Storie originali > Introspettivo
Segui la storia  |       
Autore: UncleObli    16/09/2012    1 recensioni
La solitudine è come un veleno. Si infiltra subdola nelle crepe della vita quotidiana. E cosa accade quando la speranza, così irresistibilmente effimera, svanisce in un battito di ciglia? Questo è ciò che è accaduto al protagonista di questa storia.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il fumo saliva lento e placido verso il cielo azzurro di un tardo pomeriggio che già scemava verso il tramonto di una serata di primavera. La temperatura, benché mite, non era ancora priva di una certa rigidità, ultima vestigia dell’inverno trascorso. La piccola congrega di persone assisteva al triste spettacolo in silenzio, e il rumore del mare non fece che acuire il mio struggimento. Le onde accompagnate dalla marea rilasciavano sulla sabbia un velo di spuma leggera ed effimera, e il ripetersi di questa semplice azione emanava una tranquillità che nessuno di noi riusciva a percepire, in quanto stanchi e provati da un lungo dolore. Il corpo di colei che chiamavo madre giaceva spento e senza alcun calore vitale nella pira funebre accesa da mio padre. Il contrasto tra il freddo che avvolgeva il mio cuore come le spire di un serpente e il calore del fuoco che lambiva le fresche carni di mia madre sembrava un ossimoro inconciliabile. Il giovane parroco che si era occupato dell’algido funerale della defunta stava terminando la sua omelia, ma io avevo smesso di ascoltare le lusinghe di una facile consolazione quando il mio dolore era così forte, quasi come se una frusta stesse arpionando l’essenza stessa della mia anima, e l’avesse strappata di forza, lasciando intatto solo un guscio vuoto, e senza sentimenti fuorché il dolore. Rabbrividii, forse di stanchezza, forse di dolore, o forse di un crudele miscuglio di ambedue le cose. Nello stesso momento mi accorsi che il corpo di mia madre era già stato quasi per intero divorato dalle fiamme, e il loro bagliore illuminava i volti dei partecipanti alla cerimonia. Oltre a me e mio padre vi era solamente l’amante di lui, e mia sorella, Trecy. Trecy era una bambina di poco più di otto anni, bionda, e con dei grandi occhi verdi, ora offuscati dalle lacrime; la bambina era abbastanza grande per comprendere appieno il significato della morte di una persona cara, ma non per avere la forza di affrontarla. Era come uno spaventapasseri, infisso nel terreno desolato della nostra comune esistenza, bruciato dal caldo se vi era sole e al gelo nelle notti d’inverno, in balia delle raffiche di un vento crudele e impietoso. In preda di uno slancio d’affetto, la abbracciai, ed ella si abbandonò docilmente al calore del mio petto e al conforto del mio respiro, quindi si asciugò le lacrime che avevano ripreso a scorrere sul suo viso con un gesto stanco della mano, e mi fissò a lungo negli occhi. Non seppi cosa dirle, ma anche ora, ad anni di distanza, non saprei trovare la frase giusta, il gesto rassicurante che avrebbe potuto riportarla da me. Il fumo continuava a salire, ma il cielo era tinto di rosso, un rosso cremisi, di una tonalità beffarda, e la pira era oramai spenta. L’unica traccia della presenza di mia madre in questo mondo si poteva scorgere oramai solo nelle braci rosseggianti e nelle ceneri calde disperse dalla brezza serale . L’amante di mio padre si avvicinò, camminando a piccoli passi, rispettando il nostro dolore, ma con fermezza. Si chiamava Miranda. Ci abbracciò stretti, come una madre che vuole proteggere i suoi piccoli dal contatto con un mondo crudele e cinico. Era troppo, anche per me. Mi sciolsi da quel contatto e scansai gli occhi indagatori di mia sorella, lasciando spaziare lo sguardo verso i limiti dell’orizzonte. Non ricavai alcun conforto da quella vista, così come non avevo trovato sollievo nel contatto con la mia famiglia, ma naturalmente quando muore una persona cara si è soli, e la maturità di saper controllare il dolore non può che derivare dall’età, alcuni la chiamerebbero saggezza, io la chiamo ipocrisia. In quella spiaggia deserta, smisi di essere un bambino.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: UncleObli