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Autore: kejti    18/09/2012    1 recensioni
-Correte sorelle! Correte! Dobbiamo difendere la città!-
Tutto bruciava, ogni centimetro di quella terra stava andando a fuoco. Le persone stavano andando a fuoco. Alcuni correvano per allontanarsi dalle loro case in fiamme, altri cercavano di aiutare i loro cari che stavano bruciando.
Si racconta che tanto tempo fa esistesse una città di nome Seymour protetta dal male da un gruppo di donne coraggiose, le fenici. Le fenici abilisssime in battaglia traevano il loro potere dai quattro elementi: acqua,aria,fuoco e terra. Nulla poteva fermarle, loro erano le più forti.
Ora quattroscento anni dopo, Seymour è un segreto che solo a pochi eletti è permesso conoscere. Ashley Halliwell è tra quei pochi e tra omicidi, amori e giochi di potere avrà il compito di scoprire chi ha fatto soccombere la città delle Fenici.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Se c'era una cosa che aveva capito di Derek Brayden era che lui, i giorni in cui faceva a tutti il grande onore di andare a scuola, tendeva ad uscire sempre mezz'ora prima delle fine dell'ultima ora, così Ashley dovette fingere di avere un forte mal di pancia che non le permetteva più di continuare a fare ginnastica per poterlo raggiungere. Si sedette comodamente sul cofano della sua auto e lo aspettò lì.

-Cosa vuoi sta volta?- chiese Derek con tono scocciato e alzando gli occhi al cielo.

-Ciao anche a te splendore! Vedo che sei felice di vedermi... comunque ti volevo parlare di una cosa strana che avevo notato proprio oggi. Ti ricordi la scritta fenice sul tagliere di Sarah? Beh non ci crederai mai ma quella stessa parola è incisa anche sulla statua della Seymour, quella della fontanella... hai presente?-

-E allora?-

-Cosa o chi sono le fenici?-

-Rispondi prima tu a una mia domanda... qual è il tuo cognome?-

-Che? Halliwell...-

-Appunto... Perchè una Halliwell viene a farmi questa domanda?-

-Che significa... scusa?-

-Oh andiamo, mi prendi per i fondelli?! Mi credi stupido?! Ti ha mandato nonnina o zietto, qua?-

-Ma che...?-

-Sarah era all'oscuro di tutto, non sa niente né di me e né della Loggia, va bene?! Non so perchè tu abbia trovato la tavola nel suo armadietto... e ora scendi!-

Se i suoi occhi pieni di disprezzo non le avessero fatto così tanto paura, probabilmente gli avrebbe fatto qualche altra domanda, ma scese semplicemente dal cofano e lo vide allontanarsi dal parcheggio come una furia. Cosa c'entravano gli Halliwell con le fenici? E la Loggia? Cos'era una setta? L'unica cosa che ora sapeva in più era che la “ L” incisa stava per Loggia. Derek non le avrebbe più detto niente, a quanto pare l'unica cosa su cui poteva contare era il suo cognome, ma come poteva aiutarlo se lei neanche aveva mai visto sua nonna?

Camminò lentamente fino alla sua macchina e ci entrò, sarebbe rimasta lì fino al suono della campanella e poi sarebbe andata in aula punizioni.

Quando aprì la porta, in classe trovò solo l'insegnate , Cooper non c'era e probabilmente non sarebbe venuto, non che le importasse granché ma soffrire in due e sempre meglio che soffrire da soli. Non poteva fare a meno di pensare alle parole di Derek, se fossero state vere avrebbe voluto dire che Celianè non era stato del tutto frutto della sua fantasia. Anche nei suoi sogni si parlava di fenici, il ragazzo misterioso lo aveva detto chiaramente “voleva una fenice”, ma perchè?

Dopo due ore di punizione spese a pensare solo a quello, uscì da scuola con un mal di testa terribile. Arrivata a casa non riuscì nemmeno a fare la lezione e dopo una notte insonne decise che il giorno dopo non sarebbe andata a scuola, avrebbe recuperato le due ore di punizione un'altra volta. Uscì dalla camera solo per dire ad Autume che non si sentiva bene e poi ritornò a letto.

Semmai qualcuno le avesse permesso di conoscere qualcosa degli Halliwell, non avrebbe mai avuto incubi e non sarebbe stata nemmeno trattata come un idiota da Derek. Insomma quel ragazzino conosceva la sua famiglia e lei no?

Mossa da una rabbia che nemmeno lei sapeva da dove provenisse dopo due ore di autocommiserazione, si tolse il pigiama e si mise la prima maglietta e il primo paio di pantaloni che trovò, prese le chiavi dell'auto e guidò fino ad arrivare a casa di Amelia, lei era l'unica che le avrebbe potuto dare l'indirizzo degli Halliwell. Suonò il campanello tre volte, prima che la cameriera aprisse.

-La signora è in casa?- chiese decisa.

-Si... è in salotto...-

-Perfetto-

Senza aggiungere altro si diresse in salotto, quando sua nonna la vide le andò di traverso il thè che stava bevendo.

-N-no dovresti essere a scuola?-

-Non mi sentivo bene... ho bisogno di dell'indirizzo di Patricia...-

-Che? Ma ti senti bene?-

-Si, mai stata meglio in vita mia... voglio l'indirizzo... d'altronde anche loro sono la mia famiglia, no? Dammi l'indirizzo, so che ce l'hai...-

-Ashley siediti e spiegami cosa è successo, perchè vuoi andare da Patricia?-

-Perchè? I miei compagni di scuola conoscono meglio di me mia nonna... mi sono stufata di fare la figura dell'idiota, ora mi vuoi dare quell'indirizzo si o no? Se non me lo dai tu lo chiedo ad Autume, tanto anche lei lo sa e me lo darà sicuramente... quindi evita di farmi fare la stessa strada quattro volte...-

-Va bene... va bene... ma ti avverto che a Patricia Halliwell non piacciono le improvvisate come la tua...-

Amelia si alzò dal divano e prese un pezzo di foglio dove scrisse l'indirizzo, poi lo diede ad Ashley guardandola bene negli occhi.

-Hai tutto il diritto di conoscerli, ma sappi che ti conviene presentarti nella maniera giusta... loro sono gente molto fredda e molto più attenta di me all'educazione... per quanto sia tua nonna, la prima impressione su di lei sarà importantissima...-

-Va bene... grazie-

Non sapeva che altro dire, così se ne andò il più in fretta possibile. Salì in auto e senza troppe difficoltà riuscì a trovare la villa degli Halliwell. Rimase ad osservarla fuori dai cancelli per più di mezz'ora. La sicurezza che l'aveva portata fino a lì, era andata a pezzi.

La casa bianca e maestosa si ergeva di fronte a lei. Senti un tuffo al cuore. Era lì ,a qualche metro di distanza dalla parte della “famiglia” di cui non sapeva niente. Sentiva i battiti accelerare, era come se la parte del suo sangue che apparteneva a quella casa, si fosse appena svegliata da un lungo letargo e stesse rispondendo al richiamo di quelle mura bianche. Che strana sensazione! Non aveva mai provato nulla del genere. Forse inconsciamente dietro quel cancello,oltre che sua nonna, s'aspettava di trovarci anche suo padre. S'aspettava di trovare Steven. Chiudendo gli occhi, quasi se lo poteva immaginare suo padre da bambino, mentre giocava e correva in quel cortile. Quasi sentiva la sua risata. Continuava a guardare il cancello nero e si chiedeva cosa sarebbe successo se, come le aveva detto Amelia, lei conciata in quella maniera non fosse piaciuta a nessuno dei suoi parenti.

Fece retromarcia e ritornò ad Howard. Salì velocemente in camera sua e cominciò a cercare qualcosa di adatto per presentarsi da Patricia, ma non trovò niente: non ne aveva più di gonne e abiti eleganti. Era sua madre quella che si occupava di comprarle vestiti per le occasioni particolari, lei non si era mai posta il problema. E ora Micol non c'era più. Lei non c'era più.

Se ci fosse stata l'avrebbe aiutata a prepararsi, le avrebbe trovato l'abito giusto, le avrebbe raccolto i capelli in maniera elegante. Perché Micol non era lì? Perché diavolo sua madre non la stava aiutando?!

Era morta, le rispose una vocina arrogante.

Era morta, ripeté lei a bassa voce.

Come persa si sedette per terra e incominciò a piangere. Non le capitava da tanto tempo. Lei non piangeva più, era diventata forte, si ripeteva. Lei ora viveva con Autume e le ragazze, era felice, oramai!

Era felice, urlò. Non servì a niente, continuò a peggiorare. Piangeva e piangeva come una bambina. Si sentiva così sola.

Non sarebbe mai piaciuta a Patricia, lo sapeva. La nonna neanche voleva saperne della nipote e lei stava per suonare al suo campanello... ma che le era saltato in mente? Lei non ne aveva più di legami con loro. Papà e Mamma erano morti e lei non avrebbe ritrovato nessuno dei due dietro i cancelli di villa Halliwell.

Si alzò e si sdraiò in posizione fetale sul letto. Rimase così fino a quando il telefono non cominciò a squillare. Lasciò che suonasse a vuoto per un po', ma poi si stufò di sentire il rumore e rispose.

-Ho chiamato Patricia, mi ha detto che non sei più andata... ti senti bene?-

era Amelia.

-L'hai chiamata?-

-Si, le ho detto che saresti andata da lei... e lei mi ha chiamata circa cinque minuti fa dicendomi che non ti eri fatta vedere... cosa ti ha fermato?-

-Che ti ha risposto quando le hai parlato del mio arrivo?-

-Era sorpresa, ma mi ha detto che te l'avrebbe perdonata quell'improvvisata...-

-mmh...- biascicò

-Non ci vuoi più andare? Che ti prende... eri così decisa...-

-Ma chi sono io per presentarmi da lei in quella maniera... e chi è lei per permettersi di dire che m'avrebbe perdonato l'improvvisata... prima che lei debba perdonarmi qualcosa io devo scusarla della sua assenza negli ultimi sedici anni della mia esistenza...-

-Ashley vuoi che venga lì? Stiamo un po' insieme...-

-No... grazie nonna... preferisco rimanere un po' da sola...-

-Ma-

-Ciao nonna- e riattaccò.

Passò la giornata in camera sua, chiuse a chiave e non aprì nemmeno quando Autume bussò preoccupata. La sentì sedersi vicino alla porta e questo le fece ritornare alla mente quella volta che suo padre non era potuto ritornare in tempo per il suo compleanno da un viaggio di lavoro. Anche quella volta si era sdraiata sul letto e aveva chiuso la porta a chiave. Sua madre l'aveva chiamata più volte e alla fine stanca di rimanere in piedi, si sedette fuori dalla porta. Micol per convincerla ad uscire, le iniziò a raccontare vecchi aneddoti della sua infanzia. Dopo un quarto d'ora speso a parlarsi da dietro a una porta, Ashley aprì e si sedette accanto alla madre. La rabbia e la tristezza passarono. Doveva essere stato il suo decimo compleanno, perchè per gli altri non se la sarebbe mai presa così tanto per l'assenza del padre.

Quel giorno Ashley non uscì dalla sua camera, non servirono a niente neanche le preghiere di sua nonna, che era venuta allarmata dopo la telefonata. Ashley, verso le dieci di sera la sentì dire a sua zia che ritornava a casa e che nel caso fosse uscita di chiamarla. Poi un'oretta dopo sentì Autume andare in camera sua. Le sarebbe piaciuto chiederle scusa per quel comportamento idiota, ma il suo corpo non si muoveva, le sue labbra rimanevano ferme. Nulla più rispondeva ai suoi comandi, solo le sue palpebre che si chiusero e le permisero di addormentarsi.

Quando si svegliò, era ancora tutto buio, accese il cellulare e vide che erano all'incirca le 4 di mattina. Lentamente si alzò dal letto e aprì la porta: sulla soglia c'era un vassoio con quella che doveva essere la cena. Prese il vassoio e scese le scale, voleva riportarlo in cucina e magari mangiare qualcosa lì. Si sedette su una sedia e prese un tramezzino dal piatto. Diede qualche morso e poi non lo toccò più , la sua attenzione fu presa da una luce blu che proveniva dal salotto. Frastornata e sorpresa si alzò e “andò” dalla luce.

Non credeva ai suoi occhi, se non fosse stato per il dolore che sentiva ancora , avrebbe pensare di stare ancora sognando. Una grande sfera azzurra era davanti a lei,simile a quella dello chalet nel bosco.

Spinta da un coraggio che non le era mai appartenuto si avvicinò alla sfera e la toccò. La luce la avvolse e lei non ebbe il tempo di ritirarsi, prima di poter provare ad allontanarsi, si ritrovò nuovamente nello chalet del bosco. Stavolta però non c'erano porte e finestre da cui poter scappare, c'erano solo lei e il muro con la pittura con le quattro braccia e la strana frase. Il suo corpo si mosse nuovamente da solo e con le dita sfiorò il simbolo dell'acqua. Appena la sua pelle fu a contatto il muro freddo, le altre tre braccia che tenevano nella mano gli altri simboli dell'aria, del fuoco e della terra scomparirono assieme al resto del chalet.

Fu circondata dall'acqua, ma non si bagnò.

Subito dopo arrivò il fuoco, ma non si bruciò.

Fu sollevata dall'aria e non cadde giù.

Poi la terra la portò giù e la avvolse, ma lei continuò a respirare.

Infine venne l'acqua nuovamente e le sembrò di nascere una seconda volta.

Chiuse gli occhi e quando gli riaprì si ritrovò sdraiata sul pavimento di casa.

La casa di Micol e Steven Halliwell, quella in cui era nata.

Era pomeriggio e i mobili non erano coperti dalle lenzuola bianche, anzi era tutto come prima. Sentì delle voci provenire dalla cucina. Si alzò di scatto e corse velocemente verso la stanza. C'erano i suoi genitori lì dentro e c'era anche lei, all'età di circa dieci anni.

-Mamma! Papà!-urlò,ma nessuno dei due rispose. Riprovò un'altra volta, ma le sue grida non ebbero risposta nuovamente.

Rimase ad osservarli in silenzio, era strano ma seppure lei lì fosse inutile, nessuno in quel momento poteva essere più felice di lei. Toccò con la mano il viso di sua madre, sentì il suo buonissimo profumo di lavanda, poi andò da sua padre. Lo baciò sulla guancia, come faceva da piccola. Poteva vivere in quella dimensione o in quel sogno (non sapeva bene cosa fosse) per sempre. Il cuore cominciò a battere e le uscì qualche lacrima: mamma e papà erano lì, si disse a bassa voce.

La sua versione da bambina finì la merenda e se ne andò in camera sua, Ashley intanto rimase ad osservare i genitori per qualche altro minuto, quando sentì i suoi piedi bagnarsi. Abbassò gli occhi: il pavimento era bagnato! Alzò nuovamente lo sguardo: Steven non c'era più, era scomparso.

Seduta sulla sua vecchia sedia a dondolo, Micol la stava osservando e stavolta Ashley era sicura che stesse guardando proprio lei.

-Mamma?-

-mio Dio come sei diventata bella...-

-Mamma tu mi vedi?! Tu mi vedi?-

-Ashley... sono così fiera di te... risplendi mia cara, risplendi!-

-Mamma ma che...-

Ashley non ebbe il tempo di finire, un coro di voci femminili aveva preso il pieno possesso di tutta la stanza.

-Risplendi fenice, risplendi!- dicevano.

Improvvisamente le mura della stanza furono attraversate da undici donne bellissime, tutte vestite con elegante mantello bianco ornato sulla vita con delle perle bianche e delle fantasie in oro.

Circondarono Ashley, che nel frattempo era rimasta in silenzio, frastornata da tutti quegli eventi.

Dopo qualche minuto calò il silenzio e le donne che si trovavano di fronte a lei fecero spazio a una dodicesima figura incappucciata. Quest'ultima si scoprì il volto: era Micol ed era vestita come tutte le altre.

Ashley la guardò sorpresa. Micol sorrise per darle coraggio e poi le prese la mano.

-Matriarche! Mie madri! Mie sorelle! Siamo qui oggi per accogliere nella nostra famiglia una nuova fenice! Ashley Charlotte Mayson Halliwell, che possa essere la sua vita piena di coraggio e di felicità!- poi Micol si rivolse alla figlia -Benvenuta figlia mia nella Loggia, che tu possa essere la fenice più splendente-

Ashley che non sapeva bene né cosa dire e né cosa fare, rispose con un timido grazie. Non capiva neanche cosa stesse veramente succedendo, ma qualcosa le diceva che era positivo. Qualche istante dopo, le dodici donne attorno a lei (sua madre compresa) alzarono le braccia in alto e poi le abbassarono, come a indicare Ashley. Una potente luce bianca la avvolse e la sollevò. L 'Acqua la avvolse nuovamente e quando riaprì gli occhi, Ashley si trovò sdraiata sul pavimento del salotto di sua zia: sul suo polso destro, unica prova di quello che era appena successo, il simbolo dell'acqua. Spaventata si alzò velocemente e corse in camera sua. Non credeva nemmeno lei a quello che era successo. Aveva forse sognato per tutto quel tempo?

Guardò l'orologio: non erano passati che dieci minuti da quando si era svegliata. Frastornata e spaventata prese un sonnifero: doveva dormire. Il farmaco ci mise un po' a fare effetto ma alla fine riuscì ad addormentarsi.

Quando si alzò erano all'incirca le nove e mezza. Di andare a scuola non se la sentiva, ma non voleva nemmeno stare a casa da sola, non dopo tutto quello che si era immaginata quella notte. Per essere sicura che la luce celeste e quelle donne erano solo un'invenzione, alzò la manica destra della maglia, sicura che non ci avrebbe trovato niente.

Si sbagliava perchè il simbolo dell'acqua era ben inciso sulla sua pelle. Era tutto vero e quindi lei era una fenice? Ma che cosa assurda...

Prese un grosso respirone e poi con lo sguardo cercò il cellulare : doveva chiamare Autume e dirle che ora stava meglio. Lo vide sulla scrivania e ingenuamente alzò il bracciò come per chiamarlo.

Il telefonino in meno di un secondo fu nella sua mano. 

   
 
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