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Autore: thembra    14/09/2012    4 recensioni
Gli occhi di lui non l’avevano più guardata come in precedenza, sembravano scivolare oltre la sua persona senza vedere che anche senza mutazione era rimasta la stessa identica ragazzina di sempre, sembravano vedere un’estranea distante e fuori posto in un quadro di personalità ben definite e collocate all’interno della cornice.
Genere: Sentimentale, Slice of life, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anna Raven/Rogue, Logan/Wolverine
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Dondolando e ridendo arrivò di fronte alla porta di casa sua spiaccicandosi contro l’anta. Era esausta, ubriaca ebbra di felicità commossa e, ubriaca lo aveva già detto?
Sudava come un cammello ed i capelli della frangia, appiccicati alla fronte le facevano il solletico. Sbuffando verso l’alto mandò via il grosso del ciuffo destro mentre con una rapida carezza della mano sistemò i più indomiti fili argentati dietro l’orecchio fermandoli bene con una forcina.
 
Sbuffando una risata appoggiò la fronte contro il fresco legno della porta voltandosi e lasciandosi cadere pesantemente sul pianerottolo, la schiena contro l’anta, le dita della mani intrecciate fra le ginocchia piegate, i piedi ben piantati a terra e gli occhi che lustri di gioiose lacrime osservavano un’immensa luna che sembrava splendere proprio sopra casa sua appositamente per lei.
Gli aloni della sbornia ne sfasavano il contorno e i tre grandi crateri visibili improvvisamente le sembrarono due giganti occhi che si strizzavano ammiccanti e una bocca che deformandosi si schiudeva in un sorriso da anime giapponese.
 
Scoppiò a ridere intensamente scimmiottando la buffa espressione del satellite continuando a farlo anche quando un’ombra raggiungendola, le coprì il viso per metà risalendo con passi pesanti e decisi i tre gradini di legno che portavano al pianerottolo, soffermandosi di fronte a lei giusto quell’attimo che le bastava per farsi riconoscere per proseguire poi e mettersi seduta accanto a lei, schiena contro porta, spalla contro spalla naso verso il cielo.
 
Per tutto il tempo in cui si erano guardati lei aveva continuato a ridergli in faccia la sua vittoria.
 
“Gliel’ho detto…”
“Ho sentito…”
“Si?”
 
Lui non le disse che erano settimane che assediava quel bar in attesa di poterla rivedere né le raccontò del tumulto che gli aveva scombussolato anima e cuore nel saperla così amata da persone tanto in gamba e molto migliori di lui…non disse nulla e per una volta si limitò ad ascoltare.
 
“Anche a Bruce, e a Babi e a Dick. L’ho detto anche a loro e la sai una cosa?”
“?”
 
Aveva incominciato ad incrinarsi la bella voce ubriaca di lei, assumendo una nota d’ira e prepotenza per affievolirsi infine in soffio e rimpianto.
 
“Non mi hanno cacciata, non mi hanno evitata non mi hanno…”
“Marie…”
“…sono partita questo pomeriggio subito dopo pranzo…”
 
Sarebbe stato più corretto dire subito dopo la fine dell’enorme megagalattica festa che Barbara e Dick le avevano organizzato come regalo d’arrivederci, si perché quello di prima non era stato un addio ma un…
 
“Ci rivediamo presto MyMarie!”  con voce allegra ripeté le parole che la rossa e vitale figlia del commissario le aveva sussurrato quando per ultima l’aveva stretta in un soffocante abbraccio che Lei stava già in sella alla sua moto. MyMarie… che bel soprannome le avevano dato i suoi amici di Gotham.
 
“…li ho conosciuti due mesi fa e sai?…Bruce non ha avuto problemi a rincorrermi quando mi sono buttata da quel palazzo…mi ha agguantata e mi ha stretta forte…”  contenta gli mostrò l’avambraccio dove Batman l’aveva acchiappata… “E poi mi ha dato un bacio sulla tempia per farmi smettere di piangere e il suo respiro è stato vento fra i miei capelli…e mi ha sorriso e…”  poggiò un palmo sulla spalla di lui che ancora la sfiorava dandosi lo slancio per levarsi in piedi. Lui rimase immobile contro la porta anche quando lei, grazie al potere di Magneto, fece scattare la serratura ed entrò. Rimase immobile anche quando la voce di lei risuonò nuovamente nell’aria.
 
“…e mi ha detto che a Gotham sarò sempre la benvenuta…”
 
La porta si richiuse contro la sua schiena con un click quasi impercettibile mentre lui rimase immobile a fissare la luna che a differenza di come l’aveva vista Marie a lui sembrò pallido viso di cadavere.
 
Fissandosi le mani ripensò a tutto, fin dal principio…
 
Aveva incontrato Marie in un bar sperduto fra il gelo canadese e dopo quindici anni di buio nebbia rabbia e frustrazione s’era aperto uno spiraglio nella polvere del suo passato.
In un week-end aveva vissuto un’avventura mozzafiato, aveva conosciuto persone simili a lui che lo avevano accolto a braccia aperte senza chiedergli nulla, aveva scoperto dopo più di un decennio il piacere di affezionarsi nuovamente a qualcuno, la sensazione di protezione e sicurezza che dava l’essere amato e considerato l’immensa gioia che provava quando la guardava negli occhi ed in essi vedeva la luce che lui rappresentava per lei, i suoi sorrise che s’accendevano di un qualcosa in più quando lui era presente, la confidenza con cui gli si avvicinava e gli stringeva l’avambraccio se voleva trascinarlo da qualche parte per mostrargli un nuovo negozio aperto in città o qualche bar dov’erano permessi i combattimenti o…
 
Plik
 
E poi due anni dopo il suo primo rientro dopo il fallimento di ricerca ad Alkali Lake, l’attacco con cui Stryker aveva minato le fondamenta della loro fiducia negli uomini e della loro casa, il rapimento dei ragazzi, una  nuova missione, il coraggio di Marie il sacrificio di Jean l’inizio del suo nuovo tormento la scoperta della cura e l’indecisione della sua piccola protetta, il risveglio della Fenice  parallelo al suo odio verso tutti gli esseri umani e quel qualcosa che s’era incrinato quando dopo il loro leggero scambio di battute nel corridoio della scuola, Marie gli aveva voltato le spalle andandosene dall’Istituto col desiderio di liberarsi della sua maledizione e diventare un essere umano normale per poter vivere una vita normale quando lui aveva avuto in mente ben altra cosa riguardo i suoi poteri.
 
Plik plik
 
Sapeva che sarebbe tornata perché fra loro non c’era stato alcun saluto eppure quando l’aveva rivista due settimane dopo cercarlo fra la folla di studenti all’entrata, lui mosso da un sentimento di rancore s’era nascosto dietro ad un pilastro per sfuggire al suo sguardo senza sentirsi per niente un bastardo, ripetendo  l’azione anche la sera dopo che l’aveva udita dal corridoio chiedere ad un ragazzino se per caso lo aveva visto; presto fatto, in un batter d’occhio aveva cambiato la sua destinazione iniziale che era la sala giochi interrata per dirigersi a quella del primo piano che anche se era piena zeppa di marmocchi urlanti era sempre meglio che rimanere solo  con lei in quella che un tempo era stata il loro rifugio.
 
Ingoiò a fatica un globo denso e gelido schiarendosi la voce. Col pollice e l’indice della mano sinistra si stropicciò gli occhi portando via quel misto di acqua e sale che glieli velava.
 
L’aveva guardata da lontano godendo della sua progressiva emarginazione, s’era divertito a sfuggire dai suoi occhi che supplichevoli cercavano in lui l’amico che le aveva giurato d’essere, l’aveva salutata con fretta e falso dispiacere quando non poteva fermarsi ad ascoltare il suo dolore e poi era esploso quando lei lo aveva costretto in un angolo senza via di fuga. Le aveva sputato veleno in faccia senza chiedersi mai come avessero fatto le esili spalle di lei a sopportare tutto senza alcun sostegno esterno, l’aveva schernita e sminuita denudandola delle sue convinzioni e in tutto questo il suo errore era stato quello di credere d’esser nel giusto, d’aver ragione nel detestarla per averli abbandonati proprio quando più avevano bisogno di lei e dei suoi poteri.
Troppo tardi aveva capito il suo sbaglio e a nulla erano più servite le sue parole di scuse, il suo piombarle in camera per cercare di parlarle e fare ammenda e lei…lei era stata cento volte più coraggiosa di lui nel farsi trovare, nel guardarlo e ascoltarlo, nel farlo sentire una nullità mentre col cuore in mano le chiedeva perdono. Lui era scappato, lei no.
Poi quella lontana notte piovosa di due anni prima, quando sulla retta che scendeva dalla collina aveva incrociato il taxi dentro il quale c’era lei non aveva avuto nemmeno il coraggio di seguirla, e si era fermato nel buio della notte a seguire la sua fuga. Era finita, l’aveva lasciata andare…
 
“Avanti, mi prenderò io cura di te…”
 
Due occhi lucidi di pianto, timidi e speranzosi.
 
“Me lo prometti?”
“Si…si, te lo prometto”
 
Aveva piantato nocche e artigli nel cemento gridando d’agonia mentre il rombo del temporale lo zittiva brutalmente e lei si allontanava dalla sua vita per sempre.
Era tornata la polvere a coprire il lampo di vita che era stata la vita all’Istituto assieme a lei.
 
 
 
Da oltre la porta alla quale stava appoggiata con la schiena Marie li udì benissimo i singhiozzi del suo eroe. Nitidi come battiti di cuore. Strazianti come frusta di rovi sul cuore.
 
Non piangere….
 
Schiarendosi debolmente la gola cercò di allontanarsi.
 
Non piangere Logan…
 
Mosse alcuni passi ingoiando un singhiozzo, e poi un altro ed un terzo.
Arrivò all’inizio della rampa di scale che portava al piano superiore e li scoppiò in lacrime lasciandosi cadere sui primi gradini.
La luce della luna illuminava l’interno di casa sua entrando dalla grande finestra priva di tende dell’entrata, la sua ombra inginocchiata a terra era schiacciata sul delicato violetto della carta da parati e i singulti che le scuotevano anima e cuore l’avevano totalmente estraniata dal mondo.
Sarebbe stato sufficiente esalare il suo nome e lui sarebbe corso da lei, ne era sicura, certa…convinta. Ma le mancava il coraggio oltre che il fiato per compiere l’azione. Lasciò che fosse il suo spirito a gridare…e
 
E due braccia la cinsero ghermendole l’addome.
 
 
 
  
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