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Autore: purepura    19/09/2012    1 recensioni
Sono passati anni. Kyle, come sappiamo, è in giro per il mondo, in compagnia temporanea di Declan*, ad aiutare. Josh e Andy sono lontani, al college per studiare, mentre Lori è tornata in città, a Seattle, per seguire le orme della madre, studiando psicologia. Kyle ha lasciato Amanda. Non volendola esporre a inutili pericoli, continuava a mentirle, finché si è reso conto che non avrebbe più potuto proseguire (la produzione aveva detto che sarebbe stato solo, sentimentalmente, e così è). Decide di lasciarla in un giorno di sole. Poco tempo dopo parte. Resta solo per un po’, venendo in seguito raggiunto da Declan.
Ma Jessi?
Prendetela come un esperimento. Un esperimento molto fantasioso…
*Alcune delle informazioni sono basate su un’intervista fatta ai produttori. Altre le ho aggiunte io (come quella per la quale Declan lo accompagna nei suoi viaggi).
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jessi XX
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo la seconda morte
04 - Grazie a un solo bagliore



Alle mie sorelle, quella dagli occhi marroni e quella dagli occhi blu.



    Tutto quello che feci in quei giorni rimase per molto tempo sul podio, quasi al primo posto, delle cose più belle e utili che avessi mai fatto. A quel tempo, la prima cosa bella era Kyle. La prima cosa utile era la ricerca.
    Ritornavo, al tramonto, scottata e stanchissima.
    Mi avevano dato una casetta, leggermente più grande di quella di Kyle. Lì ci dormivo e basta. In pratica, non ci mangiavo nemmeno. Mangiavo con le madri e con i bambini, cui stavano insegnando a leggere, scrivere e un mestiere. Mi domandai perché lo Stato non aiutasse questo villaggio. Mi consigliarono di non chiederlo mai.
    Così, con tante cose da fare e con Kyle che aveva picchi di febbre sempre più frequenti, giunse la prima telefonata di Nicole. Era passata una settimana, forse qualche giorno in più. Non mi ero dimenticata del mio proposito di dirle tutto, ma Kyle mi aveva pregato di non farlo. Non sarebbero stati di aiuto, mi aveva detto.
    Mi trovavo a casa di Kyle. Lui era nei paraggi, seduto, intento a leggere e a dare istruzioni a Declan. Il mio telefonino squillò, e sobbalzarono in tanti.
    Sentì tutto, anche che Nicole si lamentava, e chiedeva se avessi sentito Kyle perché ‘È da un po’ che non mi dice nulla’. Negai, dicendo che forse era molto impegnato, come me. Per nulla rincuorata, mi salutò, facendosi promettere che l’avrei chiamata presto.
    «Dovresti proprio telefonarle», cominciai. «Se non le dici proprio nulla, non fai che peggiorare la situazione. Inventa una balla ma fatti sentire».
    «Hai ragione. Più tardi la chiamerò».
    Poi, mentre i suoi occhi si posavano di nuovo sul foglio, lo sentii. O meglio, non lo sentii.
    Crollò dalla sedia con un tonfo, restando completamente immobile.
    Successe tutto molto velocemente. Mi fiondai su di lui, ancora più veloce di Declan che gli era di fianco. Sentii il cuore che ricominciava a battere, sempre più veloce. Per questo, quando le mie mani si posarono su di lui, in cerca del battito cardiaco, avevo già sentito e capito che si fosse ripreso, ma controllai ugualmente, e ricontrollai, finché anche Declan, anni dopo, non mi raggiunse.

    Declan mi aveva lasciata sola con lui da neanche cinque minuti, volendo andare a chiamare Foss e il dottore, che Kyle si era svegliato, mormorando un «Ahi».
    «Cosa? Cosa ti fa male?»
    Ansiosissima, mi avvicinai. Spostò lo sguardo su di me.
    «Solo un dolore superficiale».
    «Dove?»
    «Non è importante».
    «Ehi, dottore, smettila! Tu sei il paziente, ora».
    «Certo», mormorò. Si mise seduto, ignorando categoricamente le mie proteste. «Sto bene. Smettila di fare l’ansiosa».
    «Ah, io sarei ansiosa! Bé, buono a sapersi. Ti si ferma il cuore ed io sarei l’ansiosa!»
    Ebbe pure il coraggio d’alzare gli occhi al cielo. Mi trattenni dall’impulso di schiaffeggiarlo.
    Arrivò il dottore, si fece visitare di malavoglia, asserendo che, d’accordo, era stata una cosa improvvisa, ma solo perché aveva dimenticato di respirare. ‘Ero distratto’, ci disse. ‘A chi non capita d’essere distratto?’
    Scambiai uno sguardo con Foss, che ero certa avesse la mia identica espressione di sbalordimento dipinta in faccia.
    Mi fece cenno di uscire dalla stanza. Lo seguii in cucina, e poi fuori, per strada. Camminava con le mani nelle tasche. La sua postura era decisa. Forse, in quest’esatto momento, non sarei più riuscita a sopraffarlo…
    «Qualcosa non va?»
    Non mi ero accorta che mi stesse osservando. Mi ero persa tra i miei pensieri.
    «No, no». Scossi la testa. «Che cosa stavamo dicendo?»
    Sorrise. «Non sarei così preoccupato come sembri essere tu», mi disse.
    «Tu non sei preoccupato?»
    «No. Non è un bambino. Se dice di star bene, sta bene. Solo, non ho intenzione di farlo affaticare. Se lo tengo impegnato e concentrato, con la mente sul lavoro, le cose vanno meglio. Si sente meglio».
    «Ma Foss, il suo cuore. Tu non l’hai sentito. O meglio, non hai sentito che non si sentiva».
    «Vedremo cosa dice il medico, ma se per lui non c’è nessun tipo di problema…».
    «Se non sta bene, qualcosa non va. È abbastanza automatico, no?»
    «Non esattamente. Hai dimenticato l’aspetto psicologico». Corrugò la fronte, pensieroso.
    «Sì, Foss, è il mal d’amore! Stai scherzando, vero?»
    «Il medico ha ripetuto che non c’è nulla che non vada, più volte da che lo visita. Ora, Declan è preoccupato, iperprotettivo e qualsiasi altra cosa. Ma se non c’è niente, ragazza, non possiamo certo continuare a trattarlo come un infermo». Ci stavamo allontanando dal paesino. Una landa desolata, che avevo percorso per raggiungere il villaggio, si stendeva di fronte a noi. C’eravamo lasciati il caseggiato alle spalle. Non capii, in quel momento, come mai non mi sentivo lontana, ma rimase in me, sola senza Kyle, una sensazione di sicurezza e precisione che mai avevo sentito senza di lui al fianco.

    Nelle settimane che seguirono – se si escludono le telefonate di Nicole, sempre molto sofferte –, Kyle sembrava stare sempre meglio ora che Foss gli proponeva una diversa attività ogni giorno, e poté alcune volte ritornare alle sue mansioni operative direttamente sul campo. In quelle occasioni, era accompagnato da Declan, che gli garantiva più sicurezza di un’intera squadra di cecchini.
    In uno di quei pomeriggi, stavo rassettando in giro. Una casa gestita da tre uomini, mi resi conto, sarebbe potuta diventare un porcile. Anche se Kyle, dovevo ammetterlo, faceva in modo che il limite della decenza non venisse mai superato.
    Foss entrò improvvisamente, con le braccia cariche di armi. Intenta a risciacquare delle pentole, lo intravidi grazie al riflesso sulla finestra.
    «L’hai il porto d’armi?»
    «E tu, un hobby?»
    Risi. «Non capita mai nulla di interessante», spiegai. «Insegnami».
    «A sparare? Tu? Non ne hai bisogno».
    «Sì, lo so, le mie abilità sono superiori, ma mi sto annoiando».
    Ridendo, mi porse una pistola.
    «È scarica».
    Il suo sguardo guizzò su di me, intento ad appoggiare il resto degli armamenti sul tavolo. «Come lo sai?»
    «Dal peso. Ti pare prudente, infallibile assassino, lasciarle lì così? Ci sono dei bambini, in questo posto».
    Si grattò il mento. «Spostiamole nell’altra camera e chiudiamo a chiave».
    Camminavamo tranquilli. Volle tenere in mano la pistola finché non fummo distanti dalla folla.
    «Come sta?»
    «Meglio. Lo vedi da te, no?»
    Annuii. «Ripartirete?»
    «Se sì, ripartiranno loro».
    «Non li seguirai?»
    «No».
    Mi chiesi dove fosse stato per tutti questi anni, prima che Declan lo richiamasse. M’interrogai sul perché non avesse intenzione di seguirli. Non lo domandai. Pensai di farlo più tardi.
    Istintivamente, ancora prima che m’indicasse la postura corretta, sparai e giudicò il mio un colpo da maestro. Feci centro la primissima volta che mi indicò un bersaglio, distante metri da me. Feci centro la seconda volta, quando il bersaglio era ancora più lontano.
    «Me ne regaleresti una?»
    «Ovviamente no», rispose. «Riprova».
    Dopo l’ennesimo tiro andato a segno, a seguito di un giro improbabile del proiettile che lui giudicò casuale ma che io insistetti nel definire programmato, incrociò le braccia e fissò la pistola a lungo. Sorrise.
    «Sicuramente, non hai bisogno di imparare».
    Si riprese la pistola sghignazzando, ignorando le mie proteste: mi stavo divertendo. Mi precedette nel cammino, tornando indietro, verso il villaggio. C’eravamo allontanati per evitare di colpire qualcuno.
    «Stavi rassettando, prima?», domandò, mentre nascondeva l’arma per evitare il panico e si dirigeva verso casa sua.
    «No, in realtà pulivo le padelle perché è il mio nuovo allenamento. Sviluppa i bicipiti meglio dei pesi».
    Scosse la testa, per poi passare l’intero pomeriggio a riordinare con me.

    Qualche giorno dopo, quando facemmo ritorno dal campo, era ormai sera. Quella giornata era stata particolarmente pesante, e la precedente avvilente. Kyle si era di nuovo ritrovato costretto a letto per la febbre troppo alta. Io mi ero ritrovata costretta ai doppi turni.
    «Declan, siamo tornati!»
    La mia guardia del corpo spalancò la porta e mi cedette il passo, in uno slancio di galanteria.
    Fuori, il tramonto rimandava bagliori aranciati. Il riflesso dei capelli di Sarah mi abbagliò ancor prima che capissi che si trovava qui.
    Erano seduti. In effetti, solo Kyle era in piedi, le mani poggiate alla tavola, che fissava Brian con un misto di sfida e minaccia. Non credo che l’avrebbe mai aggredito; non con una bimba presente. Che fosse sua non credo importi, anche perché non lo sapeva…
    «Che cosa diavolo succede?»
    Foss mi superò, mettendosi al fianco di Kyle. Fissò Brian che a sua volta guardò lui.
    «Mi dispiace», cominciò. «Non era mia intenzione disturbare. Cercavo te».
    Si voltò a guardarmi. La bambina lo imitò. La vidi che era piccolissima. La affidai a Brian senza voltarmi.
    Ogni mese, chiedevo notizie. Ogni mese, una foto e un’e-mail.
    Sapeva chi ero. Glielo leggevo negli occhi.
    «Non posso», disse Brian. La teneva per mano, come fosse davvero suo padre.
    «Perché?»
    Nessuno fiatò. Nessuno capiva.
    «Ci sono cose che non sapete. Ci stanno cercando. Tutti noi. Devo andarmene via».
    «Chi ci sta cercando?», domandai. I miei occhi saettarono automatici su Foss. Lui sapeva, me ne accorsi dal battito che il cuore saltò. «Chi?»
    Foss evitava il mio sguardo.
    Brian capì.
    «Sei venuta qui senza sapere? Foss è qui per proteggere entrambi, Declan e Kyle».
    «Tu sapevi? Ti affido mia figlia e non mi comunichi una cosa del genere?! Ma che…».
    «Jessi, non capisci. Ci troveranno. Loro si spostavano di continuo, ma ora sono qui da troppo tempo».
    «Tua figlia?», mormorò Foss. Era rimasto indietro di un paio di battute. Vidi i suoi occhi socchiudersi «Hai una figlia?»
    «Che stavo cercando di mantenere al sicuro. Portandola qui…».
    «Perché mai Brian dovrebbe essere in pericolo?», domandò Foss.
    Nessuno capiva ciò che l’altro stava cercando di dire. Ognuno parlava un linguaggio proprio.
    «Cosa?» Brian si girò verso Foss. «Che domanda è? Pensano che possa sapere…».
    «Di chi è la bambina?»
    Perché Declan c’entrava sempre tutti i punti?
    «Come, scusa?»
    «La bambina. Questa bella bambina», sorrise a Sarah.
    Foss mi fissò. Restai in silenzio. Capirono tutti, e parecchi cuori persero un battito. Qualcuno più di uno.
    «Io pensavo che lo sapessero…»., borbottò Brian.
    «Sì, e affido la bambina a te perché suo padre sa che esiste», dissi. «Non è questo il punto». Cercai di svicolare.
    «No, certo. Non è proprio questo il punto! Nascondi tanti di quei segreti, Jessi…». Declan sospirò. «Ma come abbiamo fatto a fidarci di te?»
    «Ehi!» Questo era Brian: che si sentisse in colpa? «Non credo che questi siano affari che ti riguardano. Né affari grazie ai quali giudicarla». Fissò Kyle, stranito.
    Ancora non aveva detto nulla.
    «Posso non approvare alcune sue scelte», continuò. «Ma ha cercato di agire al meglio per sua figlia. Non è da condannare per questo».
    «È da condannare per tutto ciò che non dice, Taylor».
    «Basta».
    Tacquero tutti. La bambina, a quella nuova voce, si voltò. I suoi occhi azzurri incontrarono quelli di Kyle.
    «Uscite».
    «Ma Kyle…».
    «Declan, dico sul serio».
    Mi piantò gli occhi addosso mentre Brian sfilava fuori con Sarah in braccio, che si stava appisolando.
    Si raddrizzò, aggirò il tavolo e mi si avvicinò.
    Istintivamente, mi allontanai.
    «Tu credevi», cominciò, «credevi davvero che nessuno sarebbe mai venuto a saperlo?»
    Sì.
    «Non è come sembra, Kyle. Volevo solo proteggerla. Non ho mai tentato di nascondertela».
    «È esattamente quello che volevi, quel che hai fatto. Non mentire! Tutti questi anni…».
    «Nei quali tu non ti sei fatto sentire. Tu! Io ho preso le giuste decisioni per proteggere mia figlia».
    «Sei stata tu a decidere di andare via, non dimenticarlo. Nessuno te l’ha chiesto».
    «Nessuno? Tu che ti scopi Amanda non conta?»
    Mi guardò; era infuriato. I suoi occhi erano spalancati.
    «Non ti amavo più», ringhiò, senza alcun tipo di tatto. «Tu non rispondevi alle telefonate che ti facevo! Non è un motivo valido per vendicarsi».
    «E due giorni dopo avermi lasciata ti sei innamorato di lei? Complimenti, Kyle, questi sì che sono amori sinceri e profondi».
    «Questo non ti riguarda».
    «Nemmeno mia figlia ti riguarda. E questa non era una vendetta».
    «Tu che la affidi a Taylor sì, mi riguarda. Ti ho strappata a lui appena in tempo». Lasciò vagare lo sguardo lontano, gli occhi socchiusi. «Ti avrebbe distrutta, senza alcun ritegno. Chi ti dice che non le faccia qualcosa di male? Che non patisca ciò che hai subito tu?» Se così fosse stato, costatai, Taylor sarebbe morto. Il suo sguardo era quello di un omicida.
    «Vuole bene a Sarah».
    Sobbalzò. Non sapeva il suo nome. Lo decisi, e Taylor ne sorrise.
    Kyle mi fissò per un secondo, poi tornò a guardarsi intorno. Il suo sguardo non era infastidito, semmai sorpreso, come se avesse dovuto aspettarselo.
    «Ora però è qui, a restituirtela». Parlò dopo un minuto buono.
    «Deve essere piuttosto spaventato. Se Foss sa cosa sta succedendo, dovrebbe dircelo».
    «Non sa molto, però credo che gli chiederò di raggiungere la mia famiglia».
    «Sono in pericolo?»
    «A quanto pare, lo siamo tutti. Da quel che ho capito, ci stanno dando la caccia».
    «Ci? Non volevano te?»
    «Anche, ma ora non solo». Mi fissò. «Dovresti andartene», ripeté. «Qui non è in gioco solo la tua salute, ma la tua vita».
    «Se sono in pericolo, se mi stanno cercando davvero, non sono più in pericolo qui che a casa. E almeno qui…». La mia voce si affievolì.
    Non ti amavo più…
    «Cosa?»
    «Nulla. Posso dare una mano, tutto qui». Mi voltai. Fuori dalla finestra, vidi la bambina avvicinarsi cauta a un gruppo di neonati, assistiti dalle madri e dalle volontarie.
    «Ha quattro anni», mormorai, come se mi fosse venuto in mente solo in quel momento.
    «Come?» Mi si era avvicinato, di fianco alla finestra. Anche lui fissò Sarah. I suoi corti, lisci capelli scuri, con quella adorabile frangetta, sventolavano al vento. Il suo vestito azzurro si distese, mentre si accomodava a gambe incrociate per terra.
    «Ricordi?» L’ultima volta che abbiamo fatto l’amore…
    «Ricordo. E mi dispiace».
    «Non devi. In fin dei conti, me ne sono andata io. Ho, in effetti, evitato di dirtelo volontariamente».
    «Ti ringrazio», mormorò sarcastico.
    «Non può restare qui. Chiederò a Brian di riportarla indietro». La decisione era stata naturale, e per me definitiva.
    «Non vuole, hai sentito. Forse pensa che la rallenterebbe». Scosse la testa, alzando gli occhi al cielo.
    «Io non posso occuparmene. Correrebbe solo troppi rischi».
    «È nata in questo contesto, con questi genitori», sorrise. «Non puoi estraniarla da tutto ciò».
    «Non permetterò che le capti nulla. Meglio che stia senza di me».
    «Non lo pensi. Io non la lascerò andare via. Dirò a Taylor di andarsene. Ha già fatto troppo».
    «Tu non puoi farlo!», urlai. «Non te lo permetto».
    «Quella bambina, Jessi, non è tua. Non è più tua dal momento in cui hai scelto di rinunciare a lei, di affidarla a Taylor. Non venirmi a parlare di permesso, non quando è tuo padre che si è occupato di lei, negli ultimi quattro anni, e tu hai nascosto a me una cosa del genere!»















Salve!
Trentasette di febbre e mi sono detta: perché non sistemare e aggiornare?
Ed eccomi qui.

Mi rendo conto che la storia stia andando verso strani lidi. Lo so. È iniziata come un esperimento, continuata come tale, e proseguirà ancora verso lidi che nemmeno mi ero sognata!
La piccola Sarah, oltre che un omaggio alla madre di Jessi, è nata grazie a Channy e alla sua fiction su Kyle. Gran bella ispirazione! :)
In questo periodo ho un debole per il Kyle infuriato. Merito dell’ultima puntata e della 2x15, quando viene mostrata la litigata fra Kyle e Jessi, nel corridoio. Kyle è sempre troppo calmo. Quando si arrabbia… eh, beh, stimola la mia immaginazione! xD
Kyle che si ammala può sembrare che non abbia un motivo. Ma l’ha. Davvero. Solo che lo scoprirete più avanti. xD
Come sempre, se c’è qualcosa che non vi risulta, chiedete. E non scoraggiatevi, davvero! Presto capirete!
A presto! :)

  
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