pensò, pone la fine di un matrimonio non i contatti con gli altri e allora perchè suo padre sembrava sempre infastidito quando qualche membro della sua famiglia gli portava i suoi saluti? Che fosse vergogna la sua? L'affetto che nonostante tutto traspariva dalla sua famiglia, lo faceva vergognare a tal punto delle sue azioni da mascherare il tutto con la freddezza? O davvero, per quelle persone che con lui avevano diviso tanto, non provava altro che insofferenza?

- Tranquillo papy, la mamma non c'è. E' uscita a far la spesa, credo.

Suo padre annuì guardando l'interno di quella casa che lo aveva visto felice per qualche tempo, prima che l'amore si spegnesse lasciando spazio all'orgoglio.

- Vuoi entrare?

Il suo, solo un debole sussurro. Il suo tono di voce esprimeva solo insicurezza.

- No, ero venuto solo a chiederti se volessi pranzare con me e Kelly. Siamo qui da una settimana e oggi ripartiamo.

- Una settimana, eh?

La rabbia ritornò prepotente ma il suo orgoglio ferito le impedì di mostrarsi amareggiata, delusa.

- Mi dispiace ma ho da fare.

Si sorprese di come riuscisse ad essere impassibile, di come ormai era diventato facile infilarsi quella maschera di indifferenza, quella che per anni l'aveva tenuta lontano dal suo dolore perlomeno davanti ad occhi altrui perchè dentro di lei, da quando il padre le aveva voltato le spalle, era iniziata una lunga convivenza.

- Capisco, vieni almeno a fare un salto prima che partiamo.

Avrebbe voluto gridare che era stanca del suo egoismo e del suo essere dannatamente cieco, che lei aveva ancora bisogno del suo papà. Tuttavia, ricacciò quelle parole infondo al suo cuore e di nuovo decise di privarsene ancora.

- Vedrò.

- Allora vado, Kelly mi aspetta in macchina. Ciao tesoro mio!

- Ciao papà.

Claudio sorrise dandole subito dopo le spalle, lei chiuse la porta e le sembrò di essere tornata indietro. Ancora una volta.

Sarebbe mai riuscita ad andare avanti?

Come un automa si diresse verso il grande divano in palle che si ergeva di fronte a lei, vi si acciambellò portandosi le ginocchia al petto, stringendole come fossero l'unico appiglio che l'avrebbe potuta salvare dal mare in tempesta che si agitava dentro di lei.

Si sentiva fragile, come fosse davvero fatta di cristallo. Immaginò di trovarsi su di un dirupo, ad un passo dal baratro, pronta a saltare.

- Tesoro?! Cosa è successo?

Non si era accorta dell'arrivo di sua madre, non si era accorta del tempo passato, non si era accorta dei segni rossi sulle gambe che si era procurata con le dita, non aveva sentito i suoi passi avvicinarsi, non si era resa conto di aver alzato la testa, di aver incontrato gli occhi preoccupati della madre, non aveva sentito quelle lacrime allungo trattenute ora scenderle sulle guance. Sembrò risvegliarsi solo quando sentì le esili braccia di Caterina stringerla a sé facendole avvertire il suo profumo, quel profumo che da bambina aveva amato tanto.

- Mamma!

Scoppiò in piccoli singhiozzi che man mano diventavano sempre più acuti, più strazianti.

- Tesoro mio, ci sono io con te. Piangi, piangi che ti fa bene.

- Sono tanto stanca mamma, sono stanca.

Caterina non disse nulla, continuò a cullarla accarezandole i capelli; seppur le faceva male vedere la figlia in quello stato, una parte di lei era felice perchè finalmente sua figlia le aveva permesso di entrare, stava condividendo con lei quella parte debole del suo animo, quella straziata e delusa che aveva rinnegato per anni. Forse, pensò, proprio quel suo rinnegare il dolore accumulato, non le aveva mai permesso di superarlo.

- Sai mamma, se ti avessi potuto suggerire qualcosa nel momento il cui hai conosciuto papà, ti avrei detto sicuramente che dovevi stargli lontana, per non provare un giorno questo senso di nausea ogni qual volta penso di essere sua figlia.

- Sai che non è vero amore, sai che la tua è solo rabbia. La verità è che adori così tanto tuo padre che il suo comportamento ti fa stare male e allora, è meglio fingere di odiare piuttosto che ammettere quello che fa soffrire. Lui ti vuole bene, è tuo padre come può non volertene? Penso che anche lui ne soffra ma il suo carattere è quello, non può cambiare, non può modificarsi.

- Per amore non si cambia?

- No piccola mia, le persone non cambiano. Possono modificare qualcosa ma non si cambia mai.

Sara annuì stringendosi di più in quell'abbraccio, lasciandosi cullare dal battito regolare del cuore di sua madre e sopraffatta da tutte quelle emozioni, si abbandonò all'oblio che l'accolse in un sonno senza sogni.

- Sara? Sono le quattro di pomeriggio e non hai ancora pranzato, svegliati!

- Uhm

Sara si girò su di un fianco rannicchiandosi su se stessa.

- Tesoro? Non puoi poltrire tutto il giorno, non devi uscire stasera?

A quelle parole Sara spalancò gli occhi trovandosi davanti il viso dolce di sua madre.

-Che ore sono?

L'ansia traspariva dalla sua voce; sopraffatta da quella giornata e dalle emozioni che ne aveva comportato, la ragazza aveva del tutto dimenticato il suo appuntamento con Matteo.

- Le 16.00

- Oddio!

Si alzò velocemente dal divano dirigendosi ad ampie falcate verso la sua stanza in direzione del suo armadio, lo aprì iniziando a spulciare tra i vari capi cercando quello più adatto per andare all' luna parck ma che comunque la rendesse quanto meno graziosa e non la facesse sfigurare. Caterina, dal canto suo, non aveva ancora lasciato la sua posizione e il suo sguardo perplesso non aveva abbandonato il punto esatto in cui la figlia era scomparsa.

- Adolescenti, chi li capisce è bravo.

Sorrise alzandosi dal divano e dopo un'ultima breve occhiata si diresse verso la cucina per terminare le pulizie.

- Questo no! Oddio questo fa schifo, ma dove l'ho comprato?! Ma soprattutto, cosa mi passava per la testa in quel momento?

Sull'orlo di una crisi nervosa, Sara stava ancora tentando di trovare tra i suoi vestiti qualcosa di decente.

- Ma io mi vesto sempre così?! Non capisco, sono io o all'improvviso i miei vestiti sono tutti inguardabili! Calma Sara, respira!

Incamerò più aria di quanto ne avesse bisogno cercando di imporsi una lucidità mentale che in quel momento non possedeva; alzò lo sguardo incontrando il suo riflesso in uno specchio e quel che vide le donò un colorito più bianco di quel che aveva in quel momento.

- Oddio che faccia sconvolta!

Sorpassò il letto in malo modo facendo cadere le coperte e i cuscini per terra, fiondandosi poi ad un palmo dallo specchio; con la mano tastò il contorno degli occhi divenuti gonfi e rossi per le lacrime versate, la sua pelle era pallida e provata e Sara credette di poter vedere le scie umide lasciate dalle sue lacrime. Trattene un urlo, giusto per non allarmare la madre e con poca grazia si fiondò sul letto.

- Houston, abbiamo un problema! Magari Liliana potrà aiutarmi!

Sorrise alzandosi dalla sua posizione e ritrovando un barlume di speranza al pensiero che l'amica avrebbe potuto far miracoli ma il suo sorriso si spense pochi secondi più tardi; non poteva chiedere a Liliana di aiutarla a vestirsi e a migliorare quel casino che si ritrovava sulla faccia, dopo tutte quelle bugie ma soprattutto visto quello che stava per fare.

Si lasciò ricadere sul letto sopraffatta da quella tremenda verità; c'era qualcosa che la preoccupava profondamente, ovvero la possibilità che tutta quella faccenda potesse allontanare la sua migliore amica da lei. Sara non lo avrebbe sopportato, per anni Liliana era stata la sua forza, il suo salvagente, il suo punto di riferimento; pur non avendole raccontato quasi nulla, nonostante avesse continuato a tenere per sé quella parte di se stessa, quella nascosta e impenetrabile, Liliana le aveva fatto da cuscinetto molte volte, le bastava stare con lei per dimenticare, seppur per poco, quello che la tormentava.

- E' inutile pensarci adesso.

Mormorò a se stessa.

- Devo smetterla di parlare da sola e cominciare a prepararmi.

Un'ora e mezza più tardi aveva finalmente terminato di prepararsi; aveva optato per la semplicità mettendosi un jeans scuro e stretto, una maglietta bianca che le lasciava una parte della spalla scoperta e un paio di stivali alti alla caviglia dello stesso colore della maglia, non aveva utilizzato molto trucco, aveva solo tentato di mascherare le piccole borse che le erano spuntate sotto gli occhi e per finire aveva utilizzato un filo di matita nera.

- Sono pronta e in ritardo!

Esclamò quando il suo sguardo si posò accidentalmente sulla piccola sveglia situata sul comodino accanto al letto.

Uscì velocemente dalla sua stanza maledicendosi mentalmente per aver optato per i tacchi e afferrò velocemente le chiavi di casa e la borsa appoggiata malamente sul mobile scuro accanto alla porta.

-Mamma io esco, non mi spettare, faccio tardi... Credo!

Caterina si affacciò dalla cucina, rimanendo accanto allo stipite della porta.

- Tesoro dove..

Le parole le morirono in gola, Sara era già andata via.

 

In piedi con le braccia conserte e un piede che si muoveva ritmicamente sull'erba umida del parco, Matteo attendeva l'arrivo di Sara. Era in ritardo e il ragazzo, più di una volta, si era ritrovato a pensare che forse non sarebbe venuta.

-Ciao

Sobbalzò preso alla sprovvista girandosi subito nella direzione da cui la voce era arrivata.

- Ciao

Un sorriso ebete si formò sulle sue labbra.

Matteo non potè fare a meno di osservare la ragazza rimanendone affascinato; di ragazze carine ne aveva viste molte ma mai nessuna era riuscito a colpirlo tanto. In qualche modo sapeva che la bellezza c'entrava poco e niente, quello che colpiva il cuore non era certo un bel paio d'occhi o un bel fisico, piuttosto quel che gli occhi trasmettevano e come il corpo si muovesse. Si perse in quelle iridi di cioccolato e gli sembrò di potervi scorgere un mondo nuovo, dominato da segreti e paure, segreti che voleva scoprire, paure che voleva abbattere solo per vedere quegli stessi occhi gioire.

- Allora, andiamo?

Sara annuì incapace di parlare ancora; quella situazione la metteva a disagio e la paura di essere scoperta le metteva ansia.

Camminarono in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Ogni tanto Matteo lanciava qualche occhiata alla ragazza che camminava distratta al suo fianco, avrebbe voluto spezzare quel silenzio che si era creato, gli era parso troppo scomodo, troppo imbarazzante. Sara, dal canto suo, sembrava decisa a non aprire bocca; si sentiva inadeguata e la paura di dire più di quanto in realtà volesse le impediva di rilassarsi. Matteo aveva già saputo troppo, era andato fin troppo in profondità, aveva scorto la sua anima e questo le faceva rabbia; come aveva fatto un ragazzo spuntato dal nulla a metterla talmente a nudo? Come aveva potuto cedere davanti a lui? Di Matteo sapeva poco e niente, conosceva la sua storia e il suo cordoglio, conosceva una parte di lui, quella celata dietro al muro, tuttavia non conosceva tutto e tutto ciò la spaventava.

- Accidenti!

Si fermarono; Sara finalmente si concesse di osservare il ragazzo attirata dalla sua imprecazione.

-Al diavolo, è chiuso!

Il cipiglio arrabbiato sul volto di Matteo donava al ragazzo un aria al quanto buffa e Sara non riuscì a trattenere le risa che in breve si espansero nell'aria infastidendo il ragazzo.

- Che ci trovi di tanto divertente?

Sara tentò di mettere insieme due parole ma il suo fu solo un vano tentativo; appoggiò le sue mani sulla pancia piatta iniziando ad avvertire dei piccoli dolori dovuti a quel suo scoppio di ilarità improvvisa, cercò sostegno appoggiandosi al cancello chiuso del luna parck mentre Matteo iniziava a guardarla come fosse pazza.

- Allora?

Matteo abbandonò quel cipiglio severo distendendo i suoi lineamenti; quella giornata non aveva preso la piega sperata ma almeno l'aveva fatta ridere e quel sorriso era valso più di qualsiasi altra cosa.

- Ti faccio ridere, eh?

Le si avvicinò con aria da sbruffone deciso a continuare quel piccolo gioco, voleva bearsi ancora del suono argentino di quella risata, vedere i suoi occhi privi di tristezza, le labbra aperte, il volto disteso accompagnare quel piccolo attimo di libertà.

Eccola là la vera Sara; da qualche parte aveva letto che quando una persona ride, mette a nudo se stessa e quel che Matteo stava vedendo era lo spettacolo più bello a cui avesse assistito.

- Scusami, eri troppo buffo!

Esordì la ragazza placando le sue risa.

- Troppo buffo, eh? Ora ti faccio vedere io!

Sara lo guardò spaventata mentre Matteo avanzava verso di lei; gli occhi del ragazzo erano accesi di malizia e questo le procurò un brivido lungo la schiena. Immersa in quelle sensazioni non diede peso al campanellino dall'arme che era scattato nella sua testa, anzi, si lascò contaminare da quell'aria serena e da quel gioco che avevano cominciato.

- Sta lontano da me!

- Ti suggerisco una cosa ragazzina.

Matteo gli si avvicinò ulteriormente, fino a sfiorare il suo corpo con il suo; Sara avvertiva solo il respiro regolare del ragazzo che si scontrava con la pelle calda del suo collo e il battito irregolare del suo cuore.

-Scappa!

Sara lo guardò negli occhi e per un momento la sua attenzione venne catturata dalle labbra del ragazzo che, in quel momento, erano piegate in un sorriso provocatore. Così, contro ogni sua aspettativa, diede retta al suo istinto iniziando a correre dando il via ad un gioco, un gioco che ormai conoscevano bene, un gioco in cui le identità del cacciatore e della povera preda erano indistinte, poco chiare, confuse, nulle.

Sara continuava a ridere concedendosi ogni tanto di guardarsi alle spalle per vedere quanto fosse vicino il suo inseguitore; Matteo correva a pochi metri di distanza, godendosi quei minuti di spensieratezza e in quel momento prese la sua decisione.

- Non sapevo fossi così lento!

Gridò Sara con voce gioiosa.

- Non lo sono infatti!

Matteo alzò il passo ritrovandosi a pochi centimetri da lei.

- Presa!

L'afferrò per il braccio spingendola verso di sé fino a farla scontrare con il suo petto; rimasero immobili, nell'aria solo il rumore dei loro respiri irregolari. Sara non osava alzare lo sguardo dal petto del ragazzo, aveva paura di incontrare i suoi occhi e di leggervi qualcosa dentro, ma più di tutto, aveva paura che incontrando gli occhi di ghiaccio di Matteo lui potesse vedere cosa nascondeva dentro i suoi.

- Ci andiamo a sedere su quella panchina?

Sara annuì trovando la forza di allontanarsi dal ragazzo dirigendosi subito verso la panchina seguita da Matteo.

- Sei cambiato sai?

Esordì la ragazza dopo svariati minuti di silenzio.

Matteo la guardò appena, rivolgendo poi lo sguardo davanti a sé; l'aria si era fatta più fresca segno che le tenebre stavano per calare, non c'era nessuno nei dintorni, c'erano solo loro due, dannatamente vicini nonostante fossero seduti a diversi centimetri di distanza.

- In che senso?

Domandò incerto Matteo.

- Quando ti vidi la prima volta i tuoi occhi erano talmente freddi, sembravi distante anni luce, irraggiungibile nonostante fossi vicino. Ora, guardandoti adesso, i tuoi occhi sembrano più caldi, non hanno perso quella nota di tristezza ma sono meno freddi, direi quasi dolci, il freddo che celva quella parte di te che custodivi con cura, quando sorridi o...

- O...?

- O mi guardi.

I loro sguardi si incontrarono e le loro labbra si piegarono donandosi un lieve sorriso.

- Bhe ecco, quella parte di te, esce fuori.

Finì in un sussurro.

- Fino a qualche giorno fa vivevo in modo diverso. Non ho amici, non ne ho avuti più da quando loro sono morti, ho sempre temuto di avvicinarmi a qualcuno, ho temuto di perdere di nuovo o di ferire ancora. Mi sono sempre mostrato freddo al mondo, non per cattiveria, direi anzi per altruismo! Non volevo toccare più nulla, macchiare ancora. Vivevo nel mio piccolo mondo, non provavo emozioni e questo allontanava il dolore, dolore che ho sempre custodito con cura perchè era l'unica cosa che mi rimaneva di loro, l'unica cosa che mi permetteva di sentirli vicini. Poi però, qualcosa è cambiato.

- Che cosa?

Sara non riuscì a non domandarglielo, voleva sapere, voleva conoscere. Si sentiva come uno studioso sempre affannato di ampliare le sue conoscenze, come se ne dipendesse la vita, come se potesse salvarlo dal resto.

- Sei arrivata tu.

Sara continuò a guardarlo, il fiato corto dall'emozione, il pensiero incessante di quanto tutto fosse sbagliato, le mani che tremavano appena e lo sgurdo di Matteo puntato sui suoi occhi. Non fiatò e Matteo decise di proseguire.

- La prima volta che ti vidi fui attratto dai tuoi occhi o meglio, da quello che vi lessi. Ti sforzavi tanto di apparire solare e gioiosa, così profondamente legata alla vita ma chiunque, sforzandosi un minimo, sarebbe riuscito a scorgere quell'ombra di tristezza che ti porti dentro, che traspare dalle tue iridi. Mi attiravi come una calamita e ho cercato di resistere ma tu, i tuoi occhi, mi riportavano sempre al punto di partenza. Mi avevi catturato l'anima e nemmeno lo sapevi.

Rise, senza alcuna intonazione particolare, rise sentendosi uno stupido, rise sopraffatto dall'imbarazzo, dalla voglia di parlare e di spegnere il cervello che adesso gli urlava di tacere.

- Mi sono accorto delle attenzioni della tua amica, non che lei abbia tentato di celarle, erano piuttosto evidenti se proprio vogliamo dire! Ne ho approfittato, fa schifo dirlo così ma è quel che ho fatto, volevo avvicinarmi e non ho resistito, sapevo che forse avrei potuto rovinare tutto ma mi hai chiamato come una sirena fa con il suo marinaio. Non si è rivelato tutto inutile però, sai? Io mi sono aperto e tu hai fatto lo stesso, inconsciamente mi hai salvato e diavolo non so nemmeno come tu abbia fatto!

- Nemmeno io.

Sussurrò flebile Sara; i suoi occhi ora erano ritornati ad osservare l'asfalto perchè temeva che se solo si fosse azzardata ad incontrare i suoi occhi, avrebbe ceduto cadendo alla sua mercè come una bambola di porcellana.

- Già! Tutto questo però mi ha fatto scegliere e capire una cosa essenziale.

- Cosa?

- Non ho più voglia di tristezza.

Sara alzò la testa di scatto incontrando gli occhi dolci di Matteo; le sembrò di potervi scorgere nuova luce al suo interno, una luce divampante come un fuoco animato da chissà quale emozione e preda delle stesse sensazione, si lascò andare.

- Non sono mai andato a vedere la loro tomba, non ricordo nemmeno di averci mai pianto. Ti andrebbe di andare con me domani?

L'indomani si sarebbe vista con Liliana, avrebbe dovuto dare retta al buon senso e rifiutare, avrebbe dovuto fare fin troppe cose prima di arrivare fino a quel punto ma ormai, contro ogni sua aspettativa, si rese conto di essere in ballo e quel che doveva fare adesso era solo ballare.

- Va bene.

Sussurrò ancora rapita dai suoi occhi.

Avrebbe trovato una scappatoia l'indomani mattina o forse l'unica cosa che domani avrebbe fatto era solo prendersi a calci ma in quel momento, sotto lo sguardo del ragazzo, Sara non avvertì nessuna remora, nessun dolore, nessun senso di colpa.

- Vieni, ti accompagno a casa. Inizia a far freddo qui.

   
 
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