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Autore: Marty_E_Lara    20/09/2012    4 recensioni
Lara, una ragazza di 14 anni, è una persona socievole e ha una vita qualunque, ma il suo futuro non sarà così normale.
Martina, una giovane 15 enne, con un passato terribile e un presente difficile, cerca di crearsi una vita propria, lontana dalle violenze del padre; presto, però, si renderà conto che non puoi sfuggire al passato.
Il caso le ha fatte incontrare, impareranno che il destino si costruisce con le proprie mani e nessuno può decidere del futuro altrui.
*siamo Martina e Lara, un giorno abbiamo deciso di iniziare questa storia, frutto della nostra fantasia*
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un volto indefinito ma spaventoso. Un essere umano della peggior specie, un mostro che deve essere odiato anche dalla propria madre. Non sono sicura che una creatura capace di questo sia umana.
Le urla di mia madre, il sangue nella camera da letto dei miei genitori e lui, pieno del loro sangue, mi fissa pieno d’odio. Mio padre mi ordina di scappare, ma sento le gambe pesanti e non riesco a muovermi. In poco tempo mi è vicino, ben presto la paura lascia spazio al dolore.


Un clacson sulla superstrada mi strappa dal mio incubo, ricordo di parecchio tempo fa. Sono passati molti anni, alcuni dettagli sono andati svanendo, ma la cicatrice mi brucia ancora come allora.
Il lenzuolo è fradicio, sono bagnata dalla testa i piedi e tremo come una foglia al vento. Sento sbattere alla porta, tre colpi secchi: questa è la mia sveglia, nessun buongiorno, nessuna colazione pronta. Mi libero dalle coperte, indosso un paio di jeans blu chiaro e una maglietta bianca. Infilo un paio di orecchini con un pendente a forma di farfalla, nove braccialetti semplici e mi trucco leggermente. Una persona “normale” sarebbe agitata, sbaverebbe il mascara o non riuscirebbe a sfumare bene il colore, ma sono una ripetente della prima superiore e ho ben altri problemi che mi angosciano. Cerco il mio foulard: devo coprire i lividi su collo e spalle.
Apro la finestra, il cielo non rispecchia molto il mio umore. Mi lascio solleticare il viso dall’aria fresca del mattino, se fossi in montagna sentire un profumo di natura, invece avverto solo puzza di smog. Mi metto la cartella in spalla, per i primi giorni il suo peso sarà sopportabile. Indugio un po’, in questa camera posso ancora sentire il delicato profumo di mia madre.

«Màrtìnà!»
Mi chiama mio padre, già ubriaco di prima mattina. Corro alla scrivania e indosso una collana con il crocefisso: che dio mi aiuti.

                  ***
Sono seduta in macchina, la radio è rigorosamente spenta e mio padre fuma senza abbassare il finestrino. Odio il fumo, odio l’alcool, odio che mio padre non passi alla fase successiva del dolore. Anch’io ho sofferto molto, ma non ho assunto comportamenti autolesionisti e soprattutto ho cercato di renderlo fiero di me. Non è facile ottenere buoni profitti a scuola –una delle poche cose che possono rendere felice un padre come il mio- se devi controllare che tuo padre non vada in coma etilico, oppure se devi uscire a prendergli le sigarette o peggio andare a casa di qualche suo “amico” per della marijuana; ogni maledettissimo momento della giornata lo perdo dietro a mio padre.  Quando gli ho detto che sono stata bocciata mi ha fissato per qualche secondo e poi è tornato a bere; la sera, finiti gli alcolici, è salito in camera mia e mi ha picchiato con la cintura. Ho ancora i segni sulla schiena.
Certe cose lasciano ferite profonde nell’animo, il corpo guarisce completamente ma l’anima no.

«Dopo scuola non venire a casa»
Quelle parole mi strappano alle mie riflessioni dolorose. Ho la gola secca e le parole non riescono a uscirmi dalla bocca.

«Potrai tornare dopo le quattro del pomeriggio, se tardi un solo minuto…»

«Non tarderò!»
Non gli lascio finire la frase e rispondo prontamente. Mi tengo sembra pronta a evenienze simili: in cartella ho soldi, cellulare, un cambio di abiti e i miei antidepressivi.
Arriviamo al semaforo e fino a quando la macchina non è immobile, trattengo il fiato e prego in silenzio. Ogni attimo è scandito dal battito accelerato del mio cuore, non presto molta attenzione all’autovettura accanto alla nostra. Verde, si parte.
Percorriamo le strade troppo velocemente, non ricordo nemmeno più come guida mio padre da sobrio. Nel cielo, timide nuvole vengono sospinte dal vento con delicatezza; vorrei essere una di loro: una semplice molecola d’acqua. Dopo un tempo infinito, ma relativamente breve, arrivo davanti a scuola. Mi lascio sfuggire un sospiro, saluto mio padre ed esco all’aria aperta. Cammino non troppo rapidamente, desiderio solo passare inosservata, ma con la cicatrice è praticamente impossibile.
Tutti gli altri sono stati accompagnati da un genitori, alcuni addirittura da entrambi, io da nessuno. È triste a dirsi, ma sono felicissima così.
Non sopporto stare in mezzo alla gente, ho bisogno di spazio, così mi appoggio alla scala antincendio che si trova circa dieci metri lontano dall’ingresso e dalla folla. Fisso l’orologio: la scuola dovrebbe aprire a minuti.

«Come si fa ad andare in giro conciate così?»

«Io mi venderei un rene per pagare l’intervento plastico»

Due ragazzine, le classiche donne facili, si fanno sentire di proposito: mi fissano senza mascherarlo, alzano molto il tono di voce e mi guardano con espressione schifata. Indosso le cuffie dell’ipod, sparo la musica a tutto volume e quando passo davanti a loro, sposto i capelli dietro alle orecchie per far notare che sto sentendo la musica. Non voglio darle considerazione né soddisfazioni.
Percorro questi corridoi per la seconda volta da primina, sarà anche l’ultima: o passo in secondo o la faccio finita, e non parlo di scuola.
Veniamo radunati in auditorium, l’aria è pesante e fa molto caldo.

«Martina Angelica De Santis»
È il mio nome, ogni volta che devo pronunciarlo perdo tre anni di vita. Mi alzo e scendo le scale, andando a mettermi accanto a quelli che saranno i miei nuovi compagni di classe. Una ragazza dagli occhi molto belli e dai capelli morbidi mi fissa, da quando ho questa cicatrice ho addosso l’attenzione di tutti.
Percorriamo i corridoi, a me familiari, e arriviamo all’aula 251. I banchi sono unici, per due persone, ne cerco uno completamente libero ma ormai è troppo tardi. Mi vado a sedere accanto alla ragazza che prima mi fissava, è l’unica che mi ispiri simpatia. Ci scambiamo uno sguardo, entrambe ci sentiamo fuori posto.



**angolo dell'autrice Martina**
Eccomi qui! Dai prossimi capitoli non racconteremo le stesse situazioni da entrambi i punti di vista, state tranquilli xD
che ne pensate del mio capitolo? fatevi sentire con le recensioni!
Grazie e adesso leggete il capitolo della mia socia e migliore amica xD

  
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