A chi mi segue da sempre,
chi non ha mai smesso,
chi è appena arrivato.
A Sonia e Chiara,
perché la famiglia è
quella che si sceglie,
che ci aiuta a risollevarci.
Ad Atopika e Ivana,
perché non passeremo mai di moda.
Ad Alex e Piper,
perché Vento ha resistito
grazie a voi.
Infine,
a mia nipote,
Serena.
Alla fine di ogni ricordo
È solo che la mia vita non è così interessante.
Vado al lavoro e poi torno a casa,
non so che dire.
Dovresti leggere il mio diario:
è una raccolta di fogli,
bianchi.
Eternal Sunshine Of The Spotless Mind
Mare.
Orizzonte.
Draco si trovava nel
porto Zàkynthos, in Grecia.
Aveva portato con sé solo bottiglie di vetro e fogli
bianchi, che durante il suo viaggio aveva riempito con parole e racconti per
suo figlio, Scorpius. Aveva narrato – nero su bianco
– le sue colpe, i suoi errori, le sue paure. Tremante, ogni mattina, all’alba,
ancora avvolto dalla frescura, si era seduto all’ombra del primo sole e aveva
stretto tra le mani la sua penna d’oca, quella di Hogwarts,
che non aveva mai gettato via.
Aveva attraversato tutte le strade del mondo, da allora.
Ne aveva esplorato i contorni, contemplato le magnificenze, cercato il viso
delle persone che aveva perso in ogni specchio o anche solo nelle gocce di
pioggia. Ma era da solo e solo sarebbe rimasto, fino a che non avesse conosciuto
la libertà interiore, confessandosi.
Scrutò dentro di sé, nell’oscurità in cui non era mai
entrato, memore di essere ancora troppo poco maturo per lasciare che i ricordi
scivolassero via dalle sue dita, come sabbia, ma il momento era arrivato.
Strinse la penna tra le dita e cominciò a scrivere. Un
po’ rabbrividì, come sempre, perché la potenza delle sue parole lo lasciava
ansimante.
Mi ricordo
quando stavi per nascere, Scorpius.
La prima cosa
che avresti visto sarebbe stato il viso di una sconosciuta; poi avresti pianto,
urlato, senza capire perché ti avessero strappato dal ventre di tua madre. Lei
stava aspettando solo te. Da quando avevamo saputo che saresti arrivato, avevo
cominciato ad avere paura, di nuovo.
La notte in cui
tu sei nato pioveva. Mi trovavo in una strada sconosciuta e sfocata di Londra –
sembrava una fotografia, il mio piccolo scorcio del mondo – dove l’unica luce
eri tu: ancora non ti avevo nemmeno stretto tra le mie braccia, Scorpius, e già eri tutto ciò che mi sarebbe rimasto, fino
all’ultimo giorno della mia vita.
Nell’aria c’era
odore di terra, di qualcosa di incredibilmente fresco, anche se potresti
trovarlo strano. Ero a Londra – la sua città – ed ero in attesa di ricordi con
cui rivestirmi; avevo freddo, Scorpius, non perché
fosse Dicembre, ma perché ero solo, in quel viaggio.
Giudicami un
codardo, ma non sono riuscito a stare al San Mungo, mentre venivi al mondo.
Avevo come la sensazione, quella notte, di essere un intruso, un estraneo tra
te e tua madre. Vi legava qualcosa di eterno – il cordone ombelicale – e io,
per te, ero un’incognita, ero il padre che ti sarebbe stato imposto: la strada
che avresti intrapreso, di malavoglia.
Mi sarebbe
piaciuto essere lì, guardarti piangere e aggrapparti all’esistenza, a ogni
singolo respiro, pretendendo – urlando – di essere amato. Ma non ce l’ho fatta.
Quella notte, avevo bisogno di parlarti di me, così come adesso sento di dover mettere tutto su carta e far sì che il mare inghiotta le mie parole.
Devo.
Questo è tuo
padre, Scorpius, un uomo che ha violato, distrutto,
che vive di ricordi che non ha, di un passato che non è mai esistito – desideri
– e che ormai si trascina lento.
Quella notte, in
quella strada, c’era odore di terra.
Quasi il suo
effluvio mi entrava dentro e mi pugnalava il cuore. In realtà, mi ricordava una
persona che non c’era già più allora e che non ha mai smesso di farmi tremare
il cuore: quando cammino, c’è lei, in ogni ombra che vedo.
La sento sempre
qui, accanto a me, nelle mie memorie più intime. Non potrò mai liberarmi del
suo spettro; non riuscirò mai, davvero, a dirle addio, perché un fantasma è
come una banale scia di fumo bianco, qualcosa che si dissolve e riappare, dal
nulla, dal vento, dalle ombre spoglie di una luna primaverile.
Ti racconterò di
come lei – Hermione – sia stata una Strillettera, per me; di come io l’abbia sentita bruciare
tra le dita, di come amarla sia stato fonte di umiliazione e imbarazzo. Ho
sempre dimenticato o sbagliato qualcosa, quando si trattava di lei: lei, il mio
segreto sul fuoco.
Vorrei poterti
dire che ho scordato come si fa ad amarla e che ho sbagliato a odiarla, ma sono
un uomo: un uomo che non ha mai dimenticato e che ha sempre sbagliato. Dei miei
errori, Hermione sarà sempre quello più grande, e il
più bello.
Ma Hermione è morta, Scorpius.
Mentre ero lì, a
farmi avvolgere dalla pioggia – il pianto dei morti – ho capito che, per ogni
vita che ci lascia, un’altra giunge, ci abbraccia, ci sommerge con la sua
presenza. Da quando ti ho sentito scalciare nel ventre di tua madre, ho
compreso che saresti stato il mio artiglio nel mondo, Scorpius,
in questo mondo che avanza senza cambi di stagione; avevi già preso il posto
ch’era di Hermione, dentro di me: mi stavi
costringendo ad amarti senza riserve.
Draco si mise una
mano in tasca e vi trovò una Cioccorana. Aveva
giurato di darla a Scorpius, quando fosse divenuto
abbastanza grande da poter capire che esistono diversi tipi di amore e che
ognuno è purissimo e incondizionato. Purtroppo, quello era un altro proposito
mai realizzato. Erano trascorsi ventidue anni dal parto di Astoria e Draco aveva infranto le promesse fatte a Scorpius ancora prima che lui nascesse.
Mare.
C’era vento, vento che sempre soffiava da nord.
Draco strinse tra le
dita la Cioccorana dedicata a Hermione.
Recitava: ha contribuito a salvare il Mondo Magico e ha lottato per i diritti
degli Elfi Domestici.
Improvvisamente, una lacrima scese sul suo volto. Gli
bagnò le labbra d’amaro, un po’ come la vita, un po’ come l’amore cieco che Draco non aveva mai smesso di provare.
Hermione dappertutto.
Alla fine di
ogni ricordo.
Hermione per sempre.
***
Ancora strade sconosciute, sguardi tristi, felici e
sereni, persone in movimento, tutte con le loro piccole cicatrici a solcar loro
il viso; per le strade erano i passi, la storia, le guerre; per le persone i
ricordi, gli amori perduti, i figli mai nati.
La Grecia era un’esplosione di colori, ma anche profumo
di sole, di un’estate che non voleva abbandonare quelle terre. Ovunque Draco si fosse girato, avrebbe potuto assistere alla vita
vera, ai pescatori che tornavano dal mare, stanchi: con una luce negli occhi
che rammentava l’orgoglio. I tratti dei loro volti erano fieri, segnati da
piccole rughe che sembravano linee di vita.
Draco era nella Lomvardou, la strada da cui si poteva osservare il Porto.
Aveva paura ad attraversare il confine e sedersi lì, quasi in riva, scalzo, coi
piedi ad accarezzare le acque cristalline, turchesi. Alcune vecchine, di
ritorno dal laiké agorà, lo esaminavano, curiose,
stringendo tra le mani buste piene di cibo.
Ti piacerebbe, qui, Scorpius,
disse tra sé Draco, contemplando l’infinito e
facendosi paralizzare dai rumori frenetici del Porto. C’era così tanta vita, in
quel luogo, che lui stesso ne rimaneva estasiato e un po’ impaurito, perché non
aveva mai imparato a farsi travolgere da troppe emozioni: solo una alla volta.
Si era sempre trattenuto e ne aveva subito le
conseguenze.
Intrappolato in una fotografia, che non invecchia mai.
Come un insetto nell’ambra.
Come se, infine, fosse divenuto un fantasma anche lui; la
sua immagine – quella di ogni riflesso, di ogni specchio – adesso, in quel
frangente, sembrava riacquisire colore, di fronte al futuro, alle persone che
lo avevano salvato con la loro sola esistenza.
Draco camminò un po’.
Si lasciò inebriare dalla brezza fresca del mattino, da quella sensazione
pungente che dava sulla pelle. Fece ancora qualche passo e poi prese carta e
penna dalla tasca dei suoi jeans un po’ sgualciti.
Ormai il giorno era sorto, ma c’era ancora quella traccia
di alba a fare da contorno al cielo. Era quello il momento in cui si concedeva
di pensare a lei: quando l’orizzonte sembrava solo una brutta riga da
cancellare.
Qui è diverso
dal nostro mondo, Scorpius.
Non è come il
posto dove siamo cresciuti noi: anche le persone sono differenti, più gentili,
propense ad ascoltarti. Forse perché non hanno sofferto come noi, non hanno
rischiato di estinguersi. Mi piacerebbe conoscere la storia di questo luogo. A
dirti la verità, mi avrebbe riempito di gioia essere qui con Hermione.
Senza etichette.
Io avrei avuto
un nome un po’ strano, quello di una costellazione, e lei il suo solito
caratteraccio, quello dei vincenti.
Se potessi
vedermi, in questo momento, faticheresti a riconoscermi.
Non mi sto
trascurando o lasciando andare. Non sto nemmeno morendo, Scorpius:
sto vivendo in ritardo.
Sono molto
fortunato, perché sembra quasi che il mio treno sia passato una seconda volta.
Ho l’opportunità di salire e di osservare la mia vita da una finestra, senza
esserne il protagonista, però mi sembra di avere poco tempo per fare quello che
vorrei. Ecco: mi sto per sedere a terra. Qui non è molto sporco e questa è
un’azione da Babbani. Dubito che tuo nonno sarebbe
fiero di me.
La scorsa volta,
in quella bottiglia di vetro, avevo riposto la prima lettera, per te. Ti avevo
accennato di Hermione. Forse ti chiederai chi sia
questa persona e che cosa abbia fatto per entrare nella mia vita, prepotente, e
restarci.
Hai mai avuto un
segreto, Scorpius? Qualcosa che non hai mai detto a
nessuno, perché ti vergogni, perché quel gesto ti brucia dentro, ti consuma?
Io sì.
(Ho ucciso una
persona)
Ho ucciso una
persona già morta.
Ho ucciso Hermione.
L’ho scritto,
l’ho cancellato.
Credo di averci
pianto su. Adesso non si legge bene. L’inchiostro è salato.
(Anche le parole
lo sono.)
Draco socchiuse gli
occhi. Il tempo gli stava scorrendo davanti e non poteva fare nulla per
fermarlo. Ormai era solo un puntino bianco in tutto quel chiasso; una voce
strozzata nel vento; un’immagine sfocata nella bufera.
Gli altri non potevano udirlo, ma a Draco
il suono delle sue lacrime sulla carta e sulla pelle sembrava assordante. Dopo
un po’, riprese a scrivere, con le mani che gli tremavano e le dita malferme,
come la sua anima.
Tua nonna, Narcissa, che tu non hai conosciuto perché è volata via
troppo presto,
(come una piuma
al vento)
mi aveva
insegnato che devi essere sempre te stesso e mai qualcuno fatto su misura per
gli altri. Non sei un vestito: sei un essere umano. Una notte, mentre stringevo
i denti e avevo l’impressione che mi si stesse spezzando il cuore, mi disse:
volta le spalle a chi vuole importi una maschera. Di’: non mi servi, nella mia
esistenza c’è spazio per chi mi accetta così, anche se ho un difetto di
fabbricazione.
Il mio era amare
troppo, anche se non lo sapeva ancora nessuno.
Sai, avevo paura
che tu un giorno mi chiedessi: “com’è stata la tua vita, papà?”
Quella domanda
non è mai arrivata. Ne sono sollevato, perché sarebbe stato difficile
risponderti. Come fai a dire a tuo figlio che la tua esistenza non è stata
altro che una storia sbagliata?
Tuttavia, dopo
la Seconda Guerra Magica e la morte di Hermione, ho
deciso di cercare la radice del problema, ma non ho mai avuto successo. Forse è
il modo in cui sono cresciuto che mi ha condizionato, ma non sempre è colpa dei
genitori o dell’ambiente. Non credo nel destino, anche se è un
bell’insegnamento: mi ricorda troppo Divinazione, una materia che a scuola
odiavo. Ecco, quella gente non mi piace. Ha bisogno di credere in qualcosa, non
sempre Dio. Io invece sono più il tipo che beve finché la bottiglia non è
vuota, finché i brividi non finiscono, per farti capire che ho imparato a
rischiare, a spezzare l’equilibrio della mia stabilità.
Come vedi, Scorpius, le strade sono l’incognita della vita.
Io, nelle mie,
ho sempre incontrato Hermione.
(Alla fine di
ogni ricordo)
Oggi è
mercoledì.
Prenditi cura di
tua madre.
(Sorridi anche
per me)
Draco ripose la penna
sul marciapiede. Era dunque arrivata l’ora di sbarazzarsi delle cose vecchie?
Di tutti quegli oggetti che lo legavano, ancora e inesorabilmente, al suo
passato, a Hogwarts, a Hermione?
Si alzò per scendere uno scalino e si fermò a osservare
il mare. Era calmo, quasi spettrale, nonostante ormai il sole fosse sorto e
avesse illuminato coi suoi raggi le acque quasi ferme. Era lui a sentirsi in
un’altra dimensione, come se non facesse parte del mondo.
Camminò fino all’orlo della costa, con le mani in tasca,
e un sorriso rassegnato sulle labbra. I capelli biondi, striati di qualche filo
bianco in alcuni punti, gli ricadevano sul viso, leggiadri, quasi fossero
spighe di grano al vento. Gli occhi, invece, erano velati di lacrime salate:
così sbiaditi, cinerini, bui.
Rimase in silenzio, senza un solo pensiero a ingombrargli
la mente. Restò lì, a contemplare quell’infinito che sapeva di lei. Draco era libero, in quel momento, come avrebbe potuto
esserlo un uomo condannato all’ergastolo in una prigione fatta di specchi.
Sempre ad accusare i propri occhi.
(Da quello che ci
vedeva dentro.)
Poi, seguendo il suo istinto, tastò le acque, con le sue
dita tremanti, e ne odorò l’effluvio salmastro: quasi si sentì morire.
Ebbe la sensazione di essere avvolto dal Tranello del
Diavolo; di essere stritolato dalle memorie.
Immobile.
Impassibile.
Impenetrabile.
Perché Hermione, per lui, era
come il richiamo del mare. Il suo ricordo era una conchiglia da avvicinare
all’orecchio – per udirne ancora la voce – e al naso, per inspirarne ancora
l’odore. Fu solo un attimo: Draco si sedette
all’ombra di uno scoglio gelido e ricoperto di alghe. Rimase lì, a fissare
l’orizzonte e a contare le onde, che si infrangevano, sorde, sul bagnasciuga;
in solitudine, osservò lo spettacolo, quieto, che era stata la sua vita senza Hermione.
Senza il mare.
***
Draco era in una
strada boscosa.
Tu, straniero! Zàkynthos è il fiore di Levante. Non hai mai letto quello
che affermavano i poeti sulla nostra isola?
In effetti, Draco l’aveva
trovata molto verdeggiante; oltre a recarsi al mare, si era rifugiato nelle
viuzze sconosciute che conducevano ai paesini, dove le moderne infrastrutture
erano giudicate come delle Americanate.
Da quando era lì, Draco aveva
imparato molti termini Babbani. Nonostante
l’assurdità della situazione, non gli aveva dato fastidio mescolarsi alla gente
del posto, perché in quel modo aveva avuto l’opportunità di svestirsi, ch’era
l’obiettivo del suo viaggio.
Voleva essere qualcun altro.
Voleva dimostrare a se stesso di poter convivere con le
maschere, perlomeno solo con quelle bellissime, che lo avrebbero aiutato a
crescere, a raggiungere quel livello di maturità di cui era provvista Hermione.
Quel viaggio lo aveva premeditato a vent’anni. Solo
venticinque anni dopo, Draco aveva trovato il
coraggio di affrontarlo. Come un umano – diverso dal modo in cui si era sempre
visto – lontano dalla magia, dagli ideali, dai pregiudizi, dagli stereotipi.
Respirava di nuovo.
Ormai, a quell’ora, al calare del sole, Draco aveva il suo solito Diples
in mano. Se lo gustava, immobile, mentre era seduto su un tronco o sul primo
marciapiede che trovava sulla sua strada. Spesso, lo aveva mangiato davanti al
mare, ma quel giorno era diverso. Era venerdì.
E lui odiava il venerdì.
“È morta la
signorina Granger, padrone. È morta per il suo
coraggio. È morta per difendere i più deboli. Oh, povera signorina Granger. Come faremo tutti senza di lei?”
Sorridi, Draco.
Oggi la vita ha
bisogno di una delle tue maschere.
Draco si pulì il
mento e le labbra con un fazzoletto bianco. Poi lo strinse, aggrappandosi a
qualcosa di invisibile, mentre tratteneva il respiro e un groppo in gola gli
impediva di mandare giù l’ultimo boccone.
Gettò via la pezzuola, lontano da sé, come qualcosa di
sudicio da non poter più tenere in mano. Avrebbe voluto piangere, forse, perché
sapeva di avere, da qualche parte, dentro di sé, quelle lacrime, quello che non
era mai uscito, che era rimasto intrappolato in lui.
Frasi, foto, passato.
Infine si sentì un po’ meglio: il suo respiro era tornato
regolare, ma gli occhi no e neppure l’anima. Aveva il corpo indolenzito, come
quella notte. La notte in cui aveva riportato in vita Hermione.
Il suo segreto sul fuoco.
Oggi, Scorpius, voglio scriverti di tua madre.
Tua nonna mi
aveva detto: quando si ama, ci si accontenta sempre un po’.
Aveva ragione:
Astoria non mi ha mai chiesto nulla. È sempre rimasta vicina al mio cuore, ma
non è mai riuscita a entrarci, nemmeno in punta di piedi, con quel suo sorriso
grazioso e i suoi occhi dolcissimi, che infondono sicurezza e amore. Ho avuto
come l’impressione che lei volesse sussurrarmi, prima di fare l’amore, potresti
imparare ad amarmi di più?
Non l’ha mai
fatto.
Solo molto tempo
dopo mi sono reso conto che io e tua madre camminavamo su una ferita aperta:
dovevamo stare attenti a dove posavamo le parole.
Il nome di Hermione non era mai stato tanto assordante, forte. Il mio
amore per lei non si era mai sopito: era rimasto da qualche parte, dentro di
me, in attesa, a graffiarmi – a solleticarmi – come ha fatto la pioggia la
notte in cui sei nato.
È stato allora
che ho ripensato a Hermione, dopo che l’avevo riposta
in un cassetto. Non ci entrava, Scorpius: era troppo
grande. Erano immensi i momenti che mi legavano a lei: pochi, ma intensi, quasi
eterni, come il sapore del nostro amore, che non se ne andrà mai dal mio
palato.
In quell’attimo,
mi sono ricordato di quando Hermione – quella notte,
quando avevo trovato il coraggio di farla diventare un fantasma – mi aveva
detto “forse la pioggia non è altro che il pianto dei morti”. Prima della tua
nascita, ho provato la sensazione di non essere solo. Ero con chi non c’era
più.
(Con i loro
ricordi)
Poi una in
particolare mi ha bagnato le labbra, all’improvviso.
Era di Hermione.
Che sarebbe
sempre stata come un disegno su carta.
Scusa se ho
esagerato con le parole, ma, come vedi, per me è difficile percorrere un solo
binario. Dentro di me i momenti si affollano e quasi temo di finire
l’inchiostro e la pergamena. Di smarrire il tempo.
In passato, ho
visto molte volte Astoria imbarazzata con le guance rosse e le labbra secche.
Alcune persone,
come tua madre, non si aspettano niente, Scorpius.
Decidono di avere un giorno un po’ meno schifoso degli altri, perché se non si
aspetta niente, si finisce col morire. Astoria mi aveva confessato di aver
scelto il mercoledì per sorridere a ogni ora; serena e paziente, ogni
settimana, diventava più fremente, come
dipendente da quel vizio, che oramai era diventato una catena di morte.
L’hai sempre
vista felice, il mercoledì, Scorpius, e un giorno tu
lei hai chiesto se, prima o poi, avresti potuto provare la stessa serenità.
Anch’io l’ho fatto, ma non ho mai ricevuto la risposta, fino al giorno in cui
sei venuto al mondo: quando sei nato, ho avvertito, di nuovo, la fiammella
della vita, nelle mie viscere, nelle mie ossa, sulla mia lingua. Quel fuoco che
mi aveva abbandonato dopo la morte di Hermione e dei
miei genitori.
Vedi, Scorpius, un giorno tu mi hai detto: “Non sono mai stato
innamorato. Ho un sacco di amore, in attesa, insoluto.”
Ho sempre
creduto che a me fosse proibito il sogno d’un amore, perché, per colpa o per
destino, le donne le ho perdute. È stato solo con Hermione
che ho scoperto che l’ingrediente essenziale per far funzionare un rapporto era
battersi, sempre, fino all’ultima goccia di sangue e di sudore. Ho sfidato Voldemort – non avrei mai permesso che uccidesse i miei
genitori – e ho tentato di spezzare un atomo e di rinnegare un pregiudizio.
Avrei voluto
parlarti solo di tua madre.
Invece ho finito
col saturarti la memoria con troppe cose da ricordare.
Perdonami.
Draco smise di
scrivere. Aveva chiesto al conducente di una macchina di fermarsi. Lui lo aveva
guardato storto, un po’ infastidito da quella richiesta.
“Sì, signore?”
“Scusi il disturbo, ma mi servirebbero le indicazioni per
il Golfo di Laganas…”
“Conosco, signore. Deve tornare indietro, per il Porto.
Da lì noleggi una barca. Ci si può arrivare solo via mare.”
“Grazie.”
Draco gli fece un
cenno e la macchina ripartì. Avrebbe voluto utilizzare la Smaterializzazione,
ma aveva come la sensazione di essere vincolato alla sua promessa, al suo
patto. Il suo intento era quello di arrivare alla fine del viaggio e di stare
bene con se stesso; di liberarsi dell’eccesso, dell’inchiostro che aveva
ricoperto la sua anima e non un pezzo di carta.
Ripose la lettera nel taschino dei suoi jeans e pensò che
l’avrebbe gettata in pasto al mare, il giorno dopo, davanti a uno degli
spettacoli più belli che il mondo avesse da offrire. Lì, dove c’era bellezza
ovunque.
Per un attimo, pensò che gli dovesse essere proibito
contaminare tanta magnificenza. Che a quelli come lui fosse dovuto solo il
brutto della vita, delle cose, persino dei respiri. C’era stata una signora,
giù al Paese, che gli aveva detto: “tutti
pensiamo di essere buoni, ma poi uccidiamo le mosche”.
Lei lo aveva inquadrato subito, perché tra ribelli e
schiavi ci si riconosce.
“Sì, quella gente che si mette in catene da sola. In
realtà sono dei sadici. Pensano che, purificandosi, il passato finisca. Anche
tu devi vomitare te stesso. E il tuo segreto continuerà a bruciare. Finirai
risucchiato da ciò che hai vissuto, se non cominci a capire che puoi essere
libero. Basta fare una cosa…”
Stava tornando indietro per inventarsi un addio.
Doveva semplicemente scegliere una strada, senza avere
paura che questa continuasse.
***
Draco avrebbe
descritto quel luogo, a suo figlio, come un’insenatura a mezzaluna, ricoperta
da una fitta vegetazione; la sabbia era di una tenue gradazione di ocra e le
acque così terse da sembrare quasi trasparenti. Quando ci si era tuffato, aveva
avvertito la corrente sotto i suoi piedi. Ne era deliziato e aveva deciso di
gustarsi quel momento immergendosi fino a fondo, per osservare meglio
l’immensità che si stagliava davanti a lui.
Colse ogni sfumatura possibile; quasi pensò di non essere
più umano.
Addio, Hermione, passato,
fantasmi.
Addio a quelle catene che mi stringono i polsi,
dilaniandomi. A quelle scie di un sole apparente, velato da nuvole che sempre
portano piovaschi fastidiosi. A quei mezzi sorrisi che nascondono solo la
voglia di urlare e piangere. A te, Hermione. Che
piovi sempre su di me.
Lo mormorò sott’acqua, udendo quelle parole solo nella
sua testa. Non aveva più voce e non voleva riaverla. Avrebbe voluto stare per
sempre lì, a farsi cullare dall’infinito, da un tempo che non tocca l’uomo.
Quando tornò in superficie, si rese conto che aveva
sbagliato a bramare l’eternità, di nuovo, di essere intrappolato in una
fotografia. Questo perché, a volte, Draco non sapeva
nemmeno scegliere una strada. Ne percorreva una e si fermava a fare paragoni
con quello ch’era stato e in ogni viso che incontrava ritrovava Hermione.
Solo di rado, quando riusciva a vedere, sapeva cogliere
la totalità tra cielo e terra. Un abbraccio naturale, in un incontro casuale.
Carta, penna e un arrivederci a fargli compagnia.
Voglio
raccontarti di quella volta in cui mi sono ubriacato.
Pioveva – sì,
piove sempre, nella mia vita – e io ero a un passo dal baratro. Dopo la morte
di Hermione, si spense anche mia madre e lentamente
fui partecipe all’addio doloroso e violento di mio padre. Ero rimasto meno che
solo. Se c’è mai stata una volta in cui ho dubitato del mio futuro, è stata
sicuramente quella.
Mi aggiravo nel Manor, con un bicchiere di Fire Whiskey
tra le dita, aspettando qualcosa che non sarebbe mai giunto.
Ripensavo
all’eternità, a quello che mi era stato strappato. La vita ha molte cose da
offrirti, Scorpius: sta a te decidere se approfondirle
o lasciare che macerino sotto il peso delle tue accuse, della tua indecisione.
Non arrenderti mai, nemmeno quando il destino sembra prendersi cura di te in
modo speciale, e ti ritrovi davanti a nuovi ostacoli, barriere. Ricordati che
il mare riesce sempre a superare lo scoglio, prima o poi, con una piccola
spinta.
Hermione è stata questo per me; ho il dubbio, insinuante e
desolante, di non esserlo mai stato per te. Ho assistito ai tuoi primi passi,
alla prima volta in cui caduto, ma tu hai pianto in un modo diverso dal mio.
Nelle tue lacrime non c’erano ancora i volti delle persone che ti mancavano di
più. Erano pure e ignare del mondo.
Hai continuato a
esserlo, puro e ignaro.
(Sono fiero di
te)
Perdonami, di
nuovo, se ho cambiato discorso.
Verso l’alba,
quando ormai avevo capito che mai sarei riuscito ad addormentarmi, ho deciso di
guardarmi allo specchio.
Potrà sembrarti
strano, Scorpius, ma ho visto tutta la mia famiglia e
Hermione sorridermi, come fossero un disegno su
carta. Apparivano orgogliosi di me e un po’ rassegnati.
Avevo
l’impressione che fossero il mosaico della mia vita, maschere falsate dai miei
desideri. Ero affamato di sentimenti e di ricordi; in quell’attimo, avrei fatto
di tutto per stordirmi ancora, per subire altre allucinazioni e vivere di
illusioni.
È stato come se
la terra avesse ripreso a tremare, di nuovo, e il mondo avesse ricominciato a
girare un po’ più velocemente, come mi aveva promesso Hermione.
Credo di aver
adorato l’alcool, quella notte, perché mi aveva mostrato tutto ciò che stava
dormendo in me. Batteri, tarli, impiantati da qualche parte, tra il cuore e
l’anima. In attesa di essere osservati a occhio nudo. Ho avvertito tutto il
dolore del mondo, mi sono sentito come il Vaso di Pandora. Erano tutti dentro
di me – tutti quelli che avevo ferito, deluso, ucciso con le parole, con gli
addii, che avevo tenuto stretti a me anche solo per un attimo.
Ricordavo tutto
e speravo di dimenticare.
Ho vomitato circostanze, momenti, odio, amore, rabbia, rancore, rimorsi, successi. Mi
sono svuotato: ero pronto per un nuovo inizio, perché quella di prima aveva le
parvenze di una vita, costellata dalla ricerca estenuante della felicità, di un
momento intrappolato in una fotografia.
Quando ho smesso di liberarmi di tutti i miei demoni e degli spettri, ho alzato gli occhi e nello
specchio c’era ancora Hermione.
Avrei voluto
dirle: tu sei come una Strillettera per me, (mi bruci
tra le dita, ma non sei tu a consumarti) divento cenere al posto tuo. Carta e
lacrime.
Quando ebbe finito, tornò in strada. Camminò sotto il
sole ardente della Grecia, mentre il sudore gli imperlava la fronte. Aveva una
borsa a tracolla e pochi soldi in tasca. Osservò le colline, si fermò a
contemplare la bellezza dell’infinito. Gli piaceva passeggiare ai bordi, quasi
in bilico, come un rischio; l’ebbrezza di fare parte del mondo, ormai, gli
aveva saturato l’anima.
***
Un sospiro.
L’inchiostro stava terminando. La sua scrittura era ormai
del tutto illeggibile, ma doveva finire di narrare i suoi segreti. L’ultimo,
quello sul fuoco, ormai era diventato troppo scomodo persino per il suo
stomaco. Di notte, gli tornava sempre in mente, asfissiante, e lo destava dal sonno,
che ormai era libero dagli incubi.
Presto lo sarebbe stata anche la sua esistenza. In modo
diverso, certo – sempre macchiata – ma più consapevole di averci provato, a
scrostare la patina rugginosa dei suoi errori.
Siamo alla fine,
Scorpius.
Sono giunto in
quello che dovrebbe essere l’inizio di una nuova vita. Come mi sento? Non lo
so. A volte, ho provato a immaginare come sarebbe stato questo giorno, che per
me è importante. Nelle mie scorse lettere, ho scritto che ti avrei confessato
il mio segreto.
Da dove devo
iniziare? Forse dal fatto che tutti fingiamo, Scorpius,
in un modo o nell’altro. È un po’ come il giorno felice e sereno di tua madre.
Astoria recita, ma lo fa talmente bene da farti dimenticare che è una farsa,
una carnevalata, che sulla pelle del suo viso ci sono quintali di trucco, che
pesano, come errori, come accuse.
Hermione è morta giovane, con pochi rimpianti, perché lei sapeva
vivere e ridere della vita; voleva salvarmi, evitare che io diventassi un’anima
dannata. Non ha mai avuto bisogno di simulare l’allegria; io sì, invece - come
tua madre, del resto - per questo sono povero, un miserabile nell’animo.
Mi mancava così
pazzamente, all’inizio, che ho fatto di tutto per rivederla.
L’ho riportata
in vita, utilizzando la Pietra della Resurrezione e ignorando le leggi della
natura e della morte stessa. Ho dissacrato il suo ricordo, forse anche il suo
corpo. Sono stato un folle e, per un po’ di tempo, la linea della pazzia mi ha
accecato, devastato.
Mentre aspettavo
che arrivasse, ero immobile, impassibile, impenetrabile, e saggiavo emozioni
sempre nuove e diverse; sembravo un pezzente, con gli stracci che mi coprivano
appena la pelle, le ferite che me la squarciavano: avevo già visto così tanto
sangue, Scorpius, durante la Battaglia di Hogwarts, ma era crudele perdere il mio, perché l’ho sempre
reputato prezioso.
Spero che tua
madre ti abbia insegnato – perché io non sono mai stato un buon insegnante, Scorpius, solo teoria e mai pratica – che un Mago deve
meritare la Bacchetta Magica non per il suo sangue, ma perché è in gamba, per i
suoi progressi e i suoi obiettivi e anche per i suoi sogni.
Perché io, tuo
padre, ho dubitato di me, dopo quella notte in riva al risonante mare: ho
dubitato di meritare la magia che scorre nelle mie vene. Avrei dovuto spezzare
la mia Bacchetta Magica, ma non ce l’ho fatta. C’è ancora, Scorpius,
quella traccia di codardo, in me: ho sempre avuto paura delle conseguenze, e
per questo ho sempre incolpato gli altri e mai i miei errori.
Quando l’ho
vista, quella notte, pensai che Hermione fosse bella
e che fosse vento, in ogni mio organo, vento capace di fare tremare la terra
sotto ai miei piedi.
Ricordo ancora i
graffi di quella notte – Hermione sarà sempre la mia
seconda pelle, il mio vestito più bello, e quando mi abbraccerai, la sentirai
un po’ parte di te – e il silenzio, ch’era come un sassolino nella scarpa per
entrambi. Mi è rimasto qualcosa tra le dita, Scorpius,
e non un ricordo: ci sono così tanti segreti nelle linee del palmo delle mie
mani che adesso mi paiono piccole cicatrici.
Spero che tu
sarai un uomo migliore di me; che riuscirai a perdonare, a non cadere nella
trappola che è un’idea, una convinzione che poi diventa ossessione. Sarò sempre
lì, a stringerti la mano, a ricordarti che non abbiamo condiviso il cordone
ombelicale, ma che ti ho desiderato tanto quanto tua madre: voglio costruire un
nuovo futuro, con te, una nuova vita. Magari iniziare un viaggio insieme e
finirlo in solitudine, ognuno con i suoi stracci addosso.
Quando tornerò a
casa, ti stringerò tra le mie dita una seconda volta – come quando eri venuto
al mondo – e ritroverò l’amore, quello che avevo creduto perso, dimenticato,
cristallizzato nella fotografia di Hermione e dei
miei genitori, nel mosaico che avevo visto quella notte.
Grazie a te –
che mi hai salvato, quando ero soltanto un marinaio in balia di un naufragio,
silenzioso ascoltatore dei miei segreti e rumoroso spettatore della mia vita –
forse riuscirò a riavere il sole, laddove ormai c’erano solo spettri e
nebulose.
(Hermione dappertutto)
Alla fine di
ogni ricordo
(Hermione per sempre)
Ti lascio con lo
stralcio di una lettera che ti scrissi poco dopo la tua nascita.
In fede,
tuo padre.
Quando ti
stringo tra le mie braccia, Scorpius, sembriamo
racchiusi in una bolla di fuoco iridescente. Ci guardiamo e tu mi sorridi,
complice. Forse mi hai ascoltato davvero, prima, mentre camminavo nel mio
universo in bianco e nero, mentre provavo a ricordare come fossero i colori: e
li vedo davvero, guardando te, e quasi ne posso assaporare ogni sfumatura. Sei
così piccolo e così vivo che quasi mi fa male il cuore: mi ferisci gli occhi.
Ti avvicino al
mio petto, lì, dove c’è anche Hermione. Dove c’è il
ricordo di tutti quelli che non se ne sono mai andati, compresa tua madre, che
mi guarda, felice, spettatrice silenziosa del mio infinito amore per te.
Entrambi
pensiamo: la tua vita, Scorpius, non avrà mai bisogno
di maschere.
E questa è la
promessa di due genitori.
***
Remedios en todos partes
y
Remedios para siempre
Cent’anni
di Solitudine
Draco stava scavando.
Attorno al suo passato si era formata una piccola crosta; dopo venticinque
anni, non si era ancora rimarginata. Draco avrebbe
dovuto toglierla, tirarla via, e il dolore sarebbe stato immane e
insopportabile.
Via.
Posò la mano sul suo cuore.
Toglierla.
Questa sarà la
lettera più breve, Scorpius.
Forse perché ho
compreso. Come alla fine di ogni viaggio, di ogni avventura, si arriva a un
finale. Cala il sipario; l’orizzonte che si tinge di nero, di un cielo blu
pieno di stelle, è proprio la fine che ho sempre sperato.
Ho fatto sì che Hermione morisse due volte.
Lei era troppo
giovane per morire.
Volevo
riportarla in vita, stare con lei, dirle finalmente ciò che avevo sempre
provato. Il problema è che, in ogni mio singolo giorno, mi sono chiesto se ho
fatto bene a evocarla, quella notte, usando la Pietra della Resurrezione.
La risposta è
arrivata tardi. Solo oggi.
Il mio è stato
un gesto egoista e, come tale, è servito a farmi stare bene. A farmi andare
avanti. Con il rimorso, certo, di non avere fatto abbastanza.
Ma i treni
passano di nuovo per un motivo, Scorpius.
Per darci la
possibilità di redimerci. Di perdonare e di essere perdonati.
Una colpa, un errore.
La sua paura.
Con gli anni, ho
imparato a convivere con ognuna delle mie cicatrici. Davanti al mare, Scorpius – che nel frattempo mi ha saturato la memoria con
troppe cose da ricordare – ho ripetuto la mia promessa:
Hermione dappertutto.
(Alla fine di
ogni ricordo.)
Hermione per sempre.
È stata tua
madre a ridarmi la forza. È appena arrivato un suo messaggio, con il tuo gufo.
Immagino che tu sia tornato dal tirocinio al San Mungo.
Non voglio più
perdermi un solo istante della vostra – la nostra – vita insieme. Saremo una
famiglia. Forse un po’ strana, difficile, ognuno coi propri sofismi, con il
proprio giorno in cui essere felice.
E, magari,
arriverà davvero, quel giorno, in cui non fingeremo. Ci guarderemo negli occhi
e scopriremo nuove sfumature; nelle labbra avremo nuove parole. In fondo,
dentro di noi, siamo nati per sopravvivere.
E sopravviveremo a questa tempesta, Scorpius,
facendo scorta di pane e di respiri e di ricordi.
Sono quelli che
ci salvano.
(E l’amore.)
Draco prese la
lettera che conteneva il messaggio di Astoria. La carta era un po’ bagnata. Si
chiese se fossero lacrime o pioggia. In ogni caso, era qualcosa da non perdere.
Qualcosa di prezioso.
Lo strinse tra le mani, respirando forse per la prima
volta, dopo la morte di Hermione. Forse fu il
destino, ma c’era odore di terra.
Terra che trema,
che mai s’assesta.
Lesse.
Draco,
promesse.
Astoria
(Oggi è
mercoledì)
Agguantò entrambi i fogli, li imbucò in una bottiglia e
li gettò nel mare.
Sorrise, immaginando di aver perduto un segreto.
Dopotutto, da quel giorno, l’orizzonte non sarebbe più stato come una brutta
riga da cancellare.
Forse io sono un’innata ottimista
ma penso che ci sia sempre
qualcuno che ci salva.
Rita Levi Montalcini
Prima
classificata
Alla fine di
ogni ricordo, di Venenum91
Vincitrice del
Premio Lacrima
Grammatica,
ortografia e punteggiatura: 9,85/10
Cioccorada (-0,05)
Si lasciò inebriare dalla brezza fresca del mattino, di
quella sensazione pungente che dava sulla pelle (-0,05)
da quella sensazione
alla prima volta in cui sei caduto (-0,05)
Bè, qui non ho
nulla da dirti, sei stata bravissima. Ti sei lasciata sfuggire solo qualche
piccolissimo errore da nulla.
Stile e
lessico: 10/10
Sono stata indecisa fino all’ultimo se assegnarti come
premio speciale il premio Stile o il Premio Lacrima; alla fine ho optato per il
secondo perché, in fondo, li conteneva tutti e due. Hai un lessico molto
accurato, ricchissimo, vario in ogni sua parte, che si sa adattare alla
perfezione ad ogni fase del racconto. Sei in grado di utilizzare i termini
giusti al momento giusto, hai una varietà lessicale davvero invidiabile.
E scrivi divinamente. Non si tratta solo di mettere in fila
qualche parola, di trovare armonia tra le frasi, di scrivere periodi più o meno
lunghi o più o meno articolati. Parlo del sentimento che traspare da ogni tua
parola, da ogni tua frase, da tutta la tua storia. Parlo del tuo modo di
rendere qualsiasi parola una magia, della tua capacità di trasformare la storia
in lacrime, in emozioni, in battiti del cuore. Questa storia mi ha fatto venire
un groppo in gola, e sono sincera quando dico che ho persino versato qualche
lacrima. È quando ti rendi conto che, una volta finita la storia, ti senti
vuota, che capisci quanto quella storia ti è rimasta dentro. A questo effetto
concorre senza dubbio la trama articolata e originale ma anche, e soprattutto,
il modo in cui sei riuscita a scrivere questa storia. C’è sentimento in ogni
tua parola, un sentimento intenso e profondo.
Caratterizzazione
dei personaggi: 8,5/10
Inizialmente ho trovato il tuo Draco
troppo distante dall’originale: troppo malinconico, troppo sentimentale. Ma
andando avanti nella lettura mi sono resa conto che era un modo di fare
pienamente giustificato: il tuo è un Draco maturo,
adulto, che ha dovuto compiere le sue scelte, ha avuto la sua dose di dolori.
Non può essere uguale a quello della Rowling, non deve esserlo. L’hai
tratteggiato superbamente, in ogni sua sfaccettatura. Ho provato tantissima
empatia, sei riuscita a farmi entrare dentro la storia e dentro il personaggio.
Probabilmente il personaggio è un po’ OOC, ma è un OOC giustificato e comunque
piacevole.
Non ti ho assegnato il punteggio pieno perché la storia
doveva essere incentrata su Draco e Hermione. La presenza di Hermione
è vivida, si sente, si avverte, ma la sua caratterizzazione non lo è
altrettanto. Di tanto in tanto salta fuori qualcosa, quella Hermione
così forte e dinamica che noi abbiamo conosciuto. Mi rendo conto che per
esigenze di trama non potevi inserirla, ma purtroppo ho dovuto considerare
anche questo aspetto.
Utilizzo dei
pacchetti: 13,75/15 (Così suddivisi: 5 punti per ogni pacchetto. Pacchetti prompt: 2,5 punti per ogni prompt
inserito; Pacchetti oggetti: 1,25 punti per ogni oggetto inserito)
Pacchetti personaggi: Draco è
senza dubbio il personaggio principale di questa storia. La storia doveva
essere incentrata sul pairing Draco/Hermione e, anche se la tua non è una trama tradizionale,
sei riuscita a rendere protagonista la coppia pur senza farla mai comparire
insieme. Mi domando ancora come tu ci sia riuscita. Hermione
era presente nella storia, anche se non lo era davvero. (+5)
Pacchetti prompt: I prompt sono entrambi presenti, a fasi alterne e in modo ben
bilanciato. Le lacrime percorrono tutta la storia, così come la carta è il
mezzo attraverso il quale Draco vomita la sua anima e
confessa il suo segreto al figlio. (+5)
Pacchetti oggetti:
- Torta (+0)
- Specchio (+1,25)
- Strillettera (+1,20)
- Bacchetta magica (+1,25)
Non ti sei solo limitata a citarli ma li hai fatti
diventare fondamentali, quasi fossero dei veri e propri prompt.
Il punteggio mancante alla Strillettera è dovuto al
fatto che gli oggetti andavano usati fisicamente, e non in senso figurato.
Peccato per la torta, sarebbe bastata citarla di sfuggita
per ottenere il punteggio pieno.
Originalità: 5/5
Non si può certo dire che la tua sia una storia comune. A
partire dall’ambientazione, per continuare con la caratterizzazione minuziosa
del personaggio principale, per finire con la trama in sé, che di banale e
scontato non ha proprio nulla, la tua fanfiction è
una perla rara. Hai sviluppato in modo innovativo ogni aspetto di questa
storia, e sei riuscita a imprimere forza e intensità ad ogni parola.
Punti bonus
(elementi facoltativi inseriti): 2/2
La strada era presente in ogni momento fondamentale di
questa storia (+1)
La citazione, anche se non parte integrante nel testo, è
visibile. È come se essa stessa fosse un prompt a sé
stante: la storia è la frase (+1)
Gradimento
personale: 4,8/5
Non è una storia comune, e penso che tu abbia capito che
ho adorato la tua storia in ogni sua parte. Tuttavia l’ho trovata, talvolta, un
po’ difficile da seguire: alcune parti erano un po’ lente, difficili da
seguire. Probabilmente la “colpa” è da imputare al genere: c’è tanta malinconia
in questa storia, tanto dolore, e questo da un lato aiuta il lettore, che
simpatizza con il protagonista e diventa partecipe delle sue vicende, ma
dall’altro lo allontana perché si trova a vivere una situazione inquieta,
altrettanto dolorosa. Ho avuto un groppo in gola per tutta la durata della
storia, in alcune parti gli occhi mi sono addirittura diventati lucidi, e
mentre leggevo avevo il cuore pesante. Sei stata in grado di emozionarmi in un
modo che non credevo possibile, solo che la sensazione che ho avuto non è stata
di pace e serenità, e questo ha contribuito ad abbassare un po’ il punteggio
finale in questo campo.
Resta il fatto che mi hai lasciata davvero a bocca aperta
con questa storia, e ti sei pienamente meritata la prima posizione.
Per un totale
di 53,85/57.