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Autore: Horrorealumna    19/09/2012    1 recensioni
L’incubo sarebbe finalmente finito.
Insieme alla mia vita e alla sua.
L’incubo sarebbe finalmente finito.
Con la nostra morte.
Dopotutto non c’è niente da temere.
Perché temere la morte quando si ha già paura del buio?
Genere: Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alessa Gillespie, Dahlia Gillespie
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fear of ...'
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24 GIUGNO 1976
 

Cosa avrebbe fatto, davanti al corpo carbonizzato, ma pieno di vita, di una povera bambina? Travis Grady l’avrebbe, senza esitazioni, salvata. Era quello che stava per fare, sicuramente.
Stava là, in piedi, a fissarla, quasi con la paura di combinare una sciocchezza.
Poi si decise: fece qualche passo verso il corpicino e...
Si tirò indietro, barcollando.
 
Aveva notato lo strano simbolo: il sigillo di Metatron, scritto col sangue, sotto il capo della bambina. Chissà cosa stava frullando nella sua testa...
Non era un marchio nocivo, anzi: era l’unico modo di tenere a bada Samael.
Samael... quel demone che... ora era dentro lei... Alessa... grazie a sua madre.
Ero anche io una parte di quel suo rito. Io non potevo minimamente sfruttare il potere buono di Metatron, fin quando ero fuori dalle mie membra mortali! L’avevo scelto io, vero, ma non potevo combatterlo in queste condizioni: era una guerra contro me stessa.
 
Se prima di crollare esausta per terra non avessi tracciato quel simbolo, col mio stesso sangue... sarei già morta.
Morta di dolore.
Morta partorendo un demone.
 
- Cosa aspetti?! - urlai a Travis, inorridita solo al pensiero del mio lugubre e incombente destino - Salvala!!
Travis mi rivolse uno sguardo accigliato: probabilmente non aveva intenzione d’abbandonarla, forse stava capendo come tenerla con sé, senza causarne la morte per bruciature.
Il corpo di Alessa era nero come la pece. Sangue e pus erano dappertutto, e non era un bello spettacolo. 
 
Lo fece.
Si fece, cautamente avanti. Il fumo e il calore l’avevano ridotto ad un ragazzo, coperto di sudore e con tracce di cenere sui vestiti. Ansimava parecchio.
Poi... sussultò.
 
 
 
- La... lasciatemi. Brucia-re... ah...
 
 
 
Un flebile filo di voce ci aveva raggiunto. Sembrava essere entrato direttamente nelle nostre menti, perché la frase continuava a riecheggiare nella mia testa.
 
Anche se aveva sussurrato appena quelle parole, mi erano risultate chiarissime.
 
Alessa aprì gli occhi e il suo petto cominciò a gonfiarsi e sgonfiarsi ad una velocità impressionante; evidentemente, non riusciva a respirare. Emetteva strani suoni ad ogni respiro e...
Cercai, per pochi secondi, di incrociare i suoi occhi semi-aperti; il colore azzurro-cielo aveva lasciato il posto ad un tetro color grigio e giallo.
Il suo occhio sinistro! Sembrava... no... ero sicurissima di averlo visto lampeggiare di rosso!
 
Parlare le era costata una fatica immensa. Adesso, che si era svegliata, quasi morta, in quell’inferno, non poteva desiderare altro che morire. Credo che l’avrebbe desiderato chiunque.
Mi faceva una gran pena.
- Travis... ? - sussurrai, tornando a guardare il ragazzo.
Ma lui aveva occhi solo per il mio corpo: si chinò accanto ad Alessa e disse, convinto:
- Tu verrai via con me!
Le parole di Alessa, invece di scoraggiarlo, sembravano averlo determinato ancora di più. Pochi secondi dopo, era ancora in piedi, col il mio corpo mortale tra le braccia. Alessa aveva richiuso gli occhi e il suo respiro si era fatto lieve e quasi impercettibile.
Però... anche salvare un innocente comporta un prezzo da pagare.
Una morte sulla coscienza... o dolore?
Travis reggeva la piccola Alessa, piena di sangue e ustioni. Al solo tocco delle sue esili braccia o gambe, si poteva assaggiare solo un po’ del suo immenso dolore tra le fiamme.
Non ci volle molto tempo: a contatto con Alessa, i palmi delle mani di Travis cominciarono a riempirsi di vesciche, che diventarono, scottature, che diventarono piaghe.
Non si lamentò, né accennò al dolore atroce che stava vivendo: teneva salda la bambina, al petto, e le sussurrava parole rassicuranti.
- Usciremo da questo inferno, te lo prometto.
Se Alessa gemeva o emetteva deboli squittii, Travis la stringeva ancora più forte e continuava a sussurrarle dolci parole di speranza.
Ad un certo punto, la bambina alzò la mano sinistra e afferrò la camicia dell’uomo, come spaventata che possa abbandonarla da un momento all’altro.
 
Io non c’ero. Ora esistevano solo loro due.
Io ero parte di quella bambina: tutti i suoi sussurri e le sue premure erano dirette anche a me, che li osservavo, ma mi sentivo... come un’estranea.
Quella visione... mi ricordava qualcosa.
O meglio... volevo...
Papà.
No, Travis non era papà. Lui era... come un fratello, in quel momento.
 
Erano così belli, assieme.
“Sentii” uno strano formicolio agli occhi. Piangere? Piangere per tristezza o per felicità?
Non lo sapevo?
 
Sapevo solo di non aver mai sentito tutto quell’affetto, quel calore, che solo un abbraccio, o una carezza, o un bacio, che non avevo mai ricevuto per sette anni. Per tutta la mia vita.
E ora, ero lì: nella mia cameretta in fiamme, abbracciata da un uomo che mi prometteva di liberarmi dall’inferno.
 
Caddi in ginocchio e lasciai che le lacrime iniziassero a rigare il mio volto.
Un volto finto. Io non sono così.
Io sono quella bambina priva di coscienza, ustionata, in braccio a Travis.
Non sono... me!
 
C’era un disegno, accanto a me. E’ stato quasi completamente ridotto in cenere e fumo ma la rappresentazione a pastelli e visibilissima. Io, mamma e papà, per mano. Sorridenti.
 
 
Mamma? Papà? Una famiglia felice? Degli amici affettuosi? Una scuola accogliente?
Tutto quello che non avevo... ora... erano solo un lontano ricordo.
Ora che sapevo di essere sotto la protezione di qualcuno che, anche se mi aveva conosciuto in modo rocambolesco e veloce, voleva salvarmi. Perché lui riusciva a vedermi per quello che ero: una bambina che non ha mai saputo cosa vuol dire “amore”, “affetto”...
Tutti gli adulti che ho conosciuto mi hanno solo usata.
Lui voleva bene davvero.
 
Dovrei...
 
Alzai gli occhi, appannati. Lo vidi, mi stava osservando.
Mi stava regalando la salvezza.
Affetto.
 
Dovrei...
Dovevo
 
- Grazie - sussurrai, prima di affondare la faccia tra le mani.
Ero un’ingrata.
 
 
Corse fuori dalla stanza e si precipitò fuori l’abitazione. Si faceva sempre più lontano.
La scala!
 
Mi bastò pensarlo per farla riapparire, probabilmente davanti ai suo. Non volevo alzarmi. Non ora.
 
 
 
 
Quanto tempo è passato?
 
La stanza è irriconoscibile ora. La porta è sparita. Tutto è cenere, attorno a me.
Travis è uscito da casa mia?
Non mi resta che scoprirlo.
 
Bam!
Ed eccomi fuori casa. Non ci tornerò mai più dentro. La mia gabbia; non sono sicura che mi mancherà.
 
Travis era appena uscito e mi precedeva di qualche metro.
Ad aspettarci fuori c’era la stessa folla di curiosi. La polizia, invece, sembrava sparita, insieme a Dahlia.
 
Alla vista del povero Travis e del mio corpo, la gente iniziò a parlare ad alta voce.
- Oddio!
- Cos’ha?!
- E’ la piccola!
- No! Fate qualcosa!
 
Travis esausto, poggiò il corpo per terra, cercando di metterla in una posizione comoda. Ci volle un po’ per allentare la presa di Alessa sui suoi vestiti, ma alla fine rilassò le dita e lo lasciò. Si osservò le mani ustionate. Nessun presente si degnò di andare a dare una mano: rimanevano tutti lì, a far niente, e ad osservare quello che accadeva.
Fu Travis a gridare loro:
- COSA FATE?! AIUTATELA!! Dov’è sua madre! HA BISOGNO DI AIUTO! - poi si rivolse al corpicino - Andrà tutto bene. Ora ti salveranno!
 
 
Nessuno si mosse.
 
- MUOVETEVI! COSA STATE FACENDO?! - ripeté, ancora più arrabbiato.
Una ragazza tra la folla sussurrò:
- Stanno arrivando. Li sento.
 
Era vero. Vedevo delle luci in lontananza. Sempre più vicini.
Le ambulanze.
I pompieri.
Erano arrivati.
 
Allo loro vista, Travis sembrò emettere un grande sbuffo e poi crollò, al fianco di Alessa.
Era svenuto. Ma Alessa... ?
 
I vigili del fuoco si precipitarono verso casa mia e iniziarono a domare le fiamme, senza riuscirci molto.
 
I medici si fiondarono su Alessa, mentre quelli che sembravano due infermieri spostarono da parte il corpo di Travis, ritenendolo un caso lieve.
 
Scorsi mia madre tra la folla di curiosi, che intanto gridava ai medici di sbrigarsi e portare in salvo la bambina.
Mi avvicinai ad un gruppo di signori che si erano radunati attorno alle mie membra. Riconobbi Kaufmann, lo strano dottore dell’Alchemilla.
Era proprio lui che si chinò accanto al mio petto e gridò ai suoi aiutanti di allontanarsi per lasciarla respirare. Dei volontari gli passarono strani congegni medici.
 
La folla aspettava.
 
Passò un minuto di silenzio, rotto solo dalle grida dei pompieri.
Dopo aver controllato il debole ma presente battito cardiaco e accertatosi che i miei polmoni funzionavano ancora, il dottore si alzò.
Ah, dovevano ammettere la loro sconfitta. Ero ancora in vita, contro ogni aspettativa, anche se ero ad un passo dall’oblio.
Fece qualche passo verso la folla, sempre più curiosa e agitata, e si guardò l’orologio da polso che indossava; poi disse, lugubre:
- La bambina non ce l’ha fatta. Morta alle ore 2:06, adesso, del 24 Giugno 1976, a sette anni. Mi dispiace. Portatela via.
Un infermiere raccolse il corpo ustionato in un lenzuolo bianco e lo caricò delicatamente su una barella che trascinò fino all’ambulanza.
 
Morta.
Che significa?
 
Alessa era viva!
 
 
   
 
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