Così
finisce anche questa storia, ovviamente con un tema che è la mia ossessione del
momento.
Mi era
capitato solo una volta di scrivere una sottospecie di thriller psicologico –
associare questo genere alla fanfiction poi mi fa più ridere che altro XD – comunque
ho scoperto che mi piace tentare di riannodare i fili di una trama che si è
sciolta nei capitoli precedenti.
Ovviamente,
non sono certa di esserci riuscita. Perciò se qualcosa non dovesse essere
chiaro, aggiungerò qualche spiegazione modificando le note.
Per ora
me ne sto tranquilla nel mio angolino di rete col buon proposito di pubblicare
presto qualche altra storia.
Buona
lettura J
Capitolo 3
Sasuke aveva trascorso qualche giorno completamente
rinchiuso in camera, senza nemmeno aprire bocca, eccetto per assaggiare frutta
rigorosamente estiva o per mormorare qualche no privo di energia, solo a volte rabbioso.
Pecora,
tigre, drago. Poi incroci le dita.
Qualcuno l’aveva incastrato con una
tecnica particolare, sottile. Era diventata la sua verità senza che lui nemmeno
se ne accorgesse. Liberarsi dell’estate l’avrebbe aiutato ad annullare la
tecnica, eppure la sua natura gli sfuggiva ancora.
Se
ti liberi di Itachi, sparisce anche l’estate. È colpa sua se fa tanto caldo.
Era stato Itachi a creare l’illusione di
un’estate perpetua.
Qualcuno
aveva creato un clone oscuro di Itachi? Forse quando lui era in
coma, forse… qualcuno aveva moltiplicato
le realtà e l’aveva incastrato in una vaghissima illusione?
Sasuke sapeva di doversi liberare – non
sapeva bene come incrociare le dita alla fine della sequenza di sigilli, ma ne
sarebbe uscito. Sapeva anche che in qualsiasi modo sarebbe stato doloroso, come
un addio che ti strappa un pezzo di cuore e ricordi e ti fa impazzire di
dolore. Perciò Sasuke aveva temporeggiato, senza sapere bene se un giorno
avrebbe trovato una giustificazione a quell’indugio. Aveva atteso ore intere
che i riflessi rossi intorno a lui si attenuassero, come era accaduto per pochi
istanti di quella notte in cui Itachi gli aveva parlato del passato non solo
come un uomo che del passato conservi gelosamente i segreti, ma come un uomo
che quei segreti di vita vissuta è pronto a condividerli con una persona amata.
Era il tramonto quando Sasuke si accorse
che i riflessi rossi nell’aria erano unicamente quelli emanati dal sole basso
dietro la collina all’orizzonte. Si guardò intorno sospettoso, e scoprì che era
sparito anche l’occhio rosso: non riusciva a
scorgerlo nemmeno se si voltava repentinamente con l’intento di coglierlo alla
sprovvista.
Sasuke si precipitò fuori dall’albergo e
quando vide Itachi seduto ai margini della sorgente… non se ne rese conto
subito, ma tra le labbra aveva una preghiera intima e solidissima – fa’ che sia lui.
«Hai intenzione di chiedermi perdono per
il comportamento strano di qualche giorno fa?» cominciò, senza muovere un passo
verso di lui.
Itachi continuò a dargli le spalle,
nonostante a un certo punto della domanda si fossero fatte appena più rigide.
«Ti ho già detto tempo fa che non ti avrei più chiesto perdono, Sasuke».
Lui non avrebbe saputo dire precisamente
l’effetto che gli fece quella risposta. Forse ascoltarla era stato qualcosa di
simile a riemergere dalla sorgente dopo un tuffo avventato – come rinascere, trovare il vero Itachi era
come rinascere.
Sasuke gli si avvicinò, con le labbra
umide e poche parole impastate tra i denti, incapace di farle uscire fuori.
«Immergi solo le gambe nell’acqua,
otouto, ti farà bene per… dopo».
Sasuke ascoltò il consiglio di suo
fratello. Si sedette sul marmo che rivestiva il margine della conca e gettò i
piedi nell’acqua fino a bagnarsi anche i polpacci.
«Sai perché non ho intenzione di
chiederti perdono, no?»
Non
c’è bisogno che tu mi perdoni, Sasuke.
Perché
quando una persona ama davvero arriva un certo momento nella sua vita in cui si
rende conto che il suo amore basta a se stesso.
«Lo so», annuì Sasuke, gettando uno
sguardo a suo fratello nascosto dietro ciocche di capelli scurissimi.
«Allora…» riprese Itachi, senza palesare
alcuna intenzione di voltarsi verso di lui, «ti libererai dell’estate, no?»
«Vorrei capire se tu sei… cioè eri, ora mi sembri il vero te stesso…»
Sasuke trovò che era troppo difficile spiegarsi «se ho trascorso mesi vicino al
tuo clone oscuro, a una pallida imitazione di ciò che sei veramente; oppure
tutto questo è un’illusione e io ho vissuto davvero per anni senza sapere
quanto fosse gelida l’acqua sorgiva» disse, tentando di mettere le cose nella
maniera più semplice possibile.
«Non posso dirtelo io».
«E poi tu sparirai in ogni caso, no?»
Itachi annuì lentamente. Sorrise, ma la
linea delle labbra non nascondeva alcuna scintilla di divertimento. «Almeno ti
libererai anche di tutto questo calore».
«È che mi sembra tutto prematuro»,
ragionò Sasuke. «Sia dirti di nuovo addio sia vivere l’estate come fanno tutti
qui intorno, come dicevi tu. Forse hai ragione a dire che le persone sono più
felici d’estate, forse è tutta questa luce, forse è l’aria di libertà… ma non
fa per me, non ancora. Mi ricordo che
un giorno ero pieno di odio, e di rabbia… non sono nemmeno certo che non sia
ancora così. Come si fa a diventare felici da un giorno all’altro? Non manca
qualcosa tra la devastazione e la felicità? Qualcosa che faccia da ponte…»
«Certo».
«E cos’è?»
«L’odio ti distrugge, mentre la serenità
ti fortifica. Ma prima che questo possa accadere, probabilmente c’è bisogno di
rinascere, di rimettere a posto i pezzi, di ricomporsi».
«E sarà possibile?»
«Sarà come riemergere dalla sorgente
dopo un tuffo avventato».
Sasuke sfiatò, senza nemmeno capire se
fosse meravigliato dal fatto che Itachi aveva scelto parole uguali alle sue per
rassicurarlo. «E probabilmente sarò ancora ossessionato dalla verità».
«Questo non è sbagliato, otouto, nel
profondo lo sai anche tu».
«Non lo so… bene», precisò, un po’ confuso. «Per conoscere la verità ho
disturbato il sonno dei morti. E non sono nemmeno sicuro di averlo fatto solo
per questa sete di conoscenza, forse volevo solo rivederli», ammise, tentando di
tenere gli occhi bene aperti, perché sapeva che dietro le palpebre, se solo le
avesse abbassate, avrebbe scorto il sorriso di sua madre e il volto fiero di
suo padre.
«Tu hai fatto bene a pensare che il
passato sia vero. È vero perché è immutabile, e rivederli ti è servito a tante
cose», mormorò Itachi, con un sorriso lieve, prima di assumere un’espressione
più severa. «È stato l’amore per la verità a risvegliare davvero la tua
coscienza. Senza di quello avresti rischiato di cedere di nuovo a sentimenti distruttivi».
Sasuke annuì, pensando di avere sempre
avuto quella sensibilissima propensione a conoscere la verità, ma non l’aveva
mai elaborata del tutto perché per troppo tempo non si era sentito in diritto
di scegliere la sua via. Solo una persona
gli aveva restituito quel diritto – non importa cosa decidi di fare, Sasuke…
«Ma non puoi pensare che le verità del passato siano utili a determinare le verità che cerchi nel presente, otouto. Non funziona così, non sempre».
«Stai di nuovo dicendo che non esiste
davvero la verità?» Sasuke sentì il panico nella sua voce e sentì il bisogno di
studiare attentamente il profilo di suo fratello. Il timore che di nuovo non
fosse lui, che fosse diverso, un clone oscuro o un’illusione poco studiata…
quel timore rischiava di distruggerlo.
«Sto dicendo che la verità è soggetta a
cambiamenti. È in continuo divenire. Come la vita».
Sasuke scosse la testa, scostando
lentamente una ciocca di capelli dalla fronte. Quella era proprio un’uscita tipica di suo fratello. Non riusciva
nemmeno a capirla del tutto, sembrava qualcosa di ineffabile ma suadente. «La
verità sarebbe la vita?» indagò, quasi divertito.
«Guarda qui» bisbigliò Itachi.
«Che cosa?»
Itachi si avvicinò piano a lui,
posandogli due dita sul polso. Con la spalla sfiorava la sua e Sasuke notò che
avevano davvero la stessa pelle. «Come potresti dire che io non sono qui in
questo momento? Che non ti sto toccando?»
Sasuke trattenne il respiro per un
istante, chiuse gli occhi. Qualcuno gli sfiorava la spalla – lo proteggeva? – qualcuno gli sfiorava
il polso – controllava se fosse vivo?
«Quando tornerai a casa, otouto, e io
non ci sarò…»
«Non sono certo che tornerò a casa»,
precisò Sasuke, senza nemmeno sapere bene cosa intendesse per casa.
«Devi decidere tu, ovviamente. Ma a casa…»
«Casa
è dove c’è qualcuno che pensa a te, Sasuke».
«Ti
ho detto che non ci torno, cretino».
Qualcuno
gli toccava le spalle, la schiena…
«Le persone sono davvero felici solo a casa.
Non nel senso che altrove non si possa essere felici… ma solo a casa si conosce
un tipo di felicità compiuta, mentre
in giro per il mondo la felicità tende sempre a cambiare, e può sfuggirti dalle
mani in niente» ragionò Itachi. Parlava con le parole di sempre, ma nel suo
petto era seppellita un’esperienza tanto dolorosa da sembrare assoluta.
Sasuke sentì che fosse anche sua, perché
quel dolore si espandeva e lui non poteva fare a meno di provarlo insieme a suo
fratello.
«E quando tornerai a casa, otouto… se tornerai» soggiunse Itachi, per
evitare qualcuna delle sue rappresaglie, «ti prego di non cercarmi nella mia
stanza, o in giardino, o nello studio. Non andare a parlare sulla mia tomba e
non passare inutilmente alla mia pasticceria preferita per comprare dolci che
non mangerai. Vieni alla sorgente ogni tanto, e tenta di non venirci da solo.
Ti ho mai detto che non esiste nessuna verità se non hai qualcuno con cui
condividerla?
«E poi, otouto, non
piangere mai quando ripenserai alle mie parole come se fosse impossibile
ascoltarle ancora…» Itachi sollevò lentamente il braccio, passandoglielo sulle
spalle. Avvicinò il viso al suo, sospingendo la fronte contro la sua tempia. La
pelle di Itachi era caldissima e non mentiva. «Non cercarmi altrove, Sasuke. Io
sono dentro di te. Io vivo in te».
Sasuke si sentì tremare per un momento,
e sentiva il sangue che scorreva impazzito nelle vene, e il cuore che
rimbalzava tra le pareti del petto come in tumulto, e la nuca e le guance in
fiamme…
Il
corpo reagisce ugualmente alle emozioni forti e alle bugie.
Eppure
a volte… il corpo reagisce ugualmente alle emozioni forti e alla verità.
Dipende
dalla verità.
Ti
amerò per sempre, Sasuke.
Io
vivo in te.
«Come faccio a liberarmi dell’estate?»
chiese, senza allontanarsi.
«Secondo te sono un’illusione o un clone
oscuro?»
Sasuke strinse i pugni.
Ed eseguì i sigilli.
Pecora,
tigre, drago. Poi incroci le dita.
Così.
***
Un occhio rosso lo scrutava
attentamente. Era poco distante da lui, ma non era gigante. Era quello del tipo
mascherato che si faceva chiamare Madara Uchiha.
«Mi fa piacere rivederti, Sasuke», lo
salutò. «Vedo che ti sei liberato dell’estate».
Sasuke annuì seccamente, con le braccia
rigide lungo i fianchi e lo sharingan attivo.
«E l’hai fatto nel modo giusto»,
continuò l’altro, «liberandoti dal secondo livello di illusione. Posso
presumere che hai capito che anche la verità non è che una mera illusione?»
Sasuke assottigliò lo sguardo, tentando
di tenere a freno la rabbia.
Aveva capito che tutto quel mondo era
frutto di un’illusione di Tobi – Shisui era morto, e anche Itachi, e Konoha non
era più quella che lui aveva conosciuto da piccolo. Aveva sempre saputo tutte
quelle cose, ma in una maniera vaghissima, come se la realtà – la realtà che
erano tutti morti e che lui era solo – non fosse altro che un sogno lontano, di
bambino.
Gli sembrava di aver passato mesi o anni
in quell’illusione, e se all’inizio l’aveva fatto con tanta partecipazione,
come se fosse semplicemente giusto essere circondati da persone morte, dopo un
po’ aveva trovato qualcosa che non era per niente giusto: Itachi in quella
dimensione lo amava, ma non nel modo in cui tentava ancora di trattarlo come un
bambino manipolabile, non nel modo in cui lo invitava a essere perfetto, non
nel modo in cui gli ripeteva che la verità non esiste ed esistono solo genitori
morti che chiedono pietà e vendetta.
Itachi, il vero Itachi, aveva imparato ad amarlo nel modo in cui si ama
qualcuno che è degno di ogni forma di amore, lo amava nel modo in cui lo faceva
sentire libero e in diritto di scegliere, nel modo in cui lo invitava ad aprire
gli occhi sul mondo invece di tenerli chiusi nell’oscurità, perché la perfezione non esiste, e per questo
nasciamo in grado di assorbire le cose.
E poi – Sasuke se ne accorgeva solo in
quel momento – era abbastanza certo che lui non avrebbe mai condannato a morte
qualche shinobi con tanta leggerezza, non quando aveva il controllo di sé. Capì
quanto fosse impossibile che per tutto quel tempo non avesse sentito nemmeno i
sensi di colpa per il suo operato – c’erano stati, ovviamente, ma erano stati
lievissimi.
Solo in quel momento sentì di essersi
tolto un enorme peso dal cuore: non aveva
mai ucciso nessuno, nemmeno in nome di un ideale.
E non aveva sbagliato – non quando aveva
eseguito i sigilli giusti.
Aveva capito che Tobi lo aveva pian
piano indotto a liberarsi dell’illusione – dell’estate…
no, della verità – per essere
certo di riportarlo dalla sua parte. È
stato l’amore per la verità a risvegliare davvero la tua coscienza. Senza di
quello avresti rischiato di cedere di nuovo a sentimenti distruttivi.
«Non ti devi preoccupare, Sasuke. Anche
se è appena crollata la certezza che vale la pena combattere per la verità… tu
hai ancora l’amore dei tuoi genitori. E la vendetta nei confronti del villaggio
che te li ha tolti. Distruggerlo sarà il dolore e il piacere di un attimo, poi
sarai con me e non esisterà più alcuna sofferenza quando guarderemo la luna
insieme».
Nessuna
sofferenza.
Sasuke sorrise amaramente, sfiorandosi
la spalla, poi il polso.
Nessuna
verità – la vita – i vivi, qualcuno che fosse tanto vero da toccarlo e salvarlo
col suo tocco, e assicurarsi che fosse vivo col suo tocco.
«Non me ne importa niente del tuo piano»
proclamò, tentando di tenere a freno l’istinto di attaccarlo nella sua stessa
illusione.
«Noto che sei più testardo di quanto
avessi immaginato. Eppure avevo capito che morivi
dalla voglia di uccidere il jinchuuriki della volpe. Hai cambiato idea
troppo velocemente».
«Sono cambiato io», gli assicurò Sasuke,
ripensando a quello che aveva detto a Orochimaru. Persino lui si era reso conto
di non poter essere ancora un bambino manipolabile. E ora odiava ancora di più
tutti quelli che ne avevano approfittato ed erano stati i suoi marionettisti.
«Lo sai, Sasuke…» riprese Tobi, senza
dare a vedere di essersi scomposto, «se invece di eseguire i sigilli per
liberarti dell’illusione avessi eseguito quelli per liberarti di un clone
oscuro… avrei continuato a darti il tormento. Ti avrei presentato un altro
Itachi e ti avrei messo in condizione di odiarlo… ci riuscivi così bene un
tempo, no? E poi sono convinto che eseguivi i suoi ordini in maniera molto più fedele quando dicevi di odiarlo
piuttosto che quando dicevi di amarlo, Sasuke».
Lui sussultò, senza sapere bene cosa
rispondere. «È stato facile capire che ero nel secondo livello di un’illusione.
Non ero tormentato dai sensi di colpa per le persone che morivano a causa mia,
mi rendevo a stento conto che tutto quello si ripeteva in maniera ciclica e
Itachi… Itachi non era Itachi.
Quell’illusione era solo uno squallido tentativo di imitare la sua Izanami».
«Quindi Itachi ti ha mostrato anche
quella tecnica…» Tobi scosse la testa, la voce era molto più profonda, turbata.
«È sempre stato la mia spina nel fianco», ammise, palesemente sollevato
all’idea di essersene liberato già da tempo. «Eppure non avresti dovuto capire
tutto così facilmente…»
Sasuke lo guardò attento. «Probabilmente
Naruto lì fuori ti sta mettendo sotto torchio e ogni tanto l’illusione ti è
sfuggita di mano».
Probabilmente Naruto stava anche
blaterando qualcosa al riguardo del fatto che l’avrebbe salvato, come al solito. Sasuke riusciva quasi a
sentirne la voce.
Ma non si era salvato solo grazie a lui.
Era successo qualcosa di più sottile, e
c’era dell’altro. Iniziava a sospettare che persino nell’illusione più potente,
forse, la vittima conservava un misero spazio di libertà a cui nessun altro
uomo poteva accedere. E più quello spazio veniva riempito da emozioni potenti –
come le bugie, coma la verità, come
quelle derivate dal tocco di una persona amata – più quello stesso spazio
si ingigantiva. Fin quando lo spazio libero non diventava più grande di quello
in cui si era stati intrappolati.
A lui era successo qualcosa del genere,
forse.
«E che combinavi quando non ero io a
controllare l’illusione?»
Sasuke attivò lo sharingan ipnotico,
pronto a liberarsi anche del primo livello di quel genjutsu.
Non si liberava da solo da tempo,
l’ultima volta era stato liberato da Itachi.
Ma in quel momento qualcuno lo stava
toccando all’esterno, Sasuke lo sentiva. Sarebbe riuscito a liberarsi.
«Adesso basta».
Che
combinavi quando non ero io a controllare l’illusione?
Parlava
con Itachi. Quello vero.
Quello
che viveva dentro di lui.
***
La prima cosa che riconobbe come viva fu
una mano allacciata al suo polso, che gli indagava la circolazione del sangue
con due dita fermissime.
Solo dopo Sasuke si accorse di avere già
gli occhi aperti e che un altro paio di occhi – verdi, veri – si specchiavano
nei suoi, spalancati.
Sasuke si sollevò di scatto, scoprendo
che l’altra mano di Sakura era stata ferma per tanto tempo intorno al suo viso
solo quando improvvisamente la sentì scivolare via.
Si strofinò gli occhi per mettere a
fuoco quello che lo circondava. Era ancora un po’ confuso.
L’ultima cosa che aveva riconosciuto
come viva prima di finire in trappola erano le spalle di Naruto premute contro
le sue.
La guerra era andata avanti senza di lui
per almeno mezz’ora, forse di più. I demoni erano tutti schierati e col chakra
attivato al massimo. A terra c’erano corpi feriti o magari morti. Qua e là
combattevano ragazzi che lui a stento riconosceva nei suoi ricordi da
tredicenne. Si guardò intorno in cerca di una tuta arancione e di qualcuno
abbastanza fuori di testa da fare amicizia coi demoni.
«Naruto!» la voce di Sakura gli trapanò
i timpani, ma lo aiutò a capire dove girarsi per trovare il dobe.
Naruto si voltò in uno scatto, il viso
illuminato dalla gioia. Lui doveva proprio essere una di quelle persone capaci
di godersi l’estate, forse addirittura una di quelle persone che all’estate
sono capaci di darle un senso. «Sasuke!» urlò. «Ti sei svegliato? Riporta
immediatamente qui quei tuoi occhi da teme e aiutami a sconfiggere questo
tizio».
Sasuke scosse la testa, già esasperato.
Tentò di alzarsi, ma una mano ferma attorno al suo braccio glielo impedì.
Subito dopo sentì la pressione di dita gentili sulle sue palpebre. Sakura lo
invitò a chiudere gli occhi senza dire una parola. Lo ripulì velocemente di
tutto il sangue che gli era scivolato sulle guance per il prolungato uso dello
sharingan e poi gli lenì la pelle gonfia con un po’ di chakra curativo.
Sasuke si alzò dopo averla fissata solo
per un misero momento, chiedendosi quale verità si nascondesse tra le dita di
una ragazza che prima aveva tentato di ucciderlo, e poi aveva trascorso istanti
lunghissimi a tenergli il polso per controllare che fosse vivo e a toccarlo
costantemente per farlo uscire al più presto dall’illusione.
Si avviò velocemente verso il centro del
campo di battaglia, richiamando il Susano’o e lanciando una freccia alla volta
di un demone codato impazzito. Sasuke la osservò nel momento in cui si conficcò
nella sua zampa e proseguì subito alla volta di Naruto.
Si disse che quella era l’ora decisiva,
che doveva liberare la testa dai migliaia di pensieri in cui desiderava
indugiare.
Io
credo che l’unico modo di concepire il passato sia osservarlo dall’esterno,
così da non permettergli di diventare una gabbia, ma solo una fonte di salvezza.
Una
fonte di salvezza.
Sasuke non riuscì a trattenere un
sorriso lievissimo, ed era negli occhi più che sulle labbra.
Il passato aveva sempre un modo strano
di salvarlo. Come quando aveva ricordato dei giorni in cui Itachi gli aveva
insegnato a usare arco e frecce, e poco dopo aveva scoperto che il suo Susano’o
era un arciere.
Come quando aveva iniziato a dubitare di
essere vicino al vero Itachi, e il
passato gli aveva fatto visita in sogno, ricordandogli le lezioni di Itachi sui
vari livelli di illusioni.
Sasuke pensò che probabilmente esistono
modi molto più eleganti di quelli di Orochimaru per insinuarsi nelle persone.
Forse bisognava solo lasciarsi conoscere.
Ed era stato strano, strano e bello,
scoprire di conoscere Itachi a tal punto da renderlo reale vicino a sé quando
non c’era un occhio rosso a controllare l’illusione. Sasuke si rese conto di
conoscere a tal punto Itachi e il modo in cui lui influiva sulla sua vita che
il proprio subconscio aveva utilizzato una proiezione di suo fratello per
salvarlo – sarebbe sempre stato salvo
grazie a lui.
Forse Itachi avrebbe continuato a
salvarlo anche da lontano, anche se i morti erano più distanti di quanto
sarebbe mai riuscito a immaginare.
Non
cercarmi altrove, Sasuke. Io sono dentro di te. Io vivo in te.
O forse Itachi era più vicino di quanto
chiunque avesse potuto immaginare. Chiunque
tranne lui. Lui lo sentiva.
Sasuke si portò una mano sugli occhi,
arretrando di qualche passo.
Sentì la schiena di Naruto contro la
sua, e scoprì che quella sensazione gli era già familiare, nonostante avessero
combattuto solo mezz’ora così prima che lui fosse caduto nell’illusione. La
schiena di Naruto era calda, e ricoperta di chakra luminoso – era attaccata alla sua, per proteggerlo, per
ricevere da lui lo stesso tipo di protezione.
Ed
era vera. Di una verità che si trova solo tra i vivi.
«Guarda tutto, nii-san».
Avrebbero guardato insieme.
***
Epilogo
Nekomata aveva osservato attentamente le
mosse del piccolo che gli somigliava. Era rinvenuto all’improvviso
dall’illusione che l’aveva fatto giacere a terra con gli occhi sbarrati per
quasi un’ora. Aveva fissato turbato e forse anche commosso le dita che la
ragazza gli aveva premuto sul polso. Aveva evitato di guardarla negli occhi
eppure si era lasciato curare da lei. Nekomata aveva trovato quel comportamento
curioso, ed era stato altrettanto meravigliato a vedere come in pochi istanti
quello avesse raggiunto il ragazzo improbabile che aveva riempito di chiacchiere
la povera testa di Kurama.
Si era avvicinato a lui e aveva ripreso
a combattere riparandosi contro la sua schiena come se non avesse fatto altro
per tutta la vita.
Nekomata capì due cose.
Il ragazzo che gli somigliava faceva
tutto ciò che gli sembrava giusto – lasciarsi
toccare, lasciarsi proteggere, forse proteggere a sua volta. E da quanto
aveva capito dai discorsi di Tobi, probabilmente confondeva ciò che era giusto
con ciò che era vero – lasciarsi toccare,
lasciarsi proteggere, forse proteggere a sua volta. Nekomata pensò che non
era detto che sbagliasse, dopotutto.
La seconda cosa che Nekomata capì in
quell’istante era il motivo per cui quello che blaterava promesse insensate e
quella dalle mani ferme desideravano guardare infinitamente gli occhi del
ragazzo che chiedeva vendetta.
Nel
suo sguardo c’era lo sguardo di due persone che vivevano in un corpo solo.
Fine