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Autore: Brooke Davis24    16/09/2012    2 recensioni
1708, Altoona, Pennsylvania.
Sophie, il suo essere indomita, caparbia, fiera, spesso sfrontata ma più di tutto donna, come poche altre riuscivano ad essere a quel tempo. Incastrata da un affetto troppo grande per non essere deleterio, riuscirà a liberare il suo cuore dalle catene che tentano di soggiogarlo?
Tratto dal terzo capitolo:
"Ora che nessuno avrebbe più potuto farle pesare ciò che era, rimpianse di non averlo compreso prima, di aver versato lacrime amare per via del modo in cui era stata guardata. Non avere i genitori era sbagliato, parlare con la gente di colore era sbagliato, correre, inzaccherarsi nel fango, giocare alla guerra con i ragazzetti era sbagliato, rispondere a tono era sbagliato. Esisteva qualcosa nel mondo che, per una donna, non fosse compromettente? La risposta era giunta qualche tempo dopo la sua partenza, quando il suo cuore le aveva suggerito che, qualunque cosa avesse fatto, la gente l’avrebbe additata per il solo gusto di farla sentire fuori posto, arrogandosi un diritto che nessuno avrebbe dovuto possedere su un essere umano. Come poteva un uomo giudicare l’anima di un altro e il modo in cui essa veniva espressa senza mai averne preso visione?"
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
Capitoli:
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2. L'osteria 


Vendetta. E’ il più primordiale tra gli impulsi, il più arcano sentimento, l’azione meno nobilitante di cui l’uomo si possa avvalere per ricambiare gli effetti di un torto subito, accrescendoli se possibile. Nulla ha a che vedere con il motto “occhio per occhio, dente per dente”, né con le ferite inferte dalla spada, dall’ascia, dalle mani, dall’orgoglio di un despota che non sopporta di vedere sminuito il proprio potere. La vendetta più crudele, la più diffusa, la più nociva ha i contorni dell’arte, di un’arte sopraffina che s’intreccia e diviene un tutt’uno con la scrittura, la pittura, il canto, l’agonismo, perfino con la guerra: il vendicatore intesse la trama che ha intenzione di seguire, tinteggia le pareti del suo volto dell’espressione più neutrale che gli è concessa, si serve della voce per impartire la stoccata iniziale, mira alla sopraffazione ed è disposto ad utilizzare qualunque arma per primeggiare. Non importa quanto tempo richiederà la sua azione, non importa quali danni causerà il suo attacco, né quanti e quanto spaventosi saranno gli spargimenti di sangue. Nella sua mente, il fine giustificherà i mezzi. E la mente dell’uomo è un arnese così infinitamente spaventoso da rendere la vendetta temibile al pari del più silenzioso tra i morbi.
Un’antica bettola di periferia, fiocamente illuminata all’interno da una scarsa decina di lampade a olio mal funzionanti, era l’unica testimonianza di movimento nelle zone, di notte, meno frequentate di Altoona. Lì dove le porte e finestre delle case erano sprangate, le famiglie munite di fucile e le giovani donne chiuse nelle loro stanze prima del tramonto, il ventitré di Dicembre aveva l’agrodolce sapore dell’alcool e l’amara fragranza di un trascorso da dimenticare o di un avvenire da fronteggiare. Le assi del pavimento della locanda scricchiolavano sotto gli stivali di coloro i quali, in cerca di fuga o semplicemente di compagnia, facevano il loro ingresso nell’osteria e si gettavano su una panca a ridosso di un muro, ordinando un otre di vino da bere in solitudine dinanzi a ciò che rimaneva di una consumata candela giallastra. L’aria non risuonava di risa gioviali, né del gergo colorito dei mozzi di passaggio o dei paesani meno istruiti; gli unici rumori di cui la stanza era compunta si ripetevano ritmicamente: il calice poggiato contro il tavolo, lo scorrere del vino, il tintinnare delle stoviglie ammassate nel lavabo, il deglutire di alcuni, il sommesso russare di altri.
Giovani, attempati, esili, corpulenti, in visita o residenti. La varietà di uomini presente nel locale era notevole e, sebbene tra essi figurasse qualche donna, addetta al piacere dei presenti di buonumore o alle pulizie, la maggior parte appariva così profondamente immersa nei propri affanni da curarsi a stento della presenza altrui. L’unico momento in cui l’attenzione unanime pareva rivolgersi verso un unico centro era all’entrata di un nuovo avventore: decine di paia di occhi, distratti dalla loro inerme occupazione, raggiungevano il fulcro del disturbo per, infine, tornare alla posizione precedente. Semplicemente, erano tante persone sole in un’unica, grande stanza.
E, tra gli occupanti dell’osteria, figurava una sagoma che, in effetti, poco o nulla aveva a che vedere con gli altri. Carter Matthews, bello, giovane e tenebroso, era solo di una solitudine diversa rispetto a quella che lo circondava: lui era solo per scelta. Non perché avesse perduto l’amore della sua vita, non perché la moglie lo avesse cacciato di casa, non perché la cantina languisse. Lui aveva preso volutamente la decisione di isolarsi, perché era quello di cui aveva bisogno.
Nella sua coscienza e nel suo cuore, infatti, si agitavano sentimenti così diversi tra di loro da rendergli il sollievo distante, persino dopo due otri di buon vino rosso. La sua mente, sebbene meno vigile del solito, era perfettamente sveglia e i suoi sensi all’erta come non mai; se si fosse presentata l’occasione, avrebbe potuto fronteggiare un attacco ed uscirne, addirittura, con una maggiore presenza di spirito di quanto non ne avrebbe avuta se fosse stato del tutto sobrio. Era stato abituato, nel corso del tempo, a sopportare ostacoli ben più temibili dell’alcool e, se proprio doveva dirla tutta, come per ogni uomo di quei tempi che si potesse rispettare, aveva fatto di quest’ultimo un ottimo amico e consigliere nei momenti in cui la compagnia di qualunque altro essere umano avrebbe potuto snervarlo più che aiutarlo.
La visita a casa del suo datore di lavoro, quella sera, non era stata la mossa più brillante che avesse programmato negli ultimi anni: aveva risvegliato nel suo animo il desiderio di riconquistare ciò che gli spettava e desiderava rivendicare, ma, al contempo, gli aveva svelato un aspetto del signor Woods per il quale provava profonda ammirazione, tanto da porre in contrasto ciò a cui aspirava da quanto cominciava a ritenere fosse più giusto. Aveva sul serio la certezza che le ragioni del suo agire fossero fondate o era stato, per la prima volta in vita sua, annebbiato dalla furia cieca che aveva preso possesso del suo animo?
La persona con cui si era confrontato in quelle settimane era ben lungi dall’apparire come gliel’avevano descritta ed ogni più piccola sfaccettatura del carattere di Jordan Woods richiamava in lui le memorie del suo vecchio padre, prima che il mare, che tanto aveva amato, lo inghiottisse senza restituirlo ai suoi cari. Stirando le gambe sotto al tavolo, Carter tentò di figurarsi una conversazione con costui, ma, prima ancora che la parodia di un reale colloquio avesse inizio nella sua mente, dovette fermarsi. Conosceva già le risposte che stava cercando, perché erano le stesse che, una volta scemata la rabbia, avevano fatto capolino tra i suoi pensieri: sebbene la proprietà del signor Woods fosse legata alla sua famiglia e ad ogni singola stanza della casa fosse collegato un ricordo della sua infanzia, Carter sapeva di non essere rimasto ad Altoona per la vendetta. Il suo proposito d’odio era stato sostituito dalla curiosità e la sua osservazione lo aveva portato a trarre conclusioni positive. La dimora prosperava ed era gestita da un uomo che meritava di essere definito tale. A lui, oramai, non rimaneva che fare ritorno a casa.
Un cigolio prepotente della porta ed una folata di vento gelido improvvisi portarono una ventata di realtà a coloro i quali, amareggiati o alticci, avevano perso la connessione col mondo esterno e, come da copione, la stragrande maggioranza dei presenti si volse a guardare l’identità dell’avventore. Ognuno di loro rimase deluso, tuttavia, quando alla vista si presentò una figura accuratamente ammantata, della quale non sarebbe stato possibile distinguere neppure il sesso, nonostante nessuno pensasse di poter aver a che fare con una donna. Le fanciulle del luogo non frequentavano quei posti, temendo un attentato alla loro virtù, e quelle che erano costrette a farlo, per mestiere o per diletto, non avevano ragione di coprirsi, tutt’altro.
Le assi scricchiolarono meno del previsto sotto l’incedere cadenzato dello sconosciuto, ma nessuno vi prestò attenzione all’infuori di Carter, che, in quell’inaspettato ingresso, aveva trovato una fuga alle sue martorianti elucubrazioni. Aguzzando la vista, tentò di comprendere qualcosa di più sulla sagoma che, nel frattempo, si era accomodata ad un tavolo non troppo decentrato e dovette ritenersi meno che soddisfatto, quando un soffio da parte dell’estraneo spense il mozzicone di candela che riusciva vagamente a rischiarare la zona attorno a lui.
Guardandosi intorno con fare guardingo, si accorse che, al di sopra dei boccali di birra schiumosa e dei calici di vino fresco, molte paia di occhi si erano discretamente fissate sull’oggetto del suo stesso interesse e, con un sorriso appena accennato, si rese conto di aver assorbito in parte la mentalità dei cittadini, in quelle due settimane. Non c’era nulla di strano nella presenza di un uomo – Perché tutti ritenevano si celasse il volto di un uomo al di là del cappuccio! – coperto da un mantello, che cercava riparo in un’osteria: i tempi erano tristi e il clima invernale profondamente rigido in Pennsylvania, tanto da giustificare una simile prudenza. La stranezza consisteva nel fatto che quella figura misteriosa si trovasse ad Altoona: da che si aveva memoria, mai nessuno aveva tentato di celare la propria identità nel paesino, né che si trattasse di forestieri né che si trattasse di futuri concittadini. Il fatto che qualcuno ritenesse di dover essere a tal punto prudente era un campanello di allarme che la maggior parte dei presenti aveva udito.
Una mano guantata di nero, presentandosi al di là del tessuto che aveva formato fino a quel momento una sorta di campana protettiva attorno al corpo dell’avventuriero, fece cenno alla cameriera di accomodarsi e, pur profondamente riluttante, la donna non se la sentì di declinare l’invito. Un’espressione terrorizzata, immediatamente seguita da un’altra di incredulità, prese pieno possesso del viso della cinquantenne, quando il cappuccio si avvicinò repentinamente al suo indirizzo, e la curiosità generale venne, se possibile, destata più che in precedenza. La bocca dell’inserviente fece per aprirsi, ma si richiuse senza emettere suono, quando l’indice della mano guantata si accostò al cappuccio, ancora calato sui lineamenti dello straniero, intimandole di tacere e, poco dopo, di farsi ancora più vicina.
I minuti che seguirono videro l’espressione dell’attempata cameriera farsi risoluta e Carter fu il solo a notare che una ruga profonda si era disegnata sulla sua fronte, testimoniando la sua preoccupazione. Qualcosa, tuttavia, gli suggerì che quel timore non fosse rivolto alla persona che le aveva parlato, bensì alla richiesta che doveva aver ricevuto. E, nel frangente in cui Maria – Era questo il nome dell’inserviente, nonché moglie del proprietario del locale! – tornò dabbasso, dopo una breve capatina al piano superiore, e rivolse un cenno affermativo alla figura ammantata, Carter poté giurare di aver intravisto un sogghigno tra le pieghe del cappuccio.
Trascorse all’incirca una buona mezz’ora, prima che qualcosa accadesse. Fino ad allora, la clientela era pressoché rimasta invariata, all’infuori di qualche conto saldato da parte di uno o due uomini intenzionati a cercare piacere altrove, e Carter non aveva distolto lo sguardo dal tavolo più buio e taciturno del locale. Più di una volta, quasi percependo l’insistenza della sua osservazione, aveva avuto l’impressione che due occhi taglienti stessero vigorosamente sfidando i suoi, ma la conferma non era mai pervenuta, perché nulla, oltre alla mano vestita di nero, era stata offerta alla mercé della sua curiosità.
Fu ad un certo punto che accadde l’imprevisto. Il peso di un uomo piuttosto mingherlino disturbò appena le assi della scala, il cui legno rimandò lo scroscio degli stivali di colui che la stava scendendo, e, per la prima volta da quando l’ultimo cliente della sera aveva fatto il suo ingresso nella bettola, Carter concentrò la propria attenzione su altro. Quello che vide non lo entusiasmò per niente: era un uomo dai lineamenti cavallini, dal sorriso viscido e dalla bocca sporgente, che, con inesistente grazia, stava sistemandosi la camicia nei pantaloni, quasi a voler ostentare quanto fosse accaduto al piano superiore fino a quel momento con una delle ragazze di turno. Gli occhi piccoli percorsero il locale e, quando costui fu giunto sull’ultimo gradino, Carter seppe dove fosse catalizzato l’interesse dell’altro.
«Bene, bene. Cos’abbiamo qui? Uno straniero in cerca di rogne?» commentò e perfino i più taciturni mutarono espressione a quelle parole, percependo la tensione che cresceva nell’aria. «Hey, tu! Dico a te col mantello!» proseguì con la stessa espressione vittoriosa e l’accento strascicato. Era figlio di europei morti durante una traversata in mare e, fino ad allora, si era distinto come canaglia e attaccabrighe. Non molti, ad Altoona, sarebbero stati disposti a prendere le sue difese, qualora si fosse presentata l’occasione per farlo. Il capo sotto al cappuccio si mosse in direzione dell’omino. «Non sai che non è buona educazione nascondere la propria identità alla gente del posto che ti ospita, feccia?» lo stuzzicò e Carter cercò istintivamente l’elsa del piccolo pugnale che teneva alla vita insieme alla pistola, ben nascosti dai lembi della giacca. Qualcosa gli diceva che, di quel passo, l’atmosfera si sarebbe fatta rovente.
La figura ammantata, per la prima volta da quand’era arrivata, fece per alzarsi e aggirò il tavolo con agilità impressionante, senza dar segno di voler abbandonare il campo di battaglia. Evidentemente, si dissero tutti, non era un tipo che amava lasciar espandere l’eco di un insulto immotivato, rivolto al suo indirizzo. La mano guantata, lesta, raggiunse il cappuccio e lo tirò giù, sollevando un coro di esclamazioni stupite. Era una donna!
«E tu non sai che non lascio mai aperti i conti in sospeso, Bartok?» ribatté una voce ilare, sarcastica, il cui quesito fu seguito da un Perdio! di sgomento da parte di un uomo che batté il pugno sul tavolo. Il colore defluì dalle guance smilze di colui che era stato, fino a qualche istante prima, uno spavaldo ciarliere.
«Tu..!» fu tutto quello che fuoriuscì dalle labbra sottili di Bartok.
«In carne ed ossa, mio caro! Ti sono mancata?» chiese ed un sorriso mefistofelico apparve su un volto di una bellezza sconvolgente. Lunghissimi capelli castani erano scivolati sulle spalle della giovane, non appena il cappuccio era stato tirato via, e, adesso che il mantello era stato abbandonato sulla superficie del tavolo al suo fianco, una corporatura snella, di donna più che formata, aveva fatto la sua apparizione agli occhi dei presenti. Fasciata in pantaloni mascolini, così attillati da essere davvero poco adatti ad una signora che si potesse rispettare a quei tempi, e coperta da una camiciola e da un gilet in pelle funzionale contro il freddo, se ne stava ritta in tutta la sua impudente bellezza come se nulla, in quella situazione, la sconvolgesse.
«Che tu sia maledetta, bastarda!» urlò e fece per precipitarsi contro di lei, ma la sua corsa dovette arrestarsi prima del previsto, quando la canna di una pistola parve volerlo sfidare a fare un solo altro passo in avanti.
«Vedo che hai mantenuto i tratti di quel tuo dolce carattere, Bartok, e che ti sei fatto di gran lunga più avvenente. Mi congratulo!» si fece beffe di lui e, mentre una buona decina di presenti affondavano le risa nel liquido dinanzi a loro, una vena prese a pulsare selvaggiamente sul collo dell’uomo dalla faccia cavallina. Col capo, la ragazza gli fece cenno di accomodarsi, ma l’altro non si mosse. «Seduto, ho detto!» ripeté e il suo tono fu più greve e minaccioso, mentre ogni traccia d’ilarità spariva dal suo viso. Bartok seguì l’ammonimento e i lineamenti di lei tornarono a distendersi. «Ora va meglio… Facciamo in modo che questo incontro non sfoci in tragedia.» disse e Carter colse una velata minaccia nel tono sarcasticamente dolciastro che la ragazza usò. C’era qualcosa di spietato in lei, qualcosa che acuiva l’arcana bellezza che tutto il suo essere rappresentava, e l’uomo non poté esimersi dall’ammettere quanto fascino stesse esercitando sul suo animo.
«Quando sei arrivata?» le chiese, leccandosi nervosamente l’angolo della bocca. «Il tuo padrone sa che sei qui, eh? E la ragazza paffuta?» provò a far leva su un tasto che, di colpo, le indurì lo sguardo. Un rumore familiare dimostrò che la ragazza aveva alzato il cane della pistola, pronta ad utilizzarla.
«Bada bene a come parli, verme, o giuro che, stavolta, le mie non saranno vane minacce. Intesi?» gli intimò e, nel farlo, avanzò fino a che la canna della pistola non premette contro il torace di Bartok e i suoi occhi non furono all’altezza di quelli di lui. L’uomo deglutì e una goccia di sudore, dalla fronte, scese a marcargli lo zigomo; silenziosamente annuì. «Quanto al mio padrone, non è di sua competenza quello che faccio nel lasso di tempo compreso tra il sorgere del sole e il tramonto.» rispose e, con lentezza estenuante, si allontanò da lui, fino ad accomodarsi sulla sedia vicina al tavolo che aveva occupato in quella mezz’ora. Attentamente abbassò il cane e depose l’arma sul tavolo, mantenendola comunque a portata di mano.
«E perché sei qui dopo tutto questo tempo, demonio?»
«Le ragioni sono tante, ma dovrebbe lusingarti sapere che sono venuta a cercare te per primo.» fece e lasciò che una lunga pausa seguisse le sue parole, senza, però, distogliere lo sguardo da quello dell’altro. Mirava ad esasperarlo e sembrava ci stesse riuscendo. «Per essere più precisi…» cominciò e si sporse in avanti, poggiando i gomiti sulle rispettive ginocchia e sostenendo il volto sulle mani intrecciate, che miravano verso l’alto. «… Volevo essere certa del fatto che non avessi dimenticato il nostro accordo!» gli spiegò, inclinando appena il capo con falsa innocenza.
Da che aveva messo piede ad Altoona, Carter non aveva trovato nulla in grado di interessarlo all’infuori dello scopo per cui vi si era recato. La cittadina gli era parsa così esasperante nella sua quiete da averlo portato ad immusonirsi più di quanto non appartenesse di norma al suo carattere testardo. Non ottenere quanto desiderava era, di per sé, faticoso da digerire, ma non trovare alcuna distrazione poteva avere effetti nocivi sulla sua poca pazienza. Quella ragazza, di cui non conosceva neppure il nome, era arrivata a diradare le fosche tinte della noia, pennellando il grigiore delle sue giornate di un rosso vivo come il sangue.
«Come potrei? Maledetto il giorno in cui ti ho incontrata, Sophie Chapman, e maledetta possa essere tu, donna infernale! Figlia del demonio! Sputo di Satana!» tuonò e la sua ira esplose in maniera tanto vigorosa che le ultime parole furono urlate con quanto fiato Bartok aveva nei polmoni. La risposta della giovane fu una risata gaia e frizzante, che conquistò i cuori di molti uomini presenti che di lei sapevano nulla o quasi. Poche erano, ad Altoona, le persone che conoscevano altro al di fuori del nome della donna e ancora meno quelle che vi avevano avuto a che fare.
«Ah, se ti sentisse il buon, vecchio padre William! Come sarebbe fiero di te!» lo schernì e, incurante dello scatto di Bartok, improvvisamente alzatosi, mantenne la posizione, sorridendo affabile.
«Devo ammettere…» fece lui dopo qualche minuto, nel tentativo di calmarsi «…che questi sei anni ti hanno giovato. Eri una piccoletta rachitica che giocava col fuoco e sei tornata pienamente donna.» le disse e i suoi occhi saettarono da una parte all’altra, soffermandosi sulle cosce snelle e salendo fin sulle labbra morbide e provocanti. Persino quel sorriso di scherno aveva un non so che di accattivante per un uomo i cui bassi istinti venivano sempre prima dell’orgoglio.
«Continuo a giocare col fuoco, se t’interessa saperlo, ma non è questo il caso!» lo corresse e Bartok, per la prima volta, lasciò cadere la provocazione e tentò una strategia diversa. Sophie Chapman aveva sempre avuto la capacità di fargli saltare i nervi fino alla perdita del controllo, ma si era trattato di confronti con una ragazzina arrogante, le cui minacce ben piantate avevano messo a dura prova il suo io maschilista. A distanza di tempo, pur in presenza della stessa, invariata presunzione, era una splendida donna a pararglisi dinanzi e un’idea losca stava cominciando a sorgere nei più oscuri meandri della sua mente.
«Potremmo parlarne in privato, Sophie. Ho affittato una stanza, al piano di sopra, e…» fu sul punto di concludere la frase, ma una risata argentina, squillante lo interruppe, e, mentre osservava la ragazza gettare il capo all’indietro e scuoterlo subito dopo con incredulità, due fuochi diversi arsero nel suo corpo: cocente lussuria e infimo desiderio di vendetta. Che i due elementi potessero essere ben conciliati fu un pensiero che lo affascinò tremendamente!
«Mi stai proponendo di salire in camera con te, Bartok? A che proposito? Ho proprio voglia di sentirmelo dire.» lo incoraggiò, poggiando la schiena alla sedia, e a stento si accorse dello sguardo di disapprovazione della locandiera.
«Sophie Chapman, cosa devono udire le mie orecchie? Sarà che non sei proprio migliorata in tutto questo tempo, giusto Cielo?» la rimbrottò Maria, le mani ai fianchi e un’espressione davvero poco accomodante sul viso. La ragazza, come improvvisamente tornata alla realtà, mosse il capo in direzione della voce che le aveva parlato e le regalò una smorfia impertinente.
«Nossignora! Credo che avrete modo di constatare un notevole peggioramento, secondo i vostri canoni.»
«Avresti avuto bisogno di una bella sculacciata da bambina, signorinella!» ribatté Maria alla provocazione e una risata sommessa venne fuori dalla bocca di Sophie.
«Nessuno vi ha mai impedito di tentare l’impresa, signora, me per prima, ma, se volete accomodarvi a distanza di anni, fate pure.» la stuzzicò e vide il volto battagliero della cinquantenne tinteggiarsi lievemente di rosso all’altezza degli zigomi. Carter ridacchiò e, come lui, molti tra i presenti fecero lo stesso. Il braccio di Maria scattò verso un mattarello e, battendo l’estremità libera sul palmo dell’altra mano, ridusse gli occhi a due fessure, mentre avanzava lentamente.
«Tu, tu non troverai mai un uomo in grado di sopportare quella tua linguaccia, a meno che non sia pazzo e cocciuto quanto te.»
«Se il Cielo mi assiste, sarà davvero come dite voi, signora mia.» commentò e il suo sguardo saettò rapido verso Bartok, lasciandogli intendere che, no, non avrebbe accettato la sua proposta e, no, non aveva dimenticato la loro conversazione.
«Se avessi avuto un padre, sarebbe morto di crepacuore, ne sei consapevole?» le domandò e parte della sua ira scemò via al cospetto di quei temerari occhi verdi, che le ricordavano il visino di una piccola furfante vicina al suo cuore più di quanto avesse creduto possibile, quando l’aveva conosciuta. Rivederla in tutto il suo splendore, donna ma ancora indomabile, era per lei fonte di emozione e frustrazione al contempo.
«Ecco perché i miei genitori se la sono data a gambe da che ero un fagotto!» rispose e lo fece con un’amabilità tale, nella voce, che il marito di Maria non seppe più resistere e si lasciò andare ad una fragorosa risata, tenendosi il ventre prominente per via dei sobbalzi.
«Lascia stare la ragazza, tesoro! Se fosse cambiata, non sarebbe stata la Sophie di sempre, suvvia.» le fece notare, mentre i suoi occhi ridenti si posavano sulla fanciulla che aveva visto crescere fino all’età di dodici anni e che, un giorno, d’improvviso, era stata mandata lontano da loro, rendendo le giornate meno briose e sorprendenti di quanto non fossero state fino ad allora. Il ricordo di una piccoletta dai lunghissimi capelli, che correva per le strade di Altoona e si rotolava nel fango, gli riscaldò il cuore e non seppe dirsi da quanto tempo non provasse un’emozione simile.«E tu, dolcezza, vieni a farmi un saluto come si deve!» le ordinò bonariamente.
Sophie si alzò e, oltrepassando Maria con una smorfia di chi la sapeva lunga, raggiunse l’altro con passo aggraziato. Carter la osservò abbracciarlo calorosamente e fare spallucce ai commenti sul suo abbigliamento, e i suoi occhi la percorsero avidamente con lo sguardo, soffermandosi laddove riteneva fosse indispensabile prestare uno studio più approfondito. E la giovane dovette accorgersene perché, ad un certo punto, tra le risate e le domande che la coppia aveva cominciato a rivolgerle, il suo sguardo raggiunse quello di Carter e vi si fissò con un’intensità tale che l’uomo ne uscì scottato, nel momento in cui l’altra distolse la propria attenzione. C’era qualcosa, in lei, che sentiva di dover scoprire, che desiderava scoprire, e fu quello lo scopo che si prefisse, quando la osservò uscire dal locale e chiudersi la porta alle spalle, fiera nel suo portamento e munita dello stesso incedere sicuro. 
  
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