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Autore: mina_s    02/04/2007    4 recensioni
[GazettE]"Sono un tipo strano, vero? Cerco di sembrare linguacciuto, di fare il cretino, di far credere che io non conosca la vergogna... E poi ho paura di rivelare quello che nessuno, mai, dovrebbe tenere nascosto. Se io non fossi così, quella notte io e Kouyou non avremmo litigato. E se noi non avessimo litigato, quella notte al mio amore non sarebbe successo niente..."(FANFICTION CONCLUSA)
Genere: Generale, Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Aoi, Uruha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo VII

La mente umana è davvero una cosa strana.

Ci penso poco, eppure quando lo faccio un po’ mi pento di non essermi mai laureato in psicologia o qualcosa del genere.

Voglio dire, com’è possibile che io mi ricordi della volta che mi sono nascosto sotto la gonna di mia madre, a cinque anni, per paura di un signore anziano e rattrappito che mi aveva sorriso mentre aspettavamo il nostro turno dal fruttivendolo e che non mi ricordi invece di cosa ci ha preparato Yutaka per pranzo una settimana fa?

E sì che le meraviglie culinarie del nostro batterista non si scordano così facilmente.

E come faccio sempre a dimenticarmi il numero di cellulare di mia sorella quando mi ricordo perfettamente ogni singolo istante della mia adolescenza, completo di futili eppure dolci particolari, passato con Yuu?

Sembra che quei giorni siano stati letteralmente stampati nel mio cervello, incisi come figure su argilla fresca.

* * *

“Il nuovo arrivato è da Mie.”

Yutaka stava mangiando una zuppa di pesce palla. Uno di quegli insulsi particolari, che però riescono sempre a far sorridere quando ce ne se ricorda, a cui accennavo prima.

“Mie? E dove cavolo è?”

“Boh… Non chiederlo a me.”

“E come si chiama il tipo?”

Akira invece stava bevendo una soda. Si riaggiustò gli occhiali sul naso dopo aver fatto la domanda.

“Qualcosa tipo Horoyama… No, aspetta.” Yutaka ingoiò un altro boccone e si fermò con le bacchette a mezz’aria, la fronte corrugata per la concentrazione.

“Shiroyama!” Sorrise e, soddisfatto della sua memoria, continuò a ingozzarsi.

“Ha la nostra età?” Questa volta aveva parlato Takanori.

“Due anni in più.”

“Sembra un tipo simpatico?” Questo invece era Yume.

“Non lo so, mica l’ho visto. Comunque da quel che ho sentito metà delle ragazze gli corre già dietro.”

“Però!” Takanori si scostò una ciocca di capelli blu dal viso e si girò verso di me. “A quanto pare il nostro principe ora ha un rivale, eh?”

Gli altri si misero a ridere, io continuai a sorseggiare imperterrito la mia acqua.

Ero l’unico a non aver fatto domande sul nuovo arrivato a scuola.

Non mi interessava. Di certo era una persona banale come un bicchiere di aranciata.

Se solo avessi saputo.

Mi sistemai le mie lunghe ciocche scure, guardandomi attorno.

Feci schioccare la lingua, ricordandomi che nella mensa della scuola non c’erano specchi.

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“Eccolo lì! Ehi, Yuu-chan!”

Non appena Yutaka ebbe finito di sgolarsi e di sbracciarsi, un ragazzo bruno si voltò e, dopo aver esitato un istante, iniziò a tornare sui suoi passi, dirigendosi verso di noi.

Stavamo camminando sul marciapiede verso la fermata dell’autobus, fiancheggiando la rete del campo di basket della scuola, tutti e cinque.

Io e gli unici amici che avevo.

“E’ simpatico, sono sicuro che vi piacerà.”

Yutaka ci guardò tutti per un attimo con un sorriso emozionato.

“Ve l’ho detto che suona la chitarra, vero?”

Il ragazzo bruno non era ancora abbastanza vicino da poterlo vedere in viso. Notai solo che era abbastanza alto.

Gli altri sembravano non vedere l’ora di conoscerlo.

Il nuovo arrivato si era fatto molto popolare in poco meno di una settimana: beveva birra, fumava, aveva tre orecchini all’orecchio sinistro e uno sul destro, non parlava in maniera proprio garbata agli insegnanti, aveva i capelli tinti di viola, faceva casino in classe, e si diceva che fosse anche un gran bel ragazzo.

Non c’erano dubbi sul fatto che Yutaka fosse fiero del fatto di averlo conosciuto per primo.

E a me comunque non poteva interessarmene di meno, dal momento che io non sarei potuto interessare a lui.

Almeno, così credevo.

In realtà era difficile che io non catturassi l’attenzione di qualcuno.

Mi sistemai i capelli dietro l’orecchio, reggendo i libri contro il petto con la mano libera.

Dal mio punto di vista la scuola era divisa in due gruppi di persone.

C’erano quelli -come Toshimasa- che si divertivano a lanciarmi i contenitori di cartone del latte in mensa, a spettinarmi i capelli ogni volta che me li sistemavo con cura, deridendomi per la mia femminilità, la mia grazia.

Invidiosi.

C’erano poi quelli -come il mio professore di chimica- che arrossivano ogni volta che sfioravano il lembo della mia camicia, che abbassavano lo sguardo non appena mi accorgevo che mi stavano mangiando con gli occhi, quasi come se avessero avuto paura di aver osato troppo, di avermi ammirato troppo a lungo.

L’unica soluzione per me era stata quella di mantenermi freddo e distaccato: per non darla vinta ai primi e per mostrare che non avevo interesse per i secondi.

Ero come un gelato che non si sarebbe sciolto nemmeno sotto il sole più ardente.

Un delizioso, gustoso gelato ai gusti di vanità, altezzosità, sicurezza coperto da senso da sopravvivenza che faceva da panna.

Ben presto avrei scoperto che Yuu era più potente del sole.

Lo guardai solo per un istante quando fu ormai di fronte a noi.

E rimasi paralizzato.

Aveva una ciocca di capelli tinta di viola, e il più bel sorriso che avessi mai visto.

Abbassai lo sguardo immediatamente, sconcertato alla vista di quelle labbra carnose che gareggiavano con le mie, di quei denti bianchi e forti, di quegli occhi neri.

Mi dovevo mettere sulla difensiva. Altrimenti non ne sarei uscito fuori.

Le mie mani sudavano mentre gli altri facevano le presentazioni.

Quella voce…

“Lui è Kouyou, suona anche lui la chitarra.”

“Sì, ho già sentito parlare di te.”

Alzai cautamente gli occhi, e venni di nuovo investito.

Yuu mi guardava, ma non sorrideva come aveva fatto con gli altri.

Aveva semplicemente un angolo della bocca arricciato, quegli occhi profondi come pozzi che mi scrutavano.

“Il principe della scuola, vero? O dovrei dire principessa?”

Lo odiai subito.

Capii che non mi avrebbe più lasciato stare, che era intenzionato a stuzzicarmi e a provocarmi finché non sarei scoppiato come un pentola.

Yuu si guadagnò uno sguardo truce da parte mia.

Il secondo dopo mi stavo dirigendo da solo verso la fermata, i libri stretti in braccio, le guance rosse per la rabbia e l’imbarazzo, gli altri che ridacchiavano dietro di me.

Eravamo già uno a zero.

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E tutto era andato come avevo pensato.

Ero diventato la vittima preferita di Yuu, e per questo ero perennemente di malumore, come una ragazzina.

Ogni volta che poteva, lui mi si metteva vicino e non la smetteva più col chiamarmi ‘principessa, ‘bambola’ e altri nomignoli che mi facevano diventare verde.

Lui si divertiva come un matto ad assistere alla mia sconfitta, ai miei tentativi di uscire dalla situazione a testa alta, come un gatto che per una volta non è riuscito ad atterrare in piedi.

In quelle situazioni avrei voluto davvero strozzarlo. O sbattergli la testa sul muro. O fargli qualcosa che gli avrebbe fatto molto male, insomma.

Eppure, sapevo che Yuu non lo faceva per gli stessi motivi per cui Toshimasa e i suoi amici si divertivano a far diventare la mia vita scolastica un campo di battaglia.

Lui non mi prendeva in giro perché ero molto più femminile della maggior parte delle ragazze, che facevo sentire a disagio ogni volta che passavo nei corridoi, con l’aria di una farfalla che vola sopra una palude piena di creaturine sporche e insignificanti.

Yuu mi voleva. Era chiaro anche ai miei amici.

Mi accorgevo di come mi osservava al mio allenamento di calcio, dalle tribune semivuote, fumando dopo aver concluso il suo allenamento di baseball; vedevo chiaramente come mi seguiva con gli occhi, anche se i suoi erano troppo lontani perché potessi leggerci chiaramente qualcosa.

E ogni volta che lui veniva ad assistere ai miei allenamenti, io, per qualche strano motivo, giocavo sempre peggio del solito, beccandomi occhiatacce dai miei compagni di squadra.

E non c’erano solo gli allenamenti.

Ogni volta che ci trovavamo assieme, lo beccavo sempre a guardarmi con un non so che di predatorio nello sguardo, un’espressione che lo faceva assomigliare a una pantera in cerca di un compagno di caccia.

A differenza degli altri, Yuu non provava imbarazzo nell’osservarmi.

In quei casi la situazione si rivoltava contro di me come un boomerang: ero io ad allontanare i miei occhi dai suoi il più presto possibile.

Il momento dopo sentivo di odiare me stesso più di Yuu.

Anche se non volevo ammetterlo, anch’io volevo lui.

Il mio disprezzo -se così si può chiamare- nei suoi confronti derivava proprio dal fatto che non volevo ammetterlo; la mia mente si rifiutava semplicemente di pensare una cosa del genere.

Io ero troppo bello, troppo intelligente, troppo speciale per poter stare con qualcuno.

Ma quando quel qualcuno finalmente era arrivato, le mie difese erano crollate.

Il gelato ormai si stava pericolosamente sciogliendo.

Passavo le sere con il libro di matematica, o con quello di biologia, o con il dizionario di kanji aperto davanti a me, e quando mia madre mi chiamava per la cena, mi accorgevo con orrore che invece di aver risolto gli interminabili esercizi di algebra o di aver scritto un complicatissimo ideogramma un certo numero di volte, avevo cosparso il foglio con la scritta ‘Yuu’.

Strappavo i fogli, sera dopo sera, con un’ostinazione esagerata perfino per me.

Fino a quel giorno…

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Successe tutto in mezzo minuto circa.

Tutto cambiò in una trentina di secondi.

La mia vita, quella di Yuu, quella dei ragazzi… Trenta secondi.

 

Il bagno dei maschi era vuoto.

Io mi stavo lisciando i capelli davanti allo specchio, ammirandomi, controllando se la matita sugli occhi si era sbavata.

Perfetto, pensavo, sistemandomi la camicia bianca.

Il rumore della porta che si apre e si chiude.

Un’immagine riflessa nello specchio di fronte a me che mi fa sussultare, ma riesco a contenere la mie emozione.

Questa volta non gliela avrei data vinta.

Lui mi osserva. Sembra diverso.

Ha qualcosa nello sguardo che non mi convince.

Per una volta, sembra essersi arreso. Non c’è desiderio di lotta in quei pozzi profondi, ma neanche senso di sconfitta.

Io faccio finta di non vederlo.

“Perché mi odi?”

Me lo chiede così, senza premessa né conclusione.

Rimango interdetto per un istante, ma tento di riprendermi subito.

No, stavolta non vincerà lui.

“Io non ti odio.”

Tuttavia c’è qualcosa nei suoi occhi che mi spaventa.

Sento che se rimarremo da soli un solo istante in più… Non so, c’è qualcosa nell’aria che mi dice che farei meglio e tornare dagli altri.

La mia mano si sta allungando sulla maniglia della porta, io sorrido.

Sorrido pensando che lui, il ragazzo più popolare, cercato e desiderato dalla scuola, per la prima volta è stato rifiutato da qualcuno.

Per la prima volta, non è riuscito ad ottenere quel che voleva.

La pantera ha fallito nella caccia, a quanto pare.

E’ l’ultima cosa che riesco a pensare.

Vengo spinto sul muro, mentre due mani avvolgono con forza la mia vita, e una bocca attacca il mio collo, le mie guance, tutto quello che riesce a raggiungere.

Mi dimeno, ma lui è più forte di me, mi blocca con le sue braccia muscolose.

Mugolando, gli ordino si smetterla, ma la mia voce è strozzata, le mie parole escono a monosillabi.

Lui mi sussurra all’orecchio che sono la cosa più altezzosa e vanitosa che abbia mai visto, ma anche la più bella.

Io voglio sputargli in faccia, schiaffeggiarlo per avermi dato della ‘cosa’, ma lui copre le mie labbra con le sue.

E mi bacia.

Ho ricevuto il mio primo bacio a sedici anni da Yuu Shiroyama, il ragazzo che ho giurato di odiare fino alla fine della scuola.

Dovrei continuare a dimenarmi, dovrei cercare di liberarmi e di scappare.

Dovrei essere infuriato sia con me sia con lui.

Non faccio niente di tutto questo.

Perché non sono arrabbiato.

Invece di dimenarmi, mi rilasso nel suo abbraccio, che a un tratto diventa caldo e piacevole, come una trapunta in un freddo e nevoso giorno d’inverno.

Mi sento accettato, amato da qualcuno in una maniera diversa.

Lui appoggia la fronte alla mia, accarezzandomi le guance.

“Sei uno splendore…”

Mi bacia di nuovo, più a lungo, con più voglia, ma sempre gentilmente, come per non volermi ferire.

E io so che di quel gelato non è rimasta altro che una pozza.

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Non dissi mai agli altri quello che era successo quella mattina.

Non ce n’era bisogno.

Dopo averci visto camminare per giorni mano nella mano e scambiarci carezze, era del tutto evidente che qualcosa era cambiato.

Io e Yuu stavamo assieme ogni minuto che ci era concesso.

Dopo la scuola, andavamo al parco (sebbene fosse già tardi e avessimo davvero molti compiti da fare, ma non credo che ce ne sarebbe potuto importare di meno), ci sedevamo sempre sulla stessa panchina, ci prendevamo per mano, e passavamo un’ora o due ad atteggiarci come due piccioni in amore.

Mi divertivo da morire, sebbene non potessi evitare di arrossire un minimo per l‘imbarazzo, a vedere l’espressione divertita di Yuu quando mi baciava con foga, apposta per far rimanere basiti una coppia di anziani che, appena passatici di fianco, commentavano la scena dicendo che ai loro tempi due ragazzi non si baciavano di fronte a tutti, o per far arrossire e ridacchiare timidamente un gruppo di studentesse.

Eravamo entrambi scandalosamente, sfacciatamente innamorati.

Ed eravamo felici di essere così.

Dei genitori che coprivano gli occhi ai loro bambini perché non vedessero due ragazzi tenersi per mano, dei nostri compagni di scuola -Toshimasa compreso- che ci lanciavano occhiate da falco durante la pausa, non ce ne importava davvero nulla.

Nulla.

Io avevo lui e la sua protezione, lui aveva me e il mio più tenero effetto.

E avevamo Yume, Akira, Takanori e Yutaka, che non ci avrebbero mai giudicati, e che non ci avrebbero mai voltato le spalle.

Era tutto perfetto.

Ma si sa che i fiori più belli sono anche i più delicati, quelli che rischiano di appassire più velocemente.

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Incredibile ma vero.

Anche questa volta, bastarono pochi attimi a cambiare tutto.

Bastò un gruppo di uomini più grandi di noi fuori da un locale.

Bastò una minaccia con una bottiglia di vetro rotta.

Bastò l’uso di una parola volgare e odiosa per definire le persone come noi.

E Yuu non fu più lo stesso.

Ricordo il battito sfrenato di quel tamburo che era il mio cuore, la presa protettiva di Yuu intorno alla mia vita, le grida e gli insulti, l’ostinazione di entrambi, il coraggio che invece veniva dimostrato solo dal mio ragazzo.

Ricordo la sua presa sudata sul mio polso l’attimo dopo, le nostre ombre che correvano furtive sul marciapiede illuminato debolmente dai lampioni, i passi veloci quanto i nostri di quegli uomini dietro noi.

Mi sembrava di essere tornato bambino.

Perché soltanto i bambini credono ai mostri, e a me in quel momento quelle persone non sembravano altro che degli orchi, talmente crudeli da inseguire due inermi ragazzini, che non avevano altra colpa che quella di aver provocato il mondo con il loro amore, così vero e forte, eppure così ingiusto e… innaturale, secondo la visione delle persone ‘normali’.

Per fortuna, i bambini sono più agili e veloci degli orchi; soprattutto degli orchi ubriachi.

Ricordo poi la fioca luce dell’atrio del mio condominio, il silenzio assoluto, interrotto solo dai miei singhiozzi e dai bisbigli di Yuu pronunciati contro la mia tempia.

‘Non era niente, non era niente… E’ tutto finito…’

Ricordo i suoi baci sulla mia fronte, sulle guance, sulle labbra, sulle palpebre, sulle mani, caldi e umidi come le mie lacrime.

Ricordo il suo ultimo abbraccio prima che io tirassi fuori le chiavi di casa, asciugandomi gli occhi con la manica della giacca.

Ricordo il modo che mi ha sorriso dalle scale: un’espressione forzata e senza speranza, sebbene Yuu avesse voluto farmi intendere il contrario.

Chiusi la porta dell’appartamento, chiudendone inconsciamente un’altra sul passato.

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“Che fai?”

Yuu mi allontanò da lui con una spinta forte del braccio, guardandomi come se fossi impazzito.

La sua domanda era sibilata, sussultata.

Io ora ero appoggiato contro la portiera, una mia lunga ciocca bionda di capelli mi copriva parte del viso.

“Che c’è? Non posso baciarti?”

“Sì che puoi.” Yuu mi posò una mano sul ginocchio, come a voler farsi perdonare del gesto di prima. “Ma non qui.”

Io corrugai la fronte.

“Che vuol dire ‘qui’?” Da quando ci curiamo di baciarci ‘lì’ o ‘qui’?”

“Kou-chan, cucciolo…”

“Siamo nella tua macchina, perdio!”

Lui posò le labbra sulle mie. Era un modo per farmi stare zitto, mascherato da gesto d’affetto.

“Scusami…” mormorò. “Non voglio che qualcuno ci veda, tutto qui.”

Io lo scostai in malomodo da me.

Mi girai verso il finestrino, e feci finta di osservare le mille piccoli luci dei grattacieli, simili a lucciole in un prato notturno.

Eravamo nel parcheggio vicino al parco in cui passeggiavamo dopo la scuola da quasi un anno.

Era sera tardi. In giro, nessuno.

Era passato poco più di un mese da quando quegli uomini ci avevano aggredito.

Possibile che il mio Yuu, così sfacciato e orgoglioso, si fosse trasformato in un tale codardo in così poco tempo?

“Qualcosa è cambiato, Yuu. E non cercare di dirmi che non è così. Non trattarmi come un idiota.”

Vedevo con la coda dell’occhio che lui aveva un braccio appoggiato al volante, e che guardava alternativamente me e il parcheggio, il suo respiro più affannoso di prima.

Non riuscivo a capire se era perché lo stavo mettendo in una situazione che avrebbe preferito evitare, o se stava controllando se c’era qualcuno in giro.

“Dimmi la verità, è successo tutto quella sera, vero?”

Mi massaggiai la tempia.

“Kouyou…”

“Lo so, Yuu. Lo vedo che sei cambiato. Lo vedo che hai paura. Ma non capisco di che cosa.”

“Bimbo…”

Lui mi prese il mento tra le dita, obbligandomi a guardarlo, mentre mi avvolgeva l’altro braccio intorno alle spalle.

Non sembrò scomporsi nel vedere quanto rancore stavo cercando di contenere negli occhi.

Sospirò.

“Sto solo cercando di proteggerci. Ci sono tante persone che farebbero volentieri male ai… A quelli come noi.”

Feci subito per contestarlo, ma lui mi zittì.

“E se a te dovrebbe succedere qualcosa, non riuscirei mai a perdonarmelo.” mi disse dolcemente, accarezzandomi la guancia con il pollice.

Era incredibile la facilità con cui riusciva a far crollare le mie difese con pochi gesti, a farmi stare zitto senza impormelo.

“Ti prego, non arrabbiarti, Kou-chan. Lo faccio perché ti amo.” ora aveva iniziato a mordicchiarmi il lobo dell’orecchio, non senza qualche difficoltà, visto il numero degli orecchini che mi ero fatto… Su consiglio di Yuu, naturalmente.

Continuò così per un minuto o due, non arrendendosi nel vedere che ero ancora arrabbiato e che non ricambiavo le effusioni, come un disperato cercatore d’oro che non smette di scavare finché non raggiunge il suo tesoro.

Si spostò sul collo, e non potei trattenermi dal sussultare per i brividi quando i suoi denti e la sua lingua trovarono un punto particolarmente sensibile.

Me ne pentii quasi subito, percependo il suo sorriso sulla mia pelle.

“Sei così bello, Kou-chan…”

Un secondo dopo ero in trappola.

Ero bloccato fra le sue braccia, mentre la sua bocca cercava testardamente la mia, e il mio corpo reagiva ai tocchi delle sue splendide mani.

“Credo anche tu abbia avuto un’ottima idea, prima…” Bisbigliò, già trascinandomi sul sedile posteriore.

Protestare era inutile.

Cercare di contestare Yuu era sempre inutile.

Ma anche essendo uno splendido amante, quella notte il mio ragazzo non riuscì a farmi dimenticare il mondo esterno, non riuscì a cancellare dalla mia mente tutto ciò che non riguardava noi, come di solito faceva.

Tenendo una mano fra i suoi capelli lunghi e neri, guardando con occhi assenti l’infinito, irraggiungibile prato stellato oltre il vetro del finestrino, io pensavo a ben altro che alla passione che mi stava offrendo.

Capii che Yuu quella notte mi aveva detto una bugia.

Quello non era stato niente. Non era finito.

Era appena iniziato.

Offrirmi sorrisi falsi per fingere che tutto andasse bene quando non era così e fare l’amore con me per farsi perdonare di avermi fatto arrabbiare era efficace quanto nascondere la polvere e la sporcizia sotto il tappeto invece di fare le pulizie.

Niente sarebbe stato più come prima.

Una lacrima che Yuu non vide mai mi rigò una guancia arrossata.

 

To be continued…

 

Sì, lo so che probabilmente non tutti i membri dei Gazette si conoscevano a quell’età, ma l’idea mi piaceva troppo.^^

Allora, che ne pensate del flashback? Vi prego, che almeno qualcuno lasci un commento! Chiedo un solo parere su questo capitolo (magari anche sul precedente, visto che nessuno lo ha commentatoXD), sarà mica troppo?^_^

A presto

Junemy

 

  
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