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Autore: UncleObli    19/09/2012    1 recensioni
La solitudine è come un veleno. Si infiltra subdola nelle crepe della vita quotidiana. E cosa accade quando la speranza, così irresistibilmente effimera, svanisce in un battito di ciglia? Questo è ciò che è accaduto al protagonista di questa storia.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Tornato sull’autobus, il viaggio proseguì né più né meno come era iniziato. Lentamente, rudi, i pneumatici del vecchio pullman arrancavano sull’asfalto della superstrada. Benché Sally si fosse seduta vicino a me sin dalla prima fermata, non avevamo ancora scambiato praticamente una parola. Ero di cattivo umore. Guardando fuori dal finestrino potei ancora una volta scorgere il motivo del mio malumore. Stava per iniziare a piovere. Quantunque il cielo fosse ancora azzurro ad occidente, da oriente si intravedevano nuvole più scure, cariche di presagi nascosti, o almeno così mi parve allora. Avevo cercato di nascondere a chiunque il mio turbamento ma Sally l’aveva intuito istintivamente e perciò mi lasciò vagare nei miei ricordi senza interferire con il corso dei miei pensieri.  Io amavo la pioggia, una volta. Mi dava la sensazione di poter purificare il mondo da ogni sudiciume, nascosto o palese che fosse. Quando, da bambino, sentivo nell’aria la voce della pioggia mi tranquillizzavo. Era più forte di me. Ogni goccia scende velocemente, dall’alto verso il basso, in un moto inesauribile. Cadendo sul terreno si disperde, in un gioco multiforme che prosegue da miliardi di anni. E’ un pensiero confortante. Per quanto la vita sulla terra per un essere umano sia estremamente limitata vi sono meraviglie destinate a proseguire in eterno. Tuttavia presto avrei cambiato idea. Ogni singolo giorno una alla volta tutte le cose belle ci vengono portate via dal destino e più che si invecchia più si perde la capacità di provare meraviglia. Lo stupore cede il posto alla consuetudine, la felicità alla tristezza e poco a poco i ricordi gioiosi divengono sabbia e si frantumano nei meandri di una mente privata di ogni speranza. E’ inevitabile. Così come non si può fermare il corso inarrestabile del tempo, non è possibile impedire che questo renda la vita più detestabile di quanto noi stessi siamo disposti ad ammettere. Il giorno in cui morì mia madre pioveva. Fu un incidente banale, una di quelle tragedie che si possono leggere ogni giorno in un qualsiasi giornale locale. Talmente banale che chiunque, leggendo la triste notizia sul quotidiano, non ci avrebbe prestato la benché minima attenzione né avrebbe esitato a voltare pagina. Accadde in primavera, poco dopo la fioritura dei pruni. Io e mia madre eravamo in macchina. Le gocce di pioggia venivano scostate con dolcezza e solerzia dai tergicristalli della nostra Subaru di seconda mano. Per me era una giornata speciale. Dopo pochi giorni avrei compiuto il mio dodicesimo compleanno e stavamo andando in un centro commerciale a comprare un regalo adatto all’occasione. Come potete immaginare ero molto felice. Non credevo potesse accadere nulla, naturalmente, come spesso avviene in questi casi. Ricordo tutto con molta vividezza, ogni singolo particolare. Ricordo i senza tetto che cercavano inutilmente di ripararsi dalla pioggia primaverile fuori dal centro commerciale. Ricordo l’odore dolciastro e così terribilmente vivo dell’aria fresca . Ricordo che mia madre indossava un paio di jeans lunghi e una bellissima camicetta bianca, candida come la neve. E’ un’immagine che mi tormenta, come un incubo ricorrente. Non ci mettemmo molto a comprare il regalo. Sapevo già cosa desideravo, e lo avevo chiesto ai miei genitori mesi prima. Volevo un grazioso coltellino tascabile, di quelli svizzeri. Un piccolo gioiellino. Lo comprammo per trenta dollari. Io ero al settimo cielo, come lo poteva essere un ragazzino di dodici anni in compagnia della sua madre adorata. Non immaginavo nemmeno quanta disperazione e sofferenza mi avrebbe causato quel dannato dodicesimo compleanno. Ritornando a casa ci rilassammo. Chiacceravamo con tranquillità, spensierati. Un camion falciò via dalla mia vita ogni fonte di gioia. A causa della pioggia non aveva visto la nostra macchina, e l’impatto fu terribile. Io mi salvai per miracolo, praticamente illeso. Che ironia. Mi svegliai solo qualche minuto dopo l’incidente, all’interno della Subaru ridotta ad un rottame. Mi girai istintivamente, un groppo in gola. Il cuore percepisce prima il dolore rispetto alla mente. Il corpo di mia madre era spezzato. La magnifica camicetta bianca era zuppa di sangue, ma sul volto aveva ancora un ombra dell’antico sorriso. Era ancora viva, incredibilmente. Con mano tremante mi accarezzò il volto. Il mio cuore sembrava di piombo, in quel momento. Come se avesse voluto proteggermi dalla sofferenza inevitabile che di lì a poco avrei dovuto sperimentare. Mia madre spirò pochi minuti dopo. Le tenni la mano tutto il tempo, e la sentii diventare fredda. Sentivo la vita scivolare via dal suo corpo. E il sangue non ne voleva sapere di fermarsi. Il resto non desidero ricordarlo. Però cerco il più possibile di non dimenticare. Non voglio che anche lei, fra tutti coloro che hanno fatto parte della mia vita, diventi sabbia e si sgretoli. Eppure, anno dopo anno, è sempre più difficile ricordare il suo viso. I suoi capelli ramati sono già svaniti nell’oblio. Presto rimarrà solo la pioggia.
  
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