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Autore: londonici    18/09/2012    1 recensioni
Hayley, sedicenne di Beverly Hills, sembra la tipica ragazza che mette il broncio giusto per essere diversa. Una grande passione per i Paramore e un gruppo di amici eccezionali la aiuteranno a superare i primi "piccoli" problemi della sua vita. Ma poi si aggiunge Hitch, un rapper diciannovenne di fama mondiale, e tutto cambierà all'improvviso...
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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La mattina seguente fu il mio cellulare a svegliarmi. Ero aggrovigliata intorno alla mia colonna vertebrale in modo pressoché indescrivibile e impresentabile.

Presi quell'oggetto fastidioso e rumoroso e lo lanciai verso l'armadio, sentendo chiaramente un “toc” quando si fece in mille pezzi. Allora scattai dal letto.

«Merda, merda, cos'ho fatto! No, no! NO!», gridavo mentre tentavo di rimontarlo alla meno peggio. Mi ero trascinata dietro tutte le lenzuola mentre mi ero precipitata al salvataggio del mio cellulare.

Almeno aveva smesso di suonare.

«No, no... Per favore!». Agitavo i pezzetti di tasti e la batteria a destra e sinistra, senza sapere cosa fare e lamentandomi come una bambina.

“Come una bambina”. No, aveva detto: “Non fare come le bambine”, se non ricordavo male.

Ecco, perfetto inizio di giornata: cellulare schiantato e stramazzante al suolo (colpa mia, lo so) e ricordi della sera precedente troppo precoci. Il mio stato di coma post-sonno era già sfumato del tutto.

Mi arresi e lasciai tutto a terra, coprendomi con il lenzuolo a mo' di mantello e sbuffando.

«Che succede qui?», chiese Bryan spuntando sulla soglia.

«E tu che ci fai qua?», chiesi un po' stupita.

«Hay, parto lunedì mattina. E te lo avevo già detto. Comunque, che cosa ti ha fatto perdere la calma alle sette di mattina di un sabato estivo?». Indicai ciò che restava del mio cellulare.

«Lara mi stava chiamando, ma io avevo sonno», spiegai come se tanto bastasse a farmi passare come una sedicenne sana di mente e senza problemi di controllo dell'impulsività.

«Ricordami di non chiamarti mai, allora». E sparì in corridoio.

Per tutta la mattinata mi trascinai, come un fantasma vagante, avanti e indietro per il salotto.

Che chiusura d'estate disastrosa. In pochi giorni avevo fatto più casini di quanti non ne avessi fatti in sedici anni, non so se mi spiego.

Jenna era andata a lavoro. Mi aveva lasciato un bigliettino con il resoconto della sua serata, perciò direi che più che un semplice bigliettino era una risma intera, rilegata e pubblicata. Una specie di poema, ecco.

Almeno lei si era divertita, a quanto pareva. Le sue parole sprizzavano entusiasmo da tutti i pori... Per fortuna non finii di leggere la sua storia improvvisata.

Verso le nove il mio campanello iniziò a strimpellare. La suonata era di Lara, così aprii e mi avviai in camera mia, dove sapeva che mi avrebbe trovata. Visto che c'ero, mi diedi anche una mezza sistemata.

Sentii prima la porta sbattere, poi le sue pedate sulle scale che annunciavano la sua furia. Soppressi una risata impellente mentre apparve sulla soglia, vestita di mille colori.

«Lara, Arlecchino è nella casa di fronte, di fianco ai gemelli», la salutai. Mi ignorò.

«Hai mandato a fanculo Jess due volte nella stessa sera e sei tornata a casa con Hitch?!», mi accusò strillando. «Ma ti sei bevuta il cervello? Io almeno ieri sera ero ubriaca, ma tu eri perfettamente sobria! E cosa fai? Dici “vaffanculo” a Jess! Non una volta, ma due! Senza contare quella dell'altra volta, quando le ha prese da Jim. Ma dico, ti sei dimenticata della persona con cui hai a che fare? Parliamo di Jess, quello che se si arrabbia...». Le tappai la bocca.

«Lara. Evidentemente, non me ne frega molto, no? Si dà il caso che già ieri sera lui si stesse dando da fare. Questo non te l'ha detto nessuno, immagino», la zittii.

«Beh», fece stizzita. E poi tornò alla carica: «Sei tornata a casa con Hitch!», esclamò tralasciando la rabbia di qualche istante prima. Adesso era euforica, ma non aveva capito un bel niente.

«Ma. Che. Gioia», dissi inespressiva.

«Avanti, cosa vi siete detti? Ci ha provato? Hai il suo numero? L'hai fatto entrare?». La sua raffica di domande corrispondeva esattamente alle cose che faceva lei al primo appuntamento. Si sedette sul letto ad aspettare, impaziente.

«Cara la mia Lara, dimentichi che io quel tizio non lo posso proprio tollerare. Anzi, ti dirò di più: da ieri sera mi sta ancora di più sulle palle. È un pallone gonfiato che ti guarda con quella faccia da Jack lo Squartatore... Lara: non andare a letto anche con lui, potrebbe ucciderti», la avvertii. Lei la mise sul ridere.

«Hayley... Tu mi dici di non andare a letto con lui perché... in realtà lo vorresti tu!». Risposi con una cuscinata in pieno viso, senza ridere.

«A proposito di andare a letto... Chi è stato ieri il tuo prediletto?», chiesi come una smorfiosetta.

«Credo che si chiamasse Peter. Ma non sarei pronta a metterci la mano sul fuoco». Alzai gli occhi al cielo: non avrebbe mai cambiato abitudini.

«Sai, Lara, dovresti almeno sforzarti di fare caso a certi particolari, tipo il nome della persona o... Non saprei, se si tratta di un uomo o una donna, ad esempio. A volte qualcuno riserba sorprese non indifferenti», la stuzzicai.

«Ma smettila! Sei tu la monaca, non io la...».

«La...? Ti prego, finisci la frase», la implorai ridendo. Fece la faccia da finta offesa.

«Eh, Hayley, Hayley... Arriverà il giorno in cui ti butterai! Allora capirai perché è una droga per me».

«Lara, per favore! Che schifo!», esclamai buttandole un altro cuscino in faccia. «Non ho bisogno dei particolari, okay? Piuttosto, cosa mi sono persa ieri dopo che Jim mi ha lasciato in pace?».

«Jim? JIM?», strillò con gli occhi fuori dalle orbite.

«Scusa, ma come facevi a sapere di Jess e di Hitch senza sapere di Jim?». Che strana sensazione, quei tre nomi combinati nella stessa frase facevano sembrare me la sgualdrina della situazione. Senza offesa per Lara, ovvio.

«A me i gemelli hanno riferito quello che Jess ha detto loro, e cioè che tu avevi fatto una scenata fuori e poi ti eri fatta portare via da Hitch, sotto gli sguardi isterici di tutte le ragazze della festa».

Feci una smorfia. Non solo detta così la cosa sembrava molto più offensiva della realtà (nei miei confronti, sia ben chiaro), ma Jess aveva anche omesso tutti i particolari che mi avevano portato a quella assurda coincidenza che mai e poi mai avrei voluto vivere. E adesso passavo come quella che si era anche gasata di fare una cosa del genere!

Vedete? La vita a Beverly Hills è così, ma lo è anche in un qualsiasi liceo della Terra, immagino.

«Io... io... devo uccidere quel pezzente, Gesù mio! Lo uccido, lo uccido davvero!», iniziai a strillare.

«Io sono qui per credere alla tua versione, se può servire a qualcosa».

«Certo che può servire a qualcosa! Altroché! Adesso vedrai chi è il vero imbecille, porca miseria!». Stavo sbraitando con le mani che si muovevano a velocità inverosimile.

«Sì, sì, però prima fammi un favore e calmati», tentò di dire Lara. «Uno, due, tre... Respira, okay? Conta fino a un milione e passa, se ti serve, ma prima calmati, Hayley».

Seguii il suo consiglio e misi in ordine le idee.

Perché diamine Jess aveva fatto una cosa del genere?

«Allora. Ti ricordi quando sono andata a cercarlo?».

Annuì decisa. «Sì, lì ero ancora semi sobria».

«Perfetto. Quando l'ho trovato, era con una biondina, credo del primo anno, il che non era particolarmente strano. Cioè, sì, anch'io mi sono chiesta da quando Jess fosse così espansivo, comunque... Ho lasciato correre e mi stavo avvicinando. Quell'idiota, quando mi ha vista, sai cosa ha fatto?», feci senza aspettare la sua risposta. «Beh, ha messo un braccio intorno alle spalle della poveretta, che è rimasta del tutto spiazzata, e faceva lo spiritoso! Rideva per finta mentre guardava fisso nella mia direzione. Era una sfida, porca miseria. Ma io non mi sono tirata indietro, così sono arrivata davanti a lui e gli ho chiesto chiaro e tondo: “Possiamo fare due parole?”. E lui lo sai cosa mi ha risposto?». Aspettai una sua risposta, che non arrivò, così ripartii: «Lara, lo sai cosa mi ha risposto?».

«Mi uccidi se ti dico che non posso saperlo?!», rispose sarcastica.

«Mi ha detto: “Non vedi che sono impegnato?”. Così me ne sono andata». Imitai la sua faccia e il suo tono a mo' di parodia mal riuscita.

«Ma dai, ha detto davvero così?». Era rimasta un po' spiazzata.

«Quanto è vero che sono rossa naturale», confermai.

«Ma perché fare così? Andiamo, non siete mica bambini... Dimmi che tu non l'hai ripagato con la stessa moneta», disse speranzosa. Distolsi lo sguardo e mi alzai in piedi, buttando le braccia in giro. «Hayley!», mi sgridò.

«Beh, lì per lì mi era sembrata una buona idea dargli una lezione di stile», mi giustificai.

«E che cosa c'è dello “stile” nel farsi i dispetti a vicenda?».

«Senti, Lara, ho fatto bene. Ancora non me ne sono pentita, perciò non dare voce alla mia coscienza ritardata, okay?».

Mi guardò scettica. «Ritardata, eh? Non c'è aggettivo migliore per te. Ma vai avanti, dimmi di Jim», proseguì arrendendosi.

«Beh. Dopo essermene andata, mi sono messa a cercarvi, ma Jim mi è spuntato da dietro e ha iniziato a rifilarmi certe frasi da maniaco che ti lascio solo immaginare. E in quel momento è arrivato Adam».

«Chi?».

«Adam. Cioè, Hitch. L'imbecille», mi corressi rapida e fluida, come se “Adam-Hitch-Imbecille” fosse una catena inscindibile.

«E da quando lo chiami per nome?», rise Lara con faccia maliziosa. «Hayley, Hayley, stai attenta a tutti questi giovani fusti...».

«Oh, ma per favore! La vuoi sapere la mia versione o continui a interrompermi con commenti insensati e stupidi?». Annuì, sorridente e rassegnata. «Bene. Perciò arriva Hitch, che inizia a stuzzicare Jim, finché non arrivano pure Jamie e Travis, e se ne escono dicendo che mi devono portare via. Jim dice che mi ci porta lui a casa, Hitch risponde che devo decidere io. Io stavo per andare con i gemelli, ma poi Jess è spuntato da dietro le spalle di Hitch e io ho pensato di “essere impegnata” allo stesso modo in cui lo era stato lui due secondi prima. Così ho scelto Hitch, un bel po' controvoglia».

«E qui arriva il litigio con Jess».

«Prima c'è quello con Hitch, che non voleva lasciarmi andare a casa da sola. Sai, quella era una copertura, io volevo starmene da sola, mica con uno come lui».

«E poi è arrivato Jess», ripeté interessata Lara.

«Già. Voleva sapere di Jim, ma Hitch gli ha risposto al posto mio, così ho iniziato a gridare un po' con tutti. Fine della storia. Hitch mi ha riportata a casa, con qualche altro battibecco, e poi stamattina ho rotto il cellulare. Ecco perché non ti ho risposto. Sai, l'ho lanciato per farlo stare zitto».

«Esiste la modalità “silenzioso”. O lo puoi addirittura spegnere, sai?». Si alzò in piedi e mi squadrò, con le mani sui fianchi. «Hayley», annunciò dopo qualche secondo, «lo vuoi un consiglio spassionato?». La guardai confusa, sapendo che stava per sparare una di quelle sue profezie che di solito si avveravano sempre.

«O scegli subito, o stai lontana da quei due». Mi puntò l'indice addosso, in segno di minaccia, e ripeté: «Tutti e due». Risi schifata.

Quanto avrei voluto darle retta. Quanto avrei dovuto darle retta.

 

Il pomeriggio andammo a passeggio per le strade nelle vicinanze. A dirla tutta, Lara aveva proposto di andare a passeggio su Rodeo Drive, ma io tutta 'sta voglia di spendere ed essere vista non ce l'avevo.

Alla fine, bussammo alla porta dei gemelli.

La brutta notizia fu che anche quel giorno non erano in casa (ma che diamine di punizione era, la loro?). La bruttissima notizia fu che incontrai Hitch che usciva di casa. Sorrise cinico mentre se ne stava per andare. Poi frenò e invertì la marcia.

«Miss Smithson, se non ricordo male», mi salutò. Mi voltai a guardare Lara, dandogli le spalle.

«Hayley, credo che stia parlando con te...», mi disse Lara picchiettandomi sulla spalla e facendo segno dietro di me. Sbuffai e mi voltai di nuovo, sorridendo per finta.

«Ancora tu, che bello», dissi tra i denti. Mi stava guardando ancora come la sera precedente: come uno che ha la calma e la freddezza di un assassino.

«Che ci fai vicino a casa mia?», mi chiese.

«Potrei rivolgerti la stessa domanda», feci incattivita dal suo tono strafottente.

«Sei sul marciapiede di fronte a casa tua, ovvero sul mio. Sei più vicina tu alla mia zona di quanto non lo sia io alla tua, mi pare».

Stavo giusto per rispondergli per le rime, quando la risata di Lara interruppe le nostre frecciatine.

«Lara, che ci trovi di così divertente? Non vedi che questo qui è un elemento che ha ben poco di divertente?», dissi finendo la frase guardando torva Hitch.

«Lara, piacere. Sono Adam, non “questo qui”». Mi fulminò anche lui. Allungarono le mani e in quel preciso istante fecero conoscenza, lasciandomi lì ad assistere come un terzo incomodo. Mi sedetti sul marciapiede in attesa che gli stupidi convenevoli finissero.

«Hay, ma scusa... Che fai?», mi chiese Lara incredula. Probabilmente, la sua domanda aveva tante sfumature, alcune più metaforiche, altre letterali. Finsi di cogliere solo l'aspetto più letterale della cosa.

«Aspetto che finiate. Poi, siccome non ho niente di meglio da fare, torno a casa e aspetto che la scuola inizi», risposi sbuffando. Hitch mi guardò di traverso e poi – attenzione, attenzione – un sorrisetto sarcastico spuntò sulla sua faccia da schiaffi.

«Mi sa che potresti aspettare qualcosa di più imminente».

«La scuola è fin troppo imminente».

«Ma inizierà lunedì. Inizia ad aspettare qualcosa che succederà stasera».

Lara era in modalità invisibile. Io non capivo.

«Stasera non succederà un bel niente», risposi preoccupata ma spavalda, senza degnarlo di uno sguardo.

«Tu dici?», mi stuzzicò, di nuovo freddo e distaccato.

«Io dico». Facevo la faccia tosta ma... Non avevo poi tutto quel coraggio.

«Allora mi dirai stasera, d'accordo?». Non avevo ancora ben capito il senso della sua affermazione, così aspettai che continuasse. «E non pensare che manderò qualcuno a bussare alla tua porta. Sarò contento della serata almeno quanto te».

Lara si rianimò.

«Hey, qualcuno mi spiega cosa succede?». La guardai con faccia abbastanza eloquente. Hitch scosse la testa e fece due passi indietro. Solo in quel momento notai un tatuaggio sull'avambraccio sinistro e un altro sul braccio destro, che girava tutto intorno al suo bicipite.

«Piacere di averti conosciuta, Lara», iniziò verso di lei. Poi si rivolse a me. «Signorina Smithson...».

E riprese la sua strada iniziale.

 

Una volta in casa lanciai le chiavi sul mobile dei bigliettini, dove giaceva ancora il tema della serata di Jenna. Ebbi un flash e per un momento me la immaginai a scuola, seduta nel suo banco, tutta vestita e imbacuccata come una studentessa modello, in attesa della traccia del tema da svolgere in classe. Con la penna in mano, scriveva: “Parla della tua scorsa serata; con chi eri, cosa hai fatto e se ti sei divertita”. Beh, certo, la traccia sarebbe stata articolata meglio, ma la sostanza sarebbe stata quella. E chissà che vita avrebbe avuto in quei tempi... Non avrebbe certo pensato a una figlia sedicenne che era appena tornata con un piercing all'ombelico nuovo di zecca e pagato insieme alla migliore amica. Un bel segno di amicizia, molto... di moda, direi. C'è poco di amichevole in un piercing, è solo un anellino che ti buca tutte le parti del corpo che vuoi. Però era stato uno spasso improvvisare tutto con Lara. Era partita in quarta e mi aveva convinta con così tanta facilità che alla fine eravamo fuori di noi. Ma che male, però. E quante risate...

Presi in mano il bigliettino di Jenna e con un sorriso stampato in faccia lo lessi tutto rapidamente. Chissà perché...

Forse il mio sesto senso mi stava suggerendo qualche cosa di importante che mi era sfuggita, qualcosa di poco piacevole (sensazione merito dell'incontro con Hitch), qualcosa che...

Oh, merda.

Rilessi la fine del biglietto con più attenzione.

Cacchio: avevo letto bene.

Lessi ancora una volta ogni singola lettera, lentamente e analizzando ogni possibile equivoco.

Era chiaro, accidenti. Dannazione!

Lessi di nuovo a bocca aperta, senza più sorridere: “Mi raccomando, tieniti libera per domani sera. Siamo invitate a cena dai nuovi vicini!”. E poi c'era una terribile e inquietantissima faccina sorridente. Una X e una D. Io sapevo che era una faccina, ma Jenna molto probabilmente no.

Lasciai cadere il pezzetto di foglio più perfido del mondo dalle mani, spaventata a morte. Jenna aveva forse iniziato a frequentare lo zio di un rapper adolescente e viziato, nonché sbruffone?

Mi scappò un verso simile a un grugnito, che poi si tramutò in un grido vero e proprio.

«Jenna!», gridai all'aria, a denti stretti.

 

Quando rientrò, mi trovò seduta sul divano con il broncio e la faccia accusatoria. Il suo sorriso si spense al volo.

«Tesoro mio, ciao. Qualcosa non va?». Alzai la mano con il fogliettino in mano, zitta e ostinata. Sembrava una strana inversione di ruoli.

«Già!», rispose sorridente. Di nuovo.

«Mi spieghi perché diamine dobbiamo andare nella tana del lupo?». Mi uscì un tono più piagnucoloso che aggressivo.

«Andiamo, ha invitato quasi tutti i vicini. Non sarai sola. E poi c'è il nipote di Frank, potresti fare la carina almeno con lui». Frank? Frank?! E chi cazzo era “Frank”?

Ma fu un'altra la cosa che mi irritò. Una scintilla mi fece scattare. Cos'era quel tono?

«Che vuol dire “almeno”?», chiesi con la voce più alta di due ottave.

«Tesoro, non ho più visto gironzolare Jess da queste parti. Tu torni a casa presto, e se esci, esci solo con Lara. Due più due». Ero tornata presto solo una volta, dannazione, una sola! Nemmeno il Grande Fratello sorvegliava così gli abitanti di casa mia.

«E così adesso sono io la colpevole? Neanche sai come è andata! Come puoi accusarmi di cose che non sai? Jenna!». Stavo gridando.

«Nessuno ti accusa, ma se reagisci così, qualcosa di cui pentirti c'è», rispose calma e insinuante. Restai senza parole, tutte bloccate in gola dall'occlusione di ira che stava per soffocarmi. Come se io non pensassi già abbastanza di mio a certe cose...

«E adesso vai a prepararti. Non te lo dico due volte». Il suo tono mi fece diventare ancora più cocciuta.

«E invece no. Ho da fare, stasera». Mi sedetti di slancio sul divano, quasi precipitandoci sopra, e la maglietta si alzò un po'. Non ci feci caso.

«E quello cos'è?!», gridò Jenna con voce più stridula della mia. I cani probabilmente la capirono alla perfezione; anzi, solo i cani: quelli erano veri e propri ultrasuoni, inudibili per le orecchie umane.

Fissai il punto in cui stava guardando. Abbassai subito la maglietta e feci un sorrisino innocente.

«Oh. Quello. Quello. Un... piercing?», azzardai timorosa, con le mani ancora attorcigliate sull'orlo della maglietta.

«CHE COSA?!». I cristalli in casa si frantumarono del tutto.

«Jenna, Jenna, ascolta...», tentai di iniziare.

«E da quanto tempo hai un pezzo di metallo conficcato in pancia?», urlò.

«Un paio d'ore», dissi, lieta che forse quella notizia l'avrebbe calmata almeno in parte.

«Come ti è saltato in mente?!». Altro che calma...

«Io e...». No, meglio lasciare in pace Lara. Presi qualche secondo di tempo, sotto la sua espressione esterrefatta e furibonda.

«Mi piaceva», feci alla fine, stringendomi nelle spalle. Jenna scoppiò in una risata perfida e sarcastica.

«Ma che fantasia! Che fantasia, tesoro mio! Sai una cosa? Sono pur sempre tua madre, puoi chiamarmi per nome o come ti pare, ma ciò non toglie che tu non debba comportarti come se io non esistessi! E se quel “coso” ti stesse facendo infezione? E se il grande genio che ti ha bucato l'ombelico non fosse stato uno esperto? Se avesse sbagliato qualcosa? Se...». La lasciai andare avanti per un po', facendo la faccia dispiaciuta. E lo ero davvero. Perché aveva ragione. Le avevo mancato di rispetto, prima di tutto. L'avevo ignorata e sottovalutata, e... Andiamo, non la chiamavo nemmeno “mamma”. Non credevo che le facesse così piacere. Che figlia ingrata che ero, mi meritavo una punizione.

Notai un momento di silenzio improvviso e, dato che non volevo passare per quella che nemmeno la stava ascoltando, lo occupai subito.

«Okay, okay. Vuoi che lo tolga? Mettimi in punizione, me la merito. Fai quello che ritieni opportuno, non mi opporrò. Scusa, Jenna. Davvero. Scusami».

Stette zitta per qualche secondo, sbollendo un po' per escogitare qualcosa, lo vedevo.

«La mia punizione...?», chiesi esitante dopo qualche minuto di occhiatacce e rimproveri visivi. La condanna arrivò con la stessa solennità con cui si annuncia un ergastolo.

«Tu stasera vieni a cena dai nuovi vicini. Non discuti di niente, non ti lamenti, fai la carina con tutti. E sottolineo tutti», fece minacciosa, così minacciosa e determinata che non mi passò per la testa nemmeno per un millesimo di secondo di obiettare. Annuii e mi scusai un altro paio di volte.

In camera mia, iniziai a rivalutare Jenna. Credevo non sapesse fare ramanzine, ma...

Boh, forse era solo il mio senso di colpa che mi aveva tritata e distrutta mentre lei parlava (strillava, strillava). E poi, quel piercing iniziava a dare fastidio, come se all'improvviso pesasse quintali e quintali.

Rassegnata, aprii l'armadio, la cabina armadio e tutto ciò che contenesse vestiti. Esasperata, iniziai a rimuginare su quella che sarebbe stata la serata-devasto-totale.

“Sarò contento della serata almeno quanto te”.

Avevo i miei dubbi, in proposito. La mia non poteva essere “contentezza”; era proprio frustrazione, consapevolezza di dover fare qualcosa che andava contro ogni mia cellula e principio.

Un piercing non valeva una serata del genere.

Ma il rispetto dovuto a una madre, soprattutto a una come Jenna, sì. Altroché se valeva una serata come quella. Anche due. O tre.

   
 
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