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Autore: londonici    20/09/2012    1 recensioni
Hayley, sedicenne di Beverly Hills, sembra la tipica ragazza che mette il broncio giusto per essere diversa. Una grande passione per i Paramore e un gruppo di amici eccezionali la aiuteranno a superare i primi "piccoli" problemi della sua vita. Ma poi si aggiunge Hitch, un rapper diciannovenne di fama mondiale, e tutto cambierà all'improvviso...
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Non mi reputavo stupida. Tanto meno indegna della compagnia dei miei amici.

Sembrava però che tutti volessero dimostrarmi il contrario, ultimamente.

Sbuffai, con la testa rivolta verso il cuscino, a pancia in giù.

Jenna bussò per l'ennesima volta.

«Sto dormendo, accidenti. È l'ultimo giorno di libertà, lasciami vivere!», gridai a pieni polmoni, ma la mia voce sembrò inudibile a causa delle piume che impedivano tutta la sonorità che, in effetti, avevo messo in quella frase.

Cielo: ultimo giorno.

In preda a una crisi isterica, iniziai a sbattere le braccia sul materasso, senza smuovermi.

«Merda, merda, no! No! No!».

«Tesoro?». Ecco, Jenna era entrata.

«Sto dormendo», ruggii.

«Al piano di sotto c'è qualcuno per te. Hai visite, qualcuno ti cerca», ripeté con più enfasi.

«E io sto ancora dormendo. Coma profondo. Inventati una sbornia».

«Avanti», mi implorò. «Sono stati così carini a farti visita. Sembra abbiano qualcosa da dirti. Forse delle scuse». Dal plurale capii che si trattava dei gemelli.

«Coma profondo», ribadii. Chissà, se magari fosse stato qualcun altro a cercarmi, forse sarei uscita dal coma.

Ma no.

La legge è uguale per tutti. Tutti.

«Sicura? Non è carino». Per tutta risposta, finsi di russare finché non sentii la porta richiudersi. Lasciai passare qualche secondo e poi cambiai posizione, sdraiata su un lato e fissando il sole che entrava di forza attraverso le tende, con le spalle alla porta. Strinsi gli occhi, la troppa luce mi faceva male agli occhi.

Non mi smossi neppure quando la porta si riaprì.

«Avanti, Jenna, pietà!», sbuffai.

«Siamo noi a chiederti pietà, Hayley», rispose la voce di Lara. Strinsi un cuscino tra le dita e in meno di mezzo secondo scattai in piedi sul letto, lanciandoglielo contro come un'arma letale.

«Traditrice!», gridai anche.

E poi feci i conti.

Uno, due, tre e quattro.

Quattro traditori, non una sola.

Presi altri oggetti che potessero essere lanciati facilmente e partii all'attacco.

«Traditori tutti quanti! Escludetemi anche questa volta, così adesso me ne sto in pace!».

«Ve l'avevo detto che era furiosa...», fece Chris. Sbuffai isterica e gli puntai un dito contro.

«Tu... Tu! Dimmi, almeno hai portato i miei più cari saluti a Giuda?!».

«Hayley, fungiamo da pacieri in tutta questa situazione assurda. C'è un gran bel quiproquò, sai? E noi siamo il mezzo della pace», disse Jamie. Saltai giù dal letto e mi misi una felpa. Dovevo essere impresentabile, con tutta quella massa di capelli rossi spettinati.

«Per favore», sibilai acidissima.

«Hayley, Jess non sa più che fare, con te», mi informò Travis.

«Potrebbe iniziare col maturare», risposi a denti stretti.

«Hayley, dai! Lo sai com'è fatto, adesso crede che sia colpa sua. Gli ho detto che non è così, ma non si accontenta di una spiegazione campata per aria. Io non dico niente, capisci?», disse Lara facendomi l'occhiolino. Annuii. Certo che capivo: lei non avrebbe detto la storia di mio padre a nessuno, per nessun motivo al mondo. Non l'aveva detta a Jess.

«Beate voi che vi capite».

«Boh, sarà una cosa in codice femminesco, non so». Jamie si grattò la fronte.

«Lara...», iniziai, «non ne voglio sapere oggi. Davvero».

«Okay, niente Jess. Allora dicci: ce l'hai con noi?», chiese Chris. Lo squadrai. E mi arresi all'evidenza.

«No, certo che no. Ma mi avete mentito. Omettere dei fatti equivale a mentire. Potevate dirmelo apertamente, non c'era bisogno di farmi fare la figura della poveraccia con Adam».

«Adam sarebbe il rapper di fianco a noi?», chiese Travis al fratello gemello, che annuì, concentrato su di me.

«Jess ci ha chiamato ieri pomeriggio per dirci del programma serale, sembrava giù. Vuoi sapere cosa crede, Hayley?», mi chiese serio Jamie.

«No che non lo voglio sapere», dissi come una mocciosa.

«Hayley...», mi rimproverò Lara. Chris e Travis si sedettero, in disparte e in religioso silenzio.

«Crede che tu l'abbia solo “ricambiato” per non farlo restare male. E crede che tu e quel tizio, il rapper, stiate uscendo. Insieme». Sottolineò apposta l'ultima parola. Scossi la testa e guardai altrove.

Che idea ridicola. Stupida.

«Questo la dice lunga sulla capacità intellettiva di Jess», risposi acida. «Se davvero crede una cosa del genere, non solo dimostra di essere superficiale e stupido, ma anche che non mi conosce. Per niente».

«Fammi un favore: vacci a parlare, Gesù mio», mi pregò Travis. «È diventato più irascibile e imprevedibile di prima». Feci spallucce.

«Perciò?», fece Lara, impaziente.

«Perciò niente. Oggi non ci vado, da Jess. Forse, domani, a scuola. Si vedrà. E per quanto riguarda voi quattro... Siete stati degli infami».

«Come minimo. Scusaci, Hayley. Siamo davvero dispiaciuti. E sinceri», disse Jamie a nome di tutti. Ottima scelta quella di far parlare lui: era l'unico che riusciva a trasudare sincerità da tutti i pori. Era impossibile rifiutare le sue scuse. Così, feci un movimento spastico con il collo, una cosa che doveva significare “okay, scuse accettate”. E mi capirono.

Dopo i soliti abbracci di riconciliazione (per un litigio piuttosto virtuale, direi), sembrò che non fosse successo niente. Solo Lara persisteva nel guardarmi di traverso.

E, quando restammo sole, scoprii che i miei sospetti erano fondati. Restammo in camera mia e io – reduce della serata precedente – presi a suonare il piano per occupare quel silenzio innaturale.

«È inutile che fai la finta tonta. Com'è che adesso lo chiami Adam?», fece accusatoria. Non le era sfuggito niente, piccola spia del tutto opprimente.

«Sai, la mia serata è stata frutto della punizione del piercing. Jenna l'ha visto e mi ha costretta a passare la serata come diceva lei. E poi, sono rimasta nella tana del lupo, qualcosa dovevo pur fare. Abbiamo parlato. Non è uno scarto della società di così grandi dimensioni. Ne ho visti di peggiori. Adam non è malissimo», dissi attenta a non incappare nel suo sguardo.

«Ti ho già detto di fare una scelta subito, vero?».

«Sì», risposi apatica con le dita che scivolavano sul piano.

«Bene. Perciò non è una conseguenza del mio consiglio il fatto che non vuoi vedere Jess, vero? Non è che mi hai presa sul serio? Perché non sarebbe da te».

«Infatti neppure ti sto ascoltando. Blateri cazzate», feci punta nell'orgoglio dal suo tono strafottente.

«Spero che sia la scuola imminente a metterti di così cattivo umore. Oppure è il fatto che ti sto dicendo le cose chiare e tonde?>>.

«Lara, cacchio! Basta!», le gridai dietro smettendo di suonare. «Sempre con quest'aria da “so tutto io”. Porca vacca, basta! Non hai un appuntamento a cui devi andare?».

«Vedo che non sono la benvenuta, perciò ti saluto prima che tu dica cose di cui potresti pentirti. Ci vediamo domani a scuola, e vedi di darti una calmata», si congedò seria, sbattendo la porta. Non capivo quanto fosse irritata da uno a dieci. Da quando non la capivo più al volo?

Ad un tratto, sembrava che non andassi più d'accordo con nessuno.

Tutti facevano discorsi insensati, tutti mi puntavano il dito addosso. E l'odiavo.

Così, passai la giornata chiusa in camera e seduta al pianoforte. Era l'unica cosa che mi desse un attimo di tregua: vedere che almeno una cosa la sapevo fare, anche senza regole e dopo tanto tempo, era una buona boccata d'aria. Necessaria.

 

La mattina seguente mi ritrovai ad aspettare, seduta sul marciapiede di fronte a casa mia, la macchina di Chris (che, come tutti gli anni, dava un passaggio a scuola a me e ai gemelli). E, invece, il primo ad uscire di casa fu Adam. O Hitch. Non sapevo più come chiamarlo, per paura di dare impressioni sbagliate.

Paura? E di che? Non c'era un bel niente.

Finsi di non averlo sentito, impegnata a manovrare i comandi del mio I-Pod. E con la scusa mi rimisi a posto la mezza coda che avevo improvvisato quella mattina, ad occhi chiusi per il sonno indicibile, mentre Bryan mi salutava di fretta e di furia.

Eppure, non potei evitarlo quando accostò vicino a me e abbassò il finestrino.

«Un passaggio a scuola?», mi chiese, assorto.

Scossi la testa. Anche lui a scuola? Poveretto.

«E che fai qui a terra?».

«Aspetto Chris e i gemelli per andare a scuola», risposi altrettanto fredda.

«Quelli che ti hanno bidonata, certo. Contenta tu. Ci vediamo», fece un po' alterato. E ripartì, non senza prima un'occhiataccia di rimprovero. Anche lui. Soprattutto lui mi guardava sempre in quel modo. Mi ripromisi che, se lo avesse fatto di nuovo, gli avrei cavato gli occhi.

Dopo pochi minuti, apparvero i miei accompagnatori. Salii dietro, come di consuetudine, e – come tradizione – nel lettore CD c'era un cd degli U2. Li sapevo riconoscere tutti al primo istante e quello era senza dubbio “The Joshua Tree”. Almeno qualcuno era dotato di buon senso, in quella macchina. E non ero io, di sicuro.

Sembravamo tutti sulla via della sedia elettrica. Tutte facce smorte e silenziose, tristi e rassegnate. La mia più di tutte.

Nemmeno sapevo cosa avrei detto a Jess.

Quando arrivammo, tutto quell'ammasso di gente giovane dentro mi diede il colpo di grazia e non potei trattenere uno sbuffo disperato e frustrato. Chris accostò. Tutti si voltarono verso di me.

Oh-oh. Non avevo fatto niente, accidenti!

«Tu scendi qua, noi andiamo a parcheggiare al solito posto», mi disse Jamie.

«E perché?», risposi infastidita.

«Perché te lo chiedo io». Lo guardai scettica, poi decisi che non avevo voglia di fare polemiche inutili anche con lui – ma un giorno se ne sarebbe pentito. Così, presi la mia tracolla e scesi barcollante, con passo trascinato. Era forse un altro tentativo di isolarmi?

Ero giusto sulla via d'ingresso, quando sentii qualcuno dire il mio nome forte e chiaro, scandito lettera per lettera. Riconobbi subito la voce, la stessa che mi aveva detto che “era impegnato, non vedevo?”.

Nonostante non volessi voltarmi, il mio primo impulso mi batté sul tempo. A quel punto, sarebbe stato parecchio meschino guardarlo e voltarsi dall'altra parte.

E poi, dovevate vederlo. Dio mio.

Se ne stava appoggiato a un albero, con un piede contro la corteccia, le braccia incrociate al petto (da cui traspariva “quello che c'era sotto la maglietta bianca, semplice e con scollo a V”, capite?). E i jeans sembravano essergli stati cuciti addosso. Per non parlare degli occhiali da sole, dai quali mi guardava sospettoso, incerto se avessi sentito o meno.

Notai che, proprio vicino a lui, faceva bella mostra di sé la sua moto nera lucidissima. Ebbi un impulso paragonabile a quello che si ha quando si prende la scossa elettrica. Ecco perché tutte le ragazze dotate di un minimo di cervello si innamoravano di lui e non di Jim. Lui dava tutta un'altra sensazione, del tutto più sicura e responsabile, ma... al tempo stesso, era tutto l'opposto. E adesso sapevo anche che era geloso e si faceva le paranoie mentali su di me.

All'improvviso, mi sentii soddisfatta e lusingata.

Jess aveva chiamato me.

Mi fece cenno di avvicinarmi e io – senza mostrare troppi segni di impazienza – lo accontentai.

Arrivai davanti a lui dondolandomi sul posto, in attesa che iniziasse a parlare.

«Hai perso la lingua?», mi chiese spegnando la sigaretta. «Spero di no». L'ambiguità poteva solo comparire in una mente contorta come la mia.

«Ma no. Come va?», chiesi portandomi più in su gli occhiali da sole. Non volevo che mi guardasse negli occhi, oppure avrei perso tutta la mia disinvoltura.

«Potrebbe andare meglio se solo sapessi come diamine siamo arrivati a fare i bambini».

Feci spallucce e fissai il vuoto dietro di lui. Mi accorsi di avere il sole in faccia, perciò – per quanto scure fossero le lenti – capii che, essendo in controluce, Jess vedeva alla perfezione dove stessi guardando e che espressione stessi facendo. Così lo guardai in faccia.

«Jess. Ascolta qui. Se ti dicessi che non è stata affatto colpa tua se sono sparita per quel paio di giorni, mi crederesti?».

«Ovvio», rispose togliendosi gli occhiali da sole. Accidenti, due smeraldi mi stavano interrogando, avidi di risposte.

«Allora il problema è risolto», conclusi rapida e a disagio.

«Ho detto che ti credo, non che mi accontento», disse con un sorrisetto cinico. «Una spiegazione potresti anche darmela, no?».

Feci una smorfia. «Cosa ti ha detto Lara?».

«Che non stava a lei decidere se ne potesse parlare o meno». Si avvicinò di qualche passo.

«Beh. È stata parecchio onesta», tentai di girare intorno alla questione.

«Certo, ma ciò non toglie che questo misterioso problema mi stia facendo impazzire. Soprattutto se riguarda te e tu me lo nascondi. È la strana legge della natura: tu mi neghi qualcosa, io la voglio a tutti i costi». Si avvicinò ancora. «E io ti voglio a tutti i costi», disse a bassa voce.

Trasalii. Santo cielo, avevo sentito bene?! Oh. Mio. Dio.

Dovevo essere in un universo parallelo.

Sapevo di non essere in grado di dire una parola.

«Hayley», iniziò afferrandomi per i fianchi, «credo che ti sfugga il punto della situazione. Credo che tu non abbia compreso fino in fondo cosa mi passa per la testa. Questa cosa... mi dà fastidio. Non ho mai dovuto credere di poter aver bisogno di qualcosa, di qualcuno, che non potessi avere. Mi conosci, sai come sono fatto. Ottengo sempre quello che voglio. Ma tu... Accidenti, sei irraggiungibile. Non riesco ad avere il tipo di approccio che vorrei con te. E non capisco niente. Faccio l'idiota, continuo a sbagliare mossa. Ma non credere che lo faccia apposta, sei solo tu che sei un enorme grattacapo. Forse non sai fino a che punto sono disposto a spingermi per avere l'oggetto dei miei desideri».

«Addirittura?!», dissi incredula, sorridendo alla parola “desideri”.

«Non in quel senso, avanti! Cioè, anche... Ma non sono un pervertito!». Il mio cervello si fermò alla parola “anche”. E arrossii.

«Anche?!», sbottai ridendo. Fu lui a sentirsi imbarazzato stavolta, assumendo la sua solita posa da vergogna totale: mano sulla nuca e altra mano in tasca.

«Hayley, Gesù... Sai proprio come fare perdere il filo del discorso». Conoscevo modi migliori, comunque... Quello poteva anche essere un metodo.

«Scusami, davvero», dissi ridendo. «Mi sembra come minimo surreale».

Fece un passo indietro e mi guardò meglio, spudoratamente.

«Sì», sbottò dopo un po'. «Hai proprio ragione, sei così inguardabile che non capisco come sia possibile», disse sarcastico e riavvicinandosi. «Hai davvero una percezione distorta di te stessa. Mi sa che non vedi quello che vede un ragazzo dotato di un paio di occhi e di un minimo di buon senso».

Anche Jamie mi aveva detto la stessa cosa, se non ricordavo male. Scherzavano?

«Beh», fu tutto quello che dissi.

«Perciò, se non ti spiace, aspetterei una minima spiegazione. Sai, la cosa più frustrante dei giorni appena trascorsi è stata non sapere perché tu fossi così indecisa e... ti fossi volatilizzata nel nulla», disse serio. Mi sentii una stronza colossale.

«Jess... Davvero, non ti basta sapere che non è colpa tua? Non mi sono fatta vedere da nessuno, non è una prova sufficiente?».

«Non ho bisogno di prove, ma della tua fiducia. Non ti fidi abbastanza di me da dirmi qual era questo maledetto problema?», chiese quasi spazientito.

«Jess. Jess. Aspetta un attimo. Se io ti dicessi adesso la questione, non crederesti che sarebbe una cosa forzata?».

«Sì, ma sorvolerei».

«E non vorresti che un giorno fossi io, di mia spontanea volontà, a raccontarti tutto, ma proprio tutto di quello che ho passato?», chiesi in tono patetico.

«Certo che lo vorrei», ammise. «Ma so che non lo farai. Non presto».

«Hai già messo un limite temporale?». Ero allibita dalla piega che quella conversazione aveva preso. Possibile?

«Il problema è proprio che non voglio nemmeno pensare di metterlo. Capisci?».

«A dirla tutta, no».

«Brucerei tutte le tappe, se potessi. Il tempo non deve influire, in nessun modo. Ma tu... mi sembri restia. Temo che tu non voglia avere niente a che fare con me».

«Jess... Ma ti senti? Adesso sei tu che non ti vedi», dissi tra le risate trattenute.

«Che bella coppia di materialisti che siamo. Che sembriamo», si corresse.

Scossi la testa, incredula. A quel punto mi sentivo messa al muro. E non potevo né abbatterlo, né scavalcarlo.

«Jess. Dammi solo un attimo di tregua, non costringermi a vuotare il sacco subito. Mi sembra... di essere messa con le spalle al muro». Ebbi l'effetto sperato: si accigliò e non proseguì, non insistette più.

«Hai ragione, scusami. Ti accompagno in classe, dai. Andiamo».

 

Okay. Vi risparmierò i dettagli delle lezioni che definiscono i rientri a scuola. Secondo me sono le più deprimenti e inutili ore che una persona possa mai perdere nel modo più improduttivo possibile.

Soliti saluti, domande disinteressate, commenti sulle coppie scoppiate e quelle appena accoppiate. Solito. Tentavo di non farmi coinvolgere più di tanto. Alcune voci riguardavano anche me.

La cosa strana fu che Lara non mi cercò e io non cercai lei. Forse era solo il caos generale.

La incrociai per caso mentre attraversavo il campus per andare a lezione di inglese.

«Lara, ciao», dissi poco convinta. Credevo che, chissà perché, ce l'avesse con me.

«Hayley! Ti ho vista parlare con Jess, prima...», fece insinuante. Mi ero sbagliata alla grande. Bah. Ero completamente fuori di testa.

«Sì. Già. Chiarito tutto», dissi sintetica il più possibile. Ma non era abbastanza.

«E...?».

«E cosa?».

«Adesso cosa siete? Una coppietta, due estranei, o niente di definibile?».

«Niente di definibile», annunciai quasi fiera di me stessa. Nessuno mi avrebbe mai definita, potevo metterci la mano sul fuoco.

«Ah, beh. Se è vantaggioso per te, non ho nulla da obiettare. Vai a inglese?». Annuii, un po' distratta. E così, in questo stato di semi incoscienza e leggerezza mentale, mi trascinai durante tutta la giornata scolastica.

A mensa non era successo niente di che, avevo visto un paio di volte i gemelli e Chris, di sfuggita, e li avevo salutati. Jess non l'avevo più incontrato.

In compenso, Adam era ovunque. Il suo nome, gli schiamazzi che lo precedevano, ragazzine isteriche e che fingevano di essere quello che non erano... Adam, o meglio Hitch, era ovunque. Era Hitch che loro volevano, non Adam. Nemmeno sapevano chi fosse Adam.

Hitch era la grande novità, qualcosa di epico e memorabile, un evento unico. Per le prime due o tre settimane al massimo non ci sarebbe stato altro argomento di cui parlare.

Mi stupii quando, all'uscita da scuola, me lo ritrovai di fianco.

«Hayley», mi salutò inespressivo, fissando chi lo fissava senza ombra di amicizia.

«Brutta giornata anche per te, immagino».

«Lo è stato anche per te?», chiese quasi sinceramente interessato.

«Ho visto giorni peggiori. Non è il mio momento, almeno», feci sarcastica.

«Buon per te. Ammetto che ti invidio», mi disse.

«Niente fotografi e paparazzi vari?», chiesi un po' sorpresa di non averne ancora visti in giro. Non mi rispose. Quando fummo fuori, si arrestò e guardò fisso un punto di fronte a noi, con un sorrisetto amaro e cinico. Tentai di capire dove stesse guardando e seguii il suo sguardo perso nel vuoto.

Oh.

Una bella moto nera e lucida mi stava aspettando. Jess, già in sella, mi faceva segno di avvicinarmi a lui.

«Non farlo aspettare, o rischia di farti altri dispetti», disse Adam mentre si volatilizzava. Con passo incerto, mi avviai – non senza una buona maggioranza di gente che mi fissava come se mi fossi materializzata dal nulla. Ed in un certo senso era proprio così: da quando una come me aveva così tante attenzioni?

«Jess?!», abbozzai senza la sicurezza sperata.

«E il primo giorno è andato. Ti accompagno?», mi chiese sorridente. Oddio, oddio.

«In... moto?», feci esitante.

«No, ti do un collare e ti attacco dietro. Così ti mantieni in forma. Però attenta, perché do di gas».

«Io... intendevo: con la moto? Io su una moto?!», strillai quasi.

«E il problema sarebbe...?», fece più a corto di parole di me.

«Che io non ci salgo su una moto come la tua!».

«E perché?», rise di me.

Indicai quella massa di ferraglia insormontabile con gesti vari e frenetici, fino a quando mi accorsi di non avere né voce né giustificazioni plausibili che al tempo stesso non mi facessero sembrare una sfigata.

«Paura, eh?», mi stuzzicò. Risposi con un grugnito, come per dire: “Chi? Io?”.

«Allora non c'è problema. Ma se hai paura, dimmelo pure... Capisco le fifone», disse compiaciuto di se stesso. Risposi con una pernacchia.

«Sai cosa? Non mi avvicino più di tanto agli sbruffoni», feci assumendo una posa da finta offesa.

«Questo è proprio falso, e ti dico anche perché. Punto numero uno, io non sono uno sbruffone; punto numero due, ti avvicini agli sbruffoni, eccome!». Colsi subito il punto della questione.

«Adam non è uno sbruffone. Non più di quanto non lo sia tu, ecco. Definirei Jim come uno sbruffone, ma Adam no», tentai di difenderlo. Chissà perché.

«Aveva ragione Lara: adesso non è più Hitch, è Adam». Mi diede sui nervi.

«Non ti ci mettere anche tu, Jess. Inizi proprio male, ti avviso», minacciai senza ombra di spirito.

«Davvero credi che dicessi sul serio? Andiamo, lo so che gente come lui non è nemmeno da considerare... Per favore!», fece sprezzante. Proprio come uno sbruffone.

Per una frazione di secondo restai senza parole, perché avevo avuto una specie di rivelazione: avevo visto Jess da una prospettiva del tutto inaspettata. Diversa. E meno bella.

«Jess. Torna a casa, dai. Aspetto i gemelli e Chris, non ti preoccupare. Io e la moto proprio non andiamo d'accordo, fidati». Mi guardò per un po', decisamente preso in contro piede e un pochino deluso dalla mia risposta. Poi assunse una faccia rassegnata e mise in moto, pensieroso.

E io iniziai ad aspettare. Aspettai e aspettai, tanto che dopo dieci minuti chiamai Chris. Udite, udite: erano già a casa. Pensavano tutti che sarei tornata con Jess.

Fantastico.

Nessun passaggio per me. Bello.

La cosa più fantastica di tutta quella situazione fu il risvolto che prese alla fine. Il risvolto che decisi di farle prendere.

«Ti ha lasciata qui, alla fine? Non è molto gentile da parte sua», disse una voce da assassino. Rieccolo, distaccato e minaccioso, proprio alle mie spalle. Mi voltai, seduta per terra, a controllare che fosse lui. Beh, chi altri poteva essere? Almeno non era Jim.

«No. Credo di aver rifiutato io, pensando che Chris fosse ancora nei paraggi».

«E adesso che facevi, allora? Aspettavi un passaggio che piombasse dal cielo, come una luce divina?», disse serio. Le sue parole, in quel contesto, contrastavano troppo con il suo tono micidiale.

«No. A dirla tutta, aspettavo te. Sei l'unico che abita nella mia stessa zona, dopo i gemelli e Chris», ammisi alzandomi in piedi, ma senza guardarlo in faccia.

Mi squadrò due secondi e poi si avviò, senza una parola. Nel dubbio, non lo seguii. Quando si accorse che non mi ero mossa, si girò e mi indicò.

«Allora? Hai messo le radici?», fece scortese. «Ti piace così tanto questo posto?».

«Sai, non è facile interpretare i silenzi di un barbaro, idiota», dissi sputando veleno.

«Vuoi un passaggio o resti a scuola fino a domattina?». Senza rispondergli, mi avvicinai e accettai quella “offerta” spontanea.

In macchina, non dicemmo una parola. Lui era di malumore – lo si capiva a prima vista – e io non ero messa meglio.

Solo quando arrivai a casa e lo salutai (distaccata, ovviamente), mi accorsi che – dannazione – era la terza volta che mi accompagnava.

E che cacchio, basta!

 

Il pomeriggio, qualcuno bussò alla porta, decisamente impaziente. Aprii sbuffando.

«Jess!?», dissi spiazzata e con un filo di voce, proprio acuta.

«Ciao», fece con un sorriso a trecento denti stampato in faccia. Era raggiante, ma non ne capivo il motivo.

«Vuoi entrare?», dissi a corto di parole. Che domanda idiota, non l'avrei mica lasciato sulla soglia... Non con l'aspetto che aveva, fidatevi. Era come se uno stile “Brad Pitt” si fosse materializzato di fronte a me.

«Preferirei che fossi tu ad uscire. Con me».

Restai perplessa per un po'.

«Ci sei ancora?», mi chiese un po' preoccupato del mio silenzio. «O stai pensando a una scusa per bidonarmi?».

«Illuso, vorresti che lo facessi? Beh, non lo farò. Dammi solo un secondo per prepararmi, tu intanto accomodati pure», dissi spostandomi dalla porta e facendogli spazio.

«Okay. Non c'è nessuno?». Aveva un tono che nascondeva secondi fini.

«No... Direi di no. Perché?». Mi sentivo un po' a disagio: situazioni simili non mi erano mai capitate, a dirla tutta.

«Niente, niente. Giusto per sapere». Vedendomi impalata sulle scale, continuò: «Beh, che fai? Non ti prepari? Vuoi restare qui?», mi provocò.

«Ti piacerebbe...», biascicai mentre salivo le scale, sorridendo. Era davvero, davvero molto, molto surreale.

In camera scelsi con cura una mise che non mi facesse sembrare troppo piena di me, né troppo scialba. Insomma, qualcosa che dicesse le giuste cose, no? E tentai anche di non essere troppo lenta, non volevo dare l'impressione della tipica ragazzina isterica che impiega ore e ore per decidere cosa mettere anche per andare in bagno (anche se, devo ammetterlo, a volte anch'io, mio malgrado, mi perdo in problemi simili. E non ne esco facilmente).

Così, in cinque minuti circa fui di ritorno. Lo trovai che sbirciava le foto di quando ero piccola.

«Sei tu?», chiese ridendo.

«No, è mio fratello che, con tendenze gay, a due anni si metteva parrucche rosse in testa», risposi altrettanto frivola.

«Dio mio, che faccino dolce e paffutello... Non che adesso mi sembri una stronza, per carità... Anzi, quasi quasi mi ricredo», mi provocò.

«Hey, cocco bello, non mettermi alla prova... Posso essere davvero molto più crudele di così», lo avvisai. Nemmeno io sapevo, in quel momento, quanto dannatamente vera fosse quell'affermazione. Col senno di poi, me ne sarei ricordata, fidatevi.

«E io ti rimetto in riga, tranquilla. Nessuno mi prende per i fondelli, a me...». Meno male che già lo sapevo bene...

«Comunque», lo interruppi, «che facciamo? Mi sembravi parecchio convinto su un piano, o sbaglio?».

«Assolutamente. E non ti spaventare. Fidati, una buona volta».

«Okay, adesso sì che mi spavento. Non avresti dovuto dirmi di non spaventarmi, è la legge della natura umana: faccio quello che mi vieti, no?», citai alla meno peggio ciò che mi aveva detto la mattina a scuola.

«D'accordo... Ho pensato che, visto che voglio essere io a riaccompagnarti a casa, dovresti imparare a sconfiggere quella tua ridicola paura della moto. Quindi...».

Per un attimo mi soffermai solo sul “visto che voglio essere io a riaccompagnarti a casa” e persi il filo logico del discorso. Mi sentii in colpa, come se lui avesse saputo che Adam mi aveva riaccompagnata a casa al posto suo, quando io gli avevo detto esplicitamente che avrei aspettato altra gente. Non Adam. E adesso non avevo capito se lui sapeva o meno, e mi ero mandata in confusione da sola. Non avevo capito cosa voleva fare perché mi sentivo una specie di Giuda. E ciò non aveva senso, no? Non ero in torto, non avevo fatto nulla di male, ed era stato legittimo chiedere un passaggio all'unica persona rimasta che viveva vicino a me.

La verità era che il fatto che sapessi di non dovermi sentire in torto per qualcosa che di fatto avevo detto e compiuto mi faceva sentire in colpa ancora di più.

Però perché mettere in chiaro quell'equivoco? Era una leggerezza, priva di importanza. Non aveva senso andare a complicarsi la vita per nulla, no? Vero?

«Oggi ti porto in moto con me. Capirai che non c'è niente da temere». Impiegai un po' a capire cosa volessero dire esattamente quelle parole. C'era un significato particolare, che era meglio rappresentato dall'immagine di me, terrorizzata e goffissima, su una moto enorme e incontrollabile che sfrecciava per le strade assolate e affollate di Beverly Hills.

«No, no, no, no, no, no, no, bello mio. Piuttosto restiamo a casa e ti do la libertà di fare di me quello che ti pare. Ma la moto no. Assolutamente no. Non in questo mondo, non in questa vita», dissi irremovibile.

«Potrei anche accettare l'idea del “fai di me quello ti pare”, attenta ragazzina», disse beffardo.

«Okay. Ma la moto, no. Proprio no». Mi squadrò a lungo, con un sorrisetto.

«Per questa volta te la faccio passare, ma... Ricordati che prima o poi ce la farò a darti un passaggio a casa». Da quella frase dedussi che non aveva saputo niente del mio ritorno a casa. E, stupidamente e inappropriatamente, tirai un sospiro di sollievo.

Eppure sapevo che Jess non era stupido. Lo sapevo. «Però, Hayley, devi togliermi una curiosità», iniziò più serio di prima. Ecco il primo allarme.

Dovevo smetterla di vedermi come una piccola Giuda, accidenti, non lo ero. Affatto.

«Di' pure».

«Travis e Jamie mi hanno detto che tu non sei tornata con loro». Mi morsi un labbro e tentai di apparire disinvolta.

«Questo perché Chris pensava che io tornassi con te, e quindi mi hanno lasciata a piedi. Quando li ho chiamati per sapere dove fossero finiti...», iniziai a parlare come una macchinetta.

«Sì, sì, ma non è questa la mia curiosità», mi interruppe brusco.

«Ah, no?», feci spiazzata e con voce stridula. Stavo per uscire allo scoperto. E continuavo a sentirmi dalla parte del torto, ma perché?

«No», mi disse allerta. «Mi chiedevo con chi sei tornata, allora».

Per un attimo trattenni il respiro e cercai le parole e il tono giusti per formulare la risposta nel modo corretto.

«Con Hitch. O Adam, chiamalo come vuoi», dissi tutto d'un fiato e con voce acuta. Maledetta voce, mi tradiva sempre quando meno ne avevo bisogno. Del resto, quando mai si era sentito dire di qualcuno che avesse bisogno di essere tradito?

Stavo impazzendo mentre aspettavo e cercavo qualche segno di reazione.

«Con quello, eh? Quello che gira sempre qui intorno, se non sbaglio», disse con una smorfia.

«Grazie, abita qui...», feci con una risatina isterica. Ero davvero patetica.

«Già. Già. Comunque non c'è bisogno che lo venga a sapere da altri, non ti pare?», disse apparentemente calmo. Sapevo che non lo era.

«Credo anch'io. È che non mi sembrava rilevante, sai... Parliamo di Adam. L'hai detto anche tu che non va nemmeno considerato». “E ti sbagli”, aggiunsi mentalmente e d'impulso.

Ma che diavolo mi prendeva? COSA SUCCEDEVA? Cosa?

«Vero, vero. Hai ragione. In fondo, ti ha accompagnata a casa solo una volta, dopo quella stupida festa... Fanno due con questa. Mi allarmerei se arrivassimo a tre», concluse ridendo. Risi anch'io, ma con tutta un'altra prospettiva rispetto alla sua.

E adesso qualcuno mi chieda perché non lo corressi, perché non dissi semplicemente che c'era stata una terza, irrilevante volta. Avanti, ditemi: “Hayley, perché hai omesso quel particolare? Non avevi detto anche tu ai tuoi amici che omettere è come mentire?”.

Certo che l'avevo detto. E ne sono ancora fermamente convinta.

Ma, vedete, il fatto è che quel pomeriggio compresi che le cose non stavano andando esattamente come sarebbero dovute andare. Ebbi solo un assaggio. Intravidi una piccola nuvola all'orizzonte, e posso dire di essere stata abbastanza superficiale e bugiarda con me stessa da averla semplicemente ignorata.

Una nuvoletta, cosa poteva mai significare? A volte sono anche carine le nuvolette, prendono la forma che noi vogliamo che assumano. Basta un po' di fantasia.

Ma, chissà perché, la nostra fantasia non funziona quando guarda i nuvoloni neri e densi di un temporale. La nostra fantasia scappa a gambe levate, sotto le coperte del letto, spaventata dai fulmini e dai lampi che saprà che arriveranno inevitabilmente. C'è poco da fantasticare, con una nuvola del genere.

Ma la mia era una nuvoletta paffuta e carina, no?

Beh. Altro che nuvoletta. Quella era proprio una tempesta, un vero e proprio cataclisma.

E non sarebbero bastate le coperte di tutti i letti del mondo a difendermi.

Buffo...

Letti.

 

 

 

   
 
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