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Autore: Angel_98    14/09/2012    6 recensioni
Zayn fece cadere ogni barriera. Fece scorrere i polpastrelli sulla sua schiena stretta, stringendo con forza il tessuto ruvido della maglietta. L'abbracciò piano, spaventato al pensiero che si stesse lasciando troppo andare con quella ragazza -Solo cinque minuti.- le mormorò flebile, stanco.
Le sue labbra carnose gli sfiorarono l'orecchio -Tutto il tempo che vuoi.-
Sorrise. Ormai ne era dipendente, non poteva più ignorarlo.
Ndamministrazione: Plagio della fanfiction omonima pubblicata a questo indirizzo: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1160040&i=1
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                                                 The only one
 
Il paradiso terrestre era un appartamento nella caotica Londra in cui vivevano cinque favolosi ragazzi,e Lucy , diciassettenne dalle inesauribili energie, poteva vantarsi di averci posato le sue scarpe tacco dodici. Sarebbe potuta morire lì, in quel salotto dalle luci soffuse e i divanetti color panna che non le sarebbe importato nulla… Beh, questo prima che i One Direction non si fossero degnati di fare una foto con lei, ovvio. Allora sì che sarebbe potuta perire con uno smagliante sorriso sulle labbra! E arrivata davanti alle porte del Paradiso, avrebbe messo una buona parola per Lindsay Moore, la ragazza che aveva permesso al suo sogno di realizzarsi. Insomma… Era nella casa degli One Direction e non aveva nemmeno dovuto ricorrere all’entrata furtiva o le forcine per capelli per forzare la serratura! Aveva potuto rovistare fra i cassetti di Liam, curiosa di sapere se preferisse gli slip o i boxer, e nessuno l’avrebbe accusata di furto aggravato con scasso! Oh,che meraviglia!
Comunque, Lucy McDonald si era ritrovata così immersa in un nuvolo di Chanel N°5 e dopobarba al muschio che le stava infettando le narici del naso un po’ schiacciato. Davanti a sé, un nuvolo di celebrità appena uscite da una delle tante riviste di moda abbandonate sul tavolino del salotto; fra le mani, un microfono rovente mentre occupava la postazione adibita a Karaoke; nell’aria, la propria voce che non si avvicinava nemmeno di venti tonalità a quella di una brava cantante-Ma che strazio!- avvertì un gracidio risuonare nell’aria, ma lei non vi badò. Del resto, il suo momento di totale trionfo stava ormai giungendo.
Le parole cominciarono a scorrere sullo schermo e lei, allargando il proprio sorriso, pigolò -Coraggio tutti assieme!- sventolò un braccio, ondeggiando sulle melodiose note .
-Oh, per carità, basta!- Louis  aveva teatralmente portato le mani fra i capelli, scompigliandoli, lasciando che un’avvenente morettina un po’ brilla continuasse ad accarezzargli la schiena, probabilmente per lenire il dolore.Niall, al suo fianco, lasciava ciondolare la nuca, visibilmente ubriaco.
Oh, che esagerati!, pensò svagata, continuando imperterrita nel proprio melodioso cinguettio
 
-Le galline stonate andrebbero rinchiuse nei pollai.-
… Cinguettio che venne soffocato dall’arrivo del guastafeste di turno. Chi era questo cretino che osava mettere in dubbio le sue squisite doti canore?! Arricciò le labbra nel sentirsi rivolgere quel commento sgarbato, ma il fastidiò fu come una nuvola passeggera che lasciò spazio al sereno, mentre un’incommensurabile gioia che aveva il potere di irradiare tutto il salotto, si fece largo nella nebbia del suo cuore. Perché quando si volse, la perfezione che scorse fece scemare quel briciolo di isteria che l’aveva presa in contropiede: Harry Styles, in tutta la sua ricciolosa eleganza, le aveva strappato il microfono di mano.
-Sarebbe meglio lasciar fare ai professionisti.- trillò una giovane facendole l’occhiolino, prima di concentrarsi sul libricino contenente tutte le canzoni.
Ma Lucy la ignorò, persa nei meandri del proprio cervello fritto e fumante. In mezzo ai detriti, un unico pensiero: come poteva tanta beltà essere incanalata in un unico ragazzo?
-Tu—boccheggiò, deglutì, strabuzzò gli occhi, ma ancora faticava a credere a ciò che qualche buon Dio le avevano piazzato sul proprio cammino.
–Che c’è?- annoiato, arcuò le sopracciglia di fronte alla sua bocca spalancata –Finalmente la voce si è suicidata?-
E avrebbe dovuto sentirsi mortalmente offesa per quell’appunto sgraziato e carico di pungente ironia, prendere a schiaffi quel visetto d’angelo contratto in una smorfia di derisione crescente, strappare quei riccioli disordinati, e perché no, conservarli come fossero un portafortuna, magari appendendoli allo specchietto dell’auto.
Fu in uno dei suoi soliti trip mentali, in quel momento di ordinaria follia che le mani si allungarono verso il cantante che, poco prima, aveva pensato bene di girare al largo da quella squinternata. I polpastrelli caldi, roventi sulla sua pelle fresca, si posarono delicati sulla fronte scoperta ora corrugata per l’incredulità, compiendo lenti movimenti in su e in giù -Mi sono sempre chiesta se la tua fronte è davvero così liscia o è solo il video di One Thing ad essere ritoccato- aveva sciorinato quelle parole come un fiume straripante, indifferente agli occhi chiari ora spalancati del ragazzo che, se prima aveva scacciato le sue mani con malagrazia, ora se ne restava immobile come un ameba, braccia lungo i fianchi –Sembra il sederino di un bimbo!-
Harry la guardò seriamente convinto che fosse pazza -Chi sei?-
Allungò la zampina ingioiellata verso le sue ciocche ricce, tirandogliele leggermente -Senti, posso staccarti una di queste?- si avvicinò con fare cospiratorio, mettendo una mano davanti alle labbruccia color ciliegia –Sai, ho un altarino con tutte le tue foto nel mio armadio!-
-Se non la smetti, chiamo la sicurezza- la ragazza lasciò cadere le mani –che casualmente finirono per sfiorare le sue deliziose labbra- portando i pugni sotto il mento cercando di non esplodere. Haary era davanti a lei, in tutta la sua magnificenza. E lei lo aveva toccato! Non si sarebbe lavata più le mani! –Piuttosto… Chi ti ha fatta entrare?- aggrottò le sopracciglia, squadrandola.
Lucy, stretta nel proprio abitino bianco a fiorellini viola e lillà, si maledì per non aver infilato un paio di calzettoni nel proprio reggiseno, auspicando che la propria prima scarsa potesse almeno divenire una seconda abbondante. Gonfiò leggermente il petto, pregando che il gioco di luci creasse qualche strano effetto ottico che potesse farla apparire la Pamela Anderson della situazione, anche se dal suo sguardo deluso e annoiato capì di aver miseramente fallito la missione –Niall!-
Il ragazzo si massaggiò una tempia -Riformulo la domanda: chi ti ha invitata?- diretto e asciutto, il leader portò le mani nelle tasche dei pantaloni neri, lanciando di tanto in tanto qualche occhiata alle belle ragazze.
-Oh, sono venuta con Lin!- trillò al settimo cielo, alzandosi sulle punte per vedere se la ragazza fosse nei paraggi; di lei, purtroppo, nemmeno l’ombra. L’ultima volta l’aveva vista discutere al banco degli alcolici con Zayn, ma dubitava si stessero scambiando i complimenti sul vestiario.
Fu allora che Harry allargò gli occhi, sogghignando –Quindi sei tu la cozza.-
Gonfiò le guance –Ostrica con perla, prego.- agitò l’indice, vedendolo abbozzare un sorrisetto inquietante che mai aveva scorto sul suo viso. E sì che lei aveva registrato tuuuuutte le interviste fatte dai One Direction! Eh, però era proprio bello, accipicchia! E sarebbe rimasta tutta la notte a contemplarlo, a seguirlo e magari nascondersi in qualche anfratto per poterlo poi fotografare di soppiatto –possibilmente nudo- per dare un pizzico di pepe al suo scialbo altarino addobbato con le lucette di natale che gli conferivano un tocco un po’ kitsch. Sarebbe rimasta così per davvero…
… Ma ci fu qualcosa che distrasse la sua contemplazione sognante, una sbavatura di trucco e di emozioni che collidevano fra loro, un uragano dalla lunga treccia corvina che rovinò quel momento magico. Un momento talmente pieno di colore, per quanto assolutamente spiazzante, che le fece dimenticare di Harry, degli One Direction, di tutto… Perché quell’adorabile ghiacciolo della Moore sembrava appena essere tornata da una corsa fianco a fianco con Usain Bolt tanto era sconvolta. E lei, che avrebbe dovuto essere adirata per quella rozza interruzione, per quella scena pietosa, per quel siparietto sgradevole che aveva fatto fare le valigie alla magia… Non riuscì a provare nulla se non preoccupazione –Che succede?- soffiò senza energie, guardando Harry che, al suo fianco, aveva corrugato la fronte, palesando irritazione.
-Oh, quindi è già avvenuto...-
-Che cosa?!-
Il ragazzo alzò le spalle prima di scoccarle un’occhiata annoiata –Nulla che ti riguardi.- e senza nemmeno degnarla di uno sguardo, si allontanò verso altri lidi, lasciandola con la curiosità divorante tipica delle zabette di paese. Scosse la nuca e senza curarsi di quel troglodita si catapultò verso il ciclone americano -Che è successo?!-
-Voglio andare a casa.- esalò passandosi la mano libera sul volto; l’altra, stringeva un’abominevole giacca multicolore che sembrava gridare bruciatemi tanto sono orrenda.
-Subito!- la prese per un polso, tacchettando verso la giacca riversa sul divano in mezzo ad un mucchio di altri soprabiti. Raccattò quella che, tra tutte, risultava indistintamente comprata alle bancarelle dei mercatini, avvertendo dietro di sé la sofferente quanto lugubre presenza dell’amica.
-Tu puoi restare.-
-Non ti lascio andare a casa da sola!- agitò le mani, guardandola allucinata. Come se potesse davvero abbandonarla per quelle strade solitarie vestita da campagnola, il trucco sfatto e la sobrietà di un alcolizzato appena uscito dalla birreria nel giorno delle pinte gratuite.
Lin si stropicciò il volto, singhiozzando -Ma tu volevi stare con i One Direction…- mormorò affranta, come se fosse davvero preoccupata per quell’uscita di scena plateale e in stile Cenerentola. E Lucy, in tutta la sua umanità, si ritrovò a guardare quattro dei cinque membri della band che le fissavano incuriositi e confusi, trovandoli più belli di quanto avrebbe mai potuto immaginare. E avrebbe davvero tanto, ma tanto voluto restare con loro ancora un po’, giusto per godersi quel momento che, sapeva, non sarebbe mai ricapitato… Un ‘occasione che piomba una sola volta nella vita…
Eppure, in quel marasma di emozioni altalenanti, si ritrovò a scuotere la nuca, sorriderle rincuorante e prenderla per mano, ripetendo un serafico –Non ti lascio andare a casa da sola.- perché più di Harry e della sua pelle liscia, più del suo sogno di poter fare una foto con i One Direction, più del desiderio di rubare i boxer di Liam dal suo cassetto, più di tutto questo… C’era Lin che continuava a guardarsi indietro, che stringeva convulsamente uno straccio e che non sembrava, per la prima volta da che la conosceva, immune a ciò che la circondava. Alle persone che le stavano attorno…
Porse un breve inchino agli ospiti e si trascinò dietro l’americana dal pianto imminente che, come suo solito, si ritrovò a sventolare una mano con svogliatezza. Era lieta di sapere che, nonostante i litri di alcool in corpo, quella non divenisse una gatta morta!
 
Le strinse il polso quando, ormai giunte all’automobile, avvertì i suoi singhiozzi farsi sempre più sommessi -Cos’è successo?- le passò i pollici sotto gli occhi, ricevendo una smorfia in cambio. Sospirò e, paziente, attese che la degnasse di una risposta. La vide accucciarsi sul sedile anteriore dell’auto e legarsi la cintura con un gesto secco mentre allungava l’indice verso la radio.
-Ho be-vu-to- scandì svagata, ridacchiando scioccamente mentre buttava la testa all’indietro –Il rhum è così buono!- trillò, cominciando ad agitare le dita come se fosse un maestro d’orchestra mentre la musicava cominciava a circondarle.
Lucy mise in moto e solo dopo aver appurato di essere riuscita a non schiantarsi contro qualche costosa auto parcheggiata, si lasciò trasportare in quella conversazione insensata. Sentendola canticchiare ad intermittenza, sospirò –Tuo padre non sarà contento di vederti così.- e lei non avrebbe voluto essere nei suoi panni, proprio no.
Lin emise un verso strozzato, uno squittio stridente che le fece allargare gli occhi per la sorpresa. Le sembrava così diversa dalla solita menefreghista, così… viva, così piena di colori, assolutamente bella in tutta la sua sciattezza da spingerla a chiedersi cosa l’avesse spinta a tutto ciò –Lui non è mai contento di vedermi- la sentì sussurrare con una risata mal trattenuta prima di sbottare un secco –Io non ci torno a casa!- passandosi una mano sul naso.
Schivò un malefico gatto che le aveva tagliato la strada -Come non torni a casa?!-
-No, io lo odio!-
-Chi odi?-
-Mark!- poi la sua voce si fece debole, quasi un sussurro –No.-
-Ma chi è Mark?!-
-Zayn!-
-Eh?! Ma non si chiama Mark!-
-No, però li odio!- masticò le parole, incespicando –Ma Zayn di meno- la vide portare la mani ingioiellate fra i capelli –Però lui mi disprezza.-
-Oh, andiamo, disprezzare è una parola troppo grande!- asserì convinta, cercando di rasserenarla.
Lin ridacchiò –Noo-o, lui mi disprezza, l’ho visto. Quando gli ho tirato Il signore degli anelli sul naso—
-Che cosa gli hai tirato addosso?!- la interruppe incredula, svoltando bruscamente alla rotonda. Ma di che diavolo stava blaterando? E perché aveva preso a signorate degli anelli il povero Zayn?!
-E Guerra e Pace, e Harry Potter e—
Lucy sventolò una mano -Ma perché?!-
Lin strabuzzò gli occhi nocciola prima di socchiuderli –Non-lo-so.- poi ridacchiò, appoggiando la guancia sul finestrino.
Quell’intricato vaneggiamento non stava portando ad altro che vicoli ciechi. E Lucy, pur nella sua immensa bontà, si arrese alla propria incapacità di poter sostenere quel mucchio di frasi biascicate che saltavano come scimmie sulle liane da un albero all’altro. Un lungo sospiro scappatole dalle labbra pitturate di ciliegia riempì l’abitacolo e la McDonald, recuperando il cellulare dell’americana, si premurò di mandare un messaggio a suo padre dopo aver abilmente frugato nella rubrica –Stasera dormi da me.- le mormorò pacata, scompigliandole i capelli corvini.
E avrebbe potuto affermare con certezza, Lucy, che quella serata piena di colpi di scena sarebbe potuta terminare in quella maniera un po’ bislacca ma che, all’apparenza, non aveva niente di memorabile. Ma a quanto sembrava, aveva mal valutato Lindsay e le sue doti tenute ben nascoste, perché prima di svoltare a destra, la vide togliersi i tacchi imprecando per il dolore ai talloni, poggiare i piedi smaltati di rosso sul sedile e circondar con le gracili braccia le ginocchia portate al petto, la nuca pesante su di esse mentre le spalle erano scosse da tremiti. E nella quiete, ci fu un suono caldo e gentile…
-Scusami anche tu.-
Un sorriso le sfuggì mentre tamburellava le dita sul volante –Non è nulla.-
… Lindsay Moore non era la parsa mai tanto fragile come allora…
 
 
Anche la mattina seguente, in mezzo al macello di casa propria, Lin le dava l’impressione di non passarsela troppo bene: la treccia sfatta, il viso più pallido del normale che intaccava la sua delicata bellezza, lo sguardo assente e fisso sulla tazzina fumante di orrendo the verde… Era come assistere ad un tristissimo film muto in bianco e nero.
-Come va la nausea?- domandò accorta, ravanando nel barattolo contenente tutte le bustine di the dalle varietà altamente assortite.
-Schifo.- biascicò in risposta, storcendo il naso di fronte alla tazza rosa. Nonostante la disgustasse, continuava a bersi quell’intruglio malefico. Ancora non capiva se fosse solo pazza o se davvero la Moore avesse il gusto dell’orrido.
-Quella roba farebbe venire il vomito a chiunque.- commentò pensosa, imbronciandosi nel non trovare una bustina che soddisfacesse la propria voglia di dolciastro. Una smorfia le dipinse il volto sottile quando una bustina di the verde, camuffatasi in mezzo alle altre squisitezze, le capitò fra le mani.
-Allora perché le compri?-
-Piace a mia madre. Quando viene a trovarmi, ne beve almeno due tazze al giorno- sorrise vispamente prima di tronare alla sua ricerca, ricevendo un mugugno sommesso dall’altra parte del bancone –Tornando a noi… Ma perché gli hai tirato dei libri addosso?-
Lin agitò una mano –Ero ubriaca.-
Lucy saltellò quando la bustina di the alla pesca si decise a farsi trovare, stringendola forte mentre guardava l’amica con severità –Niente più Chupito del pre-serata per te- vide le sue labbra guizzare all’insù per un millesimo di secondo, poi il volto si incupì di nuovo –Solo per quello?- si fece seria, spinta dal desiderio di comprendere il perché di quel gesto suicida. Perché era illogico che una persona sana di mente desse inizio ad una lotta a colpi di Guerra e Pace, così come era assolutamente inimmaginabile che, dall’altra parte del campo, vi fosse Zayn degli One Direction.
Ma Lin sembrò leggerle nel pensiero, perché la sua voce risuonò colpevole, assorta, ma non fu capace di darle una risposta precisa –Ho esagerato questa volta.- si stropicciò il volto, reprimendo un sospiro pesante.
Non se la sentiva di criticare il suo atteggiamento scostante e freddo che, a ben vedere, non le portava altro che guai, anche perché la ragazza sembrava averne già patite abbastanza per quel giorno -Quindi cos’hai intenzione di fare?- inzuppò la bustina, crogiolandosi nella vista del liquido che si scuriva in cerchi traballanti.
Lin continuava a rigirare il cucchiaino con svogliatezza, rimanendo in fissa sull’oggetto che mai lite più funesta aveva portato –La porterò in lavanderia.- asserì apatica, un’imprecazione a seguire.
Un risolino le sfuggì –No, no, intendevo con Zayn!-
L’americana nascose le labbra dietro il palmo aperto -Non ci ho pensato- borbottò –A dir la verità, non ho granché voglia di vederlo.-
Soffiò sulla tazza -Vedrai che le cose si aggiusteranno.- asserì pacifica, cercando di infonderle un pizzico di positività.
E mentre cominciava a sorseggiare la bevanda, inebriandosi del sapore dolciastro che le aveva invaso la bocca, udì indistintamente le parole appena bisbigliate della ragazza –Come se ci fosse mai stato qualcosa da aggiustare- prima che quella si alzasse e posasse con delicatezza la tazza nel lavabo. Lucy abbassò lo sguardo, osservando le proprie ciabatte a forma di Puffo vanitoso. Era vero, tra quei due non correva buon sangue e sarebbe stato impossibile rimediare ad un errore commesso per salvaguardare un rapporto che, effettivamente, non esisteva. Però, forse, quella crepa che si era creata fra loro non sarebbe stata poi così negativa, no? Ad occhiata più approfondita, quello sarebbe potuto essere un nuovo inizio per la loro traballante conoscenza, che su basi nuove e civili, magari si sarebbe potuta solidificare. O, alla peggio, sarebbe sfumato nel dimenticatoio -Vado a prepararmi. Papà potrebbe darmi per dispersa.- la vide storcere il naso mentre una mano andava ad incastrarsi fra la zazzera scompigliata, zampettando sulle punte verso la camera da letto.
La padrona di casa la chiamò -Sai? Non dovresti sentirti in colpa- Lin si voltò, palesando la propria confusione e incertezza -Gli hai chiesto scusa, no?- e vedendo i suoi occhi ripieni di sincera gratitudine, il sorriso spezzato e una strana gentilezza che prima di allora non era riuscita a cogliere, come se quel pianto avesse fatto scivolare via il rancore per lasciare spazio ad una autentica voglia di redimersi, Lucy si ritrovò a pensare a quanto ancora ci fosse da scoprire su Lindsay Moore.
Posò il the sul bancone e, inevitabilmente, lo sguardo cadde sulla giacca spiegazzata sul pouf rosa scuro proprio sotto la finestra. Lucy tossì  –Certo che quella giacca è proprio brutta, però.-
 

*****
 
-Mi ha sbattuto la porta in faccia!-
Un rantolo acuto e sdegnato risuonò per il corridoio, investendo deliziosamente le proprie orecchie abituatesi al silenzio di quel pomeriggio soleggiato e, almeno fino a cinque secondi prima, noioso da morire. Non ebbe nemmeno la necessità di alzare il capo dal foglio su cui stava buttando giù qualche frase per rendersi conto di chi aveva appena allietato la sua giornata uggiosa…
-Chi ti ha sbattuto la porta in faccia,Niall?-
-Zayn!-
… Ed ecco accorrere in cucina con i piedi sciabattanti, un Niall in tutta la sua adorabile ingenuità e irruenza, pronto a manifestare la propria rabbia nei confronti di un Zayn piuttosto incazzoso, quella domenica. Era infatti dalla notte precedente che il loro adorato Malik era entrato in modalità Killer con chiunque gli fosse capitato a tiro e Harry, in mezzo al frastuono della musica, in mezzo al vociare concitato e assolutamente privo di attrattiva degli invitati, nel bel mezzo di una discussione con una tappa insignificante rossa di capelli sulle sue presunte –quanto discutibili- doti canore, aveva compreso cosa, anzi, chi avesse risvegliato la bestia sopita: Lindsay Moore. Perché, come da copione, i due si erano probabilmente rivolti qualche parolina di troppo, inscenando una battaglia che, a suo dire, sarebbe potuta essere annoverata fra le scene cult del buon cinema.
Aveva storto il naso però quando aveva appurato di essersi perso tale sublime scontro, ma contava di potersi rifare. Perché ce ne sarebbero stati altri e lui sarebbe stato presente, applaudendo ai due protagonisti, lanciando loro fiori e incitandoli affinché potessero concedergli un bis. E se da un lato c’era il disappunto per aver scialacquato quell’occasione d’oro, LA lite per eccellenza, la madre di tutte le battaglie, l’incipit di quello che sarebbe stato il suo film preferito, dall’altra c’era la completa certezza che la bontà di Niall avrebbe sanato ogni ferita. Il suo strepito iniziale, per esempio, era paragonabile ad uno sciroppo alla fragola.
-E perché l’avrebbe fatto?- melassoso, lo scrutò con la coda degli occhi ora colmi di gioia.
Niall aprì le braccia, corrugando la fronte, come se non si capacitasse dell’ovvietà di quella domanda -Perché è incazzato!-
Sbatté le palpebre, inclinando il capo con curiosità -Lo è?-
Tentennò, la mano che andava a grattarsi la nuca –Beh, forse, credo… Lo sembra!-
-Oh, lo sembra- soppesò trattenendo una risata liberatoria, crogiolandosi alla vista del suo snervamento ora rivolto allo spazzolino blu che stava brandendo –Sicuro che non si sia appena svegliato? Anche tu sei sempre incazzato appena sveglio.- constatò portando l’indice alle labbra, guardando il soffitto con civettuola pensierosità.
Fu uno spettacolo l’espressione di titubanza che prese il sopravvento sulla rabbia del ragazzo, ora incespicante mentre tentava di replicare alle sue supposizioni, ma fu questione di attimi perché, rinvigorito da chissà quale rimembranza, deviando la sua accusa, eccolo balzare –No, che non si è appena alzato! Ha occupato il bagno per ore e quando gli ho detto “Buongiorno!” mi ha sbattuto la porta in faccia!- trillò inviperito, fumando come una teiera sul fuoco.
-Per ore… Magari non sta bene.-
Lo vide allargare gli occhi azzurri  prima un po’ assonnati, come se non avesse preso in considerazione quell’eventualità – No no no, quello è incazzato, te lo dico io! E’ da ieri sera che morde- Harry ghignò, aprendo bene le orecchie affinché potessero cogliere la sfumatura di esilarante ingenuità che, sapeva, sarebbe trasparita dalle parole che ora l’irlandese avrebbe pronunciato –Credi che dovremmo indagare?- mugugnò incerto, rigirandosi lo spazzolino fra le mani.
E Harry non poté non sentire il proprio cuore accartocciato fare qualche capriola per quel magnifico show che gli si stava presentando davanti agli occhi. Niall prendeva sempre tutto troppo sul serio che non poteva non lasciarsi andare ad uno dei suoi soliti giochetti ad ostacoli. Era come se fosse nato per sottoporsi a quei tipi di quiz e, badare bene, non tutti erano portati. Liam, per esempio, era troppo buono per poter vedere del marcio nelle sue domande impertinenti, Louis appena ventilava aria di salto in lungo psicologico troncava la conversazione… Ma Zayn e Niall no, loro si ritrovavano incatramati in tutto quello senza, forse, rendersene nemmeno conto. Ed era una goduria vederli seduti ad arrovellarsi il cervello per tentare di spodestarlo e vederlo crollare. Peccato che Harry, tra tutti, fosse l’unico in grado di guardare oltre la semplice apparenza e, quindi, districarsi bene in una conversazione dove bisognava andare in profondità, oltre la superficie grezza dell’essere –Indagare su cosa?- inclinò il capo, concedendogli un po’ di tempo per ponderare su di una risposta intelligente.
Niall si indispettì –Ma su Zayn! Su Zayn e il perché è così incazzato!-
-Oh, già, ne stavamo parlando.-
-Eh?!-
-E cosa ti fa credere che sia successo qualcosa ieri sera?-
L’amico boccheggiò, insicuro –Beh, quando è uscito dalla camera di Liam, sembrava sconvolto! Come se avesse appena visto un Alieno girare per casa!- agitò le mani, melodrammatico. Oh, com’era brav! Sembrava tanto scemotto e invece era di una brillantezza geniale!
-Ma tu non dicevi che gli Alieni sono carini?-
-Sì, ma non vorrei vederne girare uno in camera mia!- annuì vigoroso, per poi puntargli contro lo spazzolino –E comunque non stavamo parlando degli Alieni!-
-Ma sì invece! Sei stato tu a dire che—
-Non cambiare discorso!-
SU-PER-BO.Il gracidio che era scappato alle labbra sottili del compagno fu qualcosa di assolutamente meraviglioso e, pur conscio di dover mantenere una certa serietà in quei frangenti, Harry si ritrovò a buttare la testa all’indietro e riempire l’aria con la propria risata, sentendo su di sé lo sguardo furente del ragazzo. Peccato che se la stesse prendendo tanto a male; incredibile come Niall  non si accorgesse di quanto divertente fosse. Era il classico ingenuotto un po’ sulle nuvole che cercava costantemente di non farsi infinocchiare ma, alla resa dei conti, si ritrovava rivoltato come un calzino, convinto comunque di averla fatta franca. O di esserne uscito vincitore, per usare la più appropriata terminologia. E Harry glielo lasciava credere, perché l’espressione vittoriosa che gli dipingeva il volto era qualcosa di troppo sganasciante per potersela perdere.
-Mmm… Quindi Zayn  sembrava sconvolto.- riportò il discorso sui giusti binari, spelucchiando un po’ della brioche che, calda, svettava al centro del piatto a forma di panda.
Niall , imbronciato, sembrò tornare tranquillo quando udì le sue parole colme di tedio –Non mi sembri molto turbato.-
-Forse, allora, non lo sono.- affermò con placida sicurezza, l’angolo destro delle labbra che guizzava all’insù mentre coglieva il fastidio indurire i suoi lineamenti.
-Invece dovresti! Zayn è tuo amico, dovresti essere più preoccupato!- lo accusò acidamente, portando le mani sui fianchi. Come se quell’atteggiamento da suocera petulante potesse far germogliare un seme di sensibilità nel suo cuoricino scaduto.
Sbatté le palpebre un paio di volte, calandosi nella parte dell’ingenuo della situazione -Ma per cosa?- lo provocò con finta confusione ad adombrare il volto sottile.
Niall roteò gli occhi, come se trovasse irritante il suo non comprendere. E lui sorrise nella incontrovertibile realtà delle cose: tutto stava andando esattamente secondo i suoi studiatissimi piani. E Niall era solo una delle tante pedine che veniva spostata a suo piacimento.
-Per la situazione di Zayn !- aprì le braccia, abbassando la voce pur di non farsi sentire –Che peggiora sempre più!-
-A me sembra che vada tutto a gonfie vele.- ammise con sincerità, trattenendosi dallo scoppiare a ridere quando vide i suoi occhi chiari  divenire larghi come due palline da tennis. Ah, che visione celestiale quella del Niall inorridito!
-Ma non è assolutamente vero!- obiettò con tutta la forza che aveva in corpo, agitando i pugni. Come non provocarlo se continuava a stuzzicare la sua cattiveria con quegli atteggiamenti da santarellino che offriva da bere ai viandanti smarriti nel deserto? –Non va a gonfie vele! Non va!- perché lui era così, magnanimo e talmente buono di cuore da non poter non aiutare il prossimo. L’esatto opposto di lui, ora che ci faceva caso. E Harry , deciso per una volta a non rivestire i panni dello stronzo di turno, si premurò di essere caritatevole e dare una leggera spinta alla mente dell’amico affinché compisse il passo verso il livello successivo. Ma, beh, tutto ciò sempre a modo proprio…
 
Fissò il piatto con noia tangibile -Sarebbe impensabile, già…- si ritrovò a mormorare nel silenzio che li aveva avvolti - Come può andare a gonfie vele una nave che va sempre più a picco?-sogghignando quando comprese a che punto fosse ormai l’opera. Perché la miccia era stata accesa, no? Il culmine del loro odio si era ormai concretizzato…
–E solo un marinaio idiota non abbandonerebbe la nave che sta affondando, non trovi?
Niall annuì –Credo di sì.- lo guardava allibito, come se non comprendesse il significato recondito delle sue parole pacate.
 
Perché altrimenti non avrebbe potuto spiegare l’espressione livida di collera che aveva indurito i lineamenti dell’amico quando, uscente dalla stanza di Liam; non avrebbe potuto spiegare il bernoccolo sulla fronte, non avrebbe potuto spiegare il suo costante imprecare contro tutte le ditte di alcolici e la Columbia University…
 
-Ma se questo marinaio non fosse un idiota?-
 
Non avrebbe potuto spiegare America che, deliziosamente scombussolata, stringeva la sua giacca sgargiante come una ladra in fuga, con la colpa tangibile sul viso sbavato di trucco
 
-Se avesse deciso di vedere quanto può essere profondo l’oceano?-
 
O l’espressione di assoluto disorientamento che aveva aleggiato intorno a Zayn per tutta la festa…
 
-E se scoprisse quanto può essere amabile tutto quello che vede al di là della superficie?- riportò lo sguardo, con lentezza sfiancante, sull’irlandese confuso–Lo chiameresti ancora idiota?-
Come da previsioni, Niall si grattò la nuca, sbuffando un lagnoso –In che senso?- che lo riportò alla realtà. Ah, disdicevole, assolutamente! Lasciarsi andare a quelle confessioni così ardue e soprattutto colme di indizi che avrebbero segnato la linea del traguardo senza nemmeno lasciargli il tempo di divertirsi un po’! Stupido, stupido Harry che si lasciava trascinare dalla voglia di torturare quel peluche di Niall !
Scosse la nuca –Leggi fra le righe, Niall.-
-Mi viene da pensare che tu voglia comprarti una barca.- confessò serio serio, facendolo scoppiare a ridere di gusto.
Senza concedergli una spiegazione, si alzò dal tavolo, segnando la fine di quel favoloso gioco dell’oca –Tra poco dobbiamo andare. Ci sono gli allenamenti tra un’ora.- che lo fece mettere sull’attenti.
-Vado a vedere se Zayn  se la sente di venire!- e, leggiadro com’era venuto, scomparve alla sua vista assorta.
Sorrise appena mentre recuperava la giacca dall’appendiabiti posto di fianco all’entrata. Lo sciabattio ripopolò la stanza.Harry , sulla soglia, già con la giacca indosso, attendeva la venuta di Niall  portatore di liete novelle. E tante, tante grasse risate –Viene?-
-Dice di non stare bene- preoccupato, trattenne un enorme sospiro prima di aggiungere un incerto –Credi abbia l’influenza?-
In quel momento, godendo della preoccupazione palpabile che aleggiava intorno alla sua figura, Harry non poté non lasciarsi sfuggire un serafico -Vedrai che gli passerà- solo per poter osservare i suoi occhi allargarsi, le sue labbra schiudersi e il volto contrarsi in una smorfia di tensione.
-Ma… E se peggiora?!-
Harry abbassò gli occhiali da sole –Tranquillo- sorrise sornione –Il mal d’America non ha mai fatto male a nessuno.-
 
******
 
La pila di felpe, dal bordo del letto sfatto, la fissava minacciosa. E lei, con indomabile nervosismo che scorreva in ogni capillare del proprio esile corpo, sentiva il bisogno di calmarsi, ritrovare la pace che le permetteva di non sentirsi soggetta alle calamità che incombevano nella propria giovane vita. Lisciò la maglietta di Bambi e cominciò a piegare le abominevoli felpe con la speranza che almeno loro la smettessero di regalarle lo sguardo alla Zayn Malik… Già, Zayn…
 
Erano trascorsi tre giorni da quella maledetta festa e ancora le vivide immagini di quella furiosa lite sembravano non voler abbandonare la sua mente turbinante di pensieri. Perché c’era il sentore che l’odio tra loro fosse incancellabile, la certezza che qualsiasi scontro avrebbe portato ad una guerra di dimensioni intergalattiche… La vaga sensazione di inadeguatezza che provava nel rendersi conto che, la prossima volta, non sarebbe stata in grado di sostenere il suo sguardo tagliente. Lei, Lindsay Moore, la ragazza che poco conto dava alle cattiverie altrui, che lasciava scivolare tutto come acqua sulla pelle, si sentiva l’essere più abietto che potesse gironzolare sulla superficie terrestre. E solo perché lo aveva preso a librate senza un motivo apparente. Nh, che poi, di motivi per prenderlo a librate -e non solo- ne aveva a bizzeffe: prima di tutto era un idiota di dimensioni bibliche, il peggiore che aveva mai avuto il dispiacere di conoscere; borioso, arrogante, intrattabile, sembrava sempre trovare un pretesto per attaccare briga con lei che, tutto sommato, cercava di starsene quanto più possibile nel proprio cantuccio, magari venendo dimenticata…
Bastava tutto questo?
 
Ed era antipatico come un calcolo renale, incapace di essere gentile, in particolar modo con lei che… Beh, nemmeno lei era stata una campionessa di buone maniere nei suoi confronti… La Coca Cola, i nomignoli e poi Guerra e Pace sulla fronte…
 
Bastava davvero tutto questo per renderlo odioso?
 
Solo perché era capitato lì per caso, per scappare da una bionda che gli dava la caccia, o per chiederle una birra…
 
Lui arrivava sempre per caso…
 
-Lin, è permesso?-
Un toc toc leggero accompagnato da un suono vellutato rapì la sua svagata attenzione; sulla soglia, Natalie guardò dapprima lei con un sorriso gentile, poi si adombrò alla vista del campo di battaglia nella camera da letto.
-Adesso metto a posto- mormorò sventolando una mano, invitandola implicitamente ad entrare. La donna evitò di calpestare un paio di reggiseni vaganti e si accomodò nel mercatino ambulante, guardandola. Natalie  non piombava mai in camera sua, almeno, non per caso, perciò si stupì quando la vide scrutare l’ambiente e, con noncuranza, cominciare a raccogliere gli abiti smessi che occupavano la moquette. –Qualcosa non va?- le diede le spalle, continuando a sistemare.
-Oh, nulla, nulla- le parve incerta, stretta nel suo grembiule da cucina a fiori, nei suoi capelli neri legati in una crocchia, nella sua parlata lenta e vellutata, come se volesse farle sempre capire ciò che diceva nonostante le barriere linguistiche –Volevo solo parlare un po’, se ti va.-
Ma cos’è tutta questa voglia di parlare?! -Certo.- come un riccio stuzzicato dal predatore, Lindsay si preparò ad una conversazione ad ostacoli che non sapeva prevedere. Ne aveva abbastanza di uscire sconfitta da ogni chiacchierata con un adulto. Le ultime e gentili parole del padre avevano già causato abbastanza danni… Ah, tra parentesi, quei due si evitavano come la peste. Giusto per rendere nota la cosa.
-E’ da un po’ che me lo chiedo… Ti piace stare qui?-
Sentì trafficare dietro di sé; guardò oltre la spalla, scorgendo una Natalie più incline alla gentilezza rispetto agli orchi che ultimamente le capitavano a tiro –Non mi dispiace.- e si stupì di come quel commento, pronunciato più per infondergli un briciolo di piacere che altro, fosse in realtà la pura e semplice verità. Forse era dovuto al fatto che, tutto sommato, svegliarsi nel silenzio non era poi così malvagio se paragonato ai clacson delle auto di New York, Natalie non era la perfida matrigna che aveva sempre idealizzato e Kate non era così rompipalle come quando aveva cinque anni. Perfino la gente sembrava non badare a lei e, questo, non poteva che giovare al suo impellente bisogno di starsene da sola quanto più possibile.
-Il pomeriggio non esci mai- storse il naso. Ora si mettevano anche a contare quante volte decideva di starsene all’aria aperta? Eppure non provò rabbia o, se quella c’era, non l’avvertì. Non c’era rimprovero nella sua voce pacata o delusione o colpa… Tutto ciò che riusciva a sentire era preoccupazione. Una preoccupazione che si diramò in sincera gioia –Ma sono contenta che tu abbia dormito da un’amica, domenica scorsa!-
-Già.- abbozzò un sorriso nel rendersi conto di quanto Lucy fosse buona, una mosca bianca in mezzo ad un mucchio di mosche nere e maligne.
Si mise in allarme quando venne contornata dal silenzio, quel silenzio un po’ teso che era portatore di infausti presagi e discorsi scomodi, da evitare… E, come se non fosse già abbastanza dover sopportare lo sguardo trafiggente del padre, si aggiunse Natalie e la sua amorevole voglia di fare da ambasciatrice –Lin, tuo padre mi ha raccontato della vostra discussione- fece una pausa, scostò il ciuffo dagli occhi –Sicura di non volerne parlare?-
Ah, che scema! Avrebbe dovuto immaginarlo che la donna non era giunta per chiacchierare davanti ad una bella tazza di the –C’è altro da dire?- domandò arcuando un sopracciglio, seriamente sconvolta di fronte alla loro incapacità di comprendere che no, non aveva assolutamente voglia di perdersi in futili conversazioni.
-Credo tu abbia bisogno di sfogarti.- propose pacata, spostando le felpe piegate nell’armadio.
-Già fatto.- replicò sincera, grattandosi la punta del naso mentre ripensava a tutti quei libri che cadevano sulla chioma di quell’odioso cantante. E, a dispetto di ogni certezza, si ritrovò a dover sciogliere uno strano nodo che le aveva chiuso la gola, lo stomaco. Che cominciava a risvegliare il senso di colpa dormiente da anni, ormai. Perché tirargli addosso quei libri era stato sbagliato, nulla di più, nulla di meno. E per quanto, da ubriaca, avesse gongolato come una scema, per quanto la gioia avesse brillato un poco, per quanto si fosse detta ben gli stava!, per quanto si fosse continuata a ripetere giustizia è stata fatta!, ora non c’era felicità. Solo vuoto e la sensazione che un banalissimo scusami non avrebbe mai potuto lenire le ferite provocategli.
Natalie  le si avvicinò. C’era stanchezza nel suo viso segnato dal tempo, c’era un orgoglio che sembrava inscalfibile, un orgoglio diverso dal proprio che si era barricato dietro l’enorme muraglia eretta per non sentire dolore e una morbidezza nelle sue parole capace di distenderle i sensi tesi –Ora come stai?-
Già, ora come stava?
Era una domanda che si poneva da un po’ di tempo, forse anni, perché la verità era che non si sentiva. Semplicemente, non c’era nulla che la spingesse a pensare a quanto bene stesse. Con sé stessa o con gli altri aveva poca differenza. Purtuttavia attraversata da questi pensieri, ciò che le sfuggì fu un –Meglio.- carico di sincerità, come se per la prima volta avesse ammesso a sé stessa ciò che provava davvero. E lei stava meglio. Non bene, non male… Solo meglio. Ed era una bella sensazione.
La vide sorridere prima di volgere lo sguardo verso la giacca che causò la battaglia America – Inghilterra a casa degli One Direction –Quella è tua?-
Una smorfia di disgusto le corrose i lineamenti delicati –Per carità! Non indosserei mai una cosa così orrenda!-
-Io la trovo simpatica!- cinguettò la donna prendendola fra le mani –Te l’ha regalata qualcuno?-
Veramente l’ho presa in prestito–No, devo restituirla ad una persona- la prese fra le mani, dondolandosi sulle punte -Ho fatto un mezzo casino- mormorò vaga, sospirando al suo annuire lento, come ad invitarla a continuare –Con un ragazzo.-
Natalie  allargò gli occhi neri –Oh… Ed è carino?-
Fu una domanda sciocca che risuonò ancora più stupida perché pronunciata da Natalie , ora in attesa seduta sul letto. E, nonostante la sua banalità, la risposta le parve così complessa da necessitare un ragionamento ben ponderato. Perché nonostante gli scontri, nonostante i battibecchi, nonostante il loro continuo lanciarsi occhiate infuocate, mai Lindsay si era soffermata qualche secondo in più a fissare davvero Zayn. Però… Però… Però c’era qualcosa di diverso in lui, qualcosa di accattivante, capace di fissarsi nella mente come un marchio indelebile. Come uno dei tanti tatuaggi che le solcava la pelle.
D’accordo. Se anche avesse ammesso che Zayn  Malik fosse più che un semplice bello, sarebbe mutato qualcosa? Non lo sapeva e per quel giorno, non era intenzionata a pensarci. Era già abbastanza sconvolta da tutti quegli avvenimenti ricchi di colpi di scena che non sarebbe stata in grado di reggerne un altro. E sentiva che la pesantezza di questo, l’avrebbe schiacciata.
Non rispose alla sua domanda e gettò un’occhiata all’orologio appeso al muro, fiondandosi a prendere la tracolla quando scorse le ore 19.50 ticchettare minacciose.
-Esci di già?-
-Devo fare una cosa, poi andrò direttamente al Tribeca.- si mise alla disperata ricerca del sacro Mp3, guardando di sottecchi la donna che non accennava ad andarsene, anzi, continuava a fissarla scrutatori. Non aveva mai capito cosa ci avesse trovato Mark in quella donna minuta dalla capigliatura sempre perfetta, dal viso a cipolla e le rughe che le solcavano gli occhi color pece. Non aveva niente di sorprendente, niente che degno di nota o anche solo capace di attirare l’attenzione…
E poi lo vide, il suo sorriso colmo di dolcezza dipingerle le labbra. Rivolto a lei e a nessun’altro, capace di trasmettere un calore incontrollabile. A lei che faceva di tutto per rendersi insopportabile. Non resistette a lungo e scossa da tutta quella delicatezza che sapeva di non meritare, tornò alla propria infruttuosa ricerca -Ti spiace se continuo a mettere in ordine?-
Lin alzò le spalle –Se ti diverte.- si grattò il naso nell’udire la sua risatina leggera prima di superarla sventolando trionfante l’Mp3 in segno di saluto, stringendo con l’altro braccio l’orrenda giacca. E sarebbe andata bene così quella chiacchierata soft che le aveva disteso i nervi e lenito un po’ il dolore. Bastava così…
Fu sulla soglia, però, che comprese quanto alcune parole potessero scuotere il proprio minuscolo mondo di indifferenza con positività. Con dolce piacevolezza…
 
-Chiedigli scusa. Capirà.-
 
Incurvò appena le spalle e senza rispondere, si dileguò dal proprio piccolo santuario, infilandosi nella silenziosa via di casa poco trafficata. E fu accendendo l’Mp3, rimembrando quel consiglio non voluto, che si ritrovò a scuotere la nuca mentre un sorriso le increspava le labbra carnose.
Natalie non era così malvagia, no davvero. E Lindsay Moore, all’età di diciotto , capì perché suo padre se ne fosse follemente innamorato.
 
*****
 
Zayn lasciò vagare lo sguardo assonnato sulla caraffa del caffè vuota, le palpebre pesanti e semi chiuse. Storse il naso nel constatare che quei balordi dei suoi amici lo avevano abbandonato al proprio destino senza nemmeno lasciargli qualcosina di pronto da mangiare. Perché stava male, stava covando l’influenza e nessuno sembrava intenzionato a prendersi cura di lui -Morite.- borbottò caustico, appoggiandosi al lavabo mentre si massaggiava la testa.
L’appartamento era immerso nel silenzio, un toccasana per la sua emicrania pulsante che non accennava ad eclissarsi. Avvertiva il calore intorpidire i suoi sensi da bradipo e se qualcuno lo avesse scorto in quelle condizioni pietose, avrebbe potuto affermare che qualcosa non andava in quel Zayn Malik visibilmente sciupato, sfibrato da ogni energia. E tutto per colpa dei libri. Nh, e pensare che lui amava leggere! Ma era davvero solo quello? Certo che no, ma era talmente spossato che non aveva voglia di intrattenersi in conversazioni cuore a cuore con il proprio cervello.
Driiiin…Il rumore del campanello fu breve, quasi impercettibile e se non avesse sentito l’inconfondibile Toc Toc sulla porta, probabilmente avrebbe pensato di esserselo sognato…
-Chi è?- abbassò la maniglia, un occhio chiuso e l’altro a mettere a fuoco.
… Così come doveva essere un orrendo incubo ciò che stava dietro la porta ora aperta: Lindsay Moore, mani in tasca, stretta nella felpa di Brontolo –che tra tutti i sette nani era il più odioso, proprio come lei-  e dondolante sui piedi, lo fissava con incertezza. La guardò torvo e lei, apatica, alzò una mano affusolata -Cia— non la lasciò finire di parlare, limitandosi a sbatterle la porta in faccia. Dietro la superficie, la sua volgare imprecazione.
Diamine, che strazio!Ma perché diavolo non lo lasciava in pace?! Era per caso venuta per tirargli contro qualche altro oggetto? O magari voleva legarlo ad una sedia e dargli fuoco? O forse aveva ancora litigato con la madre e voleva sfogarsi ancora con lui, utilizzandolo come bersaglio? Si massaggiò le tempie, serrando le labbra mentre attendeva che il mal di testa si placasse… Ma quella stronza della Moore si era attaccata al campanello, con somma gioia della sua emicrania pulsante. Eh no, adesso basta davvero…
Digrignò i denti e con collera rinnovata, riaprì la porta e le rivolse lo sguardo più iracondo che avesse nel repertorio, pregando che lo lasciasse in pace una volta per tutte. Ma si rese conto che quello davanti a sé non era il viso austero di Lindsay, no: era la sua adorata giacca colorata, pulita e che non odorava più di rhum. Strabuzzò gli occhi, seriamente sorpreso a quella celestiale visione, tuttavia quando da dietro l’indumento ricomparve il suo volto ovale, il dubbio si dipinse sui i propri lineamenti marcati. Tamburellò le dita sullo stipite, fissò la ragazza che non sembrava intenzionata a volergli solo lasciare la sua proprietà e sloggiare, ravanando nei cassetti della mente alla ricerca di una bella frase pregna di cattiveria che l’avrebbe fatta scappare. Ma enormi buchi neri si presentavano all’appello quando provava a parlare e quando il mal di testa tornò a fargli visita, la fece entrare, silenzioso e incapace di mandarla a quel paese. Le parole erano lì, eccome se erano lì!, ma non aveva voglia di litigare. Dubitava che, in quelle condizioni, ne sarebbe uscito vincitore.
Si diresse verso il frigo per prendere qualcosa da bere e poi fiondarsi alla ricerca di un’aspirina salvifica; dietro di sé, dall’altra parte del tavolo, Lindsay si guardava attorno con vivido interesse. Perché gli sembrava stranamente a disagio?
-Lasciala sul tavolo. Grazie e ciao- biascicò agguantando un bicchiere. Avvertì la tempia destra pulsare e mentre portava le dita a massaggiare la parte dolente, guardò oltre la spalla, ritrovandosi ad osservare la figura seria seria di Lindsay. Che palle! –Cosa c’è ancora?!- stridette corrosivo, gettandole l’occhiata più bieca che avesse a disposizione.
Sbuffò -Senti, io--
-Grazie… E ciao- ripeté asciutto, facendo sciò sciò con la mano, pregando che quella lo mandasse al ridente paese di Fanculandia e si dileguasse. Magari per sempre. Che si comportasse da stronza come suo solito, che la smettesse di guardarlo con contrizione… Che non fosse così diversa. Gettò il capo in avanti quando si rese conto che quella non accennava a scomparire –Si può sapere che vuoi, dannazione? Che cosa?! Un autografo?- la gola doleva ad ogni raffica di parole sentitamente astiose, che andavano ad infrangersi su di una Lindsay troppo mite.
-E che cosa me ne faccio?- domandò con un sopracciglio arcuato –Tanto, se anche provassi a venderlo, non ci guadagnerei granché.-
Si stropicciò il volto mentre la testa si rimpinzava della sua ironia perforante, ritrovandosi ad esalare un esasperato -Sei qui per litigare?- che avrebbe dovuto porre fine a quel giochetto.
Lin sembrò non lasciarsi intimidire dal suo tono glaciale perché dopo aver guardato le proprie converse nere, scosse la nuca –Sono qui per la giacca.-
Roteò gli occhi scuri –Lo so, lo vedo. Ora sparisci.- intimò letale, infastidito dalla sua continua impertinenza perché, ancora una volta e sempre in casa sua, si comportava come se fosse la padrona del Mondo.
Lin morse il labbro inferiore –E poi volevo-beh-- puntò lo sguardo nocciola nel suo, sorpreso e sonnolento –Scusami.-
 

-Scusami tanto. Scusami.-
 
Crack.
Il filo che teneva salde tutte le proprie certezze, si sfilacciò ancora, divenendo ancora più fragile. E fu agghiacciante la velocità con cui il proprio corpo si irrigidì al suono di quella parolina insignificante. La dolcezza che vi trasparì gli procurò dei brividi sulle braccia, sulle gambe, che attraversarono ogni centimetro del suo corpo. O forse era la febbre a procurargli quel formicolio che gli stava intorpidendo i sensi assopiti.
La vide compiere un movimento fluido, un avvicinarsi deciso che mise in allarme tutte le barriere stranamente abbassatesi –Stammi lontana. Se ti avvicini di un passo, è la volta buona che ti uccido.- lo aveva esternato con durezza, imponendo il palmo aperto nella vana speranza che lei eseguisse il suo ordine. Ma quella aveva solo allungato l’arto e con amorevole cura, aveva adagiato la giacca piegata sul tavolo che fungeva da muraglia.
Perché una cosa tanto stupida, era riuscita ad infilarsi nelle crepe mai saldatesi del proprio essere? E, soprattutto, perché il proprio mondo si era completamente ribaltato nel sentirsi rivolgere quella scemenza da lei? Da lei che, la prima volta, nemmeno si era degnata di apparire anche solo lontanamente rammaricata per la propria maleducazione. A lei, che mai gli aveva chiesto scusa per i propri sbagli. Come se fosse perfetta…
-Ho davvero esagerato, questa volta- pacata e gentile, si torturò le mani –Scu-
-Che cosa vuoi che me ne faccia delle tue stupide scuse? Dio, quanto non ti sopporto!- la interruppe bruscamente prima che quella sciocca frasetta potesse spargersi nell’aria ed intaccare ogni briciolo di sicurezza che gli era rimasta. Le sputò addosso tutto il veleno e l’acido che lo stavano lentamente divorando, auspicando che quella cominciasse a trattarlo con la solita indifferenza. Lin titubò e fece un mezzo passo indietro, senza però dargli le spalle. Perché cazzo non se ne va?
Lin sospirò –Mi dispiace. Sul serio.-
A quel punto, non capì più nulla. Perché la mente era circondata da una fitta nebbia che non gli permetteva di ragionare lucidamente e le guardie della sua emicrania continuavano a difenderla a spada tratta, impedendogli di annientarla. Ma in mezzo a quel delirio, nitido e chiaro, addirittura opprimente e abbagliante, c’era una solo quesito:
Poteva?
Poteva una minuscola parola cambiare il modo di vedere delle persone? Poteva un sussurro fra le lacrime distruggere con tanta facilità il muro di odio che si era innalzato in maniera tanto naturale? Poteva servire ad appianare quei mesi di mal sopportazione? Perché, dopo tutto quel tempo intervallato da liti e battutine acide, si era resa così fragile e disposta alla gentilezza? Perché per una volta si era curata di lui e non di sé stessa? Così, sarebbe stato più facile e avrebbe avuto un pretesto per mandarla definitivamente a calci a casa. Ma così… Così non gli lasciava altra scelta se non tacere.
-Non ti sopporto più.- soffiò secco, incurante delle conseguenze. L’ultima volta che le aveva dato dell’odiosa aveva ricevuto Guerra e Pace sulla fronte. La cucina aveva da offrirle solo coltelli affilati. Di male in peggio…
Lin stiracchiò le labbra, ma non ribatté.  Se ne stava lì, nel proprio rimuginare, continuando ad attorcigliare intorno al dito una ciocca dei lunghi capelli, fissando un punto indefinito davanti a sé.
E per la prima volta, non gli sembrò così male stare in quella stanza con lei. Senza litigare.
 
Solo, stare con lei…
 
Scosse la nuca, maledicendo l’emicrania pulsante che gli giocava brutti scherzi e continuava a tirare fuori dal cilindro cazzate a random pur di vederlo soffrire ulteriormente. Che fosse per puro e semplice orgoglio, Zayn detestava quella sciocca ragazzina piovuta da chissà dove e che sembrava sempre avere la risposta pronta, che sembrava voler sempre chiudere il discorso dando aria alla bocca intrisa di volgarità, che sembrava non curarsi di ciò e chi le stava attorno. Che se ne fregava di tutto. Eppure, non riusciva a trattarla in maniera tanto cattiva, non dopo aver scorto le sue lacrime, non dopo averla vista così fragile e spaesata, umana… Non dopo che il suo scusa pronunciato in maniera tanto sincera gli aveva scosso l’anima.
Si appoggiò al lavabo, passandosi una mano sulla fronte imperlata di sudore, allargando il colletto della larga felpa rossa con il cappuccio a coprirgli la nuca. Perché gli era venuta l’improvvisa voglia di vomitare?
-Non stai bene?-  quella pacatezza non richiesta, … Che dava calore -Hai la febbre?- si era avvicinata senza emettere suono e con un gesto fluido, naturale, aveva posato il palmo sulla sua fronte ora corrugata per la sorpresa –Sei caldo. Hai la—
Scansò l’arto con un bruschezza, digrignando i denti –Levati-dalle-palle.- le rifilò un’occhiata sprezzante, vedendola incassare il colpo con la sua proverbiale impassibilità. Imprecò a mezza voce e, superandola, si defilò in camera, speranzoso che quella non lo seguisse. Sarebbe stato un suon dolcissimo quello della porta di ingresso che sbatteva o, addirittura, sentirsi mandare al Diavolo. Per una volta avrebbe potuto anche accettare la rozzezza che impregnava quelle labbra rosse…
 
-Non me ne vado.-
 
… ma lei continuava a restare, nonostante tutto.
La vide sulla soglia, le mani strette intorno alla tracolla; si buttò sul letto riordinato da Liam e, con fatica, si mise sotto le coperte leggere, portando una mano sulla fronte. Sentì i nervi distendersi, il nulla avvolgerlo e una strana sensazione di torpore prendere il sopravvento sulle sue membra stanche -Perché non vai via? Non devi lanciare i bicchieri contro i clienti? O dei libri?-
Silenzio. Poi, la sua voce morbida, un po’ seccata ma nemmeno troppo…
 
-Non ti lascio solo con la febbre.-
 
… che era parsa come un sogno. Forse aveva davvero capito male o la febbre gli giocava brutti scherzi. E a quel punto, non rispose, preso in contropiede da tutta quella bontà gratuita e che sembrava volere un tornaconto.
L’ultima cosa che ricordò prima di cadere in un sonno profondo fu il rumore dei suoi passi leggeri che si spostavano in cucina, seguiti dalla porta della camera che si chiudeva con delicatezza… E una vocina, nel profondo, che continuava a ripetergli quanto Lindsay Moore non fosse poi così spiacevole come aveva continuato a ripetersi.
 
 
Aprì gli occhi con esasperante lentezza, la luce della camera accesa ad abbagliarlo. A qualche metro da lui, Louis  lo fissava con velata preoccupazione, lasciandosi sfuggire un sospiro di sollievo quando lo sentì salutare raucamente -Stai un po’ meglio?- evitò la domanda, evitò di pensarci –A proposito, Lin è stata qui. Ci ha preparato il riso al curry, non è stata gentile?- domandò l’amico cominciando a mettere via alcune felpe gettate alla rinfusa sul pavimento. Eh?, fu tutto ciò che la sua mente riuscì a partorire. Cosa c’entrava l’americana rovina vite? Ah, già, c’era lei quando era barcollato fino al letto privo di forze –E’ andata via cinque minuti fa.- a quelle parole, lo sguardo cadde inevitabilmente sull’orologio da polso… Le 22.25… Ma quella pazza sclerotica non sarebbe dovuta essere a lavoro già da un’ora?! Quanto diavolo era rimasta a gironzolare fra le sue mura domestiche?! Doveva cambiare la tappezzeria!
-Ti sbagli. Lei lavora a quest’ora.- mugugnò incerto, quasi volesse appigliarsi alla propria innata cattiveria.
Louis alzò le spalle –Ha detto che non poteva lasciarti solo. Non con la febbre, almeno.-
 
-Non ti lascio solo con la febbre.-
 
Allora non se lo era sognato… Quella parentesi di dolcezza beatificante non era stato frutto della sua fervida fantasia.
Si stropicciò il volto e, posando i piedi nudi sul pavimento gelido, si diresse in bagno a sciacquarsi il viso contratto in una strana smorfia di fastidio. Cosa diamine era successo? Cosa li aveva portati a quel punto di incertezza frastornante? Loro si odiavano, lei… Lei non c’entrava nulla con lui, con il suo ambiente. Con la sua vita
Strinse una mano a livello del petto, un calore bruciante a farlo tremare.
… Ed era maleducata, sfrontata, insopportabile!                                                                 Che però aveva cercato di rimediare alla propria isteria, facendo forse più del necessario. Che gli aveva rivolto una semplice parolina che, in mezzo a tutti i complimenti sinceri e non, in mezzo alle risate, in mezzo ai flash dei fotografi, in mezzo alle belle frasi incolonnate nelle pagine delle riviste, era risultata straordinariamente diversa, inaspettata. Una parola che non poteva portare a sciocche incomprensioni e che se ne stava lì, ancorata al suo senso di colpa per non averla ringraziata come si deve per essersi presa la briga di aggiustare le cose, anche se non c’era nulla da sistemare. Perché tra loro non c’era mai stato nulla… Niente di niente…
 
-Mi dispiace. Sul serio.-
 
Perché nessuno era passato a trovarlo, nessuno dei suoi coinquilini lo aveva chiamato per sapere come stava perché tanto tra un’ora torniamo!, nessuno gli aveva lasciato qualcosa da mangiare, nessuno, nessuno si era accertato delle sue reali condizioni fisiche. A parte Lindsay…
 
-Non me ne vado.-
 
L’unica che lo avesse trattato bene, dopo tanto tempo, solo perché era Zayn e non il Zayn degli One Direction… L’unica che si era comportata in maniera tanto bella senza volere nulla in cambio. L’unica che era rimasta…
 
 
L’unica, semplicemente…


 
                                                 SSALVVEEE
Questo capitolo è un po’ –tanto- noioso, lo so. E che non è nemmeno paragonabile a quello precedente, so anche questo. Ma non vi dirò che si tratta di un capitolo di transizione, perché non lo è affatto, e direi che le parole di Zayn alla fine dimostrano quanto appena scritto. Insomma, si sta aprendo uno spiraglio per qualcosa che può andare oltre l’odio, no? Un passo del genere non può essere solo transizione. Cooomunque, come ripeterò fino  allo stremo, se siete rimaste deluse me ne dispiaccio, ma accetto qualsiasi vostra critica o consiglio, perciò mi affido al vostro giudizio ^^
Per il resto, a dir la verità non ho molto da dire ò_ò Ne ho approfittato per caratterizzare un poco Lucy (mi sono divertita a vedere le cose dal suo roseo punto di vista xD) e Natalie , visto che non voglio siano solo macchiette di contorno… Spero non siano due odiose xD Harry–è sempre un parto sfornare le sue metafore che poi non so quanto decenti siano- lo amo sempre di più (sì, mi piace quando fa uscire il suo lato perfido xD) e il modo in cui tratta Niall… Ah, tranquille, non farà sempre la figura del sempliciotto il nostro adorabile irlandese;) Zayn è un deficiente e Lin lo segue a ruota, ma li amo Ammetto che il POV di Zayn è forse il mio preferito. Ho cercato di lasciar trasparire un po’ di zuccherosità, concedetemelo dopo tutti i capitoli di liti xD
Ringrazio davvero di cuore tutte le persone che seguono, preferiscono, ricordano e recensiscono la storia.Senza di voi, non sarei qui a continuarla davvero J
Bacioni, alla prossima! 
  
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