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Autore: MissNothing    15/09/2012    4 recensioni
«..Ti salvo io.» Esordì timidamente il più piccolo, e se non fosse più o meno sicuro di non averlo mai granché fatto in vita sua, avrebbe potuto giurare di essere arrossito. Era difficile fare considerazioni quando Gerard era così, perché le situazioni di sbocco erano tre: o finivi per sentirti un completo idiota, o finivi per sentirti un completo genio, o, come era accaduto poco prima in via straordinaria, finivi a letto con lui. Frank sperava in un misto fra le ultime due, ma d'altronde non c'era da biasimarlo. «Quanto potrà mai essere difficile?» Domandò, chiedendo mentalmente a sé stesso se mai la sua voce fosse suonata così stridula in vita sua, se mai le sue gambe fossero state così intorpidite, se mai si fosse sentito così lontano dalla realtà e dalla concretezza che lo circondavano.
[Dall'inizio, una storia il più realistica possibile.]
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Nuovo personaggio, Ray Toro | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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2. Waiting was worth it

 

 

 

Era ufficialmente passato un mese (preciso) dalla festa.

L'aria afosa e calda di agosto cominciava a lasciare il posto a quella già più fresca di settembre, e il dodici -giorno che segnava l'esatto scadere del tempo preventivato dal patto-, i fratelli Way avevano anche trovato le prime foglie ingiallite cadute dagli alberi in giardino. E le avevano lasciate lì.

Non era cambiato praticamente niente: la band continuava a fare le prove, avevano cominciato a ri-arrangiare le canzoni inserendo una seconda linea di chitarra (perché in effetti avevano deciso che, Frank o non Frank, avrebbero trovato ugualmente un chitarrista ritmico) e ogni giorno passava secondo la solita routine, acquisendo un pizzico -almeno per Gerard- di vitalità solo per via della possibilità ancora concreta di ricevere finalmente quella telefonata che tanto aspettava, e che mai si sarebbe deciso a fare, perché infondo non era altro che uno sconosciuto ubriaco con il quale aveva fatto un patto, e cominciava a domandarsi perché ci sperasse così tanto.

In quel mese, Mikey era sempre rimasto scettico: conosceva bene suo fratello e sapeva che era facile che si fidasse un po' troppo delle persone o che le sopravvalutasse, e ogni giorno, quando lo vedeva sempre più giù per un'altra possibilità persa, si faceva ancora più pessimista, sempre meno convinto che quella telefonata sarebbe arrivata. E non poteva dare tutti i torti a Frank, in effetti: a giudicare dalla storia che gli aveva raccontato Gerard, non era stato uno degli incontri più formali di sempre. Probabilmente aveva accettato solo per scrollarsi dai coglioni quel “ragazzo strano” che gli si era accollato all'improvviso, ma dentro di sé era già sicuro che non si sarebbe mai fatto sentire.

Certo, lui ormai ne era quasi convinto, ma era difficile farlo capire a suo fratello senza spezzargli definitivamente il cuore: se non fosse stato completamente sicuro che Gerard fosse ancora innamorato perso di quella ragazza che conobbe anni prima all'accademia d'arte, avrebbe persino detto che si era preso una qualche specie di cotta per quel ragazzo.

«Lo capirai mai che non ti caga?» Mikey sbuffò, steso sul letto che un tempo era il suo, mentre continuava a colpire il poster sul muro davanti a lui con una pallina raccattata dai meandri del pavimento di camera suo fratello. Gerard sembrò quasi offeso, e doveva esserlo veramente tanto se interruppe addirittura il disegno che stava facendo per alzarsi, afferrare al volo la pallina che suo fratello continuava a lanciare e gettargliela in faccia, mancandolo di poco solo perché quel bastardo aveva buoni riflessi e aveva già fatto in tempo a coprirsi metà faccia con un cuscino.

«Vaffanculo, ne riparleremo quando dovremo trovare uno spazietto extra per aggiungere il suo nome sulla copertina del demo.» Rassegnato, piuttosto demotivato dalle sue mancate doti da giocatore di palla avvelenata e ormai quasi convinto della teoria di Mikey, decise di smetterla di sperarci.. eppure non lo ammise, per il semplice gusto di non darla vinta a quel surrogato di essere umano che molto più spesso chiamava come “suo fratello”.

«Questo Frank nemmeno ti ha ancora chiamato, non sai come suona e ti preoccupi di trovare un posto al suo nome sul demo?» Mikey quasi scoppiò a ridere alla lista delle priorità di suo fratello, eppure cercò di trattenersi, perché mancava meno di un'ora allo scadere del periodo di “ritiro spirituale” del ragazzo e quando si sarebbe reso conto che non avrebbe mai chiamato, Gerard avrebbe preso a lamentarsi come una ragazzina ed il più piccolo era già sicuro che glie lo avrebbe rinfacciato fino alla tomba. «Sul serio, Gee, mettiti l'anima in pace, forse gli piace il gruppo in cui è ora ma si sente in colpa a dirti di no..» Passò un minuto interminabile di silenzio in cui Mikey si sentì come se avesse appena confessato un triplice omicidio, finché il maggiore non si alzò e si andò semplicemente a stendere accanto al fratello, nella cosiddetta posizione alla “testa e piedi”.

«Questi calzini puzzano.» Constatò, cambiando completamente discorso come era suo solito fare quando non voleva più affrontare la verità. Si fermò a fissare il soffitto, così come suo fratello, e trovandosi in una ex cantina era piuttosto basso. Il fatto che fosse di legno scuro, poi, lo rendeva ancora più inquietante. Come se fosse pronto a cadergli addosso. Come avevano fatto -ormai da tempo, ad essere sinceri- le sue speranze.

«Gerard..» Lo apostrofò il fratello, cercando una vera risposta.

«Mikey, non so che dirti, va bene!?» Sbuffò, alzando la voce di almeno un tono senza nemmeno rendersi conto. Era brutto che se la stesse prendendo così tanto, ma non poteva farci nulla. Perché ci teneva. Forse un po' più di quanto dovesse, eppure l'idea di non rivedere mai più Frank, la consapevolezza che non lo avrebbe mai sentito suonare, che non avrebbe mai più sentito la sua voce, faceva morire una piccola parte di lui che ormai pensava di aver dimenticato a New York. «Io.. ci speravo, okay?» Cominciò dopo poco, sentendosi come se fosse stato troppo aggressivo nei confronti di qualcuno che non se lo meritava, e soprattutto, sentendo un improvviso bisogno di sfogarsi. «Credevo di aver fatto tutto bene.. credevo di avergli lasciato qualcosa, hai presente?»

«Ma cosa, l'herpes?» Sghignazzò Mikey, convinto che forse Gerard avesse fatto bene ad evitare l'argomento, prima, e che non fosse il caso di affrontarlo in quel momento. In tutta risposta, il maggiore gli diede una piedata in pieno volto.

«L'ultima parte è solo capitata. Ti giuro che abbiamo parlato sul serio.» Sospirò, serrando gli occhi e ripensando ai dettagli di quel breve lasso di tempo che aveva passato a dialogare con lui. Perché infondo, non c'era da mentire a nessuno, ma era proprio quello che voleva cancellare. Frank non gli piaceva: nemmeno lo conosceva, e insomma, sarebbe stato ridicolo dire una cosa del genere. Il problema con Frank era che aveva un fascino di quel tipo che Gerard sperava di non incontrare mai più in vita sua: non aveva voglia di limonarci per tre ore di fila come quando ti piace qualcuno -anche se non gli sarebbe dispiaciuto, a dirla tutta-, ma aveva voglia di parlarci una nottata intera. Perché lui gli interessava, ecco tutto, e c'era una parte di lui che sperava veramente che, anche se non per questioni legate alla band, lo avrebbe risentito.

«Okay, okay, davvero, non c'è bisogno che ti scoraggi in questo modo..» Cominciò Mikey dopo un silenzio spacca-timpani che si era protratto per una frazione di tempo imbarazzantemente lunga. «Ci sono altri centomila chitarristi nel New Jersey e sono sicuro che se questo qui non ti ha chiamato è soltanto un cogl-» E, proprio prima che potesse finire la frase, il trillo assordante della suoneria di Gerard riempì la stanza. Quest'ultimo diede un veloce sguardo all'orologio, rendendosi conto che mancavano ancora dieci minuti alla mezzanotte, e si alzò, quasi con gli occhi a cuoricino, correndo da un lato all'altro della stanza alla ricerca del telefono. Di solito lo teneva sempre con sé, ma in quell'ultimo periodo, tendeva sempre a nasconderlo chissà dove pur di non vederlo e ricordarsi ogni volta di quel chiodo fisso che lo tormentava. Pregò qualunque Dio che non smettesse di squillare proprio in quel momento, e finalmente lo riesumò dal fondo di una pila di vestiti, sotto gli occhi increduli di Mikey, che ancora non si capacitava degli urletti ansiosi che stavano uscendo dalla bocca di suo fratello. Si affrettò a rispondere, e quasi si sciolse quando si rese conto che era proprio lui.

«Ehi, Gerard, umh.. credevo.. credevo che non avresti risposto più..» Ridacchiò nervosamente Frank dall'altro capo del telefono. Gerard per poco non andò in iperventilazione, e si ritrovò completamente paralizzato, incapace di parlare. «..Umh.. ti chiamavo per.. quella cosa del gruppo, no?» Il ragazzo domandò, ed il più grande si sentì un po' stranito nel vedere che la sua voce suonava così disorientata e confusa: si era quasi dimenticato del fatto che era possibile che rifiutasse.

«Sì, ehi, mh.. dimmi.» Disse, cercando di suonare il più calmo possibile.

«Vorrei accettare, se.. ecco.. non è troppo tardi.» Replicò Frank, e Gerard avrebbe giurato che si stesse morendo il labbro, a giudicare dall'impercettibile rumore metallico che aveva prodotto il contatto del suo dente contro il piercing che aveva. «Mi rendo conto di averti chiamato un po' all'ultimo momento.. ma non.. non ero sicuro, mi dispiace..» Balbettò un po', e per poco lo stomaco del più grande non si arrotolò su sé stesso prima di esplodere.

«È okay, davvero, insomma, quando hai chiamato mancavano ancora dieci minuti all'ora x, perciò..» Gerard ridacchiò, trascinando con sé anche una risatina nervosa da parte di Frank. Per la prima volta dal mese di prima, poteva dirsi veramente contento. E non contento per via di quella speranza che ancora aveva, ma veramente contento. Lottò contro i suoi istinti primordiali per non cominciare ad urlare, rassicurando sé stesso e rendendosi conto che avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per farlo, e decise di darsi una mossa e combinare un incontro il prima possibile. «Ehi, noi in teoria domani abbiamo una prova, tu.. cioè, ti va di..» Mikey si alzò, occhi sgranati per via della stronzata che aveva appena detto suo fratello, continuando a boccheggiare dei “no” e a gesticolare, nel disperato tentativo (fallito) di fargli rendere conto di quanto fosse impossibile organizzare una prova all'ultimo minuto. «Ti va di venire?»

«Non vedo perché no!» Frank esclamò dall'altro lato del telefono, probabilmente sorridendo.

 

**

 

Gerard sembrò ricordarsi solo dopo due ore che nessuna fra le regole del galateo era “lascia il tuo ospite moribondo sul letto sfatto di camera tua”, e nonostante tutto, ancora non si era convinto ad andare a vedere come si sentiva Frank. Le prove erano cominciate più che bene: i ragazzi avevano a dir poco apprezzato il nuovo arrivato ed ormai sembrava facesse parte del gruppo da anni. Nonostante il gruppo stesso avesse meno di sei mesi, in effetti.

Avevano parlato di musica, ovviamente, ma anche di cose un po' meno collegate alla band, come film, libri, fumett- o meglio, Gerard aveva blaterato roba su dei fumetti, scuola e famiglia. E a dire il vero, sembrava andasse tutto una meraviglia. Grazie a Dio nessuno aveva nemmeno lontanamente accennato al fatto che quella prova fosse stata organizzata all'ultimo minuto solamente perché il fontman era peggio di una stupida fangirl e, specialmente quando impugnarono strumenti e simili, tutti si resero conto che in effetti l'aggiunta di un quinto membro era stata una scelta vincente. Specialmente perché, sorpresa delle sorprese, Frank, oltre ad essere illegalmente interessante, con dei gusti che gli avevano fatto guadagnare almeno trenta punti bonus in una scala di giudizio da uno a dieci, simpatico e veramente tutte, tutte, tutte le qualità che chiunque avrebbe desiderato di trovare in una persona, era anche incredibilmente abile a suonare. Così tanto che in effetti, persino Ray rimase stupito nel sentire che aveva imparato da solo, aiutato solo per qualche mese dal padre.

Certo, aveva le pecche dell'autodidatta- ignorava i nomi di svariate tecniche nonostante sapesse eseguirle, non sapeva leggere le note (ma infondo nessuno di loro sapeva farlo, e non era nemmeno un problema) e soprattutto certe volte non sapeva bene quando cominciare a suonare e quando smettere, essendo abituato ad essere l'unico chitarrista, ma fortunatamente, niente di grave.

In effetti, quella era una delle sue peggiori preoccupazioni riguardo il ragazzo: Mikey in un certo senso aveva ragione quando aveva detto che quello che aveva fatto era stato a dir poco ridicolo e avventato. Se non fosse stato all'altezza (non che loro si reputassero dei geni musicali, ma non si poteva mai sapere) sarebbe stata una serie di eventi imbarazzanti uno in fila all'altro. In primis, avrebbero dovuto dirgli che avevano cambiato idea. Il che sarebbe stato, oltre che a dir poco vergognoso, un vero peccato, considerando che al 99% li avrebbe odiati a vita per avergli fatto scaricare l'altro gruppo. Poi avrebbero dovuto trovare un sostituto, il che, più che imbarazzante, sarebbe stato quasi impensabile. Ma a coronare il tutto, c'era quello che per Gerard era forse l'aspetto peggiore oltre al perdere una persona con la quale si sentiva già così tanto in sintonia: avrebbe dovuto spiegare perché.

Perché lui, con altri centinaia di musicisti.

Perché lui, che a malapena conosceva.

Perché lui, che in effetti, non sembrava bravo quanto in realtà era.

Essendo andata bene, il ragazzo si era giustificato parlando di istinto: nessuno aveva fatto altre domande, visto e considerato che quella sensazione primordiale, ancora una volta, ci aveva preso.. ma in caso contrario, veramente, non avrebbe saputo come giustificarsi senza dare per l'ennesima volta ragione a suo fratello ed ammettere di avere una specie di cotta per quel ragazzo; cosa che, in effetti, era vera solo per un 5%. Gerard si stupì del suo avventatissimo uso delle percentuali, quel giorno, e ritornò con un sospiro simile ad un lamento sul pianeta terra.

In sintesi, musicalmente e sul piano di sintonia era andato tutto bene.. finché Frank non aveva detto che gli girava la testa. Avendo deciso che quella sera avrebbero cenato lì e lo avrebbero presentato ai proprietari della casa dove avrebbe passato almeno due ore al giorno, era stato semplicemente mandato a riposare in camera di Gerard. E forse il problema era che nessuno, oltre quest'ultimo, aveva dato importanza al fatto che lui avrebbe preferito tornare a casa: forse aveva fatto buon viso a cattivo gioco. Forse non li sopportava e non vedeva l'ora di allontanarsi, non farsi sentire mai più, per poi tagliare tutti i contatti telefonici, scappare dall'altro lato del mondo e cambiare nome. E davvero, nonostante la vena un po' troppo creativa del cantante, era possibile. Bastava guardarlo per capire che in effetti era un po' fuori posto in un gruppo di ragazzi come- come loro.

Eppure, nonostante tutto, dopo essere stato convinto dalle paranoie di sua madre riguardo la salute degli ospiti (“se morisse in casa nostra!?”) e gli incoraggiamenti dei ragazzi, Gerard era lì, fuori la porta di camera sua, terrorizzato da quello che era il suo spazio come non mai. Fissò i cartelli di “vietato entrare” che lui e Mikey avevano appeso quando ancora condividevano la stanza e cominciò a formulare possibili modi per iniziare una conversazione, citandone persino un paio ad alta voce per sentire il suono del suo stupido tono stridulo (certe volte non si capacitava del fatto che fosse un cantante), interrotto da un'altra, di voce, che per poco non gli procurò un infarto.

«Perché parli da solo?» Frank era scoppiato a ridere dall'altro lato del muro, sembrando più in salute che mai. Gerard si maledì mentalmente per la sua idea del cazzo e per l'aver sempre ragione riguardo la gente, ed entrò con cautela, quasi come se non fosse già stato scoperto. Si fermò all'uscio, chiudendo la porta alle sue spalle con il peso del suo corpo ed appoggiandocisi contro. Si morse il labbro superiore, fissando il ragazzo che ancora se ne stava rannicchiato sul suo letto, sotto il suo piumone di Batman che avrebbe tanto desiderato di aver cambiato, quella mattina. In quel momento si vergognò anche la sua tradizione del piumone tutto l'anno: non ci dormiva sotto, per carità, a settembre (così come per metà di tutto l'anno) sarebbe stato pazzesco, ma gli piaceva dormirci sopra, affondare nella morbidezza delle piume e, in generale, sentirsi avvolto da esso. Frank gli sorrise ancora di più, questa volta non per lui, ma per qualcosa che in effetti Gerard non riusciva a capire.

«Ciao.» Esordì quest'ultimo.

«Hai la camera più pazzesca del mondo.» Constatò il più piccolo, e fu una vera e propria sorpresa per l'altro. In effetti la sua camera era stata motivo di profondo imbarazzo qualche ora prima per via di quelle svariate cose che avrebbero trovato migliore accoglienza nella stanza di un bambino di dieci anni, e lui la trovava “pazzesca”? Si grattò la guancia, ormai anche un po' rossa per l'imbarazzo, rendendosi conto di quanto lui stesso fosse stato diverso la sera in cui lo aveva conosciuto. Forse era anche per questo che lo stava prendendo per il culo- perché non poteva essere serio, giusto?

«Sii sincero, tipregotipregotiprego, quanto abbiamo fatto schifo da uno a dieci?» Il più grande chiuse gli occhi, terrorizzato dal verdetto, e quando si trovò vittima di un silenzio imbarazzante, aprì prima l'uno e poi l'altro, con la stessa cautela di quando si guarda un film horror, trovandosi di fronte ad un espressione quasi shoccata. Frank si era seduto, ancora troppo coperto considerando che un mese prima era agosto, e guardava Gerard come se avesse appena bestemmiato in chiesa.

«Zero meno uno?» Domandò, sgranando gli occhi come se fosse una cosa ovvia.

«Se ci metti l'uno davanti allo zero, magari..» Il cantante sospirò, rendendosi conto che aveva frugato per camera sua quando notò il pipistrello imbalsamato fuori posto. Fece cadere la testa all'indietro, sbattendo in maniera meno aggraziata di quella che avrebbe sperato al solo pensiero delle cose che avrebbe potuto trovare lì dentro. «Noi siamo noi, e tu sei.. sei tu?» Gerard cominciò, e si rese conto solo dopo essersi ascoltato che verso il finale la frase si era trasformata quasi in una domanda e che gli era considerevolmente scesa la voce. Il più piccolo sembrò ancora più confuso di prima, ed il ragazzo si sentì in dovere di spiegare quella frase che, in effetti, non aveva poi tanto senso. «Ti sei chiuso qui e.. io- non- ho pensato che avessi solo fatto finta di sopportarci.» Sospirò, facendo finalmente chiarezza. Chiarezza che fu spiazzata in un secondo non appena vide Frank scoppiare a ridere sotto i suoi occhi.

«Sono solo io ad essere patetico.» Disse, trasformando quel ghigno in un sorriso un po' amaro prima di abbassare il capo. «Sono venuto alle prove anche se ho i decimi di febbre, ed- io- la mia salute va a puttane continuamente. Cominciate a farci il callo.» Si strinse nelle spalle, e subito Gerard si sentì come se gli avessero appena sollevato un macigno dalle spalle. «Ed ero sincero.»

«Grazie..» Biascicò in maniera piuttosto affrettata, abbassando lo sguardo non appena quello dell'altro ragazzo tornò in contatto col suo, arrossendo appena. «E ora stai meglio, mh?» Chiese, speranzoso che il piano per quella sera non fosse cambiato: ora che sapeva che si apprezzavano allo stesso modo, avrebbe passato anche trent'anni di fila anche solo a parlare.

«Decisamente.» Sorrise, e qualcosa nello stomaco di Gerard si ribaltò in maniera un po' imbarazzante. L'intera situazione era la più ridicola nella quale si fosse mai trovato. «Anzi, ad essere sincero, sono stato così invadente che mi sono messo a frugare un po'..» Il più grande avrebbe potuto giurare che Frank stesse arrossendo (di nuovo), ma poi continuò a parlare e smise seriamente di pensarci. «Da quello che ho capito hai ottimo gusto in ogni cosa.» Ridacchiò, e anche se Gerard avrebbe voluto continuare, capì che quello era una sorta di monologo. «Ma mi sono limitato prima di arrivare all'armadio, tranquillo.» Gli fece l'occhiolino, mantenendosi sul tono scherzoso. «Ho letto qualche numero di Hellboy che non ero riuscito a trovare da nessuna parte, ho fissato per tipo dieci minuti il tuo amico imbalsamato per capire se fosse vero..» Gerard ridacchiò, ricordando l'aneddoto dietro quel regalo che un lontano parente gli fece e voltandosi velocemente a guardarlo. «..Poi sono rimasto intrattenuto da questo..» Il più grande si portò le mani fra i capelli, esasperato, già consapevole di ciò a cui il ragazzo si riferiva anche prima che prendesse quello scatolo e lo agitasse leggermente, come a mettere in evidenza l'imbarazzante quantità di materiale lì dentro.

Non ne andava particolarmente fiero, doveva ammetterlo; avere un contenitore pieno di riviste porno sotto il letto non gli faceva granché onore e certe volte si sentiva abbastanza male con sé stesso, ma altre volte, invece, le esigenze chiamavano, e doveva ammetterlo che non ne comprava da secoli- da prima che partisse per New York, a dire il vero. Ne aveva buttate parecchie, anche: gli servivano all'accademia per ovvi motivi, ma una volta ritornato si era trovato stomacato dalla quantità di porcate che conservava in un solo scatolo ed aveva tenuto solo quelli più memorabili. Come l'edizione di Playboy in cui, intenti a ritoccare il fisico di una ragazza, dimenticarono di rimetterle l'ombelico. E nonostante si fosse trovato così immerso nei suoi pensieri, continuava a non riuscire a dimenticare l'imbarazzo. I ragazzi lo sapevano, certo, ma conoscendosi da anni era facile accettarlo. Frank, invece, lo avrebbe giudicato a vita come un maniaco. Fine.

«Ehi, Gerard, scusami, io.. non.. cioè, non lo intendevo con cattiveria, anzi, io..» Frank cominciò a balbettare, come se la cosa aiutasse in qualche modo. «Ho dovuto pensare a robe come la mia bisnonna in costume per evitare di fare cose un po' inappropriate nel tuo letto, quindi, cioè, io..» Anche il più piccolo arrossì, mentre sul volto dell'altro cominciò a formarsi l'ombra di un sorriso. «Sono l'ultimo che può giudicarti, se è così che ti senti. Mi dispiace. Non dovevo mettere mano fra le tue cose, in primo luogo, e poi.. Scherzavo. Scherzo sempre. Continuamente. Sono un coglione.» Chiuse gli occhi e si morse il labbro, rassegnato all'idea che non avrebbe mai messo insieme delle parole sufficienti per spiegare quello che voleva dire, ma ehi- era pur sempre Gerard, il ragazzo che gli aveva descritto per filo e per segno la sua vita senza nemmeno averci mai parlato: avrebbe capito. Rimase in silenzio per un po', e solo ad acque calmate picchiettò sul letto, come se volesse indicare all'altro di andarsi a stendere con lui. Gerard esitò per qualche secondo, ma poi si rese conto che peggio di così non poteva andare, dunque..

«Ti facevo un tipo di poche parole.» Il più grande disse, giusto per spezzare il silenzio. Ed in un certo senso, era vero: per quanto Frank, da quello che aveva visto alla festa, fosse circondato di gente, non aveva detto molto la prima volta che si erano visti.

«Ti facevo logorroico, se è per questo.» L'altro cominciò a ridacchiare, girandosi sul fianco per guardare verso Gerard, che invece, aveva lo sguardo fisso sul soffitto e le braccia piantate ai lati come due pezzi di legno: quasi come se non facessero parte del suo corpo. Quest'ultimo sorrise, più a sé stesso che al ragazzo, rendendosi conto che non era stato l'unico a comportarsi stranamente quel giorno.

«Oh, credimi, ti pentirai di avermi stuzzicato a parlare.» Voltò appena il capo, poggiando la guancia contro il cuscino per incontrare lo sguardo di Frank e rendersi conto di quanto entrambi stessero addirittura sudando sotto quell'eccessiva quantità di tessuto e piume. «Non smetto mai di parlare, ad essere sincero, ma devo avere qualcosa da dire e devo essere sicuro che all'altra persona interessi.» Continuò, accertandosi, appunto, che il chitarrista volesse davvero ascoltarlo. «La parte difficile per me è fare il cosiddetto primo passo.» Tornò con lo sguardo rivolto verso quel legnoso soffitto (non troppo lontano, trovandosi in una ex cantina) tappezzato qui e lì di poster e disegni.

«..Disse il ragazzo che mi piombò addosso, prese a raccontarmi per filo e per segno del mio carattere e della mia vita, mi chiese di far parte del suo gruppo e mi baciò.» Frank subito si pentì di ciò che aveva detto, rendendosi conto che risultò imbarazzante per entrambi. Le sue parole (specialmente le ultime tre) rimasero a fluttuare nell'aria per un tempo indeterminato ma pur sempre troppo lungo in cui, insieme al loro eco, furono gli unici suoni a riempire la stanza.

«Speravo fosse abbastanza ovvio che ero poco in me, quella sera..» Cercò di sdrammatizzare, sperando davvero che fosse abbastanza per spiegarsi e che non dovesse ricadere in quella spirale di pensieri che non era sicuro che sarebbe riuscito a spiegare in maniera esaudiente. «Non lo so, davvero, volevo lasciare un impatto, qualcosa, perché ero consapevole del fatto che le chance che mi chiamassi erano una su un milione..»

«In un certo senso lo hai fatto, perché se non mi avessi descritto in quel modo, quella sera, credo che adesso sarei già partito per la facoltà..» Gerard sorrise fra sé e sé alle parole del ragazzo, soddisfatto. «Il fatto che fosse così lampante che non fossi felice di ciò che facevo mi ha fatto sentire ridicolo.» Scosse il capo, girando il volto solo quando si rese conto che fissare l'orecchio del ragazzo non lo avrebbe portato a molto. «Prima ho anche parlato con Mikey, mentre andavi a prendere i ragazzi..» Continuò, e Gerard deglutì al pensiero di ciò che sarebbe potuto scappare dalla bocca di suo fratello. «È bellissimo quello che sei riuscito a fare dopo tutto ciò che hai passato.»

«Non sono un martire, sono solo uno sfigato. Non mi merito nulla di quello che stai dicendo.» Si fermò un secondo, cercando di mettere insieme le parole per spiegarsi. «Cosa ho passato? Sono stato il ragazzo un po' emarginato, sono andato alla scuola d'arte, la ragazza di cui ero perso ha preferito il mio “migliore amico” a me, e poi boom- l'undici settembre.» Si strinse nelle spalle. «Mi ritengo fortunato, ad essere sincero. C'è gente che è morta in quella data, ed io sono ancora qui.» Frank rimase ad ascoltarlo, che molto spesso, era l'unica cosa che riusciva a fare. «Credo che mi abbia fatto rendere conto che è inutile vivere nel passato o sprecare la propria vita a fare qualcosa che non ci piace, perché ad essere sincero, i soldi sono l'ultima cosa.» Si fermò per guardare un secondo il più piccolo, sorridendogli nonostante non potesse vederlo. «È ridicolo che sia io a dirlo, perché, insomma, sono- sono giovane, e molto, anche, ma ti posso dire che ho sprecato tre anni all'accademia pensando ad una ragazza che in realtà non avrei mai avuto e poi troppo tempo a portare il caffè a delle persone che vivevano il mio sogno, e non mi ha portato a niente..» Sospirò, e anche se Frank avrebbe voluto aggiungere qualcosa, fu subito interrotto da un nuovo flusso di parole prima che potesse. Gerard aveva ragione: era logorroico. Ma al ragazzo, stranamente, non dispiaceva. Si trovava rapito da quelle parole, come se stesse vivendo per filo e per segno l'esperienza di New York, come se finalmente fosse in sintonia con lui. «Lo chiamavano apprendistato.. io l'ho rinominato schiavitù, perché davvero, era inutile. Ti risucchiavano lì dentro, ma nessuno ti obbligava a rimanere: eri tu che ci speravi davvero, nonostante dopo un po' ti rendessi conto che forse quello non era nemmeno l'ambiente del quale volevi fare parte.» Il più piccolo, in quel momento, sentì un vuoto che non riusciva a spiegarsi: avrebbe voluto fare qualcosa -così come Gerard aveva fatto per lui-, eppure non si sentiva in grado. Avrebbe voluto prendergli la mano, abbracciarlo, dirgli qualcosa, anche solo grazie, eppure, c'era qualcosa che glielo impediva. «Ed è quello che successo a me. Quel giorno stavo andando in ufficio, e mi sono reso conto che la morte era dietro ogni angolo. È brutto da dire, ma non puoi mai sapere quando una persona dall'altro lato del mondo deciderà di ammazzarti per ciò in cui credi, perché le vostre tradizioni sono diverse dalle loro, perché sono semplicemente pazzi o completamente rincoglioniti. Insomma, pensi che quelle persone se lo aspettassero? Pensi che se lo meritassero? Nessuno dovrebbe morire in quel modo. Eppure è successo. Ed io ho capito che non volevo schiattare facendo fotocopie e girando fra i piani di un edificio a fare il lavoro che qualcun altro si scocciava di fare.» Ci fu una lunga pausa ed un momento di silenzio prima che il ragazzo si decidesse a continuare, arrivando alla parte un po' più leggera. «Ho scaricato il lavoro, sono venuto qui e ho deciso di mettere su una band. Fare carriera o no non è il punto: il punto è che per ora sono contento così.»

«E questa è la parte dove arrivo io?» Domandò timidamente Frank, stupendosi nel risentire la sua voce dopo essersi così abituato a quella più vellutata di Gerard.

«Esatto. Mi ha fatto tristezza vederti in quel modo, e, io- Cristo, non voglio che la prendi male. Non l'ho fatto per carità, anzi, volevo che riprendessi fiducia nei tuoi sogni perché avevi, come.. non lo so nemmeno io.» Sospirò il ragazzo, portandosi le mani sul volto e stropicciandosi gli occhi. «Te lo si leggeva in faccia che te lo meritavi, credo?» Entrambi si voltarono per guardarsi, sorridendosi a vicenda per poi tornare immersi nello stesso, imbarazzante silenzio di prima.

Gerard si sentì in colpa a non avergli confessato proprio tutto, ma forse, in effetti, non era il momento. Non voleva che lo prendesse come un essere umano perfetto e superiore e blablabla, ma di certo non voleva confessare una cosa del genere già ora. Un po' di ammirazione non faceva mai male a nessuno, specialmente con l'autostima sotto i piedi del ragazzo. Anche perché, dopo un po', si rese conto che con tempo, il fatto che avesse “qualche” problema con alcool e simili sarebbe stato ovvio, e forse di parlarne non ce ne sarebbe stato nemmeno il bisogno. Rimasero zitti, ancora, Gerard preso dai sensi di colpa e Frank avvolto da uno strano sentimento di ammirazione che non conosceva poi così bene.

«E lei com'era?» Domandò dopo qualche minuto, non volendo che la conversazione finisse lì.

«Carina, simpatica, dolce quando le pareva.. credevo di esserne innamorato.» Il più grande ridacchiò, e l'altro aggrottò le sopracciglia, guardandolo in cerca di spiegazioni e tentando di evitare di chiederne verbalmente. «Non riuscivo a stare senza di lei nemmeno un minuto. Le mandavo continuamente messaggi, la telefonavo sempre, avevo un muro pieno di disegni di lei, era.. era ridicolo. Non ero innamorato, ero dipendente. E questo era perché era l'unica ragazza che mi avesse mai dato corda, anche se poi-»

«Non riesco a capire come tu faccia a dire che non fossi innamorato.» Lo interruppe per la prima volta. Forse la spiegazione sarebbe arrivata dopo, certo, ma in quel momento si sentiva così stupido che non avrebbe aspettato un secondo in più. Attese pazientemente una risposta, ma nel vedere Gerard zitto ed immobile lì, si rese conto che forse era stato inopportuno. Forse aveva toccato un tasto dolente, o forse -sperava- era uno di quei suoi momenti in cui cercava di organizzare il discorso in maniera abbastanza semplice e concisa.

«Amore e dipendenza sono due cose diverse. Non può nemmeno lontanamente piacerti qualcosa di cui sei dipendente.» Disse, e Frank avrebbe voluto prendersi a testate nel muro per non esserci arrivato da solo. «Per esempio, tu fumi, no?» Gerard si voltò verso di lui in cerca di una risposta, e Frank annuì di fretta e furia per non mettersi in mezzo di nuovo. «E ti piace il fatto che tu lo faccia?» Chiese nuovamente, e l'altro scosse il capo. «Ti sei risposto da solo.» Si strinse nelle spalle, tornando a guardare da un'altra parte. «L'altro giorno aveva un esposizione qui, ad un'ora di macchina.. è una fotografa.» Sorrise Gerard fra sé e sé, e Frank si stupì della semplicità con cui parlava di lei, la fantomatica ragazza che lo aveva trattato in maniera così brutta, senza nemmeno un velo di tristezza in volto. «Ci siamo salutati come se niente fosse. È sposata con il mio ex-compagno di stanza e stanno programmando di avere un bambino, te ne rendi contro?» Si voltò a guardarlo con espressione shoccata, come se un bambino fosse una cosa assurda per una coppia sposata. Per il più piccolo era più assurdo il fatto che non si sentisse malinconico, che non si pentisse di averli fatti conoscere, che non la odiasse. «Eppure sono stato bene. Ci ho parlato come se niente fosse perché l'effetto dipendenza è passato, Frank. È stato difficile smettere, in un primo momento, ma tornando all'esempio della nicotina, una volta che ne fai a meno per tanto tempo, poi non ti tenta più. Ed è esattamente quello che è successo nel mio caso..» Senza nemmeno accorgersene e senza nessun vero motivo, entrambi sorrisero. In qualche modo, si sentivano come se avessero appena aperto gli occhi. Come se avessero cominciato a vivere solo in quel momento. Gerard poteva finalmente condividere tutto questo con qualcuno che lo avrebbe ascoltato, e Frank, finalmente, aveva qualcuno a cui era convinto di poter chiedere consiglio su ogni cosa. «Mikey dice che lei mi piace ancora, pensa!» Scoppiò a ridere dell'”ignoranza” di suo fratello, respirando profondamente prima di parlare. Ancora. «E tu, invece?»

«Io?» Frank balbettò, scattando sull'attenti. Non era sicuro di come fosse stato possibile, riuscire a balbettare anche una parola monosillabica, ma ci riuscì senza troppi problemi. «Umh.. stavo con una ragazza, due mesi fa, credo.» Si rese immediatamente conto di quanto patetica fosse la sua storia, messa a confronto con quella che aveva appena sentito. «Ma credo che fosse più per fare un favore ad un amico che voleva conoscere sua sorella.» Si morse il labbro inferiore, ripensando a quella settimana meno un giorno in cui era stato “impegnato”. Gerard scoppiò a ridere, e Frank non riuscì a non arrossire: non era quel tipo di ragazzo, sul serio. Era solo uno che si sottometteva alla volontà degli amici pur di non dover dire “no”.

«Romantico!» Esclamò fra un ghigno e l'altro, ed il chitarrista cercò di ridere con lui almeno un po', nonostante gli scarsi risultati. «E poi com'è finita?» Domandò, sinceramente interessato. Era pazzesco trovare qualcuno che sapeva sia parlare, sia ascoltare.

«Mi ha scaricato perché ha scoperto tutto.. e sua sorella ha scaricato il mio amico.» Ridacchiò, questa volta di gusto, nel rendersi conto di quanto fosse ridicola quell'intera storia.

Rimasero a parlare del più e del meno per ore, praticamente. Persero la cognizione del tempo proprio quando Gerard prese a mostrare a Frank alcuni dei suoi disegni (gli fece vedere persino alcuni dei più personali), ancora stesi l'uno accanto all'altro in un letto che, ad essere sinceri, era singolo. La giornata sembrava passare così velocemente che era quasi ridicolo, e nonostante sapessero che sarebbe arrivato il momento in cui qualcuno li avrebbe chiamati per cena, quando Mikey aprì la porta nessuno dei due era pronto. Sapevano che forse erano un po' troppo vicini, ma nessuno dei due si aspettava che il ragazzo avrebbe semplicemente chiuso la porta alle sue spalle, senza nemmeno finire la frase. Cominciò a blaterare delle scuse, come se li avesse appena beccati a letto insieme nel senso vero della parola, ed entrambi tentarono di sopprimere le risate.

Gerard pensò, in quel momento, che forse doveva cominciare a piombare addosso alla gente più spesso.

 

 

**


 

Asdfghjkl massalveeeeeeeeeeeeeeeeeH!

Sono reduce dai miei primi tre giorni di liceo e aggiorno molto alla buona perché la mia vita sociale ha subito un improvviso sprazzo di vitalità e sto uscendo, quindi yeaaaah.

Questo era uno dei capitoli già scritti, quindi ho aggiornato un po' prima rispetto alle previsioni- tutta colpa di quella miopeta di The Last Thing I See che mi ha assicurato che non faceva troppo schifo e mi ha supportata moralmente nella ricerca del fantasma di casa mia (?)

Quindi bon, sto di nuovo qui a rompere le palle! Se ci siete fatevi sentire, plise c.c

XOXOXOXOXOXOXOXOXOXOXOXOCONVENTIONALWEAPSONOFJEIRFJHEUIFHJE AIUTO MUOIO XOXOXDOFJIEFJEFEWIFHD NON CE LA FACCIO POPO OGGI CIAU. <3

   
 
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