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Autore: _BlueLady_    18/09/2012    5 recensioni
[ Dal Prologo]
Tutti lo chiamavano Eclipse, perché proprio come un’eclissi era in grado di nascondersi alla luce del sole, per poi fare la sua ricomparsa di notte, nelle vie buie delle città più conosciute, alla ricerca di non si sa quali preziosi tesori.
Le prime pagine dei giornali erano piene delle sue immagini, i gendarmi di ogni città gli davano la caccia, nella speranza di catturarlo e finalmente infliggergli la punizione che meritava per tutti i furti commessi in passato.
Non c’era traccia di scovarlo, tuttavia.
Così come appariva, altrettanto misteriosamente scompariva, lasciando dietro di sé solo un cumulo di mormorii perplessi ed impauriti.
Attenzione: leggermente OOC, la lettura potrebbe risultare un pò pesante.
Genere: Mistero, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rein, Shade, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 18~
 
Erano appena sorte le prime luci dell’alba quando Rein prese la decisione di uscire di casa senza rendere conto ad alcuno di dove andasse, e dirigersi nel luogo in cui le era stato dato l’appuntamento la notte scorsa.
Il sole era ancora pallido in cielo, ed illuminava a fatica coi suoi raggi i fili d’erba ancora adornati delle gocce di rugiada, intorpiditi dal freddo della sera precedente.
La natura era ancora soggiogata al torpore del sonno, lungi dallo svegliarsi e riprendere quel ciclo che lei, montando in sella a cavallo per poi lanciarsi nella prateria, aveva precariamente sconvolto.
Nonostante avesse dormito poco più di tre ore quella notte, era piena di energie: il desiderio di chetare al più presto le pene che le appesantivano il cuore quasi non le faceva avvertire il peso della stanchezza che le premeva costantemente sugli occhi, offuscandole la mente e i pensieri.
Il feroce rumore che gli zoccoli del cavallo producevano sfregando col terreno sottostante lo dimostravano: parevano volersi fare prepotentemente spazio in mezzo a quella miriade di suoni tenui e soffusi che precedevano la venuta del giorno.
Man mano che il paesaggio sfrecciava veloce di fonte ai suoi occhi, il sole compiva un nuovo gradino della sua scalinata incontro al mattino, rinvigorendosi man mano che procedeva lungo la salita e incendiando i suoi raggi di una nuova energia.
Eppure, lei non lo sentiva.
La velocità alla quale galoppava e la concentrazione con cui si dirigeva sempre più incontro al suo obiettivo le davano l’impressione di essere stata proiettata in una dimensione oltre il tempo e lo spazio conosciuti.
Quando il sole raggiunse l’apice del cielo e giunse finalmente alla sua meta, le sembrarono essere passati solamente pochi istanti da quando era partita.
Si osservò intorno soddisfatta, non appena realizzò ciò che aveva di fronte: la contea di Moonville si ergeva imperiosa di fronte a lei, mostrandole con orgoglio ogni sorta di paesaggio che aveva da offrirle.
Infiniti campi si stagliavano oltre le colline, e, oltre quelli, altri e altri ancora.
Pareva quasi un luogo paradisiaco, riservato solamente ai pochi fortunati che avevano il diritto di abitarvi.
Sorrise, non potendo fare a meno di pensare che, in fondo, non ci si poteva aspettare altrimenti dalla terra in cui era il visconte di Moonville a fare da padrone.
Eppure, c’era qualcosa che stonava fastidiosamente con la perfezione di quel paesaggio.
Nessuno, infatti, oltre a lei, sembrava godere di quell’appagante visione.
Tutto giaceva nella più immota tranquillità: non un sussurro, non un sospiro.
Non c’era nulla che lasciasse pensare che quel luogo potesse essere ancora abitato da qualcuno.
Le abitazioni giacevano immobili e imperturbate nella loro staticità: fredde, spoglie, senza alcun cenno di vita al loro interno. Le strade erano vuote e deserte, quasi ci si poteva sorprendere della loro ampiezza: il rimbombo dei suoi passi contro il terreno in pietra andava a sostituire l’eco delle grida dei bambini che forse, un tempo, avevano giocato a rincorrersi lungo quelle stesse vie, intralciando il passo dei viandanti.
Anche la piazza della cittadina era completamente deserta: pareva quasi il palcoscenico di un teatro andato ormai in rovina, spoglio delle sue scenografie e dei suoi attori.
Solamente la sagoma trasandata di un carro ormai vecchio e inutilizzabile le fecero capire che, certamente, quella cittadina doveva essere stata abitata in passato, molti anni fa.
Decadente, era l’aggettivo più appropriato per quel luogo paradisiaco e immacolato, eppure dalle tonalità così cupe e malinconiche.
Le venne da domandarsi il perché Eclipse, se veramente era stato lui ad inviarle il messaggio, avesse voluto incontrarla proprio lì.
Mentre proseguiva la sua esplorazione senza lasciarsi contagiare da quell’atmosfera intrisa di malinconia, non poté evitare al suo cuore di scalpitare velocemente, in preda all’emozione che un desiderio ancora inespresso le provocava.
Rein sapeva che in quel luogo avrebbe potuto facilmente incontrare il visconte, e quella rara probabilità di trovarselo improvvisamente davanti agli occhi le faceva ardere in petto un briciolo di speranza mista a timore.
Lei voleva incontrarlo, eppure, dall’altra parte, non lo voleva affatto.
I sentimenti che provava per Eclipse contrastavano violentemente con quelli riservati al visconte di Moonville, e non le permettevano di analizzare ancora del tutto con cura quale fosse l’uomo che il suo cuore, forse, aveva scelto già da tempo.
Si ritrovò a pensare, addirittura, di potersi ritrovare faccia a faccia con entrambi, e finalmente dar pace a quel tormento che la assillava dal giorno in cui aveva fatto la loro conoscenza.
Due uomini, un solo cuore.
Sussultò, venendo a contatto con quel timido pensiero.
Un breve attimo di lucidità le permise di prendere coscienza di dove fosse capitata, seguitando nella sua camminata.
Ragionando tra sé e sé, si era lasciata alle spalle la cittadina fantasma, giungendo nei campi coltivati della periferia.
Anche lì, ogni cosa era pervasa dal silenzio, sola nella propria solitudine.
Quasi si sorprese quando scorse una figura lontana accennare un lieve movimento, nettamente in contrasto con l’immobilità del paesaggio circostante.
Aguzzando meglio la vista nel tentativo di riconoscere l’ignoto visitatore, si avvicinò cautamente.
La figura accennò un altro movimento, teneva un oggetto tra le mani che scagliava più volte a terra con violenza: un vecchio contadino dalla folta barba che affondava più volte la sua fidata zappa nel terreno del suo modesto orticello.
Non appena Rein fu a pochi passi di distanza, tirò un sospiro di sollievo, lieta che ci fosse una qualche forma di vita, oltre a lei, in quel luogo apparentemente addormentato.
- Chiedo scusa…!- esclamò, mentre il vecchio si voltò a guardarla con un velo di perplessità nello sguardo.
 

¤¤¤¤¤¤
 

 

“Il gioiello che tanto cerchi… si trova in casa di Rein Sunrise.”
Quelle parole tornavano a riecheggiargli nella mente, quasi fossero il marchio di un antico maleficio che la mala sorte aveva voluto scagliargli contro.
Da tutta la notte, ormai, non facevano che dargli il tormento.
Un opprimente senso di angoscia continuava a premergli incessantemente sul cuore, andandogli a chiudere la bocca dello stomaco.
Irritato ed agitato continuava a rigirarsi nel letto, le coperte simili a un macigno, incapace di prender sonno, nonostante la stanchezza gli ottenebrasse costantemente la mente e gli occhi.
Il volto diafano della duchessa, nel quale erano incastonati quegli smeraldi che rappresentavano la causa di tutte le sue pene, continuava a sovrapporsi ai mille pensieri che gli fluttuavano in testa, schernendolo e risvegliandolo dal suo sonno tormentato.
Auler Windsworth si maledisse per aver bramato con tutto sé stesso un incontro ravvicinato con la Dea, la notte scorsa.
Era per colpa di quell’incontro, se adesso era ridotto in quello stato.
Troppe cose di essenziale importanza erano accadute in quell’attimo che avevano trascorso insieme.
L’aveva vista piangere e perciò l’aveva stretta a sé, recitando alla perfezione la parte dell’innamorato devoto e affezionato.
Ricordò con terrore di come avesse avvertito muoversi qualcosa in petto, non appena l’aveva sfiorata, e di come fosse stato certo che a pervadergli le membra fosse stato qualcosa al di fuori del suo controllo.
Non era stata compassione quello che aveva provato, sebbene lo stato pietoso in cui Altezza si trovasse non potesse suscitargli altro che pietà e commiserazione.
Non era stato nemmeno odio verso sé stesso ciò che aveva cominciato ad ardergli in petto, sebbene in quel momento il suo cuore non riuscisse proprio a perdonarlo di averla coinvolta in una situazione più grande di lei.
Era decisamente qualcosa al di fuori della sua portata, ciò che anche in quel momento lo stava assillando.
Aveva lottato disperatamente contro sé stesso ed il suo istinto, che più volte lo aveva pregato di stringere ancora di più a sé quel fragile corpo, nel tentativo di conferirgli una protezione che, lo sapeva, non doveva e non voleva darle. O, almeno, così riteneva che fosse.
…Possibile che cominciasse a tenere a quella giovane donna più di quanto non tenesse a sé stesso e al suo orgoglio?
Possibile che anche un essere spregevole come lui potesse provare un sentimento così forte e devastante… come l’amore?
Aveva implorato il suo perdono, nel rendersi conto di ciò, e le parole che le aveva rivolto erano state espresse con una sincerità tale da mettere paura perfino a sé stesso.
Sconcertata e confusa, la Dea aveva piantato gli occhi nei suoi, quasi a voler ritrovare la forza d’animo che aveva momentaneamente perduto, e che soltanto lui, con le sue parole, avrebbe potuto conferirle.
- …Mi ami?-
Due parole, sussurrate a fior di labbra quasi con timore, aveva osato esprimere senza il minimo riguardo verso sé stessa e verso di lui.
Due parole che non appena le erano uscite di bocca, gli si erano impresse a fuoco nella mente e nel cuore, e che avevano cominciato a consumarlo dall’interno, soffiandogli via qualsiasi forza di volontà.
Mai avrebbe pensato che parole così avventate avrebbero potuto uscire da labbra tanto docili. Quella domanda lo aveva lasciato spiazzato, senza alcuna capacità di rispondere a ciò che gli aveva chiesto.
Sentiva il cuore ardergli feroce in petto, mentre la tentazione di risponderle gli faceva fremere le corde vocali, nel tentativo di sciogliere quel conflitto interiore che lo stava pian piano consumando.
Come poteva pretendere di amarla, se non si faceva scrupoli nell’ingannarla?
Come poteva ancora essere capace di mentirle, dopo che l’aveva appena vista soffrire a causa delle menzogne che suo fratello continuava a raccontarle?
Improvvisamente, si sentì un essere terribilmente meschino.
Lui le aveva mentito sotto ordine di sua sorella, ma erano davvero queste le sue intenzioni?
Come poteva continuare ad assistere impassibile al logoramento di un animo tanto fragile e delicato?
Come poteva tollerare tutto ciò?
E perché, diamine, cominciava solo ora a darsi pena per questo?
Non riusciva davvero a comprendere come fosse giunto a quel punto. Un punto di non ritorno, indubbiamente.
Altezza era riuscita a metterlo alle strette.
Cosa avrebbe dovuto risponderle?
Dire che l’amava? Per prenderla nuovamente in giro?
Oppure mandare tutto all’aria, e confessarle ciò che erano in realtà i suoi sentimenti per lei? Dirle che l’aveva sfruttata, ingannata, usata solamente perché lo conducesse al suo obiettivo finale?
Inorridì disgustato di sé stesso, rigirandosi nel letto, inquieto.
Aveva ingannato Altezza. Questa era l’unica certezza che gli era rimasta.
L’aveva ingannata, si, ma non perché lo volesse (che razza di persona avrebbe mai provato gusto nell’ingannare il prossimo?), ma perché era suo dovere mentirle.
Dunque, alla domanda che lei gli aveva posto, era già a conoscenza di cosa avrebbe dovuto risponderle.
- Si…-
Un senso di profondo disprezzo verso sé stesso gli era piovuto addosso d’improvviso, non appena aveva avvertito lo sguardo stralunato della Dea contro il suo.
Con che diritto osava ancora ingannarla?
E perché il senso di colpa continuava a logorargli le membra?
Il cuore era tornato ad ardergli in petto, come a volergli dare la risposta che lui aveva tentato di soffocare tanto affannosamente in sé stesso.
Sei uno sciocco, Auler: ti sei innamorato.
Soltanto dopo aver realizzato ciò era riuscito a confessarlo apertamente anche a lei, in tono fermo e deciso, confermando pienamente a sé stesso quell’amara verità.
Amara, si, perché non poteva permettersi di amarla, come non poteva permettere che lei lo ricambiasse.
Eppure era così.
In un istante aveva avvertito una furiosa scarica di adrenalina scorrere in ogni singola vena del corpo, il cuore che pulsava violentemente in petto, libero dalle catene alle quali la sua volontà lo aveva costretto.
Era stato allora che si era sentito nuovamente in pace con sé stesso, perché nella menzogna che aveva architettato, aveva saputo ammettere la verità più grande di tutte.
Auler Darthmour aveva dichiarato il proprio amore alla duchessa di Tinselpearl, eppure a fargli pronunciare quelle fatali parole era stato il volere di Auler Windsworth.
La sincerità con cui aveva agito era stata a dir poco impressionante.
Preso da una nuova euforia, aveva osservato Altezza trionfante, felice quanto lui se non di più per ciò che era appena uscito dalle sue labbra.
L’aveva baciata spontaneamente per la prima volta, libero da qualsiasi costrizione esterna, assaporando il calore delle sue labbra sulle proprie.
Sophie di certo non avrebbe approvato una simile ribellione, ma ciò pareva non importargli, al momento.
La marionetta si era  finalmente liberata dai fili che la tenevano legata al suo burattinaio. 
Nient’altro aveva più importanza, ormai, se non ciò che era riuscito a conquistarsi avvalendosi solamente della sua forza d’animo.
Poi eccola, la rivelazione che lo aveva fatto nuovamente tornare alla cruda realtà, parole che non avrebbe mai voluto udire.
- Il gioiello che tanto cerchi… si trova in casa di Rein Sunrise.-
Il senso di colpa era tornato a piovergli addosso dall’alto, trafiggendolo come un pugnale conficcato a fondo nel cuore.
Altezza gli aveva lanciato un’ultima occhiata d’intesa, sinceramente soddisfatta per avergli appena dimostrato la sua assoluta devozione.
Lo aveva baciato un’ultima volta, per poi tornare da colui che, agli occhi di tutti, era il suo promesso sposo, l’uomo che fingeva di amare con tutta sé stessa.
Illuso.
Davvero credeva sarebbe bastata una semplice confessione, per fuggire dalla realtà nella quale era inevitabilmente imprigionato?
Davvero aveva creduto che due parole avrebbero sistemato ciò che l’ambizione della sorella aveva costruito?
Illusi, sia lui che la duchessa, per aver avuto fede anche solo per un istante ad un sogno destinato a non realizzarsi mai.
Questo era ciò che costitutiva il suo tormento anche in quell’istante sotto le coperte, e quella consapevolezza gli aveva impedito di voltare le spalle agli ordini della sorella, di nuovo.
Quello che aveva di fronte, era un punto di non ritorno.
Sebbene l’amore che nutriva per la duchessa ardesse feroce in lui, il senso di dovere verso Sophie era più forte.
Perciò, conscio di stare tradendo contemporaneamente sé stesso, Altezza e tutti i suoi principi, aveva compiuto ciò che gli era stato ordinato.
Indossare una maschera color pece, raggiungere il cocchiere dei Mera riferendogli un messaggio indirizzato a Rein Sunrise, perché quella venisse a conoscenza di una verità che, ne era certo, avrebbe cancellato qualsiasi fiducia che serbava verso il prossimo, e verso il visconte di Moonville. 
 

 

¤¤¤¤¤¤
 

 

Il vecchio contadino le lanciò un’occhiata perplessa e spaesata, conficcando per bene la zappa nel terreno ed appoggiandosi al manico di quella con un gomito.
Le iridi grigie e spente erano fisse sull’esile figura che aveva di fronte, lo sguardo acceso di una scintillante curiosità.
Rein si sentì in imbarazzo ad essere osservata per così tanto tempo senza ricevere alcuna risposta alla domanda che gli aveva posto.
- Mi state forse prendendo in giro, signorina?- esclamò a un tratto l’uomo, scoppiando in una fragorosa risata.
- Ho forse l’aria di una che ha voglia di scherzare?- rispose lei, inorridita da tanta volgarità.
Il vecchio continuò a sghignazzare tra sé e sé, sotto lo sguardo stizzito della giovane.
Rein continuava ad osservarlo accigliata, senza capire il motivo di tanta ilarità.
Gli aveva solamente domandato se il visconte di Moonville facesse visita alla sua contea spesso, dato l’aspetto lugubre e tetro che quel luogo incantato celava all’apparenza.
- Ditemi, vi sembra che questo posto abbia l’aspetto di un ambiente che valga la pena di essere visitato?- le domandò il vecchio, invitandola ad osservarsi attorno con un ampio gesto della mano.
Rein roteò gli occhi verso il paesaggio desolato che aveva di fronte a sé, per poi tornare a piantare le sue iridi cristalline verso il suo interlocutore.
- Mi sembra un ambiente piuttosto trascurato, per appartenere ad un visconte - azzardò, incerta.  
Il vecchio annuì, deciso: - Il visconte di Moonville non si reca mai a far visita alla contea. Non più, almeno -
- Posso domandarne il motivo?- chiese ancora Rein, perplessa ed incuriosita allo stesso tempo dal fascino che quella stimolante faccenda intrisa di mistero sapeva donarle.
Perché mai il visconte di Moonville aveva permesso che la sua terra venisse ridotta in quello stato? Non era forse lui, il suo amministratore?
Quale motivo l’aveva spinto a lasciarsi tutto alle spalle, senza preoccuparsi minimamente della sorte a cui andava incontro il suo territorio?
- Un triste evento ha costretto Vossignoria ad abbandonare le questioni finanziare del proprio paese. Un brutto caso, il suo – continuò l’uomo, quasi a voler rispondere alle innumerevoli domande che le si stavano affollando nella mente in quell’istante.
Il vecchio lanciò un sospiro sommesso, prima di continuare. Si appoggiò con entrambi i polsi sul manico scheggiato della sua fidata zappa, puntando gli occhi grigi e spenti verso di lei.
- La contea non è stata più la stessa, da quando il visconte ci ha lasciati, passando a miglior vita…-
A Rein parve mancare il respiro per un attimo soltanto. Deglutì a fatica un bolo di saliva che le era rimasto bloccato in gola.
- Mi state dicendo che il visconte di Moonville è… morto?-
Un brivido le percorse la schiena, non appena pronunciò a fil di voce quell’ultima parola.
Il vecchio annuì di nuovo.
- Da vent’anni, ormai – rispose – Un brutto incidente, il suo. Da quando ci ha lasciati, la contea è rimasta priva di un padrone che fosse capace di amministrarne il territorio…-
Quelle ultime parole le lasciarono un velo di perplessità dipinto in volto.
- Il defunto visconte è stato l’ultimo padrone della contea? Non ha lasciato il territorio al figlio perché potesse continuare a prendersene cura come fece il padre prima di lui?-
Non appena ebbe pronunciato ciò, si sentì lo sguardo stravolto dell’uomo addosso.
Il vecchio la osservava stralunato, quasi scioccato da ciò che le era appena uscito di bocca.
- Figlio?- esclamò stupito – Il visconte non possedeva alcun erede… Tutti i suoi averi sono stati spartiti tra i ducati e i marchesati vicini… Signorina? Si sente bene?-
Il vecchio la vide accasciarsi al suolo stravolta sotto il peso di quelle crude parole.
Rein si prese il volto tra le mani, devastata, distrutta, incapace di credere alla verità che l’uomo di fronte a lei le aveva appena confessato.
Le morte del visconte, la contea di Moonville in rovina e ormai inesistente, un figlio che non c’era mai stato…
Tutto, tutto le sembrava troppo ipocrita, troppo crudele, troppo difficile da accettare.
Gli occhi azzurri si persero nel vuoto, sofferenti, devastati.
Le forze cominciarono a venirle meno, crollò, incapace di sopportare il peso di quella schiacciante delusione.
L’uomo del quale si era innamorata, l’uomo per il quale erano riservati tutta la sua ammirazione e il suo rispetto era un falso. Una menzogna.
Ancora le riusciva difficile crederlo. Eppure era costretta ad ammetterlo a sé stessa, prima che il dolore di quella scoperta divenisse insopportabile.

Shade Moonville… non era mai esistito.


Angolo Autrice:

Dopo settimane di silenzio, torno a farmi viva. Chiedo perdono alle poche buone anime che mi seguono (se mai ce ne siano ancora) del ritardo stratosferico con cui mi presento col nuovo capitolo, ma ultimamente ho poco tempo da dedicare alla scrittura e, ammetto anche quello, pochissima ispirazione. Sto passando un periodo in cui mi sento davvero poco produttiva, e me ne dispiace (a voi no, lo so).
Comunque, vi avevo promesso un capitolo prima o poi, ed eccolo qui. Vi avevo promesso alcuni chiarimenti, e li avete avuti, anche se ad essi si sono aggiunte altre domande ed altri misteri (si, mi odiate, lo so).
Shade Moonville non è quello che sembra, e Rein ne è rimasta sconvolta. Quali altri misteri sono nascosti dietro la figura dell'affascinante visconte?
Auler ha finalmente ammesso la verità: fingendo di amare Altezza, ha finito per innamorarsene veramente. Si dimostrerà più fedele nei confronti della sorella, o dell'amante?
Davvero non so come farmi perdonare di questi continui ritardi se non scusandomi con i miei lettori. Questa attesa sta danneggiando anche me, in quanto noto che a recensire la storia sono sempre meno persone.
Me ne dispiace, ovvio, ma comprendo anche che è difficile seguire una fiction che procede così a rilento. Mi scuso ancora, sperando di riuscire a ritrovare in futuro l'ispirazione che ho momentaneamente perduto.
Con la speranza che qualcuna di voi abbia ancora voglia di seguire la fiction, vi lascio, sperando di conoscere i vostri pareri a riguardo del capitolo.
Un saluto a tutti, ci vediamo al prossimo capitolo! (quando di preciso, non si sa)

_BlueLady_

  
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