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Autore: KH4    13/09/2012    2 recensioni
Quando Nami aveva espressamente detto di non combinare alcun guaio, intendeva cose del tipo “Non attirate troppo l’attenzione con le vostre buffonate”, “Non fatevi vedere dalla Marina” o “Evitate di scatenare l’ennesimo pandemonio”. Insomma, i classici avvertimenti che non mancavano mai di essere ripresi e ripassati. Ma tra questi e l’infinita serie di avvertimenti da lei elargiti, nessuno aveva mai parlato di ragazze isteriche trasportanti in spalla, come sacchi di patate, fratelli mezzi dissanguati e seguite a ruota da innocenti bambine con grandi occhi azzurri. Un evento decisamente più normale del solito, umano, per dirla nella giusta maniera, ma, sicuramente, non privo di sorprese, se si teneva conto del fatto che, a portarli sulla nave, era stato proprio Rufy. (estratto del capitolo quattro).
 
Il Nuovo Mondo è pronto ad accogliere Rufy e la sua ciurma, tornati insieme dopo due anni di separazione; lasciatisi alle spalle l'isola degli Uomini Pesce, i pirati approdano su di un'isola, dove incontreranno un piccola amante della pirateria, bisognosa di aiuto. Spero di aver stuzzicato la vostra curiosità, ragazzi!
Seguito di “Giglio di Picche.”
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Monkey D. Rufy, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Lo scrosciare della pioggia era intenso e continuo, con tuoni nascosti nelle nuvole grigie e onde smorzate dal vento. Un tempo insolito e orribile per San Lorein, sempre baciata dal sole e da un clima piacevolmente temperato.  Faceva quasi senso vederla in quello stato, tutti i suoi meravigliosi giardini si stavano riempiendo di acqua e fango e le mura, pesantemente bagnate, erano diventate scurissime. I rintocchi delle campane si facevano largo fra le vie, accompagnando i cadenzati passi di ogni abitante della città; le mani di tutti reggevano dei semplici fiori bianchi, cercando di non stringerne il gambo esile e morbido. Gli occhi erano abbassati, pieni di lacrime che venivano versate silenziosamente e che si mischiavano con l’acqua piovana. La marcia era lenta e lunga, tutta concentrata su una candida bara dagli ornamenti dorati che sfilava al centro del corteo, su cui sopra era stato steso un raffinato telo rosso avente ricamato il simbolo di San Lorein, la preziosa ala argentata che tanto vantava.

Era accaduto l’impensabile, una perdita mai successa.
Il Master era scomparso. Elijah Van Incardine era morto.

Seduto su di un lungo divano, in uno dei tanti corridoi del palazzo, Lars non faceva che contare le gocce picchiettanti sull’ampia vetrata che gli stava davanti. Dall’alto dei suoi quindici anni, quello era l’unico passatempo trovato che non lo distogliesse troppo dai pensieri attuali: pensava a Eliah, a sua madre e al signor Eliorath, ma senza riuscire a comprenderne appieno il dolore. Una cosa che lo fece sentire un verme. Elijah Van Incardine si era sempre mostrato duro nei suoi confronti, per certi versi crudele, ma era il padre del suo migliore amico e in quel momento non poté che essere dispiaciuto per lui, sicuramente vicino alla tomba del parente per l’ultimo saluto.

“Lars, sei qui.”

La voce stanca e roca del signor Eliorath attirò l’attenzione dell’albino, stupendolo per il fatto che l’anziano signore fosse a pochi metri da lui e non insieme alla sua famiglia. Si appoggiava a fatica al suo bastone, come se un dolore indescrivibile gli avesse attanagliato le gambe ossute e atrofizzate, ben nascoste sotto l’abito da cerimonia leggermente bagnato sul fondo. Il viso era sciupato, tirato e con tante rughe ad appesantirne le palpebre semichiuse e assonnate. Osservandolo sedersi vicino a lui, Lars lo vide emettere un lungo e profondo espiro dal naso, seguito da un silenzio scandito dal rumore della pioggia. Subito, la confusione lo assalì e non volendo rischiare di dire o fare qualcosa di offensivo, s'impegnò a cercare nei proprio pantaloni qualcosa di straordinariamente interessante. Avrebbe dovuto dire qualcosa, una parola di conforto; la bolla formatasi nella gola non faceva altro che ingigantirsi, battendo contro i suoi denti per il voler uscire, ma non era certo che, parlando, avrebbe alleggerito la condizione emotiva del signor Eliorath.  
Un fulmine si gettò in mare, squarciando il cielo e illuminando parzialmente il corridoio. Il bagliore giallastro svanì in pochissimi secondi e non appena l’ultimo rombo svanì, la bocca dell’albino si dischiuse.

“Mi dispiace per suo figlio”, disse Lars, con voce sottile “Non sapevo che fosse malato…”
“Come tutti, ragazzo. Come tutti…”, mormorò rammaricato il signor Eliorath, visibilmente distrutto per il rientrare nel gruppo di quelle persone che era rimasto all’oscuro della verità.

I Van Incardine erano conosciuti e apprezzati per molte qualità, ma andavano a braccetto con un orgoglio troppo smisurato per una sola e unica persona. Elijah Van Incardine si era sempre mostrato come un uomo d’onore, severo ma giusto, in grado di sprigionare e calibrare il potere di Magdala con impeccabile precisione. La gente lo ammirava per tutto questo e per come vigilava sulla città, passeggiando fra le sue vie e proteggendone i confini. Osservando attentamente il suo sguardo vigile e il portamento fiero, nessuno sarebbe mai arrivato a pensare che una malattia dalla natura misteriosa ne stesse consumando il corpo, ma era successo. Tutto si era svolto troppo rapidamente perché la gente o i familiari potessero accorgersi del suo viso pallido e imperlato di sudore, dei suoi occhi infossati o di quel sospettoso tremolio che gli avvolgeva le mani quando impugnava la Domatrice Scarlatta. Si era sempre mostrato forte, Elijah Van Incardine, abbastanza da non contorcere il suo viso in smorfie sofferenti. Nessuno aveva scorto cambiamenti in lui, neppure il signor Eliorath, più amareggiato del fatto di non essersi accorto delle condizioni fisiche del figlio che di averlo perso. Un padre conosceva i propri figli meglio di chiunque altro, anche se questi tendevano sempre a nascondere qualcosa della propria personalità: era una sorta di potere che si acquisiva una volta diventati genitori e che si irrobustiva con gli anni, ma il signor Eliorath, in quel preciso istante, osservando lo scrosciare della pioggia, pensò semplicemente di essere venuto meno al suo dovere di padre.  

“Ti sono grato per essere amico di mio nipote”, mormorò dopo quel lunghissimo attimo di silenzio “Non fa che parlare di te, in continuazione.”

Per tutta risposta, Lars mormorò un “Grazie” imbarazzato.

“Mio figlio non ha mai visto di buon occhio la sua amicizia con te, ma immagino che tu lo sappia già”, riprese l’anziano signore “E non ti nascondo che abbia rimproverato duramente Eliah per questo.”

Lars non si sorprese di quelle parole, ma inclinò ugualmente lo sguardo verso il basso. Con quindici anni appena compiuti, sembrava aver preso definitivamente controllo di tutte le proprie facoltà mentali già ben sviluppate, compresa una maggiore lucidità riguardo quelle consapevolezze che spesso cercavano di fargli perdere sicurezza: in quanto figlio del Master di San Lorein, Eliah non avrebbe mai dovuto avere a che fare con lui, se non durante gli allenamenti. Era l’orgoglio della classe, la punta di diamante che riusciva sempre a distinguersi in ogni situazione e questo, insieme ad altre ragioni etiche, avrebbe dovuto evitare qualsiasi contatto con lui, lo straniero dai capelli argentati. Ma era capitato e non per volere di Lars: Eliah si era fatto avanti, Eliah aveva preteso di conoscerlo e sempre Eliah aveva più volte affermato quanto fosse importante per lui averlo come amico. Era stato punito? Probabile, conoscendo la severità del padre, ma il fatto di avere il suo stesso carattere gli impediva categoricamente di lasciar perdere tutto, sebbene potesse risultare un’offesa nei confronti del proprio cognome.
Nel profondo di sé, Lars era felice di avere un posto speciale nel cuore dell’amico, lo era sempre stato, ma come un  secondo fulmine squarciò il cielo, si ricordò di quanto ora quest’ultimo stesse soffrendo e di come lui fosse impotente davanti alla sua tragedia. Aveva un sentore, un nodo all’altezza dello stomaco che non riusciva a sciogliere in alcuna maniera e sebbene fosse perfettamente al corrente che altri non era che una sensazione scaturita dalla sua stessa mente, strinse con forza la maglia all’altezza del busto.

“Lars…”, lo chiamò poi il signor Eliorath, alzatosi in piedi e direttosi alla finestra.
“Si?”
“Noi Van Incardine….siamo molto testardi”, gli rivelò dopo una sfuggente esitazione “Siamo sempre i primi a scendere in battaglia e gli ultimi ad andarcene e non lasciamo mai che le nostre convinzioni incontrino dubbi. Io lo sono stato per molto tempo, Elijah pure e so che Eliah, presto, mostrerà più apertamente questo temperamento. Gli eventi di questi ultimi giorni lo influenzeranno parecchio”, affermò poi, dopo un’altra esitazione “Non ne ho la certezza, ma so che per lui, ora, sarà più difficile di prima. Sai quanto ci tiene a diventare un Master.”
“Si, signore. Lo so.”

Come far finta di non sapere quale fosse il sogno più grande di Eliah, quando quest’ultimo ne parlava in continuazione? Perfino il Saidan, se avesse ricevuto il dono della parola, lo avrebbe confermato. Il signor Eliorath conosceva bene i desideri del nipote in ogni dettaglio e angolazione, ed era lì che stava la sua preoccupazione: escludendo la bravura, il desiderio e l’incrollabile fedeltà, Eliah era ancora un ragazzino di quindici anni, scombussolato dalle proprie emozioni e troppo giovane perché gli fossero date delle responsabilità più grandi delle sue spalle. Fra i candidati era certamente quello che aveva più possibilità di diventare il prossimo protettore della città, ma era ancora troppo presto per esprimere un giudizio al riguardo, anche se era un Van Incardine; attaccati o meno alle tradizioni, gli altri saggi non erano capaci di prendere decisioni alla leggera, senza contare che non si sarebbero mai permessi di anticipare il grande torneo e la cerimonia solo perché, per la prima volta, San Lorein era senza Master. Come situazione rimaneva grave, ma accelerare i tempi non avrebbe fatto altro che portare ulteriore scompiglia in città, mettendo suo nipote con le spalle al muro e violando quelle tradizioni a loro tanto care.

“Lars..”, lo chiamò nuovamente, ma girandosi verso di lui “Devo chiederti un grosso favore.”
“Mi dica.” Il ragazzino non ne fu totalmente sicuro, ma gli parve che il signor Eliorath lo stesse supplicando.
“Mancano due anni alla tua partenza”, cominciò l’anziano, avvicinandosi a lui e posandogli le mani rugose sulle spalle “Fino ad allora, vorrei che tu continuassi a rimanere amico di mio nipote e che gli insegnassi quello che noi Van Incardine.. .no”, si corresse “Che tutti quanti noi abbiamo dimenticato.”

Lars sbatté le palpebre un paio di volte, senza capire il perché di quella richiesta. Inarcò pure le sopraciglia, ma questo non l’aiutò comunque a cogliere che cosa stesse dietro al viso solenne e stanco del signor Eliorath.

“Quello che avete dimenticato?” ripetere a bassa voce quella frase non lo aiutò comunque a capire cosa intendesse il signor Eliorath.
“Sono sicuro che Eliah ti abbia raccontato in che modo la nostra tradizione sia cominciata”, disse lui, riprendendo molto velocemente il discorso “Magari le mie parole non avranno senso adesso, ma se osserverai con attenzione questi due anni, ti renderai conto che i Senza Volto non sono mai stati realmente sconfitti. Non conta quello che dicono le pergamene o i libri: ormai loro si sono talmente insediati nella città da essere invisibili. Perfino Eliah, nonostante la tua vicinanza, non riesce a vederli…"

L’amarezza con cui pronunciò quelle parole lasciò trapelare una minima parte di quella colpa che appesantiva il suo anziano cuore, provato da un tempo che non aveva avuto pietà neppure per lui. Lasciando che i fulmini stracciassero il cielo come fosse carta, Lars lasciò che il signor Eliorath continuasse, incapace di fermarlo o di chiedere qualcosa; sebbene tutto ciò sembrasse assurdo, in una piccola e remota parte della sua coscienza, egli capì che non lo era e che da quel momento in poi, tutto sarebbe stato diverso. Sia per lui, che per Eliah.
Aveva questo sospetto, lo percepiva crescere, ma non gli avrebbe permesso di attaccare il legame d’amicizia che c’era fra lui e l’amico, che rendesse quest’ultimo diverso da quello che era. Il fatto che non riuscisse a vedere i Senza Volto era eclatante, perché non ci voleva poi molto a immaginarlo con una spada in mano, pronto a cacciare chiunque volesse rovinare la sua isola. Non ci avrebbe pensato due volte a farlo, ma quelle creature tanto odiate da San Lorein erano qualcosa di più fittizio che un semplice pezzo di storia dell’isola; Lars ne aveva avuto il sospetto fin dall’inizio.

“Stia tranquillo: glieli farò vedere io, anche a costo di rompergli la testa”, affermò improvvisamente il ragazzo, con placidità.

Un leggero sorriso rincuorato fece capolino sulle labbra del signor Eliorath, il cui viso cereo, sotto i colpi dei fulmini, appariva ancor più scolorito del solito.

“Mi fa piacere sentirtelo dire”, mormorò, con sorriso affaticato.



Aveva detto che si sarebbe prodigato a far aprire gli occhi a Eliah con quella sua solita faccia piatta e sicura che faceva tanto incavolare sua sorella. Sembrava dare per scontato la reale portata di quell’impresa, ma Lars non si era mai permesso di valutare le cose con un solo e unico metro: Eliah aveva una capoccia più dura della sua, il che era sufficiente per richiedere tutta la sua buona e santa pazienza. Quando s'imputava, fargli cambiare idea o illustrargli quelle conseguenze che il suo istinto tendeva a occultare era un’impresa pressoché impossibile, poiché niente pareva essere abbastanza creditabile da farlo riflettere sulle proprie decisioni. Prima o poi Eliah sarebbe incappato in un muro più solido della sua testa e Lars voleva provare quanto meno a fermarlo prima che si ritrovasse a terra con un bernoccolo di colossali dimensioni. Ci aveva già provato in passato, e tutte le volte aveva incassato una sconfitta che lo aveva costretto a camminare a carponi per raggiungere il dormitorio, rimanere appiccicato al soffitto per evitare che le guardie beccassero lui e l’amico o cercare di trovare l’uscita delle gallerie sotterranee di San Lorein. Chiari esempi che dimostravano quanto fosse facile per Eliah trascinarlo dove voleva e quando più gli aggradava.

Erano amici, quasi fratelli, ma l’affrontare i giorni successivi alla morte di Elijah Van Incardine fece scoprire a Lars quanto poco bastasse perché anche il più solido dei mondi si capovolgesse.
Aveva detto che si sarebbe prodigato a far aprire gli occhi a Eliah con quella sua solita faccia piatta e sicura che faceva tanto incavolare sua sorella, ma non poteva, non più. In breve tempo, ebbe modo di scoprire quanto Eliah somigliasse al padre, quanto il suo carattere vivace e solare potesse diventare freddo e distaccato come quello del parente. Fu un cambiamento repentino e crescente, che vide porre un’altissima barricata fra lui e il ragazzino. Non c’era stato un “Perchè” o una spiegazione al riguardo, un momento che costringesse entrambi a guardarsi in faccia e parlare apertamente, solo un distacco silenzioso di cui Lars comprese la ragione: conosceva troppo bene Eliah per pensare che avesse fatto finta di essere suo amico o che lo avesse sempre e solo considerato un “Passatempo”, così come ne conosceva l’ambizione e la gioia nell’appartenere alla casata dei Van Incardine. Essere forte come il padre e diventare un Master eccezionale quanto lui rappresentavano il sogno di tutta una vita, ma con un peso tale da costringerlo a trasformare tutto ciò in un dovere nei confronti di San Lorein.

La città era senza un Master. I saggi e suo nonno si impegnavano perché la tranquilla quotidianità della gente non ne risentisse.
Sua madre, una donna di grande forza morale, cercava di non dare a vedere quanto la morte improvvisa del marito l’avesse ferita.
Nessuno gli aveva chiesto o imposto qualcosa, nessuno lo aveva forzato, ma Eliah si era comunque prodigato a far sì che il consiglio vedesse in lui un’ancora di salvezza per quell’orribile situazione, diventando la coppia sputata del padre - salvo i ghigni strafottenti che aveva preso a lanciargli giusto per ricordargli la sua posizione -.

Era cambiato tutto e senza che Lars potesse intervenire. Tagliato fuori, l’albino si era ritrovato isolato più che mai, con solo i suoi pensieri e quelle poche visite al Saidan. Non era lo stesso senza Eliah, ma andarci era diventato un bisogno impellente, tanto che il suo cuore batteva spasmodicamente contro la gabbia toracica quando ci pensava. Salire lentamente gli scalini gli accorciava il fiato, lasciando che le pulsazioni nelle vene fossero più percepibili: Il suo corpo impazziva, veniva colto da una strana tensione, con tanto di brividi quando si sedeva e posava gli occhi sull’unica delle cinque armi presenti che attirasse la sua attenzione. Non ricordava di preciso quanto tempo avesse passato a guardare Saphira, ma considerati tutti i pensieri fatti, le riflessioni - e anche qualche curiosa battuta su d'essa - , doveva essere tantissimo. Riuscire a comprendere la sua diversità e tutto ciò che si nascondeva in questa, era la più grande e personale sfida che Lars si fosse mai imposto: a dispetto di quel poco che aveva scoperto al suo riguardo, l’albino era sicuro che Saphira non fosse spenta come tutti quanti pensavano. Gli bastava chiudere gli occhi davanti al piedistallo per immergersi in un inconsueto sprofondare dove sentiva quel minuscolo richiamo che, sempre più spesso, gli attraversava la spina dorsale. Aveva imparato quella sorta di “Rituale” a memoria, scandagliandone i dettagli e appropriandosene come se fosse sempre stato suo: abbassate le palpebre, i fuochi che illuminavano il Saidan e il loro crepitare, svanivano nel nulla, insieme al blu della notte e allo zampillio della fontana. Un insolito freddo si attaccava alla sua pelle, avvolgendolo interamente nel mentre avvertiva gli abissi marini gorgheggiargli intorno. Era tutto buio, ma poi, ecco che lo sentiva: il debole suono di una goccia d’acqua che s’infrangeva in un grandissimo oceano, seguito da un flebile bagliore azzurrognolo scintillante e sfuggente come una lucciola. Lars non era mai riuscito ad afferrarlo.

Non c’erano parole, immagini, eppure vi era una fine sintonia, una comprensione che l’albino percepiva giorno dopo giorno, sempre più palpabile, più viva.
Fu questo a non fargli pesare troppo il cambiamento di Eliah e l’atteggiamento nei suoi confronti. Per quanto il suo viso fosse diventato imperscrutabile, non avrebbe esitato se questo avesse deciso di spiegargli tutto e di ricominciare da capo. Ma per questo, ormai, era troppo tardi: i due anni erano volati e ognuno doveva andare per propria strada. Lars aveva avuto il buon senso di rimanere sulla sua e di proseguire senza mai abbassare la testa, arrivando così al suo ultimo giorno a San Lorein……



Festa. Tripudio. Felicità.
San Lorein ne era piena, tanto da traboccare come un vaso per la troppa acqua. Era un giorno clamoroso, quello, dove migliaia di colori e grida eccitate accoglievano il nuovo Master della città. Eliah Van Incardine era il nuovo capo dell'isola, ora sfilante fra le vie, seguito dagli altri allievi dell’accademia. Alla fine le preghiere della gente erano state esaudite. Il grande torneo lo aveva visto eccellere e la cerimonia all’interno del santuario si era svolta senza intoppi o imprevisti: inginocchiatosi davanti al piedistallo, il neoeletto era stato giudicato e accettato dalla Domatrice Scarlatta, Magdala, la cui lama rossa ardeva con splendore sfacciatamente superbo. Era un giorno felice, pieno di ragioni per cui uscire di casa e alzare le braccia al sole, ma Lars non rientrava in quella schiera che comprendeva tutta l’isola. Non che non fosse felice di andare via da San Lorein, solo che non sapeva esprimere bene che cosa stesse provando in quel preciso momento. Diventato ancora più maturo di quanto già non fosse a quindici anni, l’albino aveva finito di raccogliere i suoi effetti personali e di metterli nella sacca da viaggio; la nave che lo avrebbe riportato a casa non era ancora arrivata, mancava ancora un’oretta e mezza al suo approdo, quindi aveva tutto il tempo per farsi un ultimo giretto panoramico.

Sprecando un piccolo commento al riguardo di quella stanza che aveva condiviso con altri compagni per lungo tempo, il ragazzo s'incamminò verso l’uscita: attraversò qualche corridoio e il campo d’addestramento, vuoto e silenzioso come poche volte, salendo i gradini con la mano destra affondata nella tasca e la sinistra artigliata ai lacci del sacco che era appoggiato alla sua schiena. Le ciocche argentate gli solleticavano il collo e le ciglia degli occhi, ma senza arrecargli fastidio: non aveva mai pensato di tagliarli, gli piacevano così. Fra le molte cose a cui pensò - oltre al chiedersi cosa fosse diventata sua sorella e come stesse sua madre -, Lars pose lo sguardo verso gli edifici centrali di San Lorein. Là il vociare era alto, sintomo che Eliah doveva trovarsi in quella zona.

In un suo flebile sospirare, sorrise per il fato del coetaneo, dedicandogli un veloce augurio prima di voltarsi e dirigersi verso il porto. Seppur l’avesse sconfitto durante la finale, Lars non aveva motivo di avercela con Eliah: non gli era mai interessato vincere quel torneo, non era una cosa che lo riguardasse, non quanto a Eliah, fattosi valere più di chiunque altro. Un secondo posto non era nulla di cui vergognarsi, ma a breve quello sarebbe diventato un semplice ricordo: il porto lo aspettava e anche se, con tutta probabilità, non ci avrebbe trovato nessuno, avrebbe pazientato fino all’arrivo della nave. Prendere la via più larga gli parve la scelta più sensata: almeno si sarebbe risparmiato un’esauriente razione di occhiatacce, mormorii e affini, per non parlare dell’altezzosità del consiglio. Avrebbe fatto un piacere a tutti, lui compreso.

“Sei già pronto a partire, vedo.”

L’improvvisa comparsa del signor Eliorath, fece sì che gli occhi di Lars si alzassero di qualche millimetro, giusto per vedere in faccia l’anziano signore. Ci aveva rinunciato a capire come accidenti facesse a sbucare fuori dal nulla e senza che lui ne avvertisse la presenza.

“Non dovrebbe trovarsi qui. Eliah avrà mandato qualcuno a cercarla”, gli disse il ragazzo con placidità.
“Lo so, ma ho pensato che sarebbe stato bello permetterti un’ultima visita al santuario. Non avrai creduto che non mi sia mai accorto di tutte le volte che ci sei andato, spero.”
“Mi sembrava strano che le guardie si volatilizzassero di punto in bianco….” con un mezzo sorriso stampato in faccia, l’albino scosse debolmente la testa.

Il signor Eliorath sorrise, distendendo quelle lunghe e folte sopracciglia bianche che ricoprivano parzialmente i loro occhi.

“Coraggio, andiamo. Sono sicuro che le farà piacere salutarti”, affermò poi il saggio.

Quel “Le” fu sottolineato talmente bene, che Lars non faticò a realizzare che il signor Eliorath sapeva tutto. E  con tutto, intendeva dire proprio tutto. Non c’era nulla di cui stupirsi, quell’anziano signore era tanto calmo quanto imprevedibile, abbastanza perché lui non perdesse il controllo quando ci aveva a che fare. Non era un caso che fosse venuto proprio lì, nel giorno più importante di suo nipote. Lars ne era fin troppo sicuro, poiché l’anziano aveva compiuto la medesima azione durante il funerale di suo figlio. Un ricordo che fece tornare a galla il fallimento con Eliah.

<>, pensò nel salire i gradini che conducevano al Saidan, aiutando temporaneamente il signor Eliorath.

Non aveva mai portato rancore al neoeletto, nè lo aveva odiato per come aveva preso a trattarlo dopo l’incidente. Rimproverava solo se stesso per non essere stato l’amico che Eliah, invece, era stato per lui. Andarsene in silenzio era una sorta di regalo di buona fortuna per il regime, sebbene avrebbe ottenuto i pieni poteri una volta compiuti i diciotto anni. Poteva quasi dire di essere felice per lui…ma il sentore che tutto quel che circondava Eliah, che tutto quello che il ragazzo aveva ottenuto possedesse una qualche imperfezione, lo teneva sveglio più che mai. Lui sapeva tutto, ci era arrivato, cogliendo quella verità che avrebbe colpito l’orgoglio irascibile di Eliah nel suo punto più scoperto. Ne aveva colto la semplicità, i meccanismi e le sfumature che la rendevano così dannatamente reale, ma crudele per un Van Incardine, specie per Eliah, paragonabilissimo a un libro aperto .
L’avvertire il pigro smuoversi dell’acqua della fontana ruppe il suo riflettere, portandolo a guardare il piedistallo che stava al centro. Vederlo di giorno era tutta un’altra cosa: i dipinti del soffitto erano più chiari e con colori vivaci, non c’erano ombre o fuochi ad animarle. Per la cerimonia erano stati portati anche dei fiori, i cui petali erano sparsi un po’ dappertutto.
Lars appoggiò la sacca a terra, raggiungendo il signor Eliorath, messosi sul bordo della fontana e con la schiena leggermente curva. Stava solo aspettando che lui si avvicinasse, che gli venisse vicino cosicché da parlargli senza ricorrere a inutili ripetizioni: l’albino non avrebbe faticato a introdursi nel santuario un’ultima volta, ma l’essere stato portato lì dall’anziano era un fatto che avrebbe lasciato chiunque perplesso, poiché non avrebbe dovuto trovarsi lì. Era fin troppo lampante che stesse progettando qualcosa, e stava a Lars scoprirlo, sebbene qualche sospetto già ce l’avesse …..

“Allora...”, cominciò lui, una volta che fu accanto all’anziano “A che genere di prova vuole sottopormi?”
“Pensi che ti abbia portato qui per saggiare le tue abilità di spadaccino?” gli domandò.
“No, quelle ha già avuto modo di giudicarle al torneo”, rispose il ragazzo, con le mani infossate nelle tasche “Lei è una persona magnanima, ma che non fa mai nulla se non per accertarsi di qualcosa, altrimenti non si sarebbe mai permesso di piantare in asso Eliah nel suo giorno più importante.”

Una rocca e flebile risata increspò le labbra rugose del signor Eliorath, sorpreso per l’essere stato preceduto sul tempo e scoperto così velocemente. Riuscire a cogliere di sorpresa quel ragazzo era impossibile.

“Hai ragione, non ti ho portato qui per vedere come maneggi una spada. In realtà, volevo solo chiederti perché non hai combattuto seriamente contro Eliah.”
“Cosa le fa credere che non abbia fatto sul serio?”
“Suvvia, Lars! Sono vecchio, ma non cieco! Dimmi come stanno realmente le cose”, ridacchiò il signor Eliorath.

La domanda indiretta e l’esclamazione successiva costrinsero il cuore dell’albino a stringersi e a riprendere il proprio lavoro dopo un lungo e interminabile secondo. Il suo viso non si deturpò e non sentì l’impellente bisogno di serrare i pugni per l’essere stato scoperto. In tutta franchezza, si sarebbe stupito di più se uno come il signor Eliorath, sempre ben attento anche alle piccolezze, non se ne fosse accorto. Il suo timore lo aveva concentrato su Eliah, la cui foga durante la finale lo aveva spinto a difendersi e a schivare i suoi molteplici affondi, senza contrattaccare con tutta la sua forza. Era istintivo, ma non stupido, e si sarebbe reso conto seduta stante se qualcosa non fosse andato come aveva programmato: regalargli spudoratamente la vittoria lo avrebbe solo adirato, fatto sentire un debole, cosa che non era, per questo Lars si era impegnato affinché quel combattimento non risultasse facile. Non era un comportamento degno di uno spadaccino, ma aveva avuto un valido motivo per agire in quella maniera.

“Che posso dire….sono un codardo”, rispose con noncuranza lui, massaggiandosi il collo “A qualcun altro avrei potuto raccontare che non mi interessava vincere quanto Eliah o che lui era talmente forte da indurmi a pensare che fosse inutile provare a impegnarsi, ma non l’avrei mai data a bere a suo nipote. Se c’è una cosa che so, è che odia i favoritismi e chi lo lascia vincere senza impegnarsi. Io ci ho provato a fare sul serio, ma… credo di essermi lasciato convincere delle mie stesse bugie, per questo ho perso. Ed è meglio così.”
“Perché? Non ti sarebbe piaciuto essere un Master?” lo stuzzicò l’anziano.
“No, e se proprio ci tiene a saperlo, questo è un altro motivo per cui Eliah ha vinto: lui ha a cuore le sorti della sua città, io no”, fu la risposta secca dell’albino.
“Ma questo non significa che tu non tenga a qualcosa di altrettanto importante, dico bene?” lo inchiodò il signor Eliorath.
“Non mi faccia domande di cui sa già la risposta”, lo liquidò velocemente il ragazzo, con lo sguardo nascosto dalla frangia.

Se il signor Eliorath era tanto bravo a capire anche le questioni più buie, Lars eccelleva nell’uscirne senza intoppi o incastri. Che Eliah lo avesse allontanato, deriso o sbattuto nella polvere, non gli era mai importato; non aveva problemi ad ammettere schiettamente che per qualche istante aveva esitato davanti a lui, ma anche se avesse fatto in tempo a riprendersi, non sarebbe mai riuscito a sopraffare il desiderio dell’ex amico. Lui voleva proteggere San Lorein, la sua storia e gli stessi abitanti che ora lo acclamavano come un salvatore, come nuovo Master. Ma a Lars importava di Eliah come persona e il signor Eliorath lo aveva capito, perché non c’era mai stato nessun’altro capace di interessare suo nipote a quella maniera. Lars era speciale, con un’umanità diversa da quella degli abitanti della città e non era il solo a essersene accorto…

Come una scarica elettrica attraversò le sue tempie da parte a parte, ogni pensiero su quell’amicizia che egli ancora considerava preziosa evaporò all’istante. L’albino alzò di scatto la propria testa, cogliendo un’anomalia fra le ancelle stanti sul piedistallo e sussultando per l’incredulità: seppur fosse poco visibile, c’era un bagliore azzurrognolo che fino a quel momento aveva visto saltuariamente solo ed esclusivamente nella sua testa. Balenava dietro le altre ancelle a intermittenza, ma senza aumentare o diminuire e fu nella sua costanza, nel voler scoprire da dove questo proveniva, che Lars si accorse che la scanalatura della Regina dei Ghiacci, la sua lama e perfino l’elsa, stavano pulsando come un unico cuore.

“Ero qui quando ha iniziato a reagire. Più precisamente…”, mormorò il signor Eliorath “Quando tu ed Eliah avete iniziato a combattere.”

A nulla valsero le spiegazioni del signor Eliorath: Lars era troppo preso dalla spada dalla lama azzurra, dalla sua energia vitale, per concentrarsi su qualcos’altro. Lo scintillare di Saphira si rifletteva nelle sue iridi color ghiaccio, attente a non lasciarsi sfuggire neppure la più piccola delle sfumature. La collana di perle violacee era tutta illuminata, come appena pulita. L’elaborata impugnatura pareva essere stata privata di quell’invisibile ruggine che ne aveva deturpato le decorazioni e le pietre incastonate nell’elsa. Sulla lama c’era tanto da dire, ma poche erano le parole che potessero descriverla adeguatamente: gonfi e vaporosi aloni di gelo bianco danzavano intorno ad essa, innalzandosi e mischiandosi con il sottile strato di aura azzurra che dimostrava quanto San Lorein si fosse sbagliata per tutto quel tempo.

La Regina dei Ghiacci era più viva che mai, finalmente libera dalla lunga prigionia soporifera.
Un paragone con Magdala o le altre armi era fuori discussione: era così maledettamente diversa dalle altre da dare l’impressione di essere stata forgiata da qualcun altro. La spada di legno di un suo amico e i dolci dell’emporio della sua isola natale non erano mai state delle cose per cui Lars avesse dovuto stringere i pugni, arricciare le guance e riempire gli occhi di lacrimoni: non era mai stato un bambino tanto egoista da voler qualcosa a tutti i costi, neppure con la Domatrice Scarlatta, il cui aspetto fiero lo aveva sorpreso sin dalla prima veduta. Ricordava ancora bene, quel giorno, ma il desiderio di allora non poteva essere minimamente paragonabile a quello che, adesso, stava roteando freneticamente nella sua cassa toracica.
Il canto malinconico accarezzava i suoi sensi, lasciandosi ascoltare e insinuandosi in quegli angoli che spingevano la gente a socchiudere gli occhi per non dover far vedere le proprie lacrime. Lars riusciva a capirla e ne era così assuefatto da essersi completamente distaccato dall’ambiente circostante: quella sottilissima e appena percettibile affinità che si era creata nell’arco di quei due anni stava finalmente uscendo allo scoperto. E solo lui poteva sentirla.
Mandò a quel paese dove fosse, con chi e cosa avrebbe rischiato: voleva solo sentire per intero quanto udiva, toccarlo, se possibile. La sua coscienza non concesse spazio a nient’altro, lasciando che le sue gambe scivolassero all’interno della fontana. I jeans gli si appiccicarono addosso e gli scarponi neri si riempirono come due spugne, ma anche se fosse stato sul punto di affogare non si sarebbe preso la briga di nuotare verso la superficie: avanzò di qualche passo, sempre con gli occhi puntati sulla spada, vicinissima a lui e alla mano che aveva allungato nella sua direzione. Un sospiro mozzato fuoriuscì dalle sue labbra, quando avvolse le proprie dita attorno all’impugnatura: chiudere gli occhi lo avrebbe aiutato a non provare tanta esitazione, ma l’imporsi di guardare lo spinse a ruotare il polso e a sfilare lentamente la spada dalle mani dell’ancella di pietra, fino a puntarne l’apice verso il soffitto.

Non era fredda come si era sempre immaginato. Non era pesante o ingombrante come qualunque altra arma di grosso taglio, nè creditabile come un qualcosa che potesse essere comodamente riposto in una cesta o in una comune armeria. Era diversa, troppo perché non suscitasse un insano desiderio di possessione.



Secondo le sacre scritture custodite nella biblioteca di San Lorein, le armi di Rahel avevano una loro personalità, una volontà quasi umana, per quanto assurdo potesse sembrare. Dalla personalità selettiva e ristretta, assomigliavano a un quintetto di sorelle estremamente complicato da avvicinare e capire, ma era indubbio che Saphira, fra tutte, fosse la più solitaria. I saggi non si erano mai posti l’obiettivo di scoprire se ci fosse un’altra spiegazione dovuta al suo “Spegnimento”, avevano sempre preferito concentrarsi sulla tradizione lasciata dai loro antenati e dal Primo Master, dimenticando l’impossibilità di bloccare un fenomeno inarrestabile quale era il cambiamento.
Nello sfilare dalla statua la Regina dei Ghiacci, Lars aveva bellamente ignorato quanto quel gesto gli sarebbe costato: i suoi occhi, le sue mani, la sua mente…ogni singola parte di lui si era congiunta a quell’affinità che aveva unito la sua anima e quella di lei in un tutt’uno indissolubile. Toccare con mano propria la lama azzurra e tastarne la freddezza gli aveva permesso di cogliere aspetti impensabili, immagini paragonabili a ricordi frammentati, echi di tempeste di neve appartenenti ai suoi luoghi di origine e perfino emozioni. Tutto in un solo e lunghissimo istante. Quell’intrecciarsi di sensazioni e animi, inscindibile come il bisogno di relazionarsi per non cadere nell’apatia più sconfortante, era la cerimonia che si svolgeva nel Saidan: chi veniva riconosciuto vincitore e accettato da una delle cinque armi sacre di Rahel, veniva investito automaticamente del titolo di “Master”, l’onorificenza più alta di tutte.

Eliah l’aveva ottenuta, Lars altrettanto. Ma San Lorein non era disposta ad accettare quella situazione.



“E’ inammissibile!”
“Avremmo dovuto aspettarcelo che sarebbe successo qualcosa di irreparabile!”
“Eliorath, come hai potuto?!”

Sconcerto, indignazione e incredulità aleggiavano nella sala delle riunioni, dove la voce dei saggi era intrisa di sgomento per l’assurdità della situazione. Affondavano le unghie nei braccioli delle poltrone, scuotendo la testa e le barbe come a voler scacciare quanto avevano visto e sentito, ma senza successo. La tradizione a cui tanto erano attaccati aveva appena subito un tracollo di proporzioni gigantesche: in quel giorno di festa non avrebbero dovuto esserci problemi, anzi! La sola spina nel fianco che avevano sopportato a lungo se ne sarebbe dovuta andare in silenzio, senza lasciare la benché minima traccia del proprio passaggio. Ma non era stato così.

“Vedete di calmarvi, non c’è nulla di cui dobbiate preoccuparvi”, disse eloquentemente il signor Eliorath, alzandosi in piedi.
“Calmarci? Eliorath, qui la faccenda è seria e la responsabilità è solo tua!”, lo incolpò un collega, puntandogli il dito contro “Hai condotto quel ragazzo nel nostro santuario, gli hai permesso di impossessarsi di una delle sacre armi di Rahel!”
“Lars non ha fatto nulla per cui debba essere incolpato. E’ stata Saphira a sceglierlo, esattamente come Magdala ha fatto con Eliah”, replicò l’anziano.
“Scelto? Quello? Ma….non essere ridicolo!” sbottò un terzo, dopo un attimo di esitazione “E’ impossibile! Il potere della Regina dei Ghiacci è estinto da secoli, chiunque sarebbe stato capace di brandirla!”
“No, non lo è. Sapete bene quanto  me che le sacre armi di Rahel hanno il potere di respingere chi tenti appropriarsene ingiustamente. Lars non avrebbe avuto alcun modo di rubare nessuna di queste se non fosse stato ritenuto degno e il fatto che Saphira lo abbia scelto, significa che non ha mai esaurito il proprio spirito vitale: se non ha mai dato alcun segno di manifestazione è perché nessuno dei precedenti Master possedeva i requisiti necessari per impugnarla. Converrete con me che non è il vincitore a scegliere la propria arma, ma il contrario.”
“Questo è vero, Eliorath, ma il punto è che l’improvvisa manifestazione di Saphira è troppo allarmante”, si fece avanti un altro saggio, con voce più calma degli altri “Tu chiedi di non preoccuparci, ma un simile avvenimento non è mai accaduto: insomma….due Master!” esclamò poi incredulo “E’ successo che il torneo si concludesse con uno spareggio, ma anche in quelle occasioni c’è sempre stata una sola spada. Due Master con due spade differenti è grave.”
“Bada a come parli: quello straniero non ha alcun diritto di essere considerato un Master”, sibilò un collega, con le pupille assottigliate “Eliah è stato scelto per primo, ha tutti i requisiti e le credenziali per proteggere San Lorein, per non parlare del fatto che ama la sua gente. Non c’è paragone.”
“E come agiamo?” domandò un altro “Non possiamo togliere con la forza la Regina dei Ghiacci dalle mani di quel ragazzo, è stata lei a designarlo come suo padrone. Sfideremmo la sua decisione!”
“Per non parlare delle tradizioni!”
“Costringiamolo a restituircela, allora: barattiamo la sua libertà in cambio della spada. Cederà di sicuro!” propose uno.
“Ne dubito fortemente.”

Il vociare incongruente dei saggi fu interrotto dall’intervento di Eliah, appena entrato nella sala senza che nessuno se ne accorgesse.

“Dieci anni passati ad addestrarsi, nonostante i vostri sforzi per farlo desistere, non l’hanno mai spaventato. Lars è troppo testardo per accettare le nostre condizioni e privarlo della libertà macchierebbe di disonore la nostra città”, spiegò il giovane, avanzando solennemente verso il centro della stanza.
“Concordiamo con voi, Master Eliah, ma non possiamo permettere che quello straniero porti fuori dai confini di San Lorein una delle armi sacre di Rahel. Sarebbe una catastrofe…”, mormorò uno dei saggi, coprendosi il volto con mano tremante.
“Lo so perfettamente, conosco la storia”, replicò placidamente il ragazzo, sedendosi al suo legittimo posto “Ma come ho detto prima, costringerlo a restare non gioverebbe a nessuno di noi, tanto meno a lui.”

Un brusio allibito e sconcertato pizzicò le bocche degli anziani, incapaci di comprendere le intenzioni del giovane neoeletto. Nessuno di loro avrebbe mai messo in discussione l’attaccamento che Eliah Van Incardine provava nei confronti dell'isola, ma in quel momento i suoi pensieri parevano sostare su di un piano completamente diverso da loro: il portamento fiero e lo sguardo concentrato sulle mani inguantate e intrecciate lasciavano intuire che avesse già riflettuto a dovere sulla questione e che ne avesse trovato la giusta soluzione.

“Dunque, Master Eliah, che cosa suggerite di fare?” gli domandò infine il primo saggio.
Il suddetto rimase in silenzio per qualche istante, poi dare la sua risposta “E’ molto semplice: lasceremo che Lars Gallower se ne vada da San Lorein.”
“Come?! Master Eliah, non potete dire sul serio!”
“Non lo direi, se non lo fossi”, continuò il giovane, osservando tutti quanti loro con fermezza degna di un regnante “E comunque, non ho ancora finito.”

Il signor Eliorath si rabbuiò all’istante, per come quella situazione si stava evolvendo. La sua voce aveva perso autorità, la sua stessa presenza non era più calcolata tanto la sua opinione era debole. Eppure non era l’essere ignorato a fargli temere il futuro: nel far incrociare di sfuggita i suoi occhi sbiaditi con le pozze bluastre del nipote, vi scorse un luccichio profondo e distaccato, emanante una freddezza mai vista sino a quel momento. Ciò gli fece stringere i pugni, conscio di quanto i suoi colleghi pendessero dalle sue labbra e di quanto poco avrebbe potuto fare al riguardo.

“E’ una decisione sofferta, quella di lasciare che una delle nostre preziose armi venga portata fuori dai confini di San Lorein, ma su cui noi non abbiamo voce in capitolo: lo spirito di Saphira non deve essere giudicato diversamente solo per il fatto che si è risvegliato dopo così tanto tempo e costringere Lars Gallower a rendercela con la forza potrebbe innescare qualcosa di gravoso per la nostra città”, riprese Eliah “Qualcosa di impensabile.”

I respiri mozzati degli anziani, uniti al dilatamento delle loro palpebre, gonfiarono l’ego del neoeletto, ma senza che questo lo compiacesse: lo stare seduto a quel tavolo, lo stesso tavolo di suo nonno e di suo padre, era una responsabilità di cui solo ora riusciva a percepire nettamente il peso. Era grande quanto il potere acquisito, ma nonostante la gioia per aver raggiunto la posizione prefissata, non se ne sarebbe mai lasciato ammaliare come uno stupido.

“Mi rendo conto…”, continuò poi, chiudendo gli occhi “Che privare la nostra città di uno dei suoi tesori potrebbe esserci fatale, ma in qualità di nuovo Master, userò la mia stessa vita per compensare questa mancanza. La getterò via, se questo servirà a impedire che i Senza Volto tornino a incutere terrore fra di noi, quindi non abbiate timori. Non sono solo io ad avere il dovere di rassicurare la gente.”

Quell’ultima aggiunta seppe di rimprovero, ma gli anziani non replicarono. Lo scandalo emerso li aveva fatti quasi dimenticare del loro ruolo all’interno della piccola e chiusa società di San Lorein, di quanto la gente fosse vulnerabile e bisognosa di conforto. Accolsero con colpita approvazione le parole del giovane Master, ma non ebbero di che stupirsi: i Van Incardine vantavano una storia tutta loro, un onore che chiunque avrebbe voluto toccare anche solo una volta.
Se Elijah Van Incardine avesse potuto vedere il figlio ne sarebbe stato orgoglioso, ma il signor Eliorath, al momento, non vide altro che un’ombra inappropriata sul volto del nipote.



L’aria che si respirava nella grande arena sapeva di cenere. Era pungente e fastidiosa quanto le nuvole di polvere che volevano accecargli gli occhi. Mozzava il suo respiro irregolare, affaticato e preso a conservare le dovute energie per difendersi da quei fendenti rossastri che volevano trapassargli il torace senza troppi complimenti. Sembrava non esserci sportività, in tutto ciò, e non ce ne era, perché quello era tutto fuorché uno scontro amichevole.
Deglutendo una sostanziosa quantità d’ossigeno sporco, Lars riaprì la bocca e serrò la mascella, spingendo le braccia in avanti per respingere l’ennesimo attacco di Eliah. La lama azzurra di Saphira era tutto ciò che lo divideva da quella di Magdala, la cui incandescenza era insopportabile. Non c’era il bisogno di chiedersi il perché di tutto questo, né del perché quello che un tempo era stato il suo migliore amico, lo stesse aggredendo con tanta foga. Sapeva abbastanza da non parlare, giacché tutto era fin troppo intuibile.

“Che ti succede, Lars? Dov’è tutta la tua bravura di spadaccino?” lo provocò Eliah duramente, puntando Magdala contro “Non dirmi che sei già stanco.”

Si era deciso di risolvere la questione con un combattimento. San Lorein non era mai stata vittima di una faccenda di quel tipo e considerate le tradizioni, Eliah aveva scelto la sola soluzione che potesse comunque dare un briciolo di soddisfazione alla propria città. Davanti all’ennesimo scherno, Lars si astenne dal rispondere, chiudendo la bocca e rimanendo a guardare il coetaneo. Il suo volergli regalare un “Addio indimenticabile” lo aveva insospettito dall’inizio, perché era dalla morte del padre che Eliah non gli rivolgeva la parola.

“Deve esserci una valida ragione se la Regina dei Ghiacci ha scelto proprio te! Avanti, fammi vedere!” esclamò poi il Master, puntandogli Magdala contro.

La gente urlava da ogni direzione, incitava il Master con voci incoraggianti, cercando di buttare giù lui col solo sguardo. Il sole picchiava sulle loro schiene con la stessa intensità di due martelli messi insieme e il tempo sembrava aver deciso di prendersi una pausa a lungo termine. Era tutto dinamico e snervante, ma nulla di sufficientemente rilevante per la mente di Lars, concentrata su ben altro fronte: la leggerezza di Saphira e i suoi sbuffi gelidi gli rinfrescavano la fronte sudata, donandogli quel minuscolo granello di sollievo a cui stava cercando di incollarsi al fine di non perdersi. Era un po’ come se lo stesse rassicurando, ma sebbene le dita di lui fossero ben serrate attorno al manico di ella e gli occhi fossero puntati sulla figura battagliera di Eliah, dentro di sé non sapeva cosa fare.
Il suo corpo si muoveva, ma interiormente…era indeciso. No, forse era meglio dire in conflitto. Quello stesso sapere che gli impediva di reagire diversamente bloccava ogni sua capacità, abilità di spadaccino comprese. Non stava facendo sul serio, non ci riusciva…non poteva. E tutto perché dietro a quel viso furente che lo stava attaccando instancabilmente, dietro a quella verità realizzata, scorgeva quel qualcosa per cui valesse la pena credere nel passato, in quel bambino che, un tempo, era stato il suo più caro amico.
Non stava facendo sul serio, ma non perché non ci riusciva….e il ripeterselo servì solo a fargli chiedere scusa a Saphira per l’aver ceduto così spontaneamente, a ricordargli che in fondo al cuore era più codardo di quanto si fosse professato.

Ne era dolorosamente cosciente, così tanto da allentare la solidità della sua parata e farsi colpire in pieno viso.

“Porterai il disonore che hai arrecato sulla nostra città per tutta la vita.”

Furono le ultime parole che senti pronunciare da Eliah, prima che la testa gli si aprisse e lo costringesse a sorreggersela per il male.
 
 




Lo so, è da una vita che non aggiorno e mi scuso per l’immenso ritardo, ma sono affetta da uno studio matto e disperatissimo che mi concede poco tempo per tutto e quando riesco a prendermi un attimo di respiro, faccio ben poco. Mettiamoci poi un esame che sto preparando da tutta una vita e che darò fra sette giorni e fate voi un po’ i conti. Un saluto a tutti quanti voi (spero di poter aggiornare presto, ma prima, giustamente devo dedicarmi all’uni….). Un abbraccio!
  
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