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Autore: londonici    13/09/2012    0 recensioni
Hayley, sedicenne di Beverly Hills, sembra la tipica ragazza che mette il broncio giusto per essere diversa. Una grande passione per i Paramore e un gruppo di amici eccezionali la aiuteranno a superare i primi "piccoli" problemi della sua vita. Ma poi si aggiunge Hitch, un rapper diciannovenne di fama mondiale, e tutto cambierà all'improvviso...
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Quando aprii gli occhi, il cielo si era fatto un po' più chiaro: non avevo la minima idea di che ora fosse. Ed ero tutta intorpidita, le mie ossa erano incastrate le une nelle altre. Girai la testa e sobbalzai.

Come diavolo ero finita sopra Jess? Avevo dormito su di lui?!

Eppure avevo i vestiti addosso. Ah. Mi ero solo addormentata su di lui, peccato.

Aveva una faccina da angioletto, non sembrava nemmeno così inavvicinabile, ora che ci pensavo (o forse lo dicevo perché ero esattamente appoggiata sul suo petto, capite?).

Ad ogni modo, non stetti troppo a fissarlo: vi immaginate la figura di merda che avrei fatto se all'improvviso avesse aperto gli occhi e mi avesse trovata lì come una beota?

Decisi di prendere una boccata d'aria fresca, così mi alzai lentamente per non fare casino. Ma... Non vi ancora detto che sono un danno ambulante, vero?

Ecco, picchiai il piede sul tavolino di vetro e feci un casino pauroso. Per sopprimere l'urlo che mi stava devastando fui costretta a mordermi una mano. Nessuno si mosse, tranne Jess che si girò su un fianco.

Aspettai per un po' seduta sulla sdraio, di fronte alla piscina, fino a che una voce molto familiare non mi fece venire un infarto.

«Ti sei fatta male, eh?», disse ridendo. Alzai gli occhi al cielo e gli feci vedere il segno del morso sulla mano.

«La prossima volta, mordi qualcos'altro», mi suggerì. L'allusione appariva chiara solo a me, vero? Sì, solo a una come me poteva sembrare una cosa simile. Sorrisi e annuii.

«Vai a casa subito?», mi chiese dopo essersi acceso una sigaretta ed essersi seduto sulla mia stessa sdraio, ma dandomi le spalle.

«Tanto non è una grande distanza, sai...». Poi mi accorsi che stava fumando ancora. «Ma sei una ciminiera! Smettila ogni tanto di stuprare quelle povere sigarette».

Si voltò a guardarmi con un ghigno in faccia.

«Stuprare?», e poi scoppiò a ridere.

«Già, guarda come ti accanisci su quei poveri tubicini indifesi...».

Poi, stringendosi nelle spalle, spense la sigaretta.

«Così va meglio?». Scossi la testa, incredula. La vocina di Lara mi disse: “Tre mesi, tre mesi, tre mesi”. E rise sempre più forte.

Probabilmente feci una faccia strana, perché Jess mi chiese a cosa stessi pensando di così impegnativo.

«Mah, niente. Mi sa che Jenna non è ancora tornata da ieri sera». Tentai in ogni modo di apparire disinvolta.

«Ed è ancora un problema per te che esca di continuo?». Non era stato affatto tendenzioso o maleducato, con quel tono. Era strano, sembrava che si interessasse di quello che pensavo. Ovviamente erano tutte supposizioni campate per aria, Jess era anche più isolato dal mondo di me. Smisi di farmi film e risposi.

«Ma no, figurati. L'unica cosa che non posso rimproverare a Jenna è la forza di volontà con cui non si butta giù». Solo io potevo capire quella frase, perciò prima che Jess esprimesse i suoi dubbi proseguii. «Spero che però sia in condizioni presentabili, quando entrerò in casa; non vorrei trovarla... sai...». Con un sorriso, mi bloccò.

«Posso solo immaginare, non c'è bisogno che tu vada oltre».

«E tu, invece? Vai a casa subito o aspetti?». Credo che voi tutti già sappiate in quale risposta io sperassi, accidenti.

«Mi sa che tra un po' vado. I miei non si interessano molto di me, ma un minimo di presenza a casa ci vuole, oppure mi daranno per disperso».

I genitori di Jess sono entrambi chirurghi plastici – e non poteva essere diversamente a Beverly Hills. Il fatto è che sono abbastanza conosciuti ed esperti nel loro campo, perciò spesso la loro carriera prevale sull'ambito familiare. L'unico motivo per cui non divorziano è che entrambi passano così poco tempo a casa, l'uno accanto all'altra, che manca il tempo materiale per i litigi. Mi dispiaceva proprio per Jess, ero pronta a giurare che anche lui si sentisse un po' a disagio per quella situazione apparentemente stabile.

«Tu dici che usciremo mai da questo buco nero che è la nostra vita a Beverly Hills?», gli chiesi dopo un po'.

«Lo spero tanto, davvero». Mi guardò e si fece pensieroso. «Non credevo che anche tu bramassi così tanto la fuga da qui». Mi strinsi nelle spalle e guardai altrove.

Vidi la macchina di Jenna arrivare in quel preciso istante. Quando chiuse la portiera con faccia preoccupata, decisi di levarle di dosso quei sensi di colpa che probabilmente si portava dietro da tutta la notte. Andiamo, in fondo non ero mica morta in sua assenza. Alzai un braccio e lo agitai, e quando mi vide la salutai. Sorrise, tranquillizzata, ed entrò in casa.

«Jenna è a casa», annunciò Jess, «ed è presentabile, evviva». Gli diedi una gomitata e un finto spintone e lui, udite udite, con scioltezza mi prese e mi mise sotto il suo braccio, fingendo di picchiarmi. Iniziammo a ridere come la sera precedente.

“Tre mesi, e qualcuno si farà male”, riecheggiò nel mio cervellino spensierato.

Accidenti a Lara.

 

Quella stessa mattina, sul tardi, decisi che avevo bisogno di andare in palestra. Di solito ci andavo con Lara, giusto per il puro gusto di spettegolare un po', ma senza mai andarci pesante. Chiacchiere tra amiche senza secondi fini, che cosa strana.

Ero giusto sul tapis roulant, correndo abbastanza velocemente. Quasi quasi ero di buon umore.

Ma poi vidi entrare Bree in palestra, camminando come se qualcuno le avesse infilato un palo su per quel posto: chissà su chi voleva far colpo, oggi.

Mi nascosi un pochino e feci finta di essere interessata alla TV; con le cuffie dell'I-Pod sparate nelle orecchie a tutto volume, non l'avrei neppure sentita.

Tutti sforzi vanificati dalla sua faccia tosta.

Un dito mi bussò sulla spalla, insistente e delicato come un ippopotamo in una vasca di cristallo minuscola. Tolsi un auricolare e la guardai scocciata.

«Ciao, Hayley!», salutò tutta entusiasta.

«Bree», commentai poco lieta.

«Che coincidenza, cercavo proprio te. Posso chiederti una cosa...?». La interruppi prima che andasse oltre.

«Per la tua sfilata, credo proprio che sarà altamente improbabile». Restò delusa e fece una faccia strana, a metà tra il menefreghismo improvviso e lo schifo più indignato del mondo.

«Ma se non sai neppure quando è», rispose schietta. Rallentai e la guardai in faccia.

«Bree, sii seria. Pochi fronzoli, okay? A me non farebbe affatto piacere sfilare per te. Puoi prenderti mia madre e il suo trucco miracoloso, ma io passo». Mi guardò come per dire “e chi ti chiede niente, pezzente”, così rincarai la dose. «E se mai ti saltasse in mente di fare un'altra sfilata e mi vuoi nel tuo esercito, almeno vieni a chiedermelo di persona, non mandare Dana come piccione viaggiatore, è davvero incapace e... indisponente». Sapevo che glielo avrebbe riferito. Squadrandomi da capo a piedi, restò con la bocca aperta e fissata con una smorfia di finta superiorità.

«Puoi andare ora, Bree», la incitai.

«Te ne pentirai», sibilò. E alla fine se ne andò, grazie a Dio.

Restai in palestra non più di altri dieci minuti: il saperla lì a fissarmi in attesa che cadessi dal tapis roulant era snervante.

Tornai a piedi, evitando il taxi (e anche la limousine che Jenna aveva mandato a prendermi per farsi perdonare – chissà cosa). Passeggiavo tranquilla con l'I-Pod che mi cantava “Faint” nelle orecchie: come ero arrivata ai Linkin Park quando stavo ascoltando i Paramore? “Faint” era troppo vicina alle mie esperienze passate, non dovevo concentrarmi su quel testo, maledizione.

Cambiai canzone infastidita, non tanto dalla melodia rockettara che mi piaceva parecchio, ma dal senso che avevano per me quelle parole.

“Non girarmi le spalle, non sarò ignorato”. Strinsi i pugni: adesso c'era Hayley che cantava, ma “Faint” era rimasta tatuata nel mio cervello.

“Il tempo non cambierà ancora questo danno”. “Mi ascolterai, che ti piaccia o no”.

Spensi l'I-Pod.

Il pensiero di quel viscido uomo che mi aveva messa al mondo mi fece venire la pelle d'oca. E la giornata si rovinò del tutto.

Ma il meglio doveva ancora arrivare, fidatevi.

Mancavano poche centinaia di metri al mio cancello, quando notai un camion gigante di fianco alla casa dei gemelli, che osservavano tutto dalle loro finestre. Li salutai ponendo più attenzione sul camion... Sui camion. Li contai rapidamente. Sei camion e una limousine chilometrica. La casa era stata occupata alla fine, ma come mai c'erano così tante telecamere?

Non capivo. Chi si era trasferito a Beverly Hills facendo così tanto casino mediatico?

Entrai in casa perplessa.

«Tesoro, sei tornata con la limousine?», mi chiese Jenna sollevata. Evitai la sua domanda e gliene feci un'altra.

«A proposito di limousine giganti, ma che succede qui?». Aprii il frigo e presi una bottiglia ghiacciata di aranciata.

Jenna mi guardò scandalizzata, stupita, incredula.

«Non lo sai?! Stai scherzando?». Stava gridando come un'adolescente in piena crisi vestiaria.

«Jenna», dissi inespressiva. «Ti risulta che a me freghi solo lontanamente della vita di questo posto malefico?».

Sgranò gli occhi e si ricompose.

«Okay. Beh, abbiamo un nuovo vicino, tesoro, ed è una star. Uno importante».

Oh, no. Mi tornarono in mente le “Crispy News” del giorno prima.

«Giovane, bello, potente... Che fortuna. Dovresti tentare di fartelo amico, tesoro».

«Di farmelo amico o di farmelo e basta?», chiesi irritata. «Non mi avvicinerò nemmeno lontanamente a quell'imbecille di Hitch, chiaro? Uno che si fa chiamare “intoppo” dai media non è degno della mia attenzione, direi». Ero veramente senza parole.

«Oh, andiamo, tesoro. Allora lo sapevi che si trasferiva...». Sbuffai e lanciai le mani in aria, sbraitando.

«Jenna! Non mi interessa un bel niente di un finto rapper diciannovenne che vive di attenzioni immeritate!».

«Vedo che sei informata, tesoro...», insinuò Jenna.

«Smettila di chiamarmi “tesoro” e smettila di farti film, okay? Dana sarà già in fila... e anche Bree». Ecco chi voleva conquistare, Bree... Con quell'aria da vip super gasata.

Jenna mi guardò contrariata, ma smise di insistere.

Salii in camera e sbattei la porta.

Non c'era bisogno di un rapper che mi ricordasse quanto ingiusto e immeritato fosse il mondo dello spettacolo. Che stupidità continua, davvero... Non bastava che invadesse MTV e VH1, ma adesso ce lo avevo anche di fronte a casa!

«Dov'è il cellulare?», gridai a me stessa. Poi mi accorsi che era nella mia tasca.

Lara, Lara, Lara: rispondi.

«Pronto?».

«Hitch vive di fronte a me da stamattina», grugnii furiosa.

«Hitch. Ah, già. Di già?».

«Lo sapevi anche tu!», la accusai.

«Hayley: ripeto, non è colpa mia se tu te ne sbatti di quello che si dice in giro. Certo che lo sapevo».

«Odio il rap e odio Hitch. Odio chiunque si chiami “intoppo”, chiaro? E odio le telecamere e i camion e tutti quei gioielli giganti che quelli come Hitch si portano al collo».

«Se tu l'avessi solo ascoltato una volta, sapresti che non è poi così stupido. E non porta gingilli del genere».

«Detto da una come te suona assurdo. Tu sei una punk, da quando ascolti il rap?».

«Non lo ascolto mica, ma dovresti provare a capire le sue canzoni. Se Hayley Williams rappasse, di sicuro non faresti tutte queste storie».

«Ci sentiamo Lara, vedo che non mi sei di aiuto».

«Aspetta, aspetta, aspetta!».

«Che c'è?».

«Dimmi una cosa: cosa ha fatto ieri Jess?». Arrossii subito.

«Ciao, Lara!».

«Lo sapevo! Io lo sapevo!».

«Sì, certo, come no. Ti chiamo quando la mia amica Lara torna per davvero».

«Come ti pare... Per ora, fai la brava e non provarci con Hitch», disse ridendo e riattaccando.

Riattaccai anch'io, poi lanciai il cellulare sul letto. Mi ci buttai anch'io, nel tentativo di calmarmi. Chiusi gli occhi. Poi, quando li riaprii, Jenna mi stava dicendo che stava uscendo con un certo Antonio. Antonio?

Vedevo tutto annebbiato, avevo fame e sentivo tutto molto, molto lontano, così annuii e la salutai. Richiusi gli occhi, nel tentativo di riaddormentarmi, ma il mio stomaco non mi lasciava scampo.

«Ma sta' zitto, non ti ci mettere anche tu, ora», ruggii a me stessa.

Faceva caldissimo ed ero davvero stanca di tutto.

Il cellulare vibrò sul comodino.

«E basta, adesso, voglio solo dormire!», gridai alzandomi e prendendo in mano quella macchinetta rovina-sonno. Risposi senza vedere chi stesse chiamando.

«Pronto?», dissi con un po' troppa furia.

«Hayley? Ti disturbo?». Aspettai che andasse avanti, forse avevo confuso la voce. O stavo sognando. Di sicuro. «Hayley?».

«Sì. Ciao». Avevo paura di aver scambiato l'interlocutore per qualcun altro, così restai sul vago.

«Ti disturbo?». Beh, sembrava proprio Jess, ma non era possibile.

«Ma no, dimmi pure».

«Stai bene? Ti sento... strana». Okay, meglio rischiare che passare per imbecille.

«Ma certo, Jess, cosa dovrei avere?», dissi tra una risatina isterica e l'altra.

«Allora mi hai riconosciuto... Credevo non avessi capito».

«Ma figurati!». Mi guardai allo specchio e risi di me stessa. Non c'era limite alla mia indecenza morale, davvero. Che livelli...

«Mi stavo chiedendo... Hai da fare?». Colsi un velo di imbarazzo nella sua voce.

«A dirla tutta, sono preda della noia più devastante».

«Ti va se passo a prenderti e facciamo un giro? I miei non ci sono e Chris è agli allenamenti...».

«Se vuoi posso venire io a tenerti compagnia, oppure tu da me, se preferisci. Jenna è fuori con... Antonio, ecco cosa ha detto prima!». L'ultimo sforzo di memoria doveva restare tra me e me, ma il sonno non mi faceva avere il pieno controllo della mia mente. Jess rise.

«Okay, buon per Antonio. Facciamo che passo io, d'accordo? Casa mia è impresentabile».

«Già, così adesso vado a mettere i manifesti e ti sputtano dicendo a tutti che vivi in un porcile... Comunque va bene, ti aspetto».

«Grazie, davvero. Dieci minuti circa e sono da te. Ciao, Hayley». Riattaccai completamente nel bel mezzo delle nuvole. E poi mi spaventai vedendomi allo specchio: una gallina aveva forse fatto guerra a una pulce sulla mia testa mentre dormivo? Beh, non me ne ero accorta, in tal caso.

Iniziai a darmi una sistemata, così presi dall'armadio una camicetta verde militare a maniche corte e degli shorts neri. Sistemai i capelli in una crocchia e passai veloce la matita e il mascara sugli occhi: mi sentivo infantile a prepararmi così. Definii gli ultimi dettagli, come la cintura, lo smalto nero e gli anelli coordinati e poi mi infilai le infradito mentre scendevo per le scale (e ci mancò poco che non mi rompessi un femore cadendo giù rovinosamente).

Nell'attesa, spiai dalla finestra. Mica Hitch, tesori miei: volevo vedere se Jess stesse arrivando, ovvio. Notai comunque che il casino creato dai camion era sparito. Il mio stomaco brontolò di nuovo, ed era una cosa normale visto che era pomeriggio inoltrato e io avevo saltato colazione e pranzo: l'ultima cosa che il mio stomaco aveva visto era stata la pizza notturna della sera precedente.

Il mio cellulare vibrò di nuovo, ma stavolta guardai prima di rispondere: era di nuovo Jess. Possibile?

«Dimmi tutto», dissi subito.

«Scusami, sono davvero uno stronzo desolato. Mi ha chiamato Chris, gli serve il mio aiuto. Credo che dovremo rimandare». Sbiancai per la delusione.

«Ah. Beh, posso venire anch'io, se ti va», dissi chiudendo gli occhi per la sfacciataggine.

«Non credo sia il tipo di situazione adatto, Hayley. Non ti offendere, è solo che... insomma, non è il caso». Il suo tono era aspro e preoccupato, così lasciai perdere.

«D'accordo, tranquillo. Ci vediamo», dissi fingendo di non esserci rimasta troppo male.

«Scusami ancora», fece affrettandosi. «Ci vediamo in giro». E riattaccò.

Restai a fare smorfie di delusione per un po', senza nemmeno arrabbiarmi.

Se Chris aveva un problema e aveva chiamato Jess, la cosa non era poi così “adatta” a me. O forse si sbagliavano di grosso, tutti quanti, tutti quelli che mi credevano una pappamolla. Ma come potevano sapere che ero in grado di difendermi se non ne avevo mai dato prova? Beh, di sicuro non avrei iniziato quel pomeriggio a dare lezioni di autodifesa.

Se volevo saperne di più, dovevo semplicemente attraversare la strada per chiedere spiegazioni ai gemelli: di sicuro loro avrebbero saputo qualcosa del cugino, no?

Dopo un paio di minuti di indecisione, presi la situazione di punta e uscii di casa.

Suonai due volte il campanello, ma nessuno mi rispose. Uscì dopo qualche minuto la filippina che faceva le pulizie in casa loro. Mi disse con non poche difficoltà che i gemelli erano appena usciti e sembravano di fretta. Mi sfuggì un'imprecazione che la donna mi rimproverò solo con gli occhi, così le chiesi preoccupata se sapesse dove fossero andati. Scosse la testa e tornò in casa.

Sconfitta, mi sedetti sul marciapiede. Poi mi alzai, indecisa se andare a cercarli o meno, feci avanti e indietro e mi risedetti con le mani nei capelli.

Qualcuno aveva dato del filo da torcere a Chris e lui aveva chiamato i cugini e l'amico. Semplice, era l'unica spiegazione che riuscivo a darmi.

Se almeno avessi saputo dove andare a cercarli, li avrei raggiunti; ma forse sarei stata solo d'impiccio.

Composi il numero di Travis e trovai il cellulare spento. Feci anche quello di Jamie, ma non cambiò niente. Aspettai il bip della segreteria e lasciai un messaggio.

«Brutti infami, la prossima volta che succede qualcosa, evitate di scappare in massa e abbiate almeno la decenza di avvertirmi di cosa succede. E questo vale per tutti, anche per Jess e Chris, perché lo so che sono con voi due smidollati, chiaro? Appena smettete di fare casini e risse, chiamatemi. All'istante».

Ero furiosa. Nessuno mi credeva all'altezza di fare niente, a quanto pareva. Ero solo utile a fare la cretina in delle feste improvvisate? Beh, non era esattamente così.

A passo svelto tornai in casa, ma quando mi girai per richiudere il cancello, vidi il nuovo vicino di Travis e Jamie che mi fissava dalla finestra. Schifata, feci finta di niente e rientrai.

Che pessima giornata, quella.

Passai il resto del pomeriggio chiusa in casa. Bryan chiamò verso le cinque e feci una chiacchierata con lui: il lavoro procedeva bene, Tokyo era bella come si aspettava e nell'arco di una settimana al massimo sarebbe tornato, ma per poco, perché poi sarebbe dovuto ripartire per Londra. Seguii la conversazione con la testa altrove, ma per fortuna Bryan era un monologhista fantastico.

Dopodiché, aspettai e aspettai e aspettai. I Paramore mi tennero compagnia, ma non ebbero il totale effetto in cui speravo.

Quando alla fine squillò il cellulare, mi avventai sul divano per rispondere, senza vedere chi fosse.

«Tesoro, ciao!».

«Jenna?». Che palle, per un momento avevo pensato che fossero loro e mi ero levata di dosso quella sensazione di ansia irreale... E ora, riecco l'ansia attaccarmi come un mostro appiccicoso.

«Sì, proprio io. Senti un po', scusami ma Antonio mi ha chiesto se resto a cena da lui». Rise sulle ultime parole. Rabbrividii.

«Non ti preoccupare, mi organizzo. Come sempre». Mi uscì un tono troppo freddo e insinuante.

«Oh, tesoro, mi dispiace così tanto. Sono una pessima madre, ti lascio sempre da sola», disse un po' affranta.

«Ma no, Jenna, giuro. Non mi costa niente organizzarmi; magari chiamo qualcuno per tenermi compagnia, okay?», provai a tranquillizzarla e liberarla dai suoi sensi di colpa. Ci riuscii fin troppo facilmente.

«Sicura?».

«Divertiti, mammina». Tanto bastò a farla tornare di buon umore, così la chiamata con lei si concluse nel migliore dei modi.

Non fu così per la seconda chiamata, iniziata da me. Alla fine, richiamai Travis. Rispose dopo un po'.

«Hayley, ciao». Niente giochetto di parole con il mio soprannome: cosa diavolo era successo?

«Travis, santo cielo, dove cazzo siete finiti tutti? Ma non l'hai sentito il messaggio che ti ho lasciato in segreteria?». Gridavo come una madre incazzata per lo sforo del coprifuoco del figlio.

«Beh, stavo giusto per richiamarti», si giustificò.

«Bella scusa del cazzo, Travis! Davvero, dove siete voi imbecilli? Tutti e quattro, sia ben chiaro».

«Stiamo... tornando a casa nostra. Tutti da noi, se vuoi venir...». Qualcuno lo interruppe e sentii chiaramente le parole: “Ma sei scemo? Se ci vede così ci fa fuori”.

«Travis», lo chiamai seria e chiudendo gli occhi. Contai fino a dieci.

«Sì?».

«Esigo che tutti e quattro veniate a casa mia. Adesso».

«Ma...».

«Ma cosa? Non stavate andando a casa vostra? Beh, io abito di fronte, direi che non cambia molto. Oppure avete qualcosa da nascondermi?».

Restò in silenzio.

«Perché tanto lo verrei a scoprire lo stesso, giusto?».

«Suppongo di sì».

«E allora muovete le chiappe. All'istante». Riattaccai con troppa foga e iniziai ad aspettare – di nuovo, sai che novità.

Dopo circa una mezz'oretta, sentii le loro voci in lontananza. Aprii la porta prima che arrivassero e li vidi trascinarsi con facce arrabbiate e confuse. Mai tanto confuse come la mia.

Mi misi da parte sul cancello mentre li esaminavo senza dire una parola.

Chris era quello messo peggio: aveva un occhio nero e uno zigomo sanguinante. Jamie e Travis erano un po' rossi e blu in faccia, solo dei lividi da poco. Jess aveva il labbro inferiore devastato. Feci cenno di entrare, in silenzio. Non c'è bisogno che vi dica quanto fossi stanca e arrabbiata, vero?

Quando furono tutti dentro, sbattei la porta. Li fissai uno ad uno, partendo da Jess, che tenne lo sguardo senza timore. Fui io ad abbassarlo, alla fine.

«Ti stavamo per chiamare, Hayley...», iniziò Jamie, ma lo zittii con una mano alzata.

Presi del ghiaccio, dell'alcool e delle garze e iniziai a occuparmi di Chris.

«Qualcuno intanto mi spieghi come avete fatto, forza», li incitai.

«Certo, mammina», mi rispose acido Jess. Lo fulminai e non gli risposi, non mi abbassavo a tanto.

Chris faceva un sacco di storie mentre l'alcool gli procurava bruciori e fastidi continui. Io intanto ascoltavo Travis.

«Hai presente quell'imbecille di Jim?». Si riferiva al bullo della zona che segnava il territorio come un cinghiale, ed effettivamente era proprio quello che era: una bestia animalesca. Tutto gasato, se ne andava sempre in giro a fare il duro, e aveva ragione di farlo, visto che aveva conoscenze che era meglio tenere alla larga. Era stato “il primo della lista” di praticamente tutte le ragazze facili della zona. Era stato il “primo”, ma anche il “secondo”, il “terzo”, eccetera, eccetera. Era... da tenere alla larga, ovviamente. E indovinate cosa ci avevano fatto quei cretini? Esatto, una bella rissa con lui e la sua compagnia poco raccomandabile.

«Sì», risposi senza alzare lo sguardo dalla ferita di Chris.

«Beh, ha fatto un po' il cretino con Chris. Così l'abbiamo raggiunto e aiutato. Fine della storia».

«Avete sfogato abbastanza il vostro eccesso di testosterone?».

«Ma non fare la melodrammatica, sono solo due graffi», rispose brutale Jess.

«Certamente. Adesso sono due graffi, domani è un braccio rotto, dopodomani è la sedia a rotelle o, peggio, uno dei suoi amici drogati che inizia a perseguitarvi. Fantastico». Mi avvicinai a lui e lo guardai con aria di sfida. «Fino a dove vi spingerete, eh? Campioni!».

«Okay, alla fine non è successo nulla di grave, non credo che se la siano presa così a cuore... In fondo, hanno vinto loro, direi», ammise Jamie. Jess sbuffò.

Diedi del ghiaccio ai gemelli e finii di sistemare tutti, mancava solo Jess. Jamie, Travis e Chris tornarono a casa subito dopo che ebbi finito con loro, così restammo in casa.

«Vieni qui, mettici sopra il ghiaccio», dissi dopo aver sbollito un po' di rabbia e ansia. Mi strappò letteralmente la borsina dalle mani. Che sorpresa, era tornato intrattabile.

Si sedette sul divano in silenzio. Iniziavo a chiedermi perché non se ne fosse andato, se gli davo così sui nervi. Mi sedetti di fianco a lui.

«La prossima volta, avvisami».

«È quello che ho fatto».

«Beh, non sei stato così chiaro. E comunque la risposta giusta era: “Non ci sarà una prossima volta”, Jess».

«Dovevo dirti: “Hey, Hayley, sto andando a fare a botte con Jim, non preoccuparti”? E poi, che ne so io se ci sarà o meno una prossima volta? Che discorso demenziale è?».

«Demenziale?», feci incredula. «Vogliamo parlare di una cosa davvero demenziale? Allora parliamo della vostra smania di farvi valere marcando il territorio. La prossima volta cosa farete? Piscerete in lungo e in largo?». Il malumore era tornato alla grande.

«Hayley, non ti rendi conto di cosa stai parlando», mi disse come se stesse parlando ad una bambina incompetente.

«Vaffanculo, Jess», risposi alzandomi di scatto. Senza rispondere, lasciò il ghiaccio sul tavolino ed uscì senza dire una parola e senza degnarmi di uno sguardo.

Senza capire come, salii in camera mia e mi buttai sul letto; poi allungai una mano verso il cassetto del comodino e presi il quaderno delle brutte occasioni.

L'ultima volta che avevo preso quel quaderno, avevo litigato tantissimo con Lara perché lei aveva fatto una cosa che secondo me si poteva risparmiare, ovvero era andata a letto con il già citato Jim. Probabilmente, l'unica che aveva tenuto le gambe ben chiuse in sua presenza ero io. Comunque, era stato proprio un brutto litigio, quello: Lara mi diceva che non dovevo impicciarmi in modo così spudorato nei suoi affari, io le dicevo che stava diventando esattamente come Dana e tutte le sue amichette. Alla fine, tutto si risolse nel migliore dei modi. Non sarebbe di certo stato un bullo da quattro soldi a farci mandare tutta la nostra amicizia a quel paese.

Aprii il quaderno e sfogliai le pagine all'indietro. Prima del litigio con Lara, c'erano pagine e pagine di infinite frustrazioni e incazzature rabbiose. Tutte dettate dall'ingiustizia che lo stesso, viscido e bastardo uomo aveva inflitto non solo a me e a Bryan, ma anche e soprattutto a Jenna. Sfogliai rapidamente, per non leggere neanche una parola: volevo solo vedere quante pagine avessi effettivamente scritto su di lui. Erano tantissime, quasi tutto il quaderno.

Le lacrime mi scesero sulle guance involontariamente, mentre giravo le pagine così violentemente che quasi le strappavo via. Presi l'ultima pagina e arrivai a una facciata completamente bianca. Presi una penna e la stritolai nelle mani fino a che le dita non mi fecero male.

Scrissi cose senza senso apparentemente, che però rimandavano tutte al mio senso di inadeguatezza. La penna strappava e sporcava il foglio di inchiostro che formava parole sinceramente frustrate; non appena segnava una lettera, sembrava che il bianco si lacerasse in due per lasciare spazio a tutto quello che avevo da dire. Ma non ero certa di voler dire proprio tutto.

Maledetto Jess, era stato lui a farmi tornare tutto in mente. Stronzo.

Dopo un po' di pianto silenzioso, riposi il quaderno nel fondo del cassetto, ricoprendolo con oggetti inutili la cui funzione era solo quella di coprire e riparare le mie riflessioni da depressa vera e propria.

Appoggiai la testa al cuscino e tentai di lasciare la mia mente vuota. Era da un po' che un momento di follia del genere non mi coglieva nel bel mezzo della mia vita da adolescente felice e viziata di Beverly Hills.

Sentii la vibrazione del cellulare sul ripiano di legno del comodino, ma lasciai che continuasse indisturbato: io non avrei risposto, non in quel momento. Ma, chiunque fosse, sembrava davvero insistente e deciso. Alla fine mi arresi.

«Pronto?». Mi uscì una voce un po' roca, dovevo ammetterlo.

«Accidenti, sei messa male». Jamie cercava di non prenderla troppo sul serio. «Cosa è successo con Jess? Lui è intoccabile, tu sembri... triste. Cosa diavolo è successo?».

Sospirai.

«Niente. Credo di averlo mandato a quel paese, nulla di che».

«E allora perché ti sento più triste del dovuto? Voglio dire, se io dico “vaffanculo” a qualcuno, si presume che poi non mi dispiaccia così tanto. Oppure è successo qualcos'altro? Hayley, a me puoi dirlo, lo sai». Jamie non cambiava mai: si faceva sempre in quattro per stare con tutti e rendere le vite più facili del dovuto; ed era sempre sincero, costantemente in buona fede. Con tutti.

«Jamie, certo che lo so. Ma non è successo altro, davvero. È solo che mi è sembrata una gran stronzata attaccar briga con Jim e la sua combriccola, e Jess, beh... Mi ha detto che non sapevo di cosa stessi parlando. E io l'ho mandato a farsi un giro». Era troppo facile parlare con Jamie, forse anche più facile che con Lara (anche se lei aveva il vizio di azzeccarci sempre).

«Non te la prendere, Hay, ti prego... Ma tu non sai perché Jess è scattato in quel modo».

«E allora dimmelo. Anche se dubito che la mia opinione in merito possa cambiare».

«No, non posso dirtelo. Poi Jess mi ucciderebbe».

«Come all'asilo, certo. D'accordo, Jamie, ci vediamo».

«No, aspetta, dai. Ho solo paura che lui non voglia passare come la vittima eroica della situazione, capisci? Conoscendolo, non vorrebbe mettersi in mostra. Non con te».

«Eh?». Stavo seguendo con la stessa facilità con cui seguivo una lezione di matematica o, peggio, di geometria analitica. O chimica.

«Avanti, Hay». Sbuffò, un po' contrariato. Poi si arrese e partì: «È scattato perché Jim ha fatto il tuo nome. Ha detto che prima o poi sarebbe riuscito a portarsi a letto anche te, solo che l'ha fatto in modo un po' più esplicito e meno elegante, ecco. E Jess non ci ha visto più».

Mi cadde la mascella e restai ammutolita.

«Stupido Jess, come se ci fosse bisogno di mettere in chiaro il fatto che Jim da me non avrà mai neanche una sola parola».

Dall'altra parte, Jamie rise come se se l'aspettasse.

«Dovresti smetterla di accusarlo. Inizia a vederlo sotto un'altra luce, non ce la fa più a fare finta di niente».

«Ma cosa... Questo è assurdo!», dissi un po' ravvivata. Era innegabile la sensazione di ebbrezza in quel momento.

«Andiamo, non dirmi che non te ne sei accorta, Hay. Non vedi come si comporta quando ci sei tu?». Stava ancora ridendo.

«Jamie, parliamo di me! E di... lui. Andiamo». Jess mi faceva sfigurare, per carità. Era troppo, senza dubbio. «Jess non caga nemmeno di striscio quelle come me, non sotto quell'aspetto. Per favore».

«Mi sa che non ti vedi nello stesso modo in cui ti vediamo noi maschietti, Hay». Arrossii.

«Gesù, Jamie! Ti prego». Era riuscito a farmi sorridere.

«Davvero, giuro! È chiaro come il sole, perciò smettetela di fare toccata e fuga e datevi una mossa, perché se sento di nuovo Chris che parla di te per bocca di Jess, uccido tutti. Anche te».

«Io...». Ero allibita e senza parole.

«Hayley!», mi rimproverò scherzoso.

«Okay, okay. Qualsiasi cosa sia, la smetto». Mi arresi a una risata.

«Ora però non so dove sia», ammise come se volesse che andassi a cercarlo subito.

«Jamie. Dammi un secondo per mettere in chiaro le idee».

«E per chiamare Lara, giusto?».

«Anche per chiamare Lara», confessai.

«Ragazze... Sempre a farvi teorie assurde, quando noi maschioni siamo molto più attivi e pratici».

«Va bene, Jamie, ho afferrato. Adesso vai pure. E grazie, davvero», aggiunsi con un sorriso che mi nasceva spontaneo.

«Quando vuoi». La sincerità si sentiva chiara e forte in ogni singola lettera che aveva pronunciato. Volevo proprio bene a Jamie.

Restai a pancia in su per un po', meditando su quella stranissima conversazione. “Assurdo” era un eufemismo. Era molto più che assurdo, era... inimmaginabile.

Chissà cosa avrebbe detto Lara. Meglio restare con il dubbio per un po', non avrei retto i suoi continui “te l'avevo detto” molto a lungo. Decisi di rimandare la telefonata.

Guardai l'orologio. Come diavolo erano arrivate le otto di sera? E ancora non avevo mangiato decentemente. Dovevo rimediare subito a quel problemino nutritivo scendendo in cucina.

Se fossi uscita a quell'ora, per pura ipotesi, dove avrei potuto trovare – sempre per pura, purissima ipotesi – Jess? O a casa sua, oppure... in giro. Dai gemelli? Ne dubitavo fortemente. E se, sempre per ipotesi, fosse andato a cercare Jim? No, no. Era stupido, ma non fino a quel punto.

Qualcuno suonò alla porta.

Ipotesi.

Nooo... Mi ero davvero bevuta il cervellino. Alla porta, poi? Doveva essere Jenna, ovvio.

Aprii la porta e mi paralizzai. Jenna aveva decisamente cambiato aspetto, e in quel modo mi piaceva molto di più. Per nulla togliere a lei, eh...

Mi uscì una specie di gemito di sorpresa che non riuscii a trattenere.

«E quello cos'era?» mi chiese con un sorriso abbozzato. «Hai ingoiato un moscerino?».

«Io... Non mi aspettavo di vederti proprio qui», dissi a voce inudibile. Il sangue mi ribolliva nelle guance.

«Già. Se disturbo posso sempre passare un'altra volta». Si capiva dalla sua espressione che non era quello a cui mirava.

«No, no», risposi un po' troppo rapida. «Entra pure». Mi feci da parte sulla soglia e lui entrò, guardandosi intorno.

«Jenna è già tornata?», chiese speranzoso. Scossi la testa e sorrise. «Okay».

Calò il silenzio più silenzioso dell'universo, le orecchie iniziarono a fischiarmi.

«A... cosa devo questa tua visita?», riuscii a dire alla fine, sembrando quasi disinvolta. Ma da quando Jess mi faceva quell'effetto? Oh Gesù, fino alla sera precedente era tutto nella norma. Come ero arrivata qui?

Si schiarì la voce.

«Innanzitutto, ti devo delle scuse per come... mi sono rivolto a te. Ero un po' su di giri, scusa. E poi...».

«Allora anch'io ti chiedo scusa per averti mandato a fanculo. Scusa, Jess», lo interruppi. Sorrise nervoso e fece un cenno con la testa.

«Già, beh. Non sei mica la prima che lo fa. Comunque...».

«Sì, ma sono stata abbastanza brutale, davvero. Scusami».

«Ho capito, stai tranquilla. Sono io che ti devo delle scuse in più, non tu. Ma non era solo di questo che volevo parlarti...». Era visibilmente a corto di parole.

«Beh, chiedere scusa una volta in più non può mica nuocere; perciò, ri-scusami, Jess». Mi guardò innervosito.

«La smetti di interrompermi? Ho capito, a me dispiace, a te pure. Siamo pari. Azzeriamo tutto il discorso e lasciami parlare, Hayley». Finsi di chiudermi la bocca con una chiave e buttai la mano dietro le spalle, come per gettare la piccola, insignificante chiave invisibile. Aspettai che iniziasse, ma non partiva.

«Okay. D'accordo. È abbastanza difficile da... spiegare, e, in tutta onestà, non ho la minima idea di come fare. Dammi un secondo per raccogliere le idee». Mi strinsi nelle spalle, un po' preoccupata e impaziente, ma sempre con la bocca ben serrata.

Dopo qualche secondo di silenzio, densissimo di curiosità e ansia, Jess si sedette sul divano e mi fissò a lungo, fino a che non fui costretta a distogliere lo sguardo dagli smeraldi che avevo puntati addosso.

«Hayley», mi chiamò. Riluttante, alzai lo sguardo, aggrottando la fronte. Gli sfuggì una risata. «Non fare quella faccia, non sei in tribunale, nessuno ti accuserà».

«Okay. Capirai anche tu che, però, questa attesa è un po'... No?». Avevo perso le parole.

«Avevi detto che non mi avresti interrotto».

«Ma mi hai interpellata!», mi difesi. Tecnicamente, non era vero. Comunque.

«Questo non è vero, la mia era solo una considerazione. Comunque, richiuditi la bocca finché non avrò finito, così mi sarà più facile».

«Inizia col cominciare, e allora sì che sarà più facile».

«Hayley!».

«Scusa». Mi cucii la bocca e alzai le mani, in segno di resa.

«Grazie tante. Adesso ho perso l'ispirazione». Risi della sua frustrazione, ma mi guardai bene dal parlare.

Si alzò dal divano e fece un paio di passi avanti e indietro, avanti e indietro, avanti e indietro. E lo fece ancora e ancora e ancora. Poi scoppiai.

«Jess! Accidenti, datti una mossa!». Si bloccò un po' confuso.

«Credo che il modo migliore non sia con le parole», disse quasi solo a se stesso. Non capii subito quella frase, ma non appena fece due passi svelti verso di me, un campanellino trillò nella mia testa.

Dio, non era reale.

Mannaggia a Lara.

Mi prese la testa con tutte e due le mani e restò fermo a due millimetri dalla mia bocca, un po' indeciso.

Andiamo, ormai era così vicino! Non si sarebbe mica tirato indietro, vero?! Non se era arrivato fino a quel punto.

Passarono pochi secondi – che mi sembrarono anni, se non secoli – durante i quali restammo completamente immobili e vulnerabili.

In quel preciso istante, la serratura scattò, ed entrambi facemmo due passi indietro, in direzioni opposte, con le guance più rosse di due ciliegie.

«Jenna!», esclamai con la voce acutissima, così stridula che io stessa mi spaventai. Lei ricambiò con una faccia dapprima confusa, poi da esperta. Poi sinceramente dispiaciuta, come se si sentisse fuori luogo – e lo era. La mia mente le stava gridando: “Mammina, che fine ha fatto il tuo fottutissimo Antonio?”.

«'Sera, signora Smithson», salutò educato Jess, con una mano sulla nuca e l'altra in tasca.

«Ciao, ragazzi. Ho solo dimenticato il portafoglio. Tolgo subito il disturbo». Sgattaiolò in casa e in meno di due minuti – durante i quali io e Jess evitammo accuratamente di guardarci in faccia – fu di ritorno, con una faccia colpevole e implorante perdono. Altro che perdono, cara la mia Jenna. Salutò svelta, ancora imbarazzata (ma non più di noi) e uscì di corsa. Lessi il suo labiale sulla soglia della porta e diceva: “Scusami, tesoro, davvero”. Feci finta di niente e chiusi la porta lentamente, per rimandare di ancora qualche secondo il momento più indecentemente imbarazzante della mia vita.

«Perfetto», esordì Jess, ancora nella stessa posizione di prima. Non si era mosso di un millimetro.

«Il tempismo di Jenna? Già».

«Beh. Penso che tu abbia afferrato comunque il messaggio che volevo farti arrivare». Era molto più a disagio di me. Così, mi limitai ad annuire poco convinta. Ma c'era un punto che non avevo ancora messo a fuoco, e non era così indifferente. Anzi.

«Jess?». Mi guardò disorientato.

«Sì?», disse esitante.

«C'è solo una cosa che dovresti mettere in chiaro». Ero curiosa della sua risposta. «E cioè: cosa diavolo significa?».

Restò paralizzato.

«E io che ne so?», sbottò alla fine, quasi come se l'avessi appena offeso.

«Come tu che ne sai? Mi prendi per il culo? Tu hai... Insomma, dovresti saperlo meglio tu, no?», feci strabiliata dalla sua schiettezza per nulla soddisfacente.

«Io?». Il suo tono era sinceramente sorpreso. La misi sul ridere, anche se c'era una gran poco da ridere.

«Già», risposi sarcastica.

«Oh, io volevo solo mettere le carte in tavola, ora sta a te. Io non ce la facevo a fare finta di niente con te, così... Insomma, adesso lo sai, ma è il tuo turno adesso».

«COSA?!», gridai con voce così stridula che i cristalli in casa tremarono. «E che cavolo di funzione ha la frase “è il tuo turno adesso”?!». Ero completamente, totalmente e permanentemente allibita. Senza parole. Lui mi aveva trascinata in quella... cosa, e adesso io dovevo tirare fuori entrambi? Ecchecacchio, non ero mica Wonderwoman!

«Ti sei incazzata con me perché mi sono fatto avanti?», gridò anche lui.

«E quando ti saresti fatto avanti, esattamente? Non me ne sono accorta», sibilai perfida e con un ghigno cinico stampato in faccia. Fece per rispondermi qualcosa, ma le parole gli si bloccarono in bocca. Poi ripartì alla carica, con più foga di prima, tanto che feci un passo indietro per evitarlo.

«Ma allora sei stronza forte! Porca vacca, ti faccio vedere io quando mi sono fatto avanti!».

A grandi passi azzerò quella poca distanza che si era formata e mi mise le mani in faccia – in senso buono, tranquilli. Si appropriò della mia bocca, letteralmente. Faceva tutto lui, giuro, ma lo faceva così bene che fu inevitabile trovarmici alla perfezione. Se all'inizio ero stata passiva, beh, dopo un po' ci presi la mano e... altro che passiva. Anch'io misi avanti le mani, fino a che non fummo costretti a prendere una boccata d'aria. Non credevo di poter essere così “vivace”. E non credevo che potesse essere così “accondiscendente”.

«Hai afferrato, adesso? Mi sono fatto avanti abbastanza esplicitamente?», sussurrò nel mio orecchio con un che di sfida, ma era vulnerabile pure lui. Eccome.

Se solo quella sera avessi saputo a quali casini avrei dato origine a partire da quel preciso momento, forse ci avrei pensato due volte prima di lasciarmi credere che tutto stesse andando alla perfezione.

Decisamente.

   
 
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