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Autore: Black Drop    17/09/2012    2 recensioni
Non si giudica un libro dalla copertina. Eppure Elena sembra dimenticarlo completamente, una volta fatta la conoscenza del fidanzato di quella che per lei è come una sorella maggiore.
Il suo obbiettivo? Separarli.
Genere: Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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End of War



Mi svegliai di bruscamente, dimenticando istantaneamente il sogno che stavo facendo. Mi guardai intorno e riconobbi la stanzetta dove avevo dormito negli ultimi due giorni.
Mi sollevai tra gli scricchiolii della mia scassata brandina, per mettermi seduta e afferrai l’orologio da polso che avevo poggiato nel divano al mio fianco. Erano le 11 e 40.
Mi alzai di scatto. Non avevo mai dormito così tanto. Soprattutto perché mia madre non me l’aveva mai permesso.
Mi cambiai in fretta ed uscii di corsa dalla mia stanza, fiondandomi al piano di sotto.
Kirk era seduto nel divano e giocava con un videogioco di combattimento. Repressi una smorfia mentre guardavo lo schermo della televisione e osservai lui.
Aveva i capelli neri disordinati, una maglia blu e dei pantaloni neri corti fino alle ginocchia. Mi ignorò completamente, non mi salutò né mi guardò. Continuò a giocare con la sua Play Station, come se io non fossi stata nella stanza.
Entrai in cucina con un sospiro.
“Ciao.”
Alzai gli occhi su Dana, che mi sorrideva, mentre lavava i piatti.
“Ciao Dana.” Ricambiai il saluto, sedendomi al tavolo con un sospiro. Probabilmente erano tutti e due arrabbiati con me, anche se Dana mi aveva sorriso. Ma lei era sempre gentile dopotutto.
“Quando mi hai sgridato l’hai fatto perché ti sei preoccupata per me?” mi resi conto di averlo detto a voce alta con un secondo di ritardo.
Dana mi osservò stupita. Tolse le mani dall’acqua del lavandino e se le asciugò, poi si sedette di fronte a me.
“Certo.” Disse piano, annuendo.
Mi mordicchiai il labbro, non sapevo bene cosa dire. Anche mia cugina sembrava nervosa.
“Dana mi dispiace.” Sussurrai, cercando di non scoppiare a piangere davanti a lei.
Mi sorrise dolcemente. “Lo so.”
Mi spostai i capelli dal viso riflettendo su cosa dire.
“Perdonami se sono stata così cattiva, mi ero offesa perché mi avevi rimproverato. E Kirk non mi piaceva e volevo convincerti che non era una brava persona così sono stata cattiva anche con lui. Mi dispiace!” mi coprii la bocca con una mano, cercando di trattenere un singhiozzo. “Alla fine Kirk si è comportato molto meglio di me.”
Dana rise piano. “Posso chiederti una cosa?”
Annuii tirando su col naso.
“Non hai notato che dietro la foto che hai preso ieri c’è scritto l’anno?” Dana strinse gli occhi riflettendo. “Sarà 1977 o ’78, non ricordo.”
Scossi piano il capo. “Non si leggeva.” Risposi in un soffio.
Dana ridacchiò di nuovo. “Ma sulla cassettiera c’è una foto dei genitori di Kirk, anche se è più recente. Non ti sei accorta che era la stessa persona?”
Scossi di nuovo la testa. “Lo so, sono una stupida. Mi dispiace.”
“Almeno hai capito dove hai sbagliato.” Mormorò dandomi un buffetto nella guancia, come fossi una bambina piccola. “L’importante è che ti scusi per tutto.”
Annuii con foga.
“Ho anche pensato a un’altra cosa.” Esordii asciugando le due lacrime traditrici che mi erano sfuggite. “Torno a casa. Qui ho fatto abbastanza danni.”
Dana sorrise nervosamente. “Oh, bene!”
Sbattei le palpebre perplessa.
“A questo proposito, Elena.” Iniziò a testa bassa giocherellando con l’orlo della sua maglietta. “Io potrei aver chiamato tua madre i giorni scorsi e averle detto di venire a prenderti.”
Sgranai gli occhi. Aveva chiamato mia madre?
Ecco perché mi avevano fatto rimanere tranquillamente da loro.
“E quando dovrebbe arrivare?” domandai turbata. Dopotutto non ero arrabbiata. Era la cosa giusta da fare. Semplicemente non ero pronta a farmi vedere da lei: avrebbe potuto uccidermi solo con lo sguardo per essere scappata di casa.
“Uhm…” Dana si passò una mano sui capelli chiari con aria impacciata. “Oggi. Ma non so a che ora.”
Deglutii. Mia madre sarebbe arrivata da un momento all’altro e mi avrebbe fatto patire le pene dell’inferno. Mi passai una mano sul volto, sforzandomi di accettare quella situazione.
Forse avrei dovuto prepararmi un discorso, magari tentare di calmarla.
Con un sospiro uscii dalla cucina e feci per andare al piano di sopra. Mi fermai, sentendo l’audio del videogioco di Kirk.
Mi diressi verso il divano e dopo aver preso un lungo respiro mi sedetti vicino al ragazzo, che continuò a comportarsi come se io non ci fossi.
Mi morsi il labbro, non sapendo bene cosa dire e osservai lo schermo della tv, seguendo con lo sguardo il personaggio di Kirk (un ammasso di muscoli coi capelli a punta e un tatuaggio nella spalla) mentre atterrava il suo avversario.
“Kirk” chiamai piano il suo nome con una vocina estremamente fine. “Mi dispiace.”
Non lo guardai in faccia, non ne avevo il coraggio. Lui continuava a giocare e io a guardare lo schermo.
Presi fiato lentamente un’altra volta.
“Mi dispiace di essere stata così… maleducata?” tentai non trovando un termine adatto.
Sentii una sorta di risata beffarda provenire da lui, tentai di non farci caso.
“Mi dispiace di essermi comportata così male e mi dispiace di aver preso la foto di tua madre.” Continuai cerando di dare alla mia voce un tono più deciso. “Sono una persona orribile.”
Seguirono alcuni secondi di silenzio. Nella televisione intanto un combattimento era appena giunto al termine. Quando ebbe inizio il seguente Kirk mise il gioco in pausa con un sospiro.
“Mi dispiace di averti fatto paura, ragazzina.” Borbottò con tono leggermente annoiato.
Mi voltai verso di lui e scrutai il suo volto serio, quasi scocciato, che lentamente si illuminava in un minuscolo sorriso.
Ricambiai, dapprima titubante poi sempre più convinta.
Kirk tornò serio. “Questo non vuol dire che non ce l’abbia ancora con te, ma posso chiudere un occhio.” Il suo sguardo tornò verso la tv e lui riprese a giocare. “Vedila così: concediamoci una tregua.”
Annuii con un sorriso timido. Nonostante mi fossi abituata un po’ a lui, continuava a farmi un effetto particolare: mi sentivo come in soggezione. Mi chiesi come facesse Dana a non provare niente di simile.
“In questo gioco si deve solo picchiare la gente?” mormorai, tentando di allentare la tensione.
Sentii una risata e me ne concessi una minuscola anch’io.
Dopotutto non era così malvagio.
 
 
*
 

Cinque  mesi dopo

 
Guardai l’orologio con un leggero fastidio. Non mi piaceva aspettare, soprattutto se dovevo farlo in inverno, nel bel mezzo di una stazione che sembrava più una ghiacciaia.
Infilai le mani nelle tasche del piumino con uno sbuffo, facendo formare una nuvoletta davanti alla mia bocca e rivolsi lo sguardo verso Dana. Si stringeva nel suo cappotto nero con aria infreddolita e si guardava intorno con gli occhi strizzati.
“Il treno è in ritardo.” Si lamentò in un filo di voce.
“Me ne sono accorto.” Sibilai a denti stretti, stizzito.
Dana starnutì.
“Salute.” Ci mancava solo che ci ammalassimo per colpa di uno stupido treno.
Un Babbo Natale saltellava allegramente tra le persone, agitando una campana e augurando un Felice Natale a tutti con un barattolo in mano. Mi chiesi se fossero le classiche offerte per i poveri o qualche trovata geniale di un barbone particolarmente attivo.
Quando una vecchietta, probabilmente sentendosi molestata, lo colpì con la borsetta l’uomo scivolò e cadde rovinosamente a terra.
“Merda!” imprecò, facendo scoppiare a piangere un bambino che scappò disperato tra le braccia di suo padre.
Mi lasciai andare in una risata divertita, mentre Dana saltellava nervosamente.
“È arrivato il treno!” esclamò strattonandomi per una manica del piumino e trascinandomi verso i binari.
Scrutammo i volti delle persone che ci circondavano non riconoscendo nessuno di loro.
“L’ho vista!” Dana mi afferrò per un braccio e mi guidò verso la minuscola ragazzina, tutta imbacuccata, che si guardava intorno con aria dispersa.
Una volta raggiunta Elena, lei ci salutò con un sorriso.
“Il treno era in ritardo.” Si giustificò afferrando la borsa che aveva poggiato a terra.
“Abbiamo notato.” Borbottai lanciando occhiatacce al treno.
Uscimmo dalla stazione e ci affrettammo verso la mia macchina, parcheggiata lì di fronte. Mentre aprivo il cofano Dana si schiarì la gola e sorrise verso sua cugina, che dal canto suo la fissava perplessa, probabilmente chiedendosi che problema avesse.
“Dobbiamo dirti una cosa.” Esordì tutta contenta, lanciandomi occhiate complici.
Infilai il bagaglio di Elena nel cofano e lo richiusi con un colpo secco.
“Non vuoi aspettare di tornare a casa?” chiesi in un mormorio. “Potrebbe iniziare a insultarmi e bloccare la crescita di bambini innocenti.” Spiegai facendo un cenno verso i passanti.
Elena mi fissò con le sopracciglia corrugate, mentre Dana mi assestava una debole gomitata nelle costole.
“Va bene.” Mi spostai i capelli dal viso e puntai gli occhi sulla cuginetta di Dana. “Senti un po’, ragazzina, a me non importa se non ti piaccio, ma è giusto avvisarti, prima che tu possa scappare di casa di nuovo per cercarti una nuova famiglia, dove io non sono coinvolto.”
Elena mi fissò confusa, mentre Dana ricominciava a saltellare sul posto.
“Ci dobbiamo sposare!” esclamò gongolante in direzione di sua cugina.
Lei sgranò gli occhi e mi osservò stupita per alcuni secondi, senza dire nulla. Poi si sciolse in un sorriso.
“Congratulazioni.” Disse semplicemente, guardandomi con aria di sfida. “Sono felice per voi.”
Ricambiai il suo sorriso con un pizzico di perfidia.
“Quindi ti rendi conto che diventeremo come parenti, dolcezza?” sibilai per poi scoppiare in una risata beffarda alla vista della sua smorfia scioccata.
Dopotutto a me stava bene così.
 

The end!


 




Dopo aver passato un quarto d'ora a fare ricerche sul clima invernale di Pasadena, eccomi qua con l'ultimo capitolo. 
Non ho niente da dire, spero che tutta la storia non sia un completo disastro e che vi abbia almeno fatto sorridere (anche un sorrisino piccolo piccolo).
Grazie mille se siete arrivati a leggere fino a qui, lo apprezzo. :)

Good Bye! :D

  
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