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Autore: Light Rain    16/09/2012    6 recensioni
"Cercavo con tutta me stessa si rimanere aggrappata a quelle realtà che mi sembrava ancora di possedere. Ma non mi ero ancora resa conto che erano già diventate irraggiungibili". Questa è la storia di Annie Cresta, prima, durante e dopo i suoi Hunger Games
_SOSPESA_
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Annie Cresta, Finnick Odair, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La casa è grande, luminosa, ben arredata. Un lusso che solo un vincitore si può permettere, un lusso che molto spesso ti costa caro, a Finnick sicuramente è costato più di altri.
—Puoi fare un giro, se vuoi— mi dice Finnick accomodandosi sul divano.
In effetti sono abbastanza curiosa, ma non mi sembra il caso di gironzolare per la sua nuova casa, non saprei che tipo di confidenza abbiamo.
—Non fa niente, grazie— rispondo rimanendo imbambolata nel mezzo dell’atrio.
Nella stanza a destra vedo la cucina con al centro un enorme tavolo di un legno lucente su cui sopra è posato un centrino ricamato che serve da base ad un vaso riempito di fiori coloratissimi. Nella sala alla mia sinistra c’è Finnick stravaccato su un divano color bordeaux intento a fissare le mattonelle del pavimento.
—Ti va qualcosa da bere?— mi chiede alzandozi di scatto.
—No grazie— rispondo in un singolo sussurro, sono visibilmente a disagio, stare qui mi rende nervosa.
—Invece io mi faccio una bella tisana— dice infilando in cucina, dopo qualche secondo fa capolino dalla porta facendomi cenno di raggiungerlo.
Mi siedo a tavola scrocchiandomi nervosamente le dita, Finnick fruga nei numerosi cassetti alla ricerca di un pentolino, uno volta trovato lo mette a riscaldare su un fornello.
—Sicura che non vuoi niente— scuoto il capo —ho praticamente di tutto— prosegue lui —c’è il caffè, la cioccolata, varie tipologie di thè e un sacco di altre bibite, oppure vuoi qualcosa da mangiare?— mi chiede continuando a frugare nei cassetti.
—No, grazie ma non mi va niente— rispondo cercando di sembrare più normale possibile, ma sono rigida come un paletto.
Finnick abbandona la sua ricerca forsennata e si mette a sedere difronte a me poggiando le mani sul tavolo, il suo sguardo si perde per qualche istante tra i petali di una rosa, poi si sposta su di me. è una situazione imbarazzante: teoricamente non so nemmeno se ci possiamo considerare amici, ci siamo parlati  poche volte ma, per quanto brevi, quelle conversazioni hanno portato alla luce molti lati di noi che preferivamo tenere nascosti: il suo disprezzo per la gente che lo considera solo per il suo aspetto e il mio dolore per la perdita di mia madre che, nonostante sia passato circa un anno, è una ferita che non potrà mai essere rimarginata del tutto.
In quelle brevi conversazioni mi era sembrato di capire la persona che mi sta davnti e invece, ancora una volta, questo ragazzo mi spiazza facendomi conoscere nuovi lati di sè.
Finnick ha saputo conquistare una parte di me, ma io non ho fatto assolutamente nulla per far sì che lui si affezionasse a me. Inizio a pensare che il mio pianto di prima possa essere sembrato esagerato ai suoi occhi, bene adesso sono ancora più a disagio di prima.
Si alza all’improvviso e, da sopra il mobile della cucina, afferra un vasetto e me lo poggia davanti.
—Aprilo— mi dice.
Obbedisco senza pensarci troppo, sollevo il piccolo coperchio di porcellana che copre un contenitore abilmente decorato, al suo interno trovo una finissima polvere bianca che lo riempie fino al margine.
—Zucchero?— chiedo esitante, non ne ho mai visto così tanto in tutta la mia vita, nel Distretto 4 lo zucchero è come se non esistesse, cerchiamo di rimpiazzarlo con dei frutti, ma niente è come l’originale.
—Già—  dice emettendo un sospiro che si trasforma ben presto in ghigno —tiri avanti per una vita e loro non ti considerano minimamente, poi ti metti ad uccidere persone per il loro divertimento e ti sommergono di denaro, oggetti di lusso, zucchero— dice fissando il contenitore tra le mie mani —sai c’è anche la versione in zolletta— mi dice divertito— ma mia madre le ha nascoste, teme che le possa finire tutte— conclude lui.
Ed ora, cosa dovrei dire? Dovrei consolarlo in qualche modo?
Io non sono brava con le parole, a quello ci pensa Lian, io sono capace solo a fare discorsi profondi nella mia testa, discorsi che riguardano le mie di preoccupazioni, non quelle degli altri, anche se nell’ultimo periodo i miei pensieri erano tutti concentrati su un unico ragazzo dagli occhi color verde mare. Lo stesso ragazzo che sta tentando di comunicare con me proprio in questo momento, ma non ho la più pallida idea di come poterlo aiutare.
Un suono strano si fa largo per la cucina, sobbalzo per lo spavento, Finnick corre a spengere il fornello perchè l’acqua in ebollizione è straboccata dal pentolino riversandosi sul fuoco provocando uno strano rumore.
Salvata per un pelo, non avrei saputo rispondere a dovere.
Prende uno strofinaccio e inizia a tamponare istericamente il piano cottura cercando, in qualche modo, di rimedire al disastro di prima.
—Non sono ancora molto pratico— sbuffa Finnick senza voltarsi.
—Oh non ti preoccupare— rispondo.
Lui afferra una tazza, ci versa il liquido ancora caldo e si rimette a sedere difronte a me. Soffia sulla bibita fumante per raffreddarla e io me ne sto immobile rigirandomi una mano nell’altra sperando di passare il più inosservata possibile.
—Hai visto i fiori?— mi chiede di getto.
—Sì, sono molto belli— rispondo iniziando a passarmi una rosa tra le dita —sono una magnifica composizione— dico osservando lo stupendo vaso vicino a me.
—Non questi, quelli che stanno fuori— mi dice Finnick sorseggiando la sua tisana.
Annuisco pensierosa, deve riferirsi alle decine di mazzi di fiori che ho visto fuori dalla porta.
—Ne ricevo in media due al giorno, anche se l’affluenza i primi tempi era senza bubbio maggiore— mi dice —è come se la gente di Capitol City volesse continuare a ricordarmi cosa è successo, come se a loro importasse veramente di me— dice in un sorriso —a loro interessa solo il mio aspetto— fa una pausa —non gliene frega un bel niente di come mi sento io, di come si possa sentire un ragazzo di quattordici anni ad avere ucciso sette persone— i suoi occhi si posano su di me— sette persone!— urla coprendosi il viso con le mani.
Ecco il Finnick che mi ha sopreso alla porta, quello che non mi aspettavo, il Finnick con cui io non sono in grado di parlare perchè la sofferenza che prova lui è come se la sentissi anche io e, il massimo che posso fare è starmene in silenzio ad ascoltare i suoi sfoghi, perchè non sono in grado di dargli conforto
—Io li odio tutti quelli di Capitol City!— grida tra le lacrime —tutti— ripete con più calma.
Non posso dargli torto, tutto ciò che dice è giusto, a quelli della capitale interessa solo divertirsi e ha loro non importa se per farlo devono contringere dei ragazzini ad uccidersi a vicenda, per loro sta proprio lì il divertimento.
Gruardo Finnick in preda ai singhiozzi, dei vincitori fanno solo interviste in cui sono felicissimi di aver vinto, non fanno mai vedere cosa succede dopo, quando il rimorso e la disperazione predono il sopravvento.
Invece dovrebbero farlo, dovrebbero far veder a Panem cosa succede a questi poveri ragazzi, forse anche i più affamati di sangue si darebbero una calmata, forse gli Hunger Games smetterebbero per sempre.
Ma cosa sto pensando? I giochi non finiranno mai, il presidente non lo permetterebbe nemmeno tra un milione di anni. Ma forse per quel tempo la gente si sarà data una svegliata e avrà iniziato a combattere sul serio questo abominio.
Ecco, una rivoluzione è quello che ci vorrebbe. Ma chi avrebbe la forza e il coraggio di farvi parte?
Torno sul ragazzo davanti a me, sembra quasi impossibile credere che il tributo che maneggiava un tridente nell’arena sia qui davanti ai miei occhi a disperarsi per averlo fatto. Ma ha dovuto uccidere, altrimenti sarebbe morto lui. Un brivido mi risale lungo la schiena al solo pensiero.
Allungo una mano alla ricerca della sua, la trovo umida posata sulla sua guancia. è la prima volta che tocco Finnick, in effetti è la prima volta che prendo la mano di un ragazzo, escludendo Lian.
I suoi occhi gonfi si posano su di me, io provo in qualche modo a sorridere leggermente, in modo confortante, per fargli capire che io comprendo ciò che prova.
La sua mano si posa sul tavolo stringendo la mia, con l’altra cerca di asciugare le ultime lacrime rimaste.
—Scusa— mi dice con la voce ancora spezzata.
—No, va bene così— dico cercando di trattenere le lacrime che stanno cercando di uscire.
—Fanno tutti schifo!— grida, ma ora nella sua voce non c’è tristezza, c’è rabbia —tutti! anche la gente del distretto— grida lasciando la mia mano —sono tutti ipocriti, non gli importa niente di me!— urla guardandomi dritto negli occhi.
—Finnick questo non è vero— gli rispondo in tono pacato, non lo può pensare davvero.
—Certo, qui nel quattro la gente sincera è inesistente quanto lo zucchero!— mi dice rassegnato.
Devo rimediare, non può pensare questo del nostro Distretto, non può fare di tutta l’erba un fascio.
—Finnick non dire così, può darsi che molta gente non sia sincera, ma ci sono persone buone— dico —anche qui nel quattro c’è dello zucchero— dico indicando il suo contenitore poggiato sul tavolo.
Non sembra affatto convinto.
—Finnick la mia famiglia non ha mai esultato quando uccidevi qualcuno, anzi gli importava di come stavi e l’unico momento in cui li ho visti sorridere è quando hai ricevuto il pane, erano seriamente preoccupati per te— tira su lo sguardo —e lo ero anche io— dico infine.
Lui sorride leggermente —ma questo non ti ha impedito di avere paura di me— mi dice.
Come fa a saperlo? —Chi te lo ha detto?— chiedo confusa.
—Il tuo amico è venuto una settimana fa ad informarmi, mi ha detto che saresti venuta e che io sarei dovuto rimanere ad ascoltare qualsiasi cosa tu volessi dirmi, perchè dovevi capire delle cosa, o qualcosa del genere— sbuffa Finnick.
Come ha potuto Lian farmi una cosa del genere? Adesso mi sento abbastanza stupida.
—Per questo quando ho aperto la porta e ti sei messa a piangere credevo di aver sbagliato qualcosa, non mi andava di peggiorare le cose— dice Finnick —vabbè che non siamo grandi amici, però il fatto che tu avessi paura di me mi faceva sentire ancor più in colpa per quel che ho fatto e poi non mi andava di far soffrire anche te— sospira —Il tuo amico mi ha detto che ci sei rimasta veramente male quando sono stato estratto, è vero?— mi chiede.
Annuisco.
—Perchè non sei venuta a salutarmi?— mi domanda lui con aria curiosa.
—Non credevo di essere una persona che avresti voluto vedere in quel momento— sospiro imbarazzata.
—Oh credimi non ho molte persone che voglio vedere, ora ancor meno di prima— mi dice rasseganto.
—Ma qualcuno ci sarà, qualcuno di cui ti fidi— chiedo, non può essere così solo.
—Bhè c’è mia madre, la mia mentore Mags, forse un paio di amici— sposta lo sguardo su di me — e poi ci sei tu, mi fido abbastanza di te, non mi sopportavi prima e non mi sopporti neanche ora— dice divertito.
—Questo non è vero— rispondo immediatamente, mi sorprendo per come mi possa aver ferito la sua affermazio. Lui si limita a sorridere.
—Se non altro adesso puoi aggiungere un paio di punti alla tua lista— mi dice.
—Che lista?— chiedo confusa.
—Quella sui miei lati positivi, adesso ho successo e una bella casa, oltre hai conigli intendo— risponde lui.
Ora mi rammento, durante la nostra prima conversazione gli dissi che l’unico lato positivo che aveva era che sua madre allevava conigli, alquanto sgarbato da parte mia. Se ne ricorda ancora?
—Rimango dell’idea che i conigli siano la tua qualità migliore— rispondo divertita.
Sorrride anche lui.
Per il resto della mattinata stiamo seduti uno difronte all’altro a parlare, cerchiamo di evitare il più possibile l’argomento “Hunger Games”, l’unica cosa che mi racconta è il bel rapporto che ha instaurato con Mags. Mi dice che senza di lei molto probabilmente non sarebbe riuscito a tornare a casa.
Poi parliamo delle cosa più disparate: di come ho imparato a nuotare e di come lui sia già nato con questa capacità. Gli parlo di mio padre Rick, dei miei zii, di Riza e del mio amico Lian. Finnick mi racconta di sua madre Shirley, della sua incredibile dolcezza e della sua devozione per il lavoro. Prendiamo in giro la vecchia Lizette per come, nonostante la sua veneranda età, ogni volta che vede un gabbiano si mette ad inseguirlo come se avesse cinque anni. Mi ritrovo a parlare di cose senza senso con una persona che conosco da poco, a sorridere per cose assurde accadute a Finnick anni prima e a essere inspiegabilmente felice perchè riconosco nella persona davanti a me il primo Finnick che ho conosciuto.
Dopo due ore che sono lì mi accorgo di essere in ritardo per il pranzo, mio padre oggi tornava prima dal mare.
—Finnick scusa ma devo andare via— gli dico sinceramente dispiaciuta.
—Oh vai pure, tanto tra poco tornerà mia madre— mi dice lui.
Nella sua situazione l’unica cosa da fare è cercare di rimanere soli il meno possibile.
Mi accompagna alla porta, quando sta per rientrare in casa il suo sguardo si sofferma sul piccolo tridente attaccatovi sopra.
—Sai il presidente Snow ha deciso di farmi questo piccolo regalo— dice Finnick passando le dita sulla piccola arma —per ricordarmi ogni singolo giorno cosa è successo— sospira lui.
—Dovresti toglierlo— suggerisco io immediatamente.
—è quello che ho intenzione di fare, me ne ero completamente scordato che era appeso qui fuori— sorride amaramente — sai tra tutti gli incubi di notte e i pensieri che mi perseguitano di giorno, questo diventa il minore dei problemi— mi dice voltandosi.
—Finnick puoi contare su di me se hai bisogno di qualcosa, anche solo per parlare— gli rispondo convinta.
Me ne sono accorta oggi, se Finnick ha qualcuno con cui sfogarsi oppure anche solo per fare due chiacchiere è più tranquillo, riesce a non pensare a tutto ciò che gli è successo.
Annuisce un po’ più sollevato rientrando in casa. Ma se non è con nessuno?
—Finnick i nodi!— gli urlo prima che la porta si chiuda. Lui mi guarda con aria confusa.
—Puoi fare nodi con un pezzo di corda, oppure intrecciare una rete— gli spiego —non impegna molto, ma quando sei da solo distrae abbastanza— concludo io.
Mi gurda con aria sorpresa, stupita.
—Grazie Annie, di tutto— mi dice soltanto.
—Cercherò di venire a trovarti ogni tanto— gli dico in un sussurro. Lui sorride e sparisce dietro la porta della sua casa. Io mi volto veloce per dirigermi verso la mia, consapevole che sarei tornata a trovarlo quello stesso pomeriggio.
 
Giorno dopo giorno imparo a conoscere Finnick, il suo mondo e ha modificare il mio.
Divento per lui la spalla su cui piangere, la persona con cui confidarsi, l’amica con cui ridere.
Lui per me diventa molto di più, diventa tutto il mio mondo, se è possibile.
Tutto ciò che faccio è con Finnick, per Finnick o pensando a lui.
Mi ritrovo a sorridere inaspettatamente vedendo un pezzo di corda e a piangere per lo stesso motivo.
Scopro nuove emozioni, nuovi lati di me, lati che non avrei neanche potuto immaginare.
Ma nonostante tutto mi ci vogliono due anni per ammettere a me stessa si amare Finnick Odair.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sono arrivata al decimo capitolo e vorrei ringraziare tutti coloro che seguono la mia storia, che l’hanno aggiunta tra le preferite, che l’hanno recensita o anche solo letta.
Questa storia significa molto per me e sono felicissima nel sapere che viene apprezzata!
Al prossimo capitolo...
Un grande bacio
Light Rain
  
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