CAPITOLO 9: FUORI DAL MONDO
Quando
la mattina dopo riaprii gli occhi, vidi una valigia già chiusa
ai piedi del letto. Damon non era al mio fianco e l’unica cosa
che sentivo, erano dei rumori provenire dal piano di sotto.
Mi alzai, ancora mezzo addormentata e scesi le scale.
«Ehi, ci siamo svegliate?». Damon stava trafficando con un mio vecchio borsone, per cercare di chiuderlo.
«Si può sapere che cosa stai combinando?». Lui sorrise.
«Ti porto via».
«Che?».
«Sì,
ho deciso che ci prendiamo una vacanza, visto che tu non tornerai a
scuola prima di una settimana, ti rapisco per un po’».
Disse sorridendo, come se fosse la cosa più normale del mondo.
Io
continuavo a capirci sempre meno. Dove aveva intenzione di portarmi ?
Damon era un’incognita, mi sorprendeva di continuo, nonostante
ormai ci conoscessimo da molto tempo.
«Su preparati, sembri un gattino con il pelo arruffato». Io gli feci una linguaccia, facendolo ridere.
Andai
a darmi una sistemata ai capelli perché ne avevano davvero
bisogno e mi infilai un paio di jeans attillati e una felpa grigia e
larga con un orsetto di peluche sopra un bottone. Era molto in stile
dodicenne, è vero, ma a me piaceva tantissimo e poi teneva caldo.
«Bene!» esclamò Damon entusiasta non appena tornai di nuovo al piano inferiore. Sembrava davvero felice, come non lo vedevo ormai da troppo tempo.
«Tu
mi preoccupi… » dissi. Infatti il suo sorrisino non
prometteva nulla di buono. Era il sorriso di una persona che stava
tramando qualcosa di losco.
«Affari tuoi» rispose sempre con quell’espressione ebete stampata in faccia. «Rox?».
«Sì?».
«Tu ti fidi del buon vecchio Damon, vero?».
Il “buon vecchio Damon”?! E da quando si riferiva a sé stesso così?
«Io
mi fido dell’uomo che mi ha salvato la vita e dell’uomo che
mi ama. Ma non so se sia il buon vecchio Damon».
«Divertente, tesoro. Sei pronta?».
«Sì, ma… ».
«Niente ma, adesso sali in macchina e smettila di fare domande».
L’unica
cosa da fare in quella situazione era obbedire, anche perché
protestare o fare domande sarebbe stato inutile. Avevo imparato a
conoscere Damon troppo bene per non sapere che quando faceva in quel
modo non sarei riuscita a strappargli nemmeno un’informazione
piccola piccola.
Allora
salii in macchina ed aspettai che lui mi raggiungesse, con la valigia
che al risveglio avevo trovato in camera. La caricò nel
bagagliaio e poi prese il posto di guida, accanto al mio.
«Non vuoi darmi neanche un indizio?», gli chiesi speranzosa
«Ma assolutamente no!».
Sarebbe
decisamente stato inutile, fargli qualunque tipo di domanda, dunque mi
limitai ad impiegare il tempo parlando con lui e dormicchiando in
macchina.
«Ehi, Damon?» gli chiesi ad un certo punto, un po’ titubante.
«Dimmi… ».
«L’uomo
che mi ha aggredita», in quel momento vidi il suo volto
rabbuiarsi, ma continuai prima che potesse interrompermi.
«Che
fine ha fatto? Insomma… sarà processato? Che cosa
succederà adesso? Le ultime notizie le ho sapute da mio padre,
cioè… lui mi ha detto che voleva lo portassero lì,
ma non ne ho più saputo niente… ».
Vidi Damon prendere un profondo respiro.
«Adesso infatti sarà affidato alla custodia dei militari e da lì, credimi… non avrà modo di scappare.».
Annuii,
poi Damon mi guardò e disse: «Rox, ehi… non dovrai
mai più preoccuparti di quel figlio di puttana. Mai più,
lo abbiamo preso».
Sorrisi debolmente. «Lo so. Solo che… è strano».
«Ascoltami
bene, Roxanne Lynn Stevenson… tu non dovrai mai più
pensare a quell’uomo. Non dovrai mai più avere incubi su
di lui. E sai perché? Perché lo abbiamo preso,
perché non potrà mai più farti del male».
«Come si chiama?»
«Cosa?»
«Il suo nome… qual è il suo nome?»
«Rox, perché continui a tormentarti così?»
«Non
mi sto tormentando. Io voglio sapere soltanto il suo nome.
Insomma… è l’uomo che mi ha distrutto la vita, che
mi ha quasi uccisa ed io… io non so nemmeno come si
chiama.»
«Martin
Hodge. Pluriomicida, rapina a mano armata, avanti e indietro da
strutture di igiene mentale. Un vero pazzo furioso. E poi già
solo il nome fa schifo».
Scoppiai a ridere a quell’ultima affermazione di Damon. Avevo bisogno di ridere… e avevo bisogno di lui.
Andammo avanti a parlare
per un bel po’fino a che il paesaggio non cominciò a farsi
familiare… e a quel punto mi voltai verso Damon ed esclamai:
«Los Angeles?!».
Lui mi lanciò uno sguardo divertito dopo quella mia reazione. «Los Angeles, baby».
«Mi
porti da mio padre!». Lo abbracciai talmente di slancio, che per
poco non gli feci perdere il controllo dell’auto, poi lui si mise
a ridere.
«Calma, tigrotta, altrimenti andiamo fuori strada…».
Dopo dieci minuti, quando ebbi sbollito il mio momento di eccitazione, mi arrivò una telefonata di Caroline.
«Dove diavolo sei?!».
«Buongiorno anche a te, Care», la salutai in tono ironico.
«Sì, sì, buongiorno tesoro. Vuoi dirmi dove sei?».
«Si può sapere il perché di tutta questa urgenza?».
«Sono passata da te già due volte stamattina e non risponde nessuno! Io volevo organizzare l’addio al nubilato di Elena!».
Ecco svelato il mistero. Risi. «Mi dispiace, Care, ma temo che fino a lunedì prossimo dovrai cavartela da sola… »
«Lunedì
prossimo?! Ma sei impazzita!? Dimmi dove caspita ti sei cacciata, che
vengo a prenderti immediatamente!».
Intanto avevo messo il vivavoce, di modo che anche Damon potesse sentire gli scleri della mia migliore amica.
«Ciao Caroline!», la salutò infatti lui dopo un po’.
In
un primo momento non si udì nulla all’altro capo del
telefono, poi Caroline riprese: «Damon! Si può sapere dove
siete?»
«Mi dispiace biondina, ma l’ho rapita e come ha già detto lei, torneremo lunedì».
«Siete partiti insieme?!».
«Già», ripresi parola io.
«E dove state andando?».
«Los Angeles, a trovare mio padre».
«Cos’è,
Damon? Hai deciso di incontrare suo padre dopo sette anni per chiedere
la mano di Roxy?». Chiese Caroline in tono ironico.
«Care, sei sempre la solita!», esclamai.
«Beh sarebbe anche ora, cara!».
Nel
frattempo, Damon continuava a ridacchiare, mentre io cercavo di tenere
testa alla mia folle amica, ma dopo un po’ mi vidi costretta a
rinunciare; Caroline trovava sempre il modo per lasciare spiazzati.
«Allora adesso vi lascio, piccioncini, ci rivedremo lunedì e mi raccomando, non divertitevi troppo».
Scossi la testa. «Un bacio, Care e salutaci gli altri». Detto questo riattaccai.
Ci vollero altri quaranta minuti abbondanti prima che Damon fermasse la macchina davanti ad una graziosa villetta; ormai era ora di pranzo.
La
porta dell’abitazione si aprì prima che noi riuscissimo a
scendere dall’auto e mio padre comparve sulla soglia.
«Papà!», gridai correndo verso di lui, in un impeto di gioia.
Lui sorrise e rispose al mio abbraccio, mentre Damon cominciava a scaricare il bagagliaio dalle valige che aveva preparato.
«Tesoro mio… mi dispiace molto di non essere riuscito a venire quando ne avevi bisogno… »
«Sono qui adesso, non ti preoccupare».
Poi
mi venne in mente una cosa: è vero, io avevo bisogno di mio
padre. Lui era la persona che mi aveva amata e protetta sempre,
incondizionatamente. Da mia madre, da quel mostro psicotico e da tutto
il resto che avrebbe potuto nuocermi.
Mio
padre non aveva potuto venire da me e così Damon mi aveva
portata da lui. Perché sapeva che in quel momento, era la
persona che avrei voluto accanto.
A
me l’idea di andare a Los Angeles a trovarlo, non aveva neanche
sfiorato minimamente. Ma Damon ci aveva pensato perché mi
conosceva fin troppo bene. Lui aveva sempre capito ciò di cui
avevo bisogno prima ancora che me ne rendessi conto io stessa.
Avevo
bisogno di mio padre e Damon mi ci aveva portata il prima possibile.
Era sempre stato così: mi capiva e conosceva le mie
necessità, a volte, prima ancora che io stessa potessi
realizzarlo. E anche per questo lo amavo così tanto.
«Ciao, Damon». Mio padre gli tese la mano con un mezzo sorriso; cosa altamente insolita per lui.
«Signore… » rispose il ragazzo ricambiando la sua stretta.
«Avanti, venite dentro… ».
La
casa era impeccabile riguardo all’ordine ed alla disposizione di
ogni minimo oggetto. Mio padre era sempre stato un maniaco della
precisione e probabilmente era a causa del suo lavoro. Se non fosse
stato assolutamente attento a tutto, a quest’ora sarebbe morto
senza dubbio durante qualche missione.
Parlammo
di tutto e di niente, non toccando mai l’argomento della mia
aggressione. Mio padre e Damon non si vedevano da anni e in uno strano
modo, quei due erano sempre andati molto d’accordo, più di
quanto io stessa potessi immaginare e questa era già
un’ottima cosa.
Di
solito mio padre aveva sempre fatto scappare ogni mio
“pretendente” e, all’inizio, aveva anche messo alla
prova Damon, ma lui era stato l’unico a conquistarlo e
così, poco alla volta, era riuscito ad ottenere la sua fiducia.
Riuscirci
non era affatto semplice perché spesso mio padre si chiudeva
come un riccio e mai aveva parlato di fatti personali con qualcuno di
esterno alla famiglia, quindi, principalmente, me.
Ma
con Damon era diverso; a quanto pare lui era riuscito a far breccia
nell’anima d’acciaio di mio padre e così, lo aveva
accolto in casa sua quasi come se fosse un figlio.
La
madre di Damon era morta quando lui e Stefan erano solo dei bambini, e
suo padre quando il mio ragazzo era poco più che maggiorenne,
così sia lui che Stefan avevano dovuto crescere velocemente.
Di
mio padre si potevano dire che era molte cose; che era freddo, che
sembrava senza cuore e questo sia per il suo carattere di natura, sia
per come era evoluto a causa del suo lavoro, ma sicuramente si poteva
affermare che la salvaguardia della famiglia per lui veniva al primo
posto. Era una situazione un po’ strana, ma papà era
sempre stato il mio unico punto saldo e se c’era un problema
serio, era la prima persona con la quale ne avrei discusso. Io lo
adoravo.
Damon
andò a posare le valige in una delle camere da letto al piano di
sopra, poi tornò in salotto dove ci eravamo accomodati.
«Ho preparato qualcosa da mangiare, avete fame?»
«Non si doveva scomodare, signore, è stato molto gentile… ».
Damon era sempre estremamente rispettoso quando parlava con mio padre, a volte sembrava completamente un’altra persona.
Ci
sedemmo a tavola nella luminosa cucina ed io dissi: «Direi che
questa è tutta un’altra cosa in confronto al bunker sotto
la spiaggia… »
«Se fosse servito a tenerti al sicuro avrei abitato lì per tutto il resto della vita, tesoro… ».
Per un attimo mi vennero le lacrime agli occhi; era davvero il padre migliore che si potesse desiderare.
Damon posò una mano sulla mia e la accarezzò.
«Allora ragazzi… ditemi come procedono i preparativi per le nozze di Elena e Stefan».
Questa
fu la domanda fatidica perché ci lanciammo in una lunga
conversazione sui fiori e i colori e tutto il resto, ma soprattutto sul
dispotismo che Caroline esercitava su ognuno di noi in quel periodo.
«Vedo che l’esuberanza di quella ragazza non è mutata», disse mio padre con un mezzo sorriso.
«No, affatto!».
Il
pranzo andò avanti piacevolmente, ero con i miei due uomini
preferiti. Tutto stava andando per il verso giusto, finalmente dopo
tanto tempo. Ero veramente felice in quel momento. Sembrava una vita
totalmente fuori dal mondo, come se le cose si fossero assestate, dopo
un periodo di sofferenza e paura.
Quel
pomeriggio, io e Damon andammo a fare una passeggiata sulla spiaggia. A
Los Angeles il clima era molto più caldo e già si
potevano vedere i primi temerari surfisti.
«Sei
felice?», mi chiese Damon mentre passeggiavamo mano nella mano
con i piedi nella sabbia e le scarpe nell’altra mano libera. Io
sorrisi e annuii.
«Lo
sono anch’io. Prendersi una vacanza, rilassarsi un po’.
Erano cose che non facevo da troppo tempo. Mi ha fatto bene,
sai… il fatto che tu sia tornata; tu. Tu mi hai sempre fatto
bene, Rox».
Mi fermai e lo abbracciai. «Ti amo, Damon… »
«Ti amo anch’io, piccola… ».
Passeggiammo
fino al tramonto, poi guardammo il sole tramontare oltre il mare,
seduti uno tra le braccia dell’altra sulla spiaggia.
I
giorni passarono velocemente, troppo velocemente perché da molto
tempo ormai non provavo più quella pace, tanto che mi
sembrò quasi inverosimile.
Era
come se vivessi nel terrore che da un momento all’altro potesse
capitare qualcosa di brutto, che andasse storto e chissà
cos’altro.
Ma
invece non era così. Quella era una vita normale; la vita che
molte persone conducevano; solo che io ero abituata ad un disastro dopo
l’altro.
Stare
con Damon, senza nulla a cui pensare, senza preoccupazioni… era
la cosa più bella che mi fosse mai capitata, proprio come quando
andavo al liceo ed anzi… allora c’era la scuola che mi
metteva addosso l’ansia. Quei giorni invece furono tranquilli e
sereni, soprattutto.
Inoltre, mio padre si era preso un paio di giorni di ferie per stare un po’ con noi e tutta quella situazione faceva sì che io mi sentissi davvero a casa; fu davvero bellissimo.
Io
e Damon facevamo delle lunghe passeggiate in spiaggia, andavamo a
correre la mattina presto, andavamo al parco, mangiavamo fuori. Un
giorno incontrai anche Megan Brooks, una mia vecchia compagna di corso
al college, una ragazza con cui avevo stretto amicizia e le presentai
Damon. Parlammo di cosa avevamo fatto in tutti quegli anni e come
stesse andando la nostra vita adesso.
Lei
fu molto colpita dal mio fidanzato e dopotutto… come darle
torto? Mi fermai a parlare a lungo con Megan e, una volta tornata a
casa, trovai Damon e mio padre seduti al tavolo della cucina intenti in
una conversazione che pareva molto seria, che tra l’altro si
interruppe quando io feci il mio ingresso. Magari stavano parlando
dell’aggressione e di quell’uomo, dato che avrebbe dovuto
essere trasferito a Los Angeles in custodia dai militari.
Feci
finta di non accorgermi della loro brusca interruzione e li salutai con
un sorriso. Guardai il mio fidanzato… era incredibilmente bello
e soprattutto mi amava veramente. Mi sentii molto fortunata ad avere al
mio fianco un uomo come Damon.
Mi avvicinai e diedi un bacio sulla guancia ad entrambi, poi andai a fare una doccia veloce prima di cena.
L’ultimo
giorno prima di tornare a Mystic Falls, sentii una fitta allo stomaco.
Avrei tanto voluto restare lì per sempre; quell’unica
settimana era davvero stata fantastica e se avessi potuto sarei rimasta
lì ancora.
Per
di più, io e Damon avevamo deciso di spegnere i telefoni fino al
termine della settimana, quindi avevo il forte presentimento che,
quando lo avessi riacceso, avrei trovato dei messaggi minatori da parte
di Caroline.
«Tesoro?» mi richiamò mio padre la sera prima della partenza.
«Ehi…» gli risposi io con un sorriso.
Lui venne a sedersi di fronte a me sul letto e disse: «Mi ha fatto davvero molto piacere la vostra visita».
«Anch’io
sono stata felice di rivederti, papà; ma devi ringraziare Damon,
è lui che ha deciso di portarmi qui».
«Lo
so. Sono contento che vi siate rimessi insieme, state bene e
probabilmente non farei avvicinare nessun altro a mia figlia, se non
quel ragazzo».
Io risi; ecco che ritornava a galla il papà geloso convinto che nessuno potesse essere all’altezza di sua figlia.
«Andrà
bene tra di voi, ne sono certo e sono anche convinto del fatto che
sarai una moglie migliore di quanto tua madre lo sia stata per me e un
giorno, chissà, anche una madre… »
Un momento… moglie? Madre? Ma di che cosa stava parlando? Questi non erano discorsi da lui!
«Credo
tu stia correndo un po’ troppo, papà; non è ancora
il momento. Per adesso ci concentreremo sul matrimonio di Elena e
Stefan, che già dà abbastanza problemi a cui
pensare… ». Lui rise.
«Va
bene, tesoro. Buonanotte, ci vediamo domattina. Ora dico a Damon che
può salire; lo avevo spedito a guardare la tv per poterti
parlare un po’».
Gli sorrisi. «D’accordo. Dormi bene, papà. A domani».
E detto questo uscì.
Damon entrò in camera dopo qualche minuto e si infilò sotto le coperte insieme a me.
«Buonasera, splendore… » disse abbracciandomi da dietro e lasciando un bacio sul mio collo.
«Buonasera».
«Tuo padre mi aveva vietato di salire».
«Sì, me lo ha detto».
«Mi piace tuo padre».
«E
tu piaci a lui. Hai idea di quanto sia difficile far breccia nel cuore
di mio padre? Praticamente non c’è riuscito nessuno a
parte me, quindi devi essere stato davvero molto bravo».
«Io amo e rispetto sua figlia, per questo sono riuscito a conquistarmi anche lui».
Sorrisi e mi voltai a guardarlo, poi lo abbracciai.
Quella
notte ci addormentammo così e poi l’indomani fummo
costretti a ripartire per tornare alla vita reale; eravamo stati fuori
dal mondo per troppo tempo ed era stato anche troppo bello, ma si
sa… anche le cose belle sono destinate a finire e noi non
avremmo potuto trattenerci ancora a LA.
Mio padre aiutò Damon a caricare la macchina, anche se in effetti avevamo solo due trolley e un borsone.
«Bene,
ragazzi… buon viaggio, ci rivedremo presto» disse mio
padre. Io lo strinsi forte e salii in macchina. In realtà non
sapevo quando sarebbe stata la prossima volta che lo avrei rivisto.
«Guida piano, Damon». Gli raccomandò poi.
«Non si preoccupi. Arrivederci».
E detto questo, mise in moto l’auto e ripartimmo.
Ecco
qui! Perdonatemi se sono sparita per quasi una settimana, ma diciamo
che ho avuto un pochino da fare. (Damon: “Dillo che in
realtà ti eri presa indietro con il capitolo”) (Io:
“ -.- vuoi piantarla?”) (Damon: “Beh, è vero
u.u”) (Io: “Sì, d’accordo, mi ero presa
indietro con il capitolo, ma solo perché ne ho aggiunto
uno.”)
P.s. Ho un'originale romantica scritta su carta che ha come protagonisti il nostro Ian e Lucy Hale, l'ho scritta verso il periodo di Carnevale... fatemi sapere se avete voglia che la pubblichi! ;-)