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Autore: Piccolo Fiore del Deserto    18/09/2012    2 recensioni
Fiamme divoravano il corpo di una donna legata a un palo sulla cima di un palchetto. [...]
“Strega, assassina, figlia e moglie del demonio…” tanti epiteti le venivano scagliati, mentre sagome scure puntavano croci verso di lei intonando litanie atte a scacciare il male e a purificare, insieme al fuoco, la sua anima corrotta. Il corpo bruciava, urla strazianti uscivano dalle sue labbra, mentre deperiva come un semplice ciocco di legno. Faceva male, colpiva nel profondo, e non aveva fine. Una morte lenta, tormentosa, inquietante.
Altre figure scure s’intromisero tra i popolani, ma non avevano volti: maschere nascondevano i loro tratti, assumendo il grottesco ghigno di un lupo. Lupi, troppi lupi intorno a sé.
Tra quell’oscurità e il fumo che le saliva sino agli occhi appannandole la vista affaticata dal dolore, scorse un’altra sagoma: era un vero lupo dal manto come neve e profondi occhi cristallini che la fissavano intensamente. La donna lo scrutò per alcuni istanti e il dolore sembrò attenuarsi.
Ma chi era quella donna?
Con mio profondo sgomento repressi a stento un urlo: quella donna ero io.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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II
Incontri





L’acqua nella bacinella era fresca e un brivido mi fece sussultare non appena le mie mani ne entrarono in contatto.
La primavera era appena iniziata, ma ancora non faceva così caldo da trovar piacere nel compiere quel gesto, tuttavia non eravamo abbastanza ricche da permetterci acqua calda ogni qual volta era nostro desiderio e ormai mi ero abituata.
Mi detersi il viso con cura, cercando di scacciare dalla mia mente le immagini del passato e, una volta asciutta, riflettei la mia immagine nel medesimo specchio che avevo visto la prima volta che mi ero risvegliata in quella che era ormai divenuta la mia stanza personale.
Quella che vidi riflessa, non era più un’orfana sperduta, affamata e impaurita, ma una donna che si era creata una vita nuova.
I miei corti boccoli biondi si erano allungati, scorrendo lungo la schiena fino alla vita come un soffice manto; il mio corpo era maturato, arrotondandosi un poco e perdendo quella piattezza tipica dell’infanzia.
Spesso avevo ricevuto complimenti, tuttavia non osavo vantarmi del mio aspetto perché non era tipico del mio carattere.
Osservandomi con più attenzione rividi entrambi i miei genitori: mia madre nelle linee delicate e armoniose del viso e nel piccolo naso all’insù, e mio padre nell’oro dei miei capelli e nelle labbra piene che ero solita arricciare in modo buffo quando qualcosa non andava secondo i miei piani, proprio come faceva lui.
Cercai di sorridere alla mia immagine riflessa e feci un profondo respiro: dovevo vivere il presente e non mostrare tristezze; il mondo va avanti senza attenderti e questo l’avevo ormai compreso da anni.
Quando mi sentii convinta e pronta ad affrontare la nuova giornata, indossai una camiciola bianca di cotone e sopra una semplice veste azzurra, con ricamata all’altezza del petto, sulla destra, il simbolo della loggia di Madame Le Marchand, ove dall’età di dieci anni ormai lavoravo.
Il colore, tuttavia, dimostrava il mio nuovo impiego: non ero più la sguattera, ma anni di impegno, devozione, frustrazioni, fallimenti e vittorie mi avevano portato a essere un sarta abile, capace di realizzare ogni genere di abito e accessorio per trasformare i desideri di tutte le dame e i messeri del luogo in realtà. Cercavo di lavorare per tutti; dai più poveri fino ai membri della corte stessa, allocata in un grande Palazzo sulla sommità di una collina circondata da un tranquillo torrente.
Negli ultimi anni avevo enormemente superato le aspettative di Madame Le Marchand e me stessa: ero diventata, infatti, la sarta più conosciuta e ricercata di Sivelle e ne ero orgogliosa.
Un raggio di sole s’infiltrò nella stanza illuminandola maggiormente. Ero ormai pronta a cominciare una nuova giornata.



*



Il rumore di una carrozza mi distolse ben presto dal mio lavoro. Stavo cucendo con cura un abito di seta rossa per una dama, quando alzai lo sguardo verso l’ingresso della Loggia. Non ero sola; nella sala grande molte donne, alcune ancor bambine, lavoravano ad altri vestiti nei loro rispettivi tavoli, ma tutte si accorsero dello stridio sulla strada ciottolosa.
Ben presto il silenzio fu ulteriormente interrotto dall’aprirsi dell’uscio, susseguito dall’ingresso di una graziosa dama abbigliata d’un abito giallo ocra.
La nuova arrivata fece vagare il suo sguardo nel salone e presto incrociò il mio, sorridendomi raggiante.
« Bonjour a tutte! » esordì chinando appena il capo e quindi si avvicinò al mio tavolo. « Desirée, ma chére, stavo giusto cercando te! »
« Eccomi, dunque. Cosa ti porta qui dama Lemoine? » chiesi con educazione, ma lei arricciò il naso contrariata.
« Oh, suvvia Desirée, quando imparerai a chiamarmi per nome? Siamo amiche dopotutto, non è forse vero? »
In effetti, eravamo amiche da diversi anni.
Ero a Sivelle da solo un anno quando la intravidi.
Sin dalla più tenera età era stata educata a corte per diventare una perfetta dama di compagnia del Conte della città.
Ricordavo bene il nostro incontro: io ero ancora solo una sguattera, ma quel giorno osservavo con minuziosa attenzione il lavoro di una sarta, in uno dei pochi momenti liberi e quando mi vide abbigliata in modo così scialbo – in contrapposizione al suo raffinato abito di raso rosa, ricco di pizzi e merletti – storse le labbra in una smorfia di disgusto che mi spinse ad arrossire, imbarazzata, e a provare il desiderio di svanire all’istante.
Non c’eravamo, quindi, apprezzate subito, ma col tempo la situazione mutò e mi ritrovai a essere la sua sarta personale, oltre che cara amica.
Spesso le prime impressioni sono errate, solo con il tempo puoi imparare a conoscere meglio chi hai davanti.
Con il trascorrere degli anni anche lei era mutata. Quella che, infatti, avevo ormai davanti agli occhi era una donna formosa, che riluceva di luce propria, grazie anche a quell’elegante abito giallo, dalla gonna ampia e il bustino stretto al petto, che risaltava le sue morbide forme, com’era di moda all’epoca. Il tutto era corredato da un grazioso cappellino sul capo, adornato da fiori bianchi e rossi di stoffa e guanti fino ai gomiti anch’essi gialli.
I capelli scuri come l’ebano erano lasciati sciolti, tirati indietro appena da forcine, e i suoi occhi verdi mi scrutavano desiderosi di una risposta.
« Perdonami Louise-Marie, non sono abituata a rivolgermi così a una dama di alto rango. » ammisi con sincerità, abbassando lo sguardo sulla morbida stoffa cui stavo lavorando.
Lei si chinò un poco verso di me, allungando poi le mani guantate ad afferrare le mie con delicatezza.
« E a un’amica? » domandò con dolcezza.
Sollevai di nuovo lo sguardo verso di lei e il mio cuore si sciolse di fronte a cotanto affetto.
Lei era come una sorella.
« A un’amica posso farlo… » risposi, rivolgendole un caldo sorriso. Bastò un attimo per farla tornare allegra e pimpante come prima.
« Bene, allora possiamo passare ad altri argomenti più interessanti! » esclamò, per poi scostare una sedia senza chiedere permesso alcuno e vi si sedette con la solita grazia frutto della sua educazione.
« Certamente. »
La osservai posare lo sguardo sull’abito che avevo smesso di cucire e credendo che quello fosse l’argomento, mi affrettai a dire:
« Non ho ancora concluso il tuo abito, ma se ti serve presto posso lavorarci l’intero giorno così da fartelo avere domani stesso. »
Louise-Marie posò la mano destra su quella morbida stoffa e poi scosse il capo.
« No, non sono qui per questo. Prenditi il tempo che ti occorre, non voglio che la mia cara amica, nonché sarta di fiducia, si stanchi troppo e realizzi un abito appena discreto. » replicò, arricciando le labbra e allontanando la mano dalla stoffa. « Sono qui per un altro argomento che ti riguarda più nel profondo… » si fermò e lessi un lampo birichino nei suoi occhi smeraldini « …del tuo cuore ».
Io arrossii di colpo comprendendo immediatamente il senso delle sue parole; sentii la gola arida, tanto che non riuscii a proferire parola alcuna.
La dama proruppe in una sonora risatina, coperta appena dalla mano destra guantata, facendo voltare con curiosità le altre donne presenti.
« Ma come sei dolce ma pétite Desy! » esclamò continuando a deridermi ancora un poco. « Basta accennare anche velatamente al tuo amore ed eccoti arrossire violentemente e non avere più parole. Sei proprio innamorata, n’est pas? »
Avvertii gli sguardi delle altre artigiane, i loro sorrisi, il brusio dei loro commenti e un crescente calore frutto dell’imbarazzo mi avvolse.
« Oh, ti prego, Lou, non ridere di me, mi metti in imbarazzo…» mormorai.
« Pardon ma douce! »
Si ricompose lanciando appena uno sguardo alle altre, prima di soffermarlo ancora una volta verso di me.
« Comunque sono qui per darti gli ultimi aggiornamenti sulla festa per il vostro fidanzamento ufficiale. Il Conte mi ha concesso il permesso di realizzarlo presso i giardini del suo Palazzo in caso di bel tempo, o nel Salone delle Feste in caso di pioggia. Certo, non sei una dama di corte, ma sei la sarta migliore di Sivelle ed anche il nostro Conte apprezza le tue qualità e ha accettato con piacere quest’evento, tanto più che il cuore che hai rubato appartiene a uno dei suoi soldati! »
La osservai gesticolare come il solito mentre parlava, e per un attimo sembrai rilassarmi, ma al pensiero del soldato il rossore tornò a farsi intenso sulle mie gote.
« Ti ringrazio infinitamente per tanto calore e per la tua immensa gentilezza, ma… »
Non mi fece terminare, scuotendo subito il capo, stizzita.
« Oh no! Non voglio sentirti dire ancora frasi come ‘non voglio una festa troppo sfarzosa’ o simili. Sei la mia migliore amica, la sorella che non ho mai avuto; hai realizzato tanti miei desideri con i tuoi meravigliosi abiti e accessori e ora sta a me! »
Tornò a prendermi le mani e l’espressione del suo viso si addolcì. « Meriti una festa da sogno. Smetti di essere solo un’artigiana almeno per un giorno e immagina di essere una vera dama che compie il primo importante passo per coronare il suo sogno d’amore con l’uomo che più ama. »
Sentii il cuore accelerare il battito di fronte a una tale dimostrazione d’affetto; i miei occhi si fecero umidi e, se non ci fosse stato il tavolo a dividerci, l’avrei abbracciata. Non potendolo fare, mi limitai a stringere un poco più forte le sue mani e a rivolgerle un sorriso denso di gratitudine. Notai anche la sua commozione che subito tentò di mascherare con una nuova risata cristallina.
« Grazie di cuore, sorella mia. Per me è molto importante quello che fai per noi… »
« Non devi ringraziarmi. Sai che è il mio dovere realizzare feste tese a rallegrare il Conte e le corte tutta. Tu sei abile a realizzare abiti, mentre io ho il dono di realizzare eventi importanti. » alzò il mento, fiera di sé, ma le nostre mani restarono unite.
« Sì, ho sentito parlare delle tue particolari abilità per le feste, e finalmente potrò vederlo con i miei occhi. »
Le mie parole contribuirono a rafforzare il suo ego; l’ammiravo per la sua sicurezza e quell’autostima che a me mancavano.
« Ma se sono qui è anche per avvisarti di una cosa. Ho bisogno di un altro abito per la festa: deve essere discretamente elegante e bianco come il latte… »
Portò l’indice della mano destra a picchiettarsi il mento, pensierosa: « … e poi potresti aggiungere dei pizzi all’altezza del petto e sulle maniche? Magari anche delle piccole rose di stoffa rossa, anzi no, forse meglio rosa, che si dipanano sulla gonna, ampia, chiaro. Ah già! Ricorda che il bustino deve mettere in mostra le forme, sai la moda… » gesticolò con la mano destra, mentre mi rivolgeva un sorriso malizioso. Io segnai tutto su un taccuino.
« Va bene. Devo abbinarci anche qualche accessorio? » le domandai.
« Certamente! Graziosi guanti di raso bianco e un cappellino abbinato. Lascio al tuo gusto e alla tua deliziosa immaginazione e creatività. Mi fido di te. »
« Tu riponi fin troppa fiducia in me, ma mi rendi felice. »
Lei sorrise deliziosa e poi aggiunse:
« Bien, credo che sia tutto. Fra tre settimane ci sarà il grande evento a Palazzo, tutto per te. »
Si alzò e, dopo essersi riassestata il lungo abito, aggiunse:
« A presto Desy e non stancarti troppo, dovrai essere deliziosa e riposata quel giorno. »
Annuii e mi alzai per rivolgerle un saluto più opportuno.
« Va bien, Lou, a presto ».
« Au revoir a voi tutte. »
Così dicendo, si voltò e uscì.
Lo stridio della carrozza ci indicò che si stava allontanando.
Non mi lasciai prendere troppo dalle emozioni; c’era molto lavoro da fare e non volevo essere canzonata dalle altre che di tanto in tanto mi lanciavano sguardi maliziosi e risatine. Tornai a occuparmi dell’abito, ma il mio cuore pulsava e la mia mente lavorava già a possibili immagini e risvolti dell’evento.
Il mio evento.


*



Quella stessa sera rimasi oltre l’ora consueta di lavoro, poiché ero presa da un’insana voglia di portare a termine, nella maniera più opportuna ovviamente, l’abito per la mia amica. A questo, si era poi aggiunta l’ispirazione per buttare giù una bozza della sua ennesima importante richiesta, e ben sapevo che non potevo lasciarmela sfuggire quando essa mi spronava, perché soltanto in quei momenti riuscivo realmente a disegnare qualcosa di unico e, seppur con modestia, perfetto.
Ero, dunque, sola in quell’ampio salone al pian terreno; le altre artigiane erano tornate alle proprie dimore, ormai stanche ma anche per andare a badare ai loro compiti di mogli e madri. La cosa, tuttavia, mi rendeva serena.
Con quel silenzio riuscivo maggiormente a non lasciarmi distrarre e potevo dedicarmi con maggiore attenzione a quella che ormai era diventata la mia arte, una sorta di magia.
Ero così presa dal mio disegno, da estraniarmi quasi dal mondo reale, tanto da non accorgermi sin da subito di un rumore alla porta.
Quando però, il rumore si fece più forte, dovetti abbandonare quello stato di trance e tornare alla realtà. Inarcai le sopracciglia, sorpresa, chiedendomi chi potesse giungere alla loggia a un’ora così tarda, quando ormai tutti erano tornati alle loro dimore per cenare e riposare.
Dopo un primo attimo di perplessità, alzai il tono di voce e dissi:
« Chi è a quest’ora della sera? »
Solitamente la porta della loggia non era serrata, per permettere ai clienti di entrare, senza dover fare alzare continuamente le sarte, ma a un’ora così tarda i rischi erano molti, e dovevo essere prudente prima di far entrare chiunque fosse all’esterno.
Una voce delicata, simile al suono delle acque, rispose:
« Vi chiedo perdono per l’ora, Mademoiselle, ma sono qui per un ordine importante, se è ancora permesso entrare. »
Ascoltai le sue parole, quella voce femminile che mi parve essere – non sapevo neanche io per quale motivo – rassicurante, e le permisi di entrare, nonostante non fosse più l’ora di lavorare.
« Venite dunque avanti, ho ancora qualche minuto per ascoltare le vostre richieste. »
Lasciai il carboncino in un apposito contenitore, e sospirando gettai un’ultima occhiata al disegno ancora incompleto dell’abito, prima di spostare lo sguardo verso la porta, da dove proprio in quel momento stava facendo il suo ingresso una giovane donna.
Era avvolta in un mantello scuro come la notte, il cui cappuccio fece scivolare non appena mise piede nel locale. Potei così osservarla meglio: morbide onde castano-biondo le incorniciavano il viso, scorrendo fino al collo; occhi grandi color del legno non indugiarono troppo sull’ambiente, quanto sul mio viso. Era piccola e formosa, e le sue labbra, carnose, si distesero in un sorriso luminoso, non appena incrociò il mio sguardo e si fece più vicina.
« Bonsoir Mademoiselle, sono profondamente dispiaciuta nel dovervi rubare tempo proprio a un’ora così tarda, ma non ci metterò molto, ve lo prometto. » disse, chinando appena il capo in segno di scuse.
Io scossi il capo e la invitai con un gesto della mano a sedersi senza problemi.
« Non vi preoccupate Mademoiselle, ditemi pure ciò che desiderate. Siete stata fortunata, questa sera mi sono persa nel mio lavoro e ho fatto tardi. » ammisi, arrossendo lievemente.
La giovane donna scrutò con curiosità e impertinenza il foglio su cui avevo disegnato una parte dell’abito, e annuì.
« Noto. Mi hanno detto che siete una grande artista, avete una particolare dote nel realizzare abiti per tutti i gusti, e avete suscitato sorrisi e realizzato desideri a molte dame e messeri della contea. » disse, scrutandomi con attenzione, e quello sguardo mi rese un po’ inquieta. Non amavo, infatti, essere guardata troppo a lungo. La donna dovette comprenderlo, giacché smise di fissarmi e si sedette con cura sulla sedia, aprendo un poco il mantello, lasciando intravedere al di sotto una veste verde scuro molto semplice, legata alla vita da un nastro di un verde più chiaro. Ora ero io a scrutarla con curiosità, domandandomi chi fosse.
« Le persone parlano in modo eccessivo, sono solo una sarta che ama il suo lavoro ed è felice di realizzare nel suo piccolo i desideri di chi si rivolge a me. » ammisi, palesando come sempre la mia – forse troppa – modestia.
« Non dovete essere troppo modesta, Mademoiselle, la vostra è una vera arte e dovreste essere orgogliosa di voi stessa. » replicò ma, dopo poco, aggiunse. « Ma non voglio perdermi in troppe chiacchiere, anche se conversare è una delle cose che mi riesce meglio. » emise una breve risatina « Se sono qui, è perché io e le mie sorelle vorremmo vedere con i nostri occhi ciò che siete capace di fare. »
Le sue parole m’incuriosirono, non sapevo ancora il suo nome, non essendosi presentata, e non l’avevo mai vista effettivamente, ma in fin dei conti non ero una che bazzicava troppo in città.
« Ditemi pure cosa devo fare e vedrò di accontentarvi. »
Lei posò le mani una sopra all’altra sulle gambe e cercò di spiegare al meglio ciò che voleva.
« Quel che vi chiedo è di realizzare dei piccoli sacchetti di velluto, blu notte, che possano essere facilmente chiusi tramite una sottile cordicella d’argento. » Si fermò, un attimo, forse cercando di visualizzare al meglio ciò che intendeva spiegare. Io, nel frattempo, presi un foglio e iniziai, tramite un carboncino, a tracciare la forma di quanto mi veniva detto.
« Dovrebbero esserne dieci in tutto, sì. Almeno al momento. Ovviamente se la vostra arte sarà di nostro gradimento, torneremo di certo a chiedervi altro, nel rispetto dei vostri ritmi e tempi, chiaramente. » fece un’altra pausa, soffermando lo sguardo di nuovo con insistenza su di me. Sembrava come se volesse analizzarmi, ma forse era una delle mie solite paure infondate.
« Ditemi, lo volete semplice o preferite aggiungerci una figura particolare sul davanti? » chiesi dopo aver tracciato una prima forma del sacchetto.
Lei sembrò rifletterci un attimo, ma poi i suoi grandi occhi marroni s’illuminarono di colpo, e le sue labbra si distesero a formare due parole, come trasportate da un soffio di vento.
« Una luna. » seguì una pausa « una luna piena, d’argento ovviamente, e ai suoi lati – sempre se lo ritenete possibile e fattibile – altre due lune nelle fasi in cui la… » si fermò un attimo, come accortasi di star per dire qualcosa di sbagliato « come quell’astro appare. Decrescente e Crescente. Il tutto deve essere unito, come se fossero tre volti, tre ‘sorelle’. »
Aggrottai la fronte, un poco perplessa da una tale richiesta, ma quando cercai di visualizzarla nella mia mente, mi ritrovai a sorridere. Non era male come immagine. Le tre facce della luna, e al centro proprio quella che io stessa preferivo sin da bambina.
Silenziosa iniziai a tratteggiare al centro del mio sacchetto quanto richiesto, e ancora una volta sentii lo sguardo della donna scrutare il mio operato con attenzione.
Quando ebbi concluso, dissi:
« Quindi, volete dieci sacchetti di velluto blu, possibilmente chiudibili tramite una corda d’argento, e al centro la rappresentazione delle tre fasi della luna. Tutto qui, vero? »
La donna annuì soddisfatta, e sorrise.
« Esattamente, Mademoiselle. Al momento non ho bisogno di altro. »
Ricambiai il sorriso, e lasciai il carboncino nel solito contenitore.
« Bene. Ho altri lavori da portare a termine, ma se m’indicate un periodo entro il quale li volete, cercherò di fare del mio meglio per rispettare i tempi e non farvi attendere troppo. »
« Fateli pure con calma, senza fretta. Quando avrete tempo e modo. »
Si alzò dunque, come se avesse finito il suo dire, ma prima che potesse allontanarsi, aggiunsi.
« Ma ditemi, come vi chiamate e dove potrò farvi consegnare questi sacchetti? »
Lei mi rispose con un sorriso enigmatico che non riuscii a comprendere.
« Quando sarà il momento, mi farò di nuovo viva. Attendete, e non fatevi troppe domande. Il mio nome? » chiese « potete chiamarmi Cécilie. »
Così dicendo, mi diede le spalle, ripose il cappuccio a coprire il capo, e uscì scomparendo ben presto nell’oscurità, lasciandomi di nuovo sola e senza parole.


















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Grazie a chi legge e lascia un pensiero!
Al prossimo capitolo :)

ps. Probabilmente nel prossimo inserirò i link delle immagini dei primi personaggi presentati ;)

   
 
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