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Autore: Love_in_idleness    02/04/2007    1 recensioni
Due storie diverse intrecciate tra loro per una strana, irresistibile Legge delle Ambivalenze.
Genere: Romantico, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ho riavuto il mio piccy

Ho riavuto il mio piccy... che cosa meravigliosa Y___Y

 

Lunedì undici dicembre. Un viaggio in metropolitana; degli zuccherini colorati che affogano; alcune notizie buone, molte notizie cattive. Una lezione di estetica.

 

I.                                                   

A Mircea non interessavano molto la compostezza e la misura. Neanche quando era in metropolitana. Si sedeva occupando due sedili ed appoggiava la testa sul petto di Lelio lasciandosi cullare dagli scossoni del treno in marcia, a volte addormentandosi, a volte studiando, a volte semplicemente guardando il vuoto fisso delle luci artificiali.

Quella mattina, Lelio non sapeva perché, gli sembrava particolarmente bello. “Sei particolarmente bello, oggi.” Gli aveva detto mentre scendevano in ascensore. Qualcosa lo faceva risplendere di una radiosità raggiante. Probabilmente era solo un effetto della candida sciarpa di lana bianca che gli incorniciava il volto di una luminosità straordinaria, e che si rifletteva sui suoi capelli biondi e nei suoi occhi chiari. La frangetta gli ricadeva scompostamente sulla fronte donandogli un’aria sbarazzina, mentre i folti capelli scivolavano sulle sue spalle e sulla sua schiena in riccioli perfetti.

Anche in questo lui e Cea erano estremamente diversi. Mircea si vestiva in maniera molto svogliata e casuale, sempre disordinata, noncurante degli accostamenti cromatici e delle stoffe. Amava molto il rosso, specialmente l’amaranto, il bianco, il verde e l’azzurro che esaltava i suoi occhi cerulei. Lui, invece, vestiva solo di nero. Sempre nero. Ottavia diceva che il gotico era una cosa di famiglia, ma di certo lui esasperava questa tendenza – nella maniera in cui esasperava ogni cosa. Il suo guardaroba era un disastro inestricabile, un’immensa macchia monotona, scura e buia. Non solo preferiva uno stile dark molto appariscente, gli piaceva anche truccarsi. Aveva una collezione di accessori invidiabile, soprattutto orecchini pendenti e cinture. Portava i capelli decisamente lunghi, cosa che risaltava ancor di più il suo aspetto efebico, volutamente femmineo all’eccesso. I capelli di Mircea, invece, erano sempre spettinati, se nessuno li sistemava per lui.

- Forse, - Pensava, - Il mio Thor un giorno sarà splendido come te. – Perché oramai considerava Vittorio un po’ anche figlio suo.

Mircea si appoggiò contro la spalla di Lelio con la delicatezza che il suo fratellino aveva usato il pomeriggio precedente, e si addormentò respirando piano. Lelio lo abbracciò. Si sentiva vagamente infatuato, come se il suo profumo tanto dolce lo inebriasse. Gli sembrava normale stringerlo, quanto lo era stato stringere Thor. Nel suo petto batteva sempre la stessa sensazione di contentezza e di ansia inspiegabile.

Lelio intuiva chiaramente, in quel vagone freddo e deserto, che se da un lato Mircea emanava una luce candida e delicata, lui offuscava ogni cosa con la sua ombra oscura. Questo lo spaventò abbastanza. Era in momenti del genere, quando Cea non lo riportava a terra con la sua voce sincera, che si perdeva in certe fantasie deraglianti. Non era possibile, si disse, che fossero davvero così diversi, altrimenti se ne sarebbe accorto molto, molto prima.

                                                                     

II.

Tutte le volte che facevano colazione al bar, prima di entrare a scuola, Mircea ordinava “una cioccolata calda con panna e zuccherini colorati e una brioche al cioccolato gianduia con scagliette di mandorle e zucchero a velo”, mentre Lelio prendeva “il solito caffè dall’aromatica e fortissima miscela ecuadoriana”. Era una sorta di rito del buongiorno che si concedevano da sempre e che avevano imparato a prendere come una delle tante cose riservate per loro due, soli.

Il bar era vicino alla loro scuola, ma un po’ nascosto. Si chiamava ‘Ambra’ perché quella tinta dominava il suo interno. A Mircea era piaciuto dalla prima volta che c’era passato davanti perché aveva le vetrate colorate di rosso, di bordeaux, di giallo, d’oro, d’arancio, d’ocra in stile liberty. Pensò che doveva essere luminoso in una maniera molto particolare all’interno. Era uno spazio piccolo e raccolto, i pochi tavolini erano bassi, di lacca nera con particolarissime decorazioni floreali rosa, azzurre e arancioni, tutti coperti da tovaglie rettangolari di stoffa simile al taffettà ricamate a disegni geometrici, sfilacciate ai bordi. I tantissimi cuscini sparsi sulle sedie, sulle poltrone e sui divanetti erano foderati della stessa stoffa. Su ognuno di questi tavoli erano poste piccole lampade a forma di campanula rovesciata, stile Tiffany e decisamente retrò. Le pareti erano tappezzate da carta da parati color avorio, oro e rosso, molto rosso, ed ospitavano gli oggetti etnici più particolari e suggestivi. Il locale profumava di incensi buonissimi. La specialità dell’Ambra era una brioche al miele e cannella e scagliette di cioccolato bianco che persino Mircea trovava troppo dolce. Era un posto ricercato e particolare anche nella carta – “Ma se par chance volessi un banalissimo espresso?” Aveva detto Lelio la prima volta. Poi aveva assaggiato il caffè dell’Ecuador e ogni cosa aveva ritrovato il suo posto nel complesso disegno dell’Equilibrio Cosmico.

Così si sedettero nel loro solito tavolino appartato, e Mircea tirò fuori il libro di letteratura italiana.

“La notizia buona,” Disse Lelio quando arrivarono le ordinazioni, “E’ che mentre tu eri colpevolmente in giro per i corridoi, la prof. ha detto che la verifica sarebbe stata rimandata alla settimana prossima.”

“La notizia cattiva,” Rispose Mircea, “E’ che è entrata la Giulia.”

Lelio si nascose dietro lo schienale del divanetto reprimendo un brivido di terrore, mentre Mircea scompariva con la sua solita abilità dietro una carta, mescolando la cioccolata con aria preoccupata.

“Lelio!” Sussurrò. “Ho un’altra brutta notizia. Ho affogato i miei zuccherini nel mare di cioccolata.”

“Ci sente, Cea, il Cervo capta tutto. Zitto. Nasconditi meglio.”

“La bella notizia è che ho ancora altri zuccherini colorati. Quelli rosa affondano più in fretta. C’è una spiegazione fisica per questo?”

“Non guardare gli zuccherini! Tieni d’occhio il Nemico!” Lelio si abbassò ancora di più.

“Non è il nostro Ne – cattiva notizia. Mi ha visto.”

“Ti odio. Odio te e i tuoi zuccherini. Specialmente quelli rosa.”

Giulia si avvicinò perplessa al tavolo. “Che fai?” Esclamò.

Lelio, che era scivolato così in basso da essere finito sotto il tavolo, rispose: “Oh, ho perso il mio orecchino, che sorpresa, toh, guarda, l’ho trovato!”

“Io non vedo niente!”

Lelio urtò il tavolo con la testa mentre cercava di alzarsi. Imprecò mentalmente contro la perversione dell’Equilibrio Cosmico che faceva scontrare il suo Pianeta con l’Asteroide-Femmine.

Mircea era comunque allegro per i suoi zuccherini salvi. E poi lui era il buonumore, voleva bene a chiunque, anche al Piccolo Cervo dalle ciglia svolazzanti.

Lelio si rassegnò appiattendosi contro lo schienale del divanetto, preparandosi per una interessantissima ora di conversazione.

 

III.

Un’altra pausa caffè. Lelio non poteva resistere per molto tempo senza caffè, o senza pause caffè. E poi, ultimamente, le lezioni di letteratura inglese erano noiose. Si era nascosto dietro la siepe del cortile, esposto al freddo dicembrino, con la sua sigaretta in mano e il bicchierino vuoto del caffè. Pensava. Di nuovo. E forse, questa volta, faceva un po’ di chiarezza nella sua testa.

Il suo problema fondamentale, in quel momento provava ad analizzare, era la sua mania dell’ordine, un bisogno compulsivo di avere tutte le cose perfettamente a posto e a portata di mano, ogni dettaglio nel suo quadro speciale – anche i pensieri – anche i sentimenti. Questo provocava grandi scompensi nel suo animo, perché, lo capiva, le emozioni non sono una cosa ben definita e schematizzabile razionalmente. La sua parte precisa gravava fortemente sul suo lato passionale, e questo scontro lo faceva impazzire ogni volta che si trovava di fronte a un problema che il primo livello di se stesso non fosse in grado di risolvere. Affezioni, legami emotivi, sentimenti, tormenti, dolori, tutto questo gli scivolava via dalle dita facendolo soffrire di quella sua strana, romantica malinconia, di quel suo impulso all’isolamento e al percorso interiore, di quella noia e di quella sopraffazione che lo destabilizzavano.

In momenti simili, Lelio costruiva per sé una barriera che nemmeno Mircea sarebbe stato in grado di scalfire – si limitava a perdersi nella contemplazione di qualche dettaglio e a lasciarsi trascinare da un flusso di pensieri invincibile, per svegliarsi mille miglia più in là rispetto al punto di partenza.

Davanti al suo sguardo basso, rattristato, freddo, si stagliava un albero morto nel grigiore dell’inverno. Lelio pensò che un albero è comunque fortunato a morire in questa maniera ciclica, perché la rigenerazione rende splendidi nel momento della rinascita. Pensò anche che l’ordine e la precisione che lui cercava così tanto, e che in natura si trovavano dentro ogni proporzione, in ogni segmento, in ogni traccia, fossero il fondamento di ogni credo, di ogni fede, di ogni aspirazione – la Bellezza – estetica, spirituale, ma pur sempre Bellezza. Lo intuiva quando Cea gli parlava scherzosamente della precarietà dell’Equilibrio Cosmico. L’Equilibrio Cosmico, per lui, era solo la Bellezza. Era la legge che regolava la nascita e lo sviluppo di tutto ciò che è bello, fino alla sua morte, fino alla sua rinascita nella primavera dei sensi e della vita.

Lelio si considerava sotto molti punti di vista un esteta. Amava la Bellezza e si circondava di cose belle, di persone belle. Di questo poteva essere sicuro. In ogni opera d’arte scorgeva quel disegno imprescindibile dell’universo, la mano creatrice di Dio, l’armonia. La Bellezza. Questo era il suo punto di riferimento. In esso trovava una piccola consolazione a Tutto-il-male-del-mondo, una compensazione della bruttura di certi momenti umani. La Bellezza era sublime e divina, trascendente e sacra. Per lui era una filosofia, uno stile di vita che nella sua smania si avvicinava all’edonismo. In fin dei conti, si diceva, la Bellezza suprema era il suo unico approdo, il punto in cui l’ordine e la passione, i due poli opposti del suo essere, si incontravano toccandosi e coincidendo perfettamente, salvandolo dalla sua dicotomia lacerante: - C’è ordine nella bellezza del caos di Kandinskij, e c’è passione nella bellezza ordinata di Michelangelo. La poesia è dirompente, eppure metrica. Una chiesa è meravigliosa per la solidità rigorosa della sua pianta, e tutta protesa verso Dio in una foga appassionata. –

Quella mattina Lelio risolse uno dei tanti interrogativi che balenavano nella sua testa da qualche tempo – e precisamente per cosa consacrare la sua vita alla fine di quell’ultimo anno di scuola superiore. Doveva solo dirlo a Mircea.

 

___

Grazie Cipolla che mi ha commentato. Molko Grazie (Molko *ç*). In realtà è una citazione che sono sicura di aver già fatto almeno una volta. La uso sempre perché l'ho veramente interiorizzata. Ma io amo la poesia francese, ecco...

Questo capitolo è stupido, ma per favore commentatelo! Mi scuso per l'ultimo paragrafo, ma Lelio sono io, e dovevo dire a qualcuno o a qualcosa queste elecubrazioni... il computer mi odia, ora.

   
 
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