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Autore: diciannovegennaio    19/09/2012    5 recensioni
"Ho continuamente paura.
Paura di aprire gli occhi e rendermi conto che è tutto vero.
Sento la sua assenza che mi demolisce piano, piano.
E senza di lei, tutto il dolore che ero riuscita a sopportare diventa straziante.
Sento che è colpa mia.
Sento che non ho fatto abbastanza.
Sento che non sono stata abbastanza."
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in alcun modo.







Il suo sguardo era perso nel vuoto, nelle pareti gialline dello studio.
La dottoressa Cooper se ne stava seduta su una poltrona di pelle nera dall'aria comoda, poco distante dal lettino sul quale era sdraiata la paziente.
Kisha Ghilbert era una ragazza di diciotto anni, con lunghi capelli di un castano scuro lisci come la seta. Aveva gli occhi di una bambina troppo cresciuta, di un marrone chiaro e riflessi verdi che un tempo brillavano di spienzieratezza. La pelle olivastra e il corpo di nuovo smilzo e sinuoso.
Quella ragazza era da due mesi che era in terapia, ma per quanto ci provasse, la dottoressa Cooper non trovava il modo di aiutarla e Kisha, non sembrava andarle incontro.
-Signorina, sono passati più di due mesi.- le fece notare, togliendosi gli occhiali da vista neri.
La ragazza sul divanetto di pelle nera sospirò. -Lo so.-
La dottoressa si massaggiò le tempie con gli occhi chiusi, cercando di venire a capo della situazione complicata.
-Perchè non prova a ritornare nella sua città? Forse si sentirebbe meglio.- propose.
-Lei lo crede davvero?- domandò disinteressata.
La donna si sistemò meglio sulla sedia, portandosi i corti capelli biondi dietro le orecchie. 
-Kisha,- la chiamò. -non abbiamo fatto nessun passo avanti da quando sei in terapia.- 
La ragazza sospirò di nuovo, abbassando gli occhi suelle sue converse bianche.
-Allora? Che ne dici? Ci proviamo?-domandò la donna premurosa.
-Ma come farò a venire agli incontri? Si trasferità anche lei?-
-Oh, no.- rispose subito accennando un sorriso. -Holmes Chapel, giusto?-
Kisha annuì. 
-Ci lavora una mia collega. E' una donna molto competente e sono sicura che ti aiuterà moltissimo.- spiegò.
La ragazza davanti a lei annuì poco convinta, riabbassando lo sguardo.
-C'è qualcuno che puo ospitarti?- domandò.
-Si, mia nonna.- rispose Kisha.
La dottoressa Cooper sorrise.
-Se hai bisogno di qualcosa, puoi sempre chiamarmi. Il mio numero ce l'hai, no?- disse sorridendole.
-Grazie, dottoressa.- mormorò.
Le due si alzarono dalle proprie postazioni. 
La dottoressa seguì con lo sguardo la ragazza che si allungò per prendere il giacchetto e la borsa bianca.
Si guardarono per un secondo quando Kisha riabbassò lo sguardo.
La ragazza evitava sempre il contatto visivo, in questo modo si poteva proteggere. Le poche volte che la dottoressa era riuscita a gaurdarla negli occhi, aveva potuto costatare che era un libro aperto. Riusciva a leggerci la rabbia, la tristezza, la solitudine.
Quella ragazza ne avava passate veramente tante, troppe forse. 
Kisha aveva partecipato a un stage nel loro studio, visto che studiava psicologia, e la dottoressa l'aveva subito notata per la sua allegria e il sorriso contagioso. Quando poi, l'aveva rivista in sala d'attesa, quattro mesi dopo, si era sentita male.
Gli occhi non brillavano più, un'espressione distaccata e malinconica aveva sostituito quel sorriso che illuminava tutti.
La dottoressa aveva preso subito a cuore quella paziente e aveva accettato immediatamente quando Kisha aveva chiesto aiuto.
Si era impegnata per farle tornare il sorriso, per farle di nuovo brillare gli occhi, ma non ci stava riuscendo. Si era chiesta più volte se meritasse davvero quella poltrona.
-Ti invierò il numero di telefono e l'indirizzo appena ti sarai trasferita. Ok?-
La ragazza annuì, e lasciandole un'assegno sulla scrivania uscì dallo studio.
La dottoressa la seguì con lo sguardo fin fuori il corridoio, guardandola entrare nell'ascensore a sguardo basso.
Si chiese come facesse una ragazza così giovane a soffrire così tanto. Una ragazza così bella, così forte, era stata distrutta da dentro.
Le sembrava di vedere sua figlia e si chiese, ancora, se avesse mai avuto il coraggio di abbandonare sua figlia.
La risposta, ovviamente, era no.
Certe donne non meritavano di essere chiamate 'madri', pensò.
Con un sospiro chiuse la porta del suo studio proprio mentre si chiudevano le due porte dell'ascensore.
In quel momento, alla dottoressa le sembrava di abbandonarla. Ma lei, davvero, non sapeva più che fare.


Ciao popolo di EFP!

Io sono Elena e ho deciso di pubblicare questa mia storia!
Prima di questa, ho provato a scriverne molte altre che però non ho mai portato a termine.
Speriamo che questa sia la volta buona!
Vi chiedo un piccolo favore... Me la lascereste mica un recensione? Bastano dieci paroline piccole, piccole ma sincere!
Pubblicherò il secondo a breve.. spero sia di vostro gradimento.
Un bacio,
Elena. :)
   
 
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