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Autore: Ariadne_Bigsby    19/09/2012    3 recensioni
{OTTAVO CAPITOLO AGGIORNATO}
(ATTENZIONE, LA STORIA CONTIENE SPOILER)
Una Fan Fiction basata sul monologo di John Blake a Wayne Manor: l'infanzia "arrabbiata" di John, la perdita dei genitori, la scoperta dell'identità di Batman, la sua idea di giustizia e la sua crescita, da me immaginate ed elaborate in questa storia che ingloba luoghi e personaggi del film.
“John Blake hai detto? Ma, è il tuo cognome o quello della tua famiglia adottiva?”
“E’ il mio..”rispose Blake a voce bassa.
“Beh, è strano! Qui c’è un John Cain e un John Maislee, ma nessun John Blake.”
Blake si morse di nuovo il labbro e, senza volerlo, assunse un’aria colpevole che non passò ignorata da Shannon.
“Allora…non vuoi dirmi chi sei?” gli chiese in tono gentile. Quante volte aveva avuto a che fare con bambini del genere, che si rifiutavano di usare il loro cognome, usando quello della famiglia adottiva, quasi a voler rinnegare le loro origini?
“Robin. Mi chiamo Robin Blake..” cedette alle fine il bambino, abbassando gli occhi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Batman aka Bruce Wayne, James Gordon, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Spoiler!
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Il primo capitolo è andato! Siete sicuri di volervi addentrare anche in questo?

 

Io spero di sì, perché mi fate contenta e mi fate ben sperare che il mio “parto” sia ben riuscito :3

 

Allora, in questo capitolo mi concentrerò sui genitori di Blake: nel film, John dice che sua madre è morta in un incidente d’auto e che lui non se lo ricorda nemmeno,e che il padre era stato ammazzato per colpa dei debiti di gioco, e che quello se lo ricordava anche fin troppo bene (chapeau a Joe che mi ha trasmesso la sensazione che lui, mentre parlava stesse “rivivendo” l’accaduto) .

 

Ho inventato di sana pianta i nomi dei genitori, specie quello della madre.

 

Questo capitolo è un po’ più lungo del precedente, perché ho inserito tutti e due gli episodi, con 2 stacchi  temporali. In realtà avevo pensato di mettere due episodi separati, ma mi piace di più così in realtà.

 

Ho fatto una fatica immane a trovare una foto adatta  di inizio capitolo, ma quando l’ho trovata si è praticamente illuminata la stanza!

 

Spero che la mia” invenzione” dia un senso di continuità al film. Bene, siete pronti?

Ready, set…go!

Loss.

Photobucket

“Papà, dov’è la mamma?” chiese il bambino, infagottato in un cappotto due volte più grande di lui.

 

Il padre lo guardò: nel suo sguardo non c’erano segni di fastidio o spazientimento, sebbene quella domanda gli venisse posta tutti i giorni.

 

“La mamma è volata in cielo, tesoro.” Gli rispose in tono gentile, come faceva ogni volta che suo figlio glielo chiedeva

 

Robin sapeva che la risposta sarebbe stata sempre e solo quella. Non ne capiva benissimo il significato, gli sembrava quasi buffa come cosa ma, in qualche modo, gli piaceva sentirselo dire. Gli piaceva l’idea che sua mamma fluttuasse da qualche parte sopra le loro teste, leggera e senza peso serena e senza preoccupazioni.  Papà non era mai sereno o tranquillo: andava sempre di fretta ed aveva quell’aria preoccupata perennemente stampata sul viso. Spesso si guardava intorno con aria ansiosa, quasi avesse paura di vedere sbucare da un vicolo qualcuno che non voleva vedere.

 

Robin aveva solo 4 anni quando sua mamma era morta: lui era con lei quando era successo, ma per qualche strano motivo, la sua mente aveva rimosso l’accaduto. Un attimo prima c’era la mamma, seduta al volante, che lo aveva appena guardato, sorridendo. Un attimo dopo, Robin vedeva la faccia di suo padre china su di lui, gli occhi rossi e gonfi, l’aria di chi ha appena saputo qualcosa di terribile.

 

“Papà, ma secondo te la mamma ci guarda da lassù?” chi

 

ese timidamente il piccolo, tirando il padre per la manica del lungo cappotto e indicando il cielo che minacciava di neve.

 

Il padre trasalì appena: una persona adulta avrebbe potuto anche notare che i suoi occhi si erano appena inumiditi. “Certo Robin, bambino mio. Ci guarda e ci protegge.”

 

E a Robin bastava sapere questo: alzò gli occhi verso il cielo e agitò la manina, sorridendo.

 

                                                                                                                                                  ***

La signora Blake era morta pochi mesi prima in un tragico incidente d’auto. Era appena uscita dal lavoro e, come tutti i giorni, era andata a prendere il figlio all’asilo. Era una giornata nuvolosa, ma non stava piovendo. Aveva piovuto anche troppo nei giorni passati, così tanto, che l’amministrazione della città aveva accarezzato l’idea di attivare le misure di sicurezza anti-allagamento, ma il pre-allarme era cessato. Tuttavia, le strade erano ancora umide e piene di pozzanghere. Era la fine di Ottobre.

 

Mentre la signora Blake guidava verso la scuola del figlio, poco distante, una banda di malviventi ripuliva in fretta e furia la cassaforte di una banca.

 

Non erano dei professionisti, erano solo dei disperati allo sbaraglio, che avevano già freddato il cassiere, colpevole di aver lasciato cadere un bloc-notes. Il rumore aveva fatto perdere il lume della ragione a uno dei malviventi, che senza pensarci, preso com’era dal nervosismo, aveva aperto il fuoco verso la fonte del rumore.

 

Mentre i ladri arraffavano tutto quello su cui riuscivano a mettere le mani, la signora Blake entrava nell’atrio dell’asilo e cercava con lo sguardo il suo Robin.

 

Quando lo vide, alle prese col suo zainetto rosso, che rifiutava di chiudersi, a causa della quantità di matite, pennarelli e quaderni che il bambino ci stipava dentro, non poté evitare di sorridere intenerita.

 

Aveva scelto  lei il nome di suo figlio: il padre avrebbe preferito qualcosa di più “classico”, come Thomas o Dick, ma lei era stata irremovibile.

 

Robin, pettirosso. Margery Blake non era sempre stata una cittadina di Gotham: c’era nata, ma aveva vissuto in campagna fino a quando non si era sposata.

 

Amava gli animali, ogniqualvolta trovava un animale ferito, si prodigava per aiutarlo. Suo padre la chiamava “Crocerossina” e lei aveva deciso che da grande avrebbe fatto la veterinaria o l’infermiera.

 

Una volta, suo padre le aveva portato un pettirosso ferito ad un’ ala: qualche ragazzino del paese doveva avergli sparato con una pistola a pallini. Lei e suo padre lo avevano curato, ma senza nutrire grandi speranze, perché gli uccellini erano molto delicati da maneggiare e gli esiti non sempre erano buoni.

 

Miracolosamente il pettirosso era guarito: Margery lo aveva guardato, mentre gonfiava il petto rosso, pronto a spiccare il volo ed aveva ripensato a quando gli aveva medicato la ferita e lui era rimasto nel palmo della sua mano, docile e indifeso. In realtà Margery aveva sempre avuto un debole per i pettirossi, per la loro buffa macchiolina rossiccia sul petto, per il loro canto gorgheggiante, per il loro aspetto tenero ed indifeso.

 

Quando aveva scoperto di essere incinta aveva deciso che quello sarebbe stato il suo nome: sarebbe stato il suo Robin, la sua creatura da accudire e proteggere.

 

Il marito John aveva un po’protestato, ma alla fine, data la testardaggine della moglie, aveva finito per cedere.

 

Mentre Margery Blake metteva in moto la macchina, i criminali che avevano rapinato la banca scappavano dal luogo del delitto, mentre l’allarme, scattato in ritardo, riecheggiava nell’atrio, assordandoli. Si infilarono nella macchina del loro complice, che li aveva aspettati fuori controllando maniacalmente i minuti, ma avevano lasciato indietro uno di loro. L’uomo che aveva esploso il colpo che aveva ucciso il cassiere, al sentire l’allarme aveva avuto una specie di esaurimento nervoso ed era stramazzato sul lucido pavimento della banca, singhiozzante.

 

Nel frattempo, la signora Blake guidava,diretta verso casa: erano le 5 del pomeriggio ed avrebbe avuto il tempo di preparare la merenda per Robin e per andare a fare la spesa.

 

Mentre la signora Blake faceva questi progetti, l’auto dei malviventi si gettava nel traffico di Gotham, incurante delle altre automobili. Il contachilometri segnava una velocità sempre più alta, ma il suono delle sirene della polizia si faceva sempre più vicino ed incalzante. I ladri riuscivano quasi a sentire l’odore delle gomme surriscaldate delle auto dei loro inseguitori.

 

C’era un semaforo a pochi metri, che era fermo sul rosso, i banditi non lo videro neanche e continuarono la loro folle corsa. Anche se avessero deciso di frenare, la velocità era troppa e l’asfalto bagnato avrebbe peggiorato le cose.

 

Nell’altro senso dell’incrocio, quello regolato dal semaforo che aveva la luce verde accesa, passava una macchina grigia, la macchina della signora Blake, che non si accorse neanche della macchina che di lì a pochi secondi avrebbe colpito la sua fiancata. E non se ne accorse mai.

 

                                                                                                                                           ***

 

Robin aprì la porta di casa, curvo sotto il peso dello zaino.

 

“Papà!” chiamò, riponendo le chiavi  in una zuppiera al lato della porta.

 

Non ci fu risposta, ma a Robin non servì: la porta della cucina era socchiusa e ne usciva una densa nuvola di fumo e un parlottio concitato, inframmezzato da risate roche e dal tintinnio delle monetine.

 

“Papà sta di nuovo giocando..” concluse il ragazzino dirigendosi verso camera sua “ancora un po’ e metterà pure me come posta..”

 

Erano passati 6 anni da quell’incidente, ormai Robin era un bambino di 10 anni, che ne dimostrava almeno 2 o 3 di meno. Tuttavia, Robin non aveva mai avuto un’infanzia che si potesse definire tale: dopo la morte della moglie, il signor Blake era caduto in una profonda depressione, dal quale non era più uscito. Aveva cominciato a bere e a fumare, saltava il lavoro e quando ci andava non era produttivo. Alla fine era stato licenziato, dopo ripetuti richiami all’ordine, caduti tutti nel dimenticatoio.

 

Robin ricordava benissimo di come il capo di suo padre, fosse venuto personalmente a suonare alla loro porta per comunicargli la notizia.

 

“Mi dispiace solo per questo ragazzino che ti porti appresso..” aveva commentato in tono gelido, lanciando un’occhiata sprezzante a Robin, che era rimasto vicino alla porta con la mano sul pomello, incapace di distogliere lo sguardo da suo padre, che tremava per la vergogna e l’umiliazione.

 

“Se non ti dai una regolata, farai una brutta fine..” aveva concluso l’uomo, allontanandosi dalla loro porta “tu e tuo figlio.”

 

Così, cominciarono tempi difficili per i due Blake: il padre trovava lavoretti occasionali, se aveva fortuna, lavori che venivano pagati poco o che non venivano pagati affatto e che implicavano stare fuori tutto il giorno e tornare a casa esausto e svuotato.

 

Robin aveva assistito impotente alla lenta discesa di suo padre nel baratro, con addosso una voglia tremenda di fare qualcosa per cambiare l’ordine delle cose. Ma cosa avrebbe potuto fare un bambino?

 

Robin era cresciuto troppo in fretta, aveva imparato a convivere troppo presto con la miseria, con lo squallore e con la solitudine. Sentiva dentro di sé qualcosa che non riusciva ad identificare, come un fuoco che ardeva piano . Curiosamente aveva questa sensazione ogni qualvolta sentiva notizie di crimini, di ladri che avevano rapinato banche lasciando una scia di morti, di ingiustizie, di violenze che erano tristemente comuni a Gotham. Ma per qualche ragione, Robin fremeva di indignazione e rabbia, al sentire lo speaker comunicare sempre notizie del genere.

 

Robin sapeva che suo padre avrebbe dovuto dare una sterzata alla sua vita, alla loro vita, ma non riusciva a fargliene una colpa: gli voleva bene, più bene di quanto gli fosse concesso dimostrare, perché era l’unico appiglio che aveva, l’ultimo spiraglio di normalità in una vita dove veniva  sempre visto come “quello con la mamma morta”.

 

Il signor John Blake amava il figlio, che era l’unico ricordo tangibile della moglie scomparsa: quando lo guardava mentre giocava in silenzio in un angolo, studiava ogni sua mossa, a volte maledicendosi per non essere più partecipativo, e in quelle movenze rivedeva Margery. Quando Robin gli dava la buonanotte, alzandosi e guardandolo mentre se ne andava in camera sua, vedeva sua moglie nei lineamenti di suo figlio. Il suo stesso nome gli faceva tornare alla mente quella ragazza che si impuntava per dare quello strano nome al bambino che aspettava.

 

Robin ricordava pochissimo della mamma: quello che a 4 anni gli sembrava indelebile era piano piano svanito, lasciando il posto ad un ricordo nebuloso. Non aveva il coraggio di chiedere a suo padre di raccontargli qualcosa, per paura di farlo stare male.

 

Erano una strana coppia. Una persona esterna avrebbe potuto dire che erano le ultime persone al mondo fatte per stare insieme.

 

Tuttavia, la notte, Robin usciva dalla sua camera e si metteva nel letto accanto a suo padre. Gli si accoccolava accanto, osservandolo finché non si svegliava, a causa del fruscio delle lenzuola, e si accorgeva che il figlio era lì con lui.

 

Allora lo abbracciava stretto, come se avesse paura che, come l’uccellino suo omonimo, gli scivolasse dalle dita, gli dava un bacio sulla fronte e bisbigliava “Robin.Il mio Robin..”

 

                                                                                                                                                ***

 

Robin seguì suo padre nel vicolo buio: era preoccupato, ma cercava di non darlo a vedere. Da quando suo padre aveva iniziato a giocare, per raggranellare qualche spicciolo, i loro guai erano aumentati.

 

In realtà il padre giocava anche quando la moglie era viva, ma non aveva mai puntato somme alte e, soprattutto, giocava solo per il gusto di farlo, senza sentire davvero il bisogno di guadagnare.

Ora era diverso: ora doveva trov

are assolutamente dei soldi in poco tempo e il fine giustificava i mezzi.

Aveva iniziato a giocare in modo più irresponsabile quando aveva toccato il fondo della sua depressione, puntando somme di denaro via via più grosse. C’erano guadagni sì, ma ben presto venivano superati dalle ingenti perdite che lo lasciavano più povero di prima.

 

Il padre aveva cominciato scommettendo sui suoi risparmi, ma ben presto aveva dovuto dare via anche le cose più preziose che aveva, fra cui i gioielli della moglie.

 

Qualche volta, quando vinceva qualcosa, abbracciava il figlio e gli diceva che le cose sarebbero cambiate in meglio, che avrebbe trovato un lavoro rispettabile, che gli avrebbe comprato dei giocattoli nuovi..ma tutte queste promesse svanivano dopo che il padre ci aveva dormito su.

 

Prometteva a se stesso e  che avrebbe smesso di giocare, per il bene suo e per non mettere in pericolo il figlio, ma puntualmente ricadeva nella trappola.

 

“Non fai neanche uno sforzo piccolo piccolo..” aveva commentato una volta Robin con voce incolore, mentre Blake faceva uscire i suoi ospiti, che avevano vinto una somma considerevole. “a te  non importa niente. Dici sempre che smetterai, ma tutte le sere sei in cucina a giocare!”

 

John Blake aveva chiuso la porta e ci si era appoggiato contro, con gli occhi chiusi e Robin non aveva avuto il coraggio di replicare.

 

Non aveva mai visto suo padre così affranto e distrutto:lo vedeva tutti i giorni arrivare con quell’aria spenta, ma quella era la prima volta in cui lo vedeva così provato.

 

“Scusa papà..” Robin si morse il labbro e si avvicinò a suo padre.

 

Robin abbracciò suo padre, che gli carezzò la testa “Vedrai, andrà tutto bene.” Disse il bambino, cercando di crederci davvero.

 

Alla fine le cose gli erano andate ancora peggio del previsto: in una sessione di poker, John Blake si trovò a giocare con due tizi loschi, che dicevano di rispondere al nome di Sal Kennegan e Roger Towers, ma in realtà erano due italo-americani, tirapiedi del re della malavita, il boss Carmine Falcone.

 

Carmine Falcone aveva da poco scoperto un nuovo modo per far soldi: si informava sui giocatori più incalliti, magari quelli con più difficoltà e gli spediva a casa due “amici di amici” che lo spennavano fino all’ultimo centesimo. Quando il suo guadagno arrivava, smetteva di preoccuparsi di quei pesciolini che avevano abboccato all’amo, ma spesso e volentieri i suoi sgherri ci prendevano gusto e portavano il gioco all’estremo, con conseguenze drammatiche.

 

“Ti è andata male amico” aveva commentato Sal dopo aver appurato la sua vincita “ora sborsa la grana.”

 

John Blake dovette implorare e scongiurare affinché gli facessero credito: aveva speso gli ultimi risparmi per pagare una bolletta e stava aspettando un pagamento, non avrebbero potuto concedergli una proroga?

 

I due si erano scambiati uno sguardo d’intesa: “Ma certo. Ti diamo tempo fino alla settimana prossima, alla stessa ora. Naturalmente ci saranno degli interessi..”

 

John Blake aveva deglutito, una gocciolina di sudore gli era colata al lato della fronte ma aveva risposto con voce ferma “Li avrete.”

 

Nell’uscire, i due avevano lanciato un’occhiata a Robin, che era rimasto in un angolo a guardare, senza proferire parola e uno gli sorrise, anche se, più che un sorriso, il suo pareva un ghigno.

 

Robin aveva guardato il padre, con sguardo apprensivo.

 

“Papà..?”

 

“Non preoccuparti Robin. Domani andrò dal signor Figgs e gli chiederò se ha qualcosa da offrirmi..”

 

La settimana era passata ed il padre, ovviamente non era riuscito a rimediare neanche un centesimo: tuttavia, con una puntualità inquietante, Sal e Roger avevano bussato alla porta, reclamando i loro soldi.

 

Ancora una volta il padre li aveva supplicati ed implorati ed aveva proposto una partita per alleggerire, eventualmente, il suo debito.

 

La serata si concluse al solito modo: John Blake si ritrovò con le spalle al muro, mentre il suo debito aumentava. Se avesse saputo a chi avesse dovuto rendere i soldi avrebbe sicuramente fatto le valigie, avrebbe acchiappato Robin per un braccio  e sarebbe scappato, ma i due si erano guardati bene dal rivelare le loro vere identità e il sigron Blake non avrebbe mai potuto immaginare di essere diventato un bersaglio della Mafia.

 

Alla fine arrivò l’ultimatum, ma con una piccola differenza: l’appuntamento sarebbe stato in Sycamore Street “La mia zona.” aveva detto Roger in tono vago mentre si rimetteva il cappello ed usciva.

 

Ora, padre e figlio camminavano nel vicolo: John Blake non aveva voluto lasciare il figlio solo a casa, con tutti furti e le rapine che c’erano state nella loro zona.

Robin avrebbe ricordato per anni la cura con cui il padre gli aveva abbottonato il cappotto e si era assicurato che il figlio si mettesse la sciarpa. Era notte, c’era vento e non voleva che il figlio si prendesse qualcosa.

“Fa freddo, eh?”

“Già..” aveva annuito Robin affondando il naso nella sciarpa.

 

“Dovremmo essere già arrivati..certo che è una zona angusta questa..” aveva osservato Blake, stringendo gli occhi per leggere il numero civico.”zona pericolosa in cui abitare. Mi sembra così strano che Roger abiti qui…”

 

“E non l’ho mai detto..” sentenziò una voce alle loro spalle.

 

Robin ebbe un brivido quando, dopo essersi girato, vide che Roger, che aveva parlato, era accompagnato da altre 3 persone. Indossavano lunghi cappotti neri, che gli ricordavano quelli dei gangster dei vecchi film.

 

“Mi avevi dato appuntamento qui..” disse John Blake facendosi avanti.

 

“Esatto. Spero non ti dispiaccia che abbia portato qualche…amico in più.” Disse Roger.

 

Aveva una voce diversa, tagliente come un rasoio. Dov’era finito il Roger carismatico e affabile che era venuto a giocare a casa loro?

 

Fu in quel momento che John Blake capì che qualcosa non andava e si spostò davanti al figlio, che si sentiva sempre più inquieto.

 

“Dovevamo parlare del mio debito.” Abbozzò John Blake spostandosi verso il gruppo, sempre tenendo il figlio dietro di sé.

 

“Oh beh, ho cambiato idea..” rispose Roger in tono vago “o meglio, il mio capo ha cambiato idea.”

 

“Il tuo..capo?” ripeté Blake.

 

Robin sentì il cuore mancargli di qualche battito: aveva una bruttissima sensazione.

 

Ci fu un attimo di silenzio, poi Roger ruppe le righe e si avvicinò a Blake. Si accese un sigaro e Robin notò quanto fosse inquietante il suo sorriso. Sembrava una tagliola.

 

“Vedi amico mio..” aveva detto Roger mettendo una mano sulla spalla di John Blake, che aveva spinto il figlio ancora più indietro “il mio capo è un uomo d’onore. Lui paga i s uoi debiti, ma vedi..ha come una specie di..deformazione professionale.  Gli piace saldare i suoi debiti e si aspetta che anche gli altri facciano lo stesso. Il mio capo è anche un uomo molto comprensivo ed è disposto a concedere delle proroghe. Una volta, due volte, tre volte…poi la pazienza si esaurisce e la fiducia viene meno. E allora c’è un solo modo per riparare il tutto..”

 

Ci fu un attimo di pausa, un attimo che parve infinito, nel quale gli uomini di Roger estrassero qualcosa dalle loro lunghe giacche.

 

“Robin, scappa!” urlò Blake girandosi di scatto verso il figlio, che aveva già capito cosa sarebbe successo. Quello non era un appuntamento per discutere di un debito: quello era un regolamento di conti.

 

Un secondo prima che gli amici di Roger iniziassero a sparare, Robin iniziò a correre nella direzione opposta. Non sentiva nulla, non sentiva gli spari, non sentiva le risate degli uomini, non sentiva il suo respiro. Sentiva solo il battito impazzito del suo cuore.

 

Poi inciampò su un sacco dell’immondizia e cadde lungo disteso: non pensò che stava per morire, che stavano per sparargli. Gli venne in mente suo padre che gli diceva che mamma era in cielo e che li avrebbe protetti, poi pensò a tutti i telegiornali che parlavano delle vittime degli assassini, che agivano in vicoli angusti come quello e che anche lui sarebbe divenuto un numero in una statistica. Suo padre, che probabilmente era già morto, e lui. Ricacciò indietro le lacrime: non avrebbe dato nessuna soddisfazione a quei bastardi.

 

Sentì dei passi lenti e misurati ed inspirò profondamente: si girò e vide Roger che lo guardava, col suo solito ghigno inquietante, mezzo illuminato dal braciere del sigaro.

 

Ci fu un click e Robin capì che Roger aveva caricato l’arma. Stupidamente si mise in ginocchio  e alzò le mani sopra la testa, come se potesse servire a qualcosa, ma guardandolo con aria di sfida.

 

Roger gli puntò contro la pistola:

 

“Robin, oh Robin” lo canzonò ”cosa dobbiamo fare con te?”

 

 

 

Pheew! Ce l’ho fatta, sono riuscita a copiare tutto sul computer, per la vostra gioia  disperazione! E’ stato un capitolo tosto da scrivere, specie la fine. Non avevo idea di cosa tirar fuori dal cappello, quindi ho attinto un po’ a “Batman” di Tim Burton, per quanto riguarda i vestiti dei sicari e in generale dai film di gangster (infatti, non so perché, ma quando mi visualizzo la scena finale, la vedo ambientata una sottospecie di Gotham anni 30’ O.O).

La parte in cui Roger va incontro a Robin e lui si mette in ginocchio con le mani alzate è presa pari pari da “The Dark Knight Rises”, la scena in cui Blake cerca di fare uscire gli altri poliziotti dalle fogne, ma viene sgamato pieno  ma senza avere successo.

Mi sento in dovere di citare la musica che mi ha fatto da background per la stesura, ovvero The Dark Knight Rises Background Score Soundtrack  (in particolare dal minuto 2:51 al minuto 4:02, minuti che mi fogano da morire, non ho idea del perché)

Bene, mi sembra che sia tutto! Ci vediamo col prossimo capitolo!

 

   
 
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