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Autore: MaxT    03/04/2007    6 recensioni
Una Elyon esuberante e sorprendente torna a cercare le sue vecchie amiche, che si troveranno presto coinvolte in avvenimenti più grandi di loro. Che spaventosa profezia ha pronunciato la Luce di Meridian? Vera è…vera? Dove sono andate le gocce astrali delle W.I.T.C.H.? E’ una storia dove i personaggi assumono diversi ruoli contrastanti, si muovono nel segreto e nell’invisibilità, e le loro motivazioni autentiche si delineano a mano a mano che la storia si avvicina alla conclusione. Note: qualcuno potrebbe considerare OOC Elyon e le gocce astrali. Da parte mia, penso che siano una evoluzione plausibile dei personaggi visti nel fumetto. Aggiornamento: I primi sei capitoli sono stati riscritti nell'ottobre 2008.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le profezie di Meridian' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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15-un fiore con sei petali  
Cara Melisanna, grazie per il tuo costante aiuto ed incoraggiamento.
Cara Amantha, grazie anche a te. Sono contento che tu segua la storia. Sei stata gentile a lasciare questa recensione.
Cara Eleuthera, le tue recensioni sono proprio bellissime. Leggerle mi dà sempre un piacere immenso.
Un grazie anche a kb_master per i suoi consigli.
Come al solito, troverete risposte più dettagliate al http://freeforumzone.leonardo.it/viewmessaggi.aspx?f=4642&idd=8397&p=3

PROFEZIE


Riassunto delle puntate precedenti 
Elyon si ripresenta a trovare le sue amiche ad Heatherfield. Appare cambiata, esuberante, e racconta del suo progetto di far sviluppare la sua città anche copiando tecnologie terrestri. 
In un attimo di sconforto, racconta di essere angosciata per una profezia fatta da lei stessa, che la vede nei panni del prossimo tiranno del metamondo.
Tempo dopo, Elyon invita le WITCH in pizzeria, dove porta il discorso sulle gocce astrali, le sosia create dalle guardiane e messe in libertà, con nuove identità sconosciute, più di un anno prima. Durante la cena, il gruppo è infastidito da zanzare, che Elyon cattura facendole entrare in un barattolo.
Di nascosto dalle WITCH, Elyon affida a Vera, una copia di sè stessa che appare come una ragazza più grande, l'incarico di rintracciare le gocce astrali sfruttando le zanzare in possesso dei campioni di sangue delle guardiane. Dopo qualche giorno, queste riconoscono le gocce astrali a Midgale.
Poco dopo, Elyon e Vera si presentano alle ragazze. Assomigliano ancora alle originali, ma appaiono cresciute, sui vent'anni.
Nel povero appartamento, raccontano di essere state mantenute dalla Fondazione Astro Nascente fino a pochi mesi prima, quando sono state improvvisamente scaricate. Da allora hanno vissuto alla giornata, anche perchè sprovviste di documenti validi.
La goccia di Cornelia si chiama Carol, lavora come commessa e fotomodella ed è la controversa leader del gruppo.
La goccia di Irma si chiama Irene, e fa vita casalinga. La goccia di Hay Lin si chiama Pao Chai, e fa la lavapiatti in un ristorante cinese.
Quella di Taranee si chiama Therese o Terry, ed è disoccupata. La goccia di Will si chiama Wanda, ed è cupa, chiusa ed estremanente atletica.
Elyon propone alle gocce di collaborare con Vera a raccogliere informazioni tecnologiche per modernizzare Meridian; in cambio, risolverà molti dei loro problemi. Le ragazze accettano con entusiasmo, ed attendono il ritorno delle due per la mattina seguente.

cap.15
Un fiore con sei petali


Midgale, tana delle gocce

L’odore di caffè pervade l’aria. Tazze e tazzine sporche si stanno riposando sul tavolo e nel lavello, sgomitando tra i piatti e le pentole della cena.
L’atmosfera nella cucina sembra quella dopo una notte brava: teste ciondolanti puntellate da avambracci incerti, dieci occhi cerchiati che cercano di restare aperti, capigliature scapigliate dopo un incontro controverso con i cuscini.
“Ragazze, qualcuna di voi è riuscita a dormire, questa notte?”. Irene si versa la terza tazza di caffè della mattina.
“No, la mia vicina di letto continuava a parlare tutta eccitata”, risponde Carol, estraendo una spazzola da chissà dove.
“Irene, eri sveglia o parlavi nel sonno?”, le biascica Pao Chai, pericolosamente inclinata, con la testa appoggiata al muro e gli occhi chiusi.
“Sei davvero sveglia, Pao?”, le chiede Therese, chiedendosi se sia necessario puntellare l’amica.
Irene fa un sorrisino colpevole, poi recupera dal marasma del lavello una tazza già usata. “Pao, arriva un altro caffè”.

Alle dieci meno cinque, squilla il campanello dell’ingresso.
Irene apre la porta con un largo sorriso. “Benvenute! Volete un caffè?”.
Elyon e Vera entrano sorridendo. “Carissime…”, cinguetta sua altezza. Resta interdetta un attimo, vedendo gli sguardi assonnati. “Ragazze, sono le dieci di mattina, o abbiamo sbagliato fuso orario?”.
“Irene era un po’ agitata…”, risponde Carol, riguadagnando immediatamente il suo contegno.
“Prego, sedetevi”. Pao Chai indica, qualora ce ne fosse bisogno, le uniche due sedie libere.
Elyon siede davanti ad una tazzona di caffè. “Ragazze, sono ancora emozionata di vedervi. Sì, grazie, Irene, ancora un po’ di zucchero. Adesso Vera vi spiegherà tutto”.

Tutti gli occhi si puntano su di lei, che sta bevendo il suo caffè. Il discorso resta in sospeso mentre finisce la tazzina, studiando i loro sguardi.
La neo-caffeinizzata sorride sicura di sé. Sa di avere dei grossi conigli nel suo cappello da prestigiatrice.
“Ragazze, vi vedo distrutte, perciò comincio subito con qualcosa che dovrebbe svegliarvi”. Fa una pausa ad effetto. “Ci avete detto che una delle vostre grosse difficoltà è la mancanza di documenti”.
Vede molti assensi tristi.
“Già. Ha significato tante porte chiuse”, ricorda Terry.
“Ebbene, io sono in grado di creare qualunque documento in un attimo”. Sorride, godendosi gli occhi spalancati delle altre. Si sono raddrizzate tutte. Il sonno se ne sta andando via, forse a dormire.
“Ve lo dimostro subito”. Vera estrae un tesserino. “Questa è la mia carta di identità. Falsa, ovviamente, ma copiata da una autentica”.
Senza più parlare, Vera prende il documento tra i palmi delle mani e comincia a strofinarlo tra i palmi.
Silenzio. Occhi spalancati nell’attesa impaziente.
Dopo un minuto, depone la carta, poi ricongiunge le mani e le fa strofinare tra loro.
Pochi secondi dopo, tra i palmi c’è una seconda carta di identità, uguale alla prima.
“Oh!”     “Ma come…”.
“Fase due, ragazze. Carol, sorridi!”. La squadra con un solo occhio aperto. Non è convinta. “Non così ebete. Immagina che ti stia fotografando con quest’occhio”.
Il suggerimento raggiunge il suo scopo. L’espressione dell’altra si fa intensa e seducente.
Vera strofina il polpastrello dell’indice più e più volte sul tesserino, e la fotografia muta fino a rappresentare Carol.
Sorride soddisfatta. “Ottima. E’ riuscita benone. Si vede, che fai la fotomodella”.
Irene, in piedi alle spalle di Vera, sbircia l’immagine con una punta di invidia. “E senza neanche spogl...ouch!”. Qualcosa come una gomitata nel fianco la ha interrotta. Si guarda attorno confusa. Chi può essere stato? Non c’è nessuno accanto a lei…
“Ora modifichiamo il testo”, riprende Vera. “Nome: Carol Hair. Retrodaterò di quattro anni esatti la nascita di tutte voi. Età: venti anni. Occupazione: studente. Data di nascita: dieci maggio, ricordo bene? Luogo: Midgale”.
In pochi secondi, la stupefatta Carol si guarda sorridere nella sua nuova e perfetta carta di identità.

Dopo pochi minuti, i documenti di tutte le ragazze sono pronti. “Ecco anche il tuo, Wanda. Anche tu sei una studentessa”. Vera guarda la foto con rammarico. “Peccato per il sorriso, proprio non ti riesce”.
“Se sorridesse nella fototessera, non la riconoscerebbero più”, commenta Carol. Lo sguardo storto con cui la compagna la ripaga le scivola addosso senza turbarla.
“Grazie, Vera”, ricambia Wanda. “Tu sì che sei in gamba!”.
Carol si acciglia. Tra di loro, le gocce capiscono bene l’allusione.
“Ragazze, i vostri documenti sono perfetti”, riprende Vera, “ma ricordate che tuttora voi non siete iscritte ad alcuna anagrafe, per cui un controllo via computer da parte della polizia potrebbe crearvi problemi”.
“Ricevuto”. Wanda infila il prezioso documento nel portafogli vuoto. Esita un attimo, sa che sta per proferire una domanda inelegante. “Vera, oltre alle carte di identità…”.
Più che altro, la domanda era scontata per la maga. “Se posso creare anche il denaro?”. Vede tanti sguardi di attesa. “Certo, stavo per iniziare”.
Congiunge le mani e le sfrega.
Una banconota di piccolo taglio, arrotolata, cade sul tavolo.
“Uauuu!”  “Incredibile!”  “Sei una forza!”   “Sei una zecca! Cioè, volevo dire…”.
Il rituale continua per alcuni minuti. Le gocce srotolano, rimirano e allineano sulla tavola le banconote con devozione quasi religiosa.
Dopo un po’, Vera sembra stancarsi. “Ragazze, mi ci vorrebbe una banconota di taglio maggiore da usare come modello, sennò staremo più a pagare una pizza che a mangiarla”.
Pao Chai guarda con insistenza Carol.
Impossibile ignorare uno sguardo così deciso. “Cosa c’è, Pao?”
“Carol, tu sei l’unica di noi che ha un po’ di denaro in tasca”.
Con un’occhiata acida, Carol apre il suo borsellino. “Questo è il pezzo di taglio maggiore che ho”, dice porgendo una banconota da venti.
“Grazie. Ti ripagherò con gli interessi”. Vera prende la banconota tra i palmi.
Poco dopo, le banconote da venti cominciano ad accumularsi sul tavolo, tra gridolini di giubilo.
Carol si studia le banconote, passando gli occhi rapidamente dall’originale alle copie allineate. “Ehi! Ma queste banconote sono false!”, protesta.
“Come puoi dirlo?” . Vera fa l’ingenua. “Sono genuine, le faccio con le mie stesse mani!”.
Carol le avvicina agli occhi una delle sue creazioni. “Hanno tutte lo stesso numero di serie!”.
L’espressione delle gocce si fa un po’ costernata.
“Hai ragione!”. Vera passa un polpastrello sopra i numeri di serie. “Anzi, avevi ragione!”.
Carol riguarda incredula la banconota che non ha mai deposto. I numeri di serie sono cambiati. Cerca di nascondere il suo disappunto con un sorriso. “Bene…”.
Terry guarda estasiata il nuovo denaro, perfetto. “Vera, non ci meravigliamo più di niente!”.

Nel frattempo, Elyon è rimasta in silenzio. Il suo corpo è rimasto seduto tra Vera e Carol ad un angolo del tavolo, girando gli occhi e la testa come se seguisse con attenzione il discorso, ma il suo spirito ha iniziato a vagare per lo squallido appartamento, attraversando porte e pareti.
Ha intuito le code impazienti all’unico bagno piccolo e incrostato, le perdite d’acqua dai rubinetti e dai tubi, i vestiti lavati in una tinozza che contende lo spazio al passaggio. Spostandosi, ha visto i letti disfati ed accostati stretti in camere troppo piccole. Queste stanze raccontano di calze mal rammendate, di fioche lampadine ad incandescenza, di una tapparella bloccata storta a metà altezza che nessuna di loro è in grado di riparare, di un vecchio tavolo da stiro che porta i segni di bruciature dovute a mani inesperte. Quell’apparecchio per inalazioni appoggiato a terra, accanto al letto, è stato usato per gli stessi farmaci che ha visto anche a casa di Cornelia. Questo luogo deve essere un inferno per chi, come la sua amica, è allergico agli acari della polvere.
Dopo avere assorbito immagini e ricordi di questo appartamento squallido, lo spirito di Elyon torna ad aleggiare nella cucina. Può essere insolito guardare sé stesse sedute ad ascoltare con espressione finto-intelligente i discorsi fatti, ma ciò che la interessa non è la propria faccia. E’ quella delle altre. Mette a fuoco espressioni, pensieri, sentimenti.
Elyon non si fa ingannare da un falso sorriso. Qualcosa non va tra Vera e Carol. Questa si sente messa in disparte da questa nuova leader apparsa da un pianerottolo buio. Di tanto in tanto, lancia delle occhiate di rimpianto al corpo che fa dignitosamente finta di seguire le dimostrazioni di Vera.
Elyon ritorna in sé appena in tempo per ricevere una domanda da Carol.
“Ellie, se la tua goccia sa fare questo, mi piacerebbe proprio vedere cosa sai fare tu!”.
Una richiesta di confidenza? Una frecciata verso Vera?
Questa, piccata, replica: “Credevo che ti andassero bene documenti e soldi, ma se preferisci posso anche moltiplicare pani e…”. Si interrompe. Si guarda colpevolmente in giro per vedere se ha scandalizzato qualcuno.

Per Elyon si sta avvicinando l’ora del congedo. “Ragazze, anch’io ho un regalino”. La sua mano, chiusa a pugno, fa uno stranissimo rumore di risucchio. Tra le dita s’intravede un piccolo lampo.
Apre la mano, mostrando orgogliosa un oggettino simile ad una margherita di metallo smaltato. “Non è bellissimo?”.
“Una spilla?”, chiede Irene, in piedi, da sopra le sue spalle. “Bella, sembra un fiore”.
“Sì. In realtà, i petali sono sei gocce iridescenti, ed il centro è un sole giallo”.
“Helios, in greco”, specifica Vera, riavendosi dalla sorpresa.
“Già, con la corona di luce sovraimpressa in argento”. Mentre Elyon indica il centro della spilletta, tutte le ragazze si sporgono in avanti per vedere.

La Luce di Meridian si appunta la spilla sulla blusa. “Così ci ricorderemo che siamo un gruppo”.
Riconosce il pensiero di Vera: E anche di chi comanda.
Ma cos’ha da brontolare anche quando non parla?
“Elyon, il regalo era solo per te stessa?”, chiede Irene provocatoria.
“Per tutte!”. Richiude il pugno, ed il rumore di risucchio si ripete. Aprendo la mano, mostra una seconda spilletta sul palmo. “Irene, a te”.
“Grazie! Bella”. Se l’appunta sulla maglietta, coprendo una macchia di caffè.
Elyon ripete il gesto più volte, facendo apparire una spilletta per ciascuna delle ragazze. E’ bello vederle così contente. Perfino Wanda sorride, commossa e felice.
Infine ne appunta di persona una sulla camicetta di Carol, seduta accanto a lei. “Conto sulla tua collaborazione”, le sussurra.
E’ ricambiata con uno sguardo di rimpianto. Ti prego, non lasciarmi con questa qui, sembra voler dire Carol.
Ma cos’altro può fare? Tra mezz’ora è attesa a Meridian, al Consiglio dei Veglianti. Nel pomeriggio,  come somma sacerdotessa, deve svolgere una cerimonia rituale. La sera deve tornare ad Heatherfield. I ritagli di tempo sono riservati ai testi antichi, che esigono la sua attenzione. La notte, poi, il suo orsacchiotto non si addormenta senza di lei.
Si congeda con uno dei suoi sorrisi larghissimi. “Ragazze, a presto. Vera, ci vedremo a casa stasera alle otto?”.
Senza aspettare la risposta, la Luce di Meridian svanisce in un tremolio.

Vera sta riguardandosi ancora la spilla.
Chi lo dice a Elyon che l’ultima cosa di cui ha bisogno un servizio segreto è proprio un distintivo?
Wanda interrompe la sua riflessione.  “Vera, quali saranno le prossime mosse?”.
“Le prossime… Ah, sì, continuerò a produrre soldi ancora per una mezz’oretta. Preparatevi per andare a pranzo in ristorante. Irene, non ti dispiace, vero?”.
Irene fa un sorrisone da golosa. Sembra di no.
“E poi?”, incalza Wanda.
“Poi, nel pomeriggio, andrò ad un’agenzia immobiliare. Voglio affittare due begli appartamenti contigui, con tre camere ciascuno”.
Nota che Carol sembra persa nei suoi pensieri. Bisogna tentare di rompere il ghiaccio. Le sfiora la spalla. “Mi accompagnerai?”.
“Va bene”, risponde un po’ sorpresa.
“Allora, questa nostra vecchia tana ha i giorni contati?”. Non si capisce se Irene sia dispiaciuta sul serio, o stia scherzando.
“E noialtre?”, chiede Wanda.
Vera porge loro una mazzetta di banconote. “Che ne dite di fare un po’ di shopping questo pomeriggio?”.
“Sììì!”  “Potenza dei soldini!”  “Non più furtarelli!”  “Sta zitta!”.
 

Midgale, centro città

La centralissima 7th Avenue di Midgale è una strada larga, fiancheggiata da ampi marciapiedi allietati da vetrine sfarzose. La maggior parte dei palazzi risalgono all’inizio del novecento, ma, verso la fine della via, sono sovrastati dalle sagome di alcuni grattacieli più moderni.
File di automobili, punteggiate da grandi taxi gialli, scorrono ordinatamente attraverso l’incrocio con un grande viale poco distante.
Con disappunto, Vera nota che, sulla cartina che ha in mano, il nome della trasversale è reso illeggibile da una piega. Si volta verso la sua alta accompagnatrice, che in poche centinaia di metri ha collezionato diverse occhiate di uomini, una delle quali si stava per concludere con un tamponamento.
“Siamo sulla strada giusta per l’agenzia immobiliare, vero Carol?”.
“Sì”.
Mentre le due camminano, l’altra non fa alcun tentativo di conversare.
Dopo un po’ di silenzio, Vera ci riprova. “Abbiamo mangiato bene in quel ristorante greco, vero Carol?”.
“Già!”.
Continua a camminare, impassibile e quasi eterea.
E’ angosciante!
Vera la prende di petto. “Tu non hai simpatia per me, vero?”.
“Cosa te lo fa pensare?”, risponde senza girarsi.
“Anche senza leggere il pensiero, si capisce!”.
La biondona  trasale, ma continua a non guardarla. “Leggi il pensiero? Grande! La privacy ne guadagnerà molto”.
“Carol, vorrei chiarire una cosa. Ne parlerò una sola volta. Tu vuoi bene a Elyon. Ti ricordi di quando eravate amiche…”.
Finalmente Carol si volta verso di lei. “Non usare il passato. Tu lo confondi con quello di Cornelia”. Abbassa il viso, rattristata. “Anche Elyon mi ha chiamato così. Ma per me quel nome è una ferita mal rimarginata”.
Le due camminano un po’ in silenzio, attraversano la trasversale ad un semaforo pedonale, accelerando il passo quando il verde comincia a lampeggiare.
Dopo un po’ Vera riprende. “Carol, tutti i tuoi ricordi sono quelli di Cornelia, fino al momento in cui vi siete divise. Devi accettarli come tuoi”.
Carol resta impassibile. Perché dà l’impressione di avere scrollato le spalle? In realtà non si sono mosse affatto.
Vera cerca di fare breccia in quel muro di indifferenza ostentata. “Credi che Elyon si sarebbe scomodata a cercare una sconosciuta commessa e fotomodella, se non fosse stata la goccia della sua vecchia amica?”.
Questa è andata a segno. Carol si ferma e chiude gli occhi.
Vera le si mette di fronte, ed insiste: “Carol, tu sei come un ramo. Cornelia oggi è come un altro ramo. Il tronco è la Cornelia di prima. Devi accettarlo!”. Qualche passante le guarda, anche se ha parlato piano.
Carol ha ancora gli occhi chiusi. Finalmente risponde, con rabbia: “Quel ramo si è preso tutto il tronco. Lei ha il mio nome, lei ha la mia casa, la mia mamma, il mio meraviglioso papà”. La voce le trema. “Qualche settimana fa lo ho intravisto qui a Midgale. Stava entrando in una banca. Ho dovuto voltarmi perché non mi riconoscesse. Non avrei saputo...”.
La voce si spezza. Sembra che gli occhi chiusi le si stiano inumidendo, ma non piange.
Dopo un lungo silenzio, Vera riprende: “Io mi ricordo che una volta eri sempre tu a rassicurarmi e a sorridermi. A dirmi che ero matta, o che i miei disegni erano belli. Che effetto credi che possa farmi quando mi tratti come una sconosciuta?”.
Carol riapre gli occhi incredula. Sono ancora arrossati. “Ma io non ti ho mai….”. Poi capisce.
“Oh, cavolo, sono così egocentrica…Ma sei così diversa!”.
“Carol, ho un ruolo diverso. Sembro cresciuta, e quindi in un certo senso lo sono. Ma il mio passato è quello, e non lo rinnego”.
 

Midgale, tana delle gocce

E’ il tardo pomeriggio di una giornata molto speciale per le gocce. Il campanello del vecchio appartamento squilla due volte. Che sia il postino?
Irene apre con un largo sorriso. Sa già chi è. “Vera!”.
“Proprio io!”, risponde allegra.
“E Carol”, aggiunge l’interessata, un attimo prima che Irene le richiuda la porta in faccia.
Sventolando alcuni depliant, Vera entra in cucina, dove le altre la aspettano sedute al tavolo.
“Ragazze! Tra due giorni ci trasferiremo tutte”. Mostra due fogli stampati con alcune piccole foto degli appartamenti. “Abbiamo affittato due amori di appartamenti!”. Apre il pieghevole a mostrare una cartina, e indica un segno rosso a pennarello. “Sono qui, in un quartiere elegante non lontano dall’università”.
“Bella zona!”, assente Pao Chai. “Non è neanche lontana dalla nostra vecchia scuola”. Per la prima volta, una frase sull’Istituto termina senza suscitare neanche una smorfia di rimpianto.
Carol tenta un sorriso disinvolto. “Anticipo da nababbi, pagato in banconote da venti. Gli ha riempito mezza scrivania!”.
“Già”, ricorda Vera con un risolino. “Dovrò mettere le mani su una banconota da cinquanta o da cento per copiarla. Non tutti amano fare il bagno in quelle da venti”.
Pao Chai agita la mano. “Noi sì. Se ne hai da gettare…”.
Le altre guardano estasiate le immagini del depliant. “Bellissimi!”  “Una reggia”  “Due regge”.
Vera si siede, buttando l’occhio su alcune borse e pacchetti appoggiati sul tavolo. “Avete fatto un po’ di shopping?”
“Sì, quasi non ricordavamo come si faceva!”. Terry sfoggia sorridendo una camicetta nuova. “Come mi sta?”.

Wanda si fa seria. “Vera, tutto questo non è per beneficenza, vero?”. Gli sguardi delle altre si girano. Sembra una nota stonata. “Vuoi spiegarci meglio che cosa vuoi da noi?”.
Vera la guarda in modo rassicurante.“Tranquilla, Wanda, non ti sto comprando l’anima. Siamo tutte nella stessa barca”. Torna a guardare, soddisfatta, i depliant della casa. “Tra qualche giorno saprete quali saranno i vostri incarichi”.
 

  
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