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Autore: Glenda    20/09/2012    1 recensioni
Questa è una storia scritta molto tempo fa, e l'affetto che ho per questo sito fa si che voglia condividerla con tutti voi. Nella Firenze degli anni novanta, Mattia, studente fuori sede, affronta il primo anno all'università di lettere. E' solo in una città che non conosce, impacciato, timoroso, ma soprattutto confuso su se stesso e sulla sua capacità di vivere la propria giovinezza pienamente, di saper veramente gioire, soffrire, buttarsi nella vita, amare. Gli serviranno incontri importanti per iniziare a capire, incontri con amici speciali: amici "della razza che non rimane a terra". Storia d'adolescenza, di formazione, d'amore e amicizia che tenta di rispondere ad un vecchio quesito: ma la vita, davvero, come diceva Pirandello, "o si vive o si scrive"?
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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VIII

 

 

 

"Non si passa!", quasi

urlava. E teneva

- ritto in mezzo alla strada -

le braccia aperte, quasi

bastasse quella barriera

a bloccare l'irrompere

- fulmineo - della sera.

 

(G. Caproni)

 

 

 

La mia nomina a vice direttore non fu accolta, come temevo, con scontento, bensì con una serie di apprezzamenti benevoli, e, nei casi peggiori, con educata indifferenza. Non per questo mi illusi che i colleghi avessero completa fiducia nelle mie capacità: vedevo fin troppo bene come stavano le cose: nessuno voleva prendersi a cuore la sopravvivenza della rivista, e, se c'era chi si assumeva questo onere di spontanea volontà, non si poteva che accoglierlo con buon viso.

Per cui, nessuna questione.

L'unico che si sentiva continuamente spupazzato qua e là, sradicato da un posto e piazzato a incastro in un altro, ero io.

Tuttavia non mi lamentavo, ora perché il troppo daffare non me ne lasciava il tempo, ora perché la soddisfazione di essere tanto importante per Filippo mi toglieva ogni desiderio di protesta. E di beghe, bisogna riconoscerlo, ne avevo davvero tante: mi erano state affidate almeno la metà delle pratiche che prima spettavano al direttore, e a complicarmi l'esistenza si aggiungevano le sue sparizioni continue in chissà che uffici legali, e le interminabili giornate in cui si piazzava fisso al telefono e, qualunque problemuccio saltasse fuori, esclamava, tappando con una mano la cornetta “Mattia, questa è roba per te!”, o, a eventuali 'intrusi esterni', “Adesso non posso, ma c'è il vice direttore, il signor Loira: può rivolgersi a lui”.

A questo, poi, ci avevo fatto il callo: le volte che lui non c'era, infatti, ogni tipo di pubblica relazione toccava a me. Fu giusto in un'occasione del genere che conobbi Mauro Nissori, l'uomo col pizzetto di capra che cominciò da quel giorno in poi a ronzare costantemente nell'ufficio, sfoggiando cravatte multicolori che gli strozzavano il collo.

Arrivò per la prima volta in redazione una mattina di metà ottobre, mentre io ero alle prese con un articoletto inutile che proprio non voleva lasciarsi buttar giù in corretto italiano, e col telefono che, come sempre, squillava senza pietà.

Quando sentii Ricci che rispondeva al citofono e diceva “Primo piano a destra!”, lì per lì finsi di non essermi accorto della visita, sperando che si trattasse solo di posta da firmare, ma poi una voce roca e un po' nasale mi raggiunse dal corridoio

- Ho urgenza di parlare col direttore. Me lo faccia chiamare subito, per piacere -

- Il signor Scizio non c'è - fece Ricci - se vuole le chiamo qualcuno di competenza -

Prima di costringerlo a scomodarsi, mi ero già affacciato all'uscio dello studio

- C'è bisogno di me? - domandai.

Ma l'ospite, con cipiglio irriverente, mi squadrò di sotto in su, aggrottando la fronte e disse

- Lei chi è? -

- Il signor Loira - mi presentò Ricci, togliendomi le parole di bocca - Il vice direttore -

- Ah. Ho capito. Allora, signor Loira - calcò minacciosamente le lettere del mio nome - sia gentile: mi chiami subito Scizio, e gli dica che c'è qui Mauro Nissori della Lefis, che è venuto apposta per parlargli -

- Filippo non c'è - ripetei, intimidito, sforzandomi di credere che non avesse capito bene - E' a Grosseto, per la causa... -

Lui si guardò intorno, indagatore, e rimase zitto, quasi cercasse di udire qualche suono che confermasse il suo sospetto

- Mi auguro davvero - disse allora, volutamente ad alta voce - che il “signor direttore” sia a conoscenza del fatto che io non amo essere snobbato, e men che mai sopporto aspettare -

- Mi scusi, ma non capisco -

- Andiamo, Loira: ha capito perfettamente. So bene che Scizio è qui in città. Vengo ora da Grosseto, e le assicuro che lassù di lui non c'era nemmeno l'ombra. Per cui smettetela coi giochetti infantili, e provi invece a insegnare al suo capo a non fare troppo il prezioso, dato che già le circostanze non stanno ruotando a suo favore -

Ricci ed io ci scambiammo uno sguardo spazientito

- Se ha bisogno di una visita guidata per il corridoio per accertarsi che Filippo non è in redazione - dissi - ben venga. Se invece preferisce prendersi un caffè e sedersi ad attendere, altrettanto libero: non sarò io a mandarla via. Solo, non so quanto le convenga, se è vero che non le piace aspettare... -

Nel pronunciare l'ultimo pezzo di frase, mi auto compiacqui della bella dimostrazione: il signor Nissori, intanto, aveva già tirato fuori dalla tasca della giacca un biglietto da visita col suo nome, sotto la sigla Lefis in stampatello rosso, e me lo stava porgendo

- Tornerò domani - dichiarò - spero non a vuoto. Ma lei, signor Loira - volle puntualizzare - riferisca a Scizio che se continua a non lasciarsi trovare si butta a capofitto in un mare di guai, ben peggiori di quelli in cui già sta annaspando -

Io ostentai condiscendenza e gli porsi la mano, con un cordiale sorriso

- Glielo farò sapere - assicurai.

Mi tuffai sulla poltroncina girevole di Filippo, spossato dal breve colloquio, che mi aveva richiesto più energie del previsto, ma soddisfatto di come ero riuscito a liquidare lo scocciatore in poche battute di dialogo.

Solo, avevo un pensiero: come mai Filippo mi aveva mentito dicendomi di andare a Grosseto, e, soprattutto, se ciò che aveva detto quel Nissori era vero, come mai mi aveva fatto credere fino allora che tutto filasse per il meglio? Non capivo come quella reticenza potesse conciliarsi con tutta la fiducia che mi aveva accordato ultimamente, e, per la prima volta da quando era cominciata quella faccenda, pensai che era il caso di preoccuparsi per qualcos'altro che non fossero le mie responsabilità personali nei confronti suoi e in quelli dell’equipe.

Quasi d'istinto composi il numero del suo cellulare, mentre tenevo il capo ancora affondato nella sua poltrona, nel suo studio, davanti alla sua scrivania..."Tim, informazione gratuita..."

- Al diavolo! -

Rino fece capolino dietro lo stipite.

- Che hai? -

Mi massaggiai le tempie e la fronte: mi sembrò di avere la testa pesa per colpa della frangia troppo lunga

- Nulla... -

- Cercavi Filippo, vero? Suppongo che quell'uomo fosse lì per lui -

Si sedette davanti a me, dall'altro lato della scrivania, nel posto che di solito occupavo io, e allungò una mano alla brutta copia del mio articolo.

- Non vai avanti? -

- Ora no...Sono...preoccupato -

- Ah -

Mi guardò negli occhi e io gli fui grato di non voler aggiungere nessun "te l'avevo detto".

- Filippo non ci ha mai raccontato la verità...ho ragione? -

Scrollai le spalle, in un gesto di impotenza

- lo suppongo - ammisi - dato che non è mai partito per Grosseto -

- No? E dove pensi che... -

- Non lo so. Non credo di sapere più niente, a questo punto. Ma, che vuoi farci...non capisco nulla di queste cose...è tanto se ho imparato a pagare da solo le tasse all'università... -

Questo Rino lo sapeva, e non c'era bisogno che glielo ripetessi, ma ero io che avevo bisogno di evitare il baratro del silenzio: sarebbe stato peggio del "te l'avevo detto" che Rino non si lasciava sfuggire.

- Chissà che starà combinando... - proseguii.

Rino si alzò dalla scrivania, e mi riporse il telefono con un gesto di insolita decisione

- Prova a chiederglielo. - disse - Visto che sei il solo che lo aiuta - (e si escluse modestamente dal numero) - credo te lo dirà -

 

Uscii dall'ufficio per ultimo, a tarda sera. Chiusi la porta e scesi a capo basso per le scale.

Fuori era già buio e le chiazze ovali di luce dei lampioni sull'asfalto sapevano d'inverno.

Ero stanco.

Ma era presto per dormire, non erano nemmeno le otto, e Camilla mi aspettava per cena: erano piuttosto i miei occhi a doversi ancora adattare al veloce imbrunire di un ottobre già avanzato.

Stava anche tornando un gran freddo: me ne accorsi proprio quel giorno, ritrovandomi all'improvviso, mentre la testa se ne andava a spasso per conto suo, sul marciapiede deserto, senza cappotto, sorpreso da un brivido intenso e lungo, uno spiffero di vento sotto quella frangia troppo pesante.

Mi sentii solo. Terribilmente abbandonato e solo. Ma fu la sensazione di un istante, e se ne scappò subito, intimidita dall'energia forzata con cui corsi sull'altro marciapiede, e poi rapido fino a casa.

Passava veloce il tempo, e non mi concedeva indugio, stavo sorpassando degli anni senza ripassarli, senza fissarli perché restassero...Filippo Scizio non conosceva queste attese: il suo tempo era senza pose e senza pause, freddo polare o caldo soffocante che fosse, lui non vi avrebbe colto lo spunto per restare fermo in piedi in mezzo ad una strada. Me ne accorgevo vivendo un po' della sua vita, ma più ci riflettevo sopra, più capivo che, direttore di una rivista o studente da quattro soldi, io di una cosa, la sola che mi avrebbe potuto rendere simile a lui, non sarei mai stato capace: credere importanti le cose che facevo, pensare che ogni gesto, ogni parola, o ogni impresa da compiere fossero essenziali, si trattasse di scelte o anche solo di faccende che mi capitavano tra le mani per sventura o errore...E mi balenava in mente questa idea, quella sera, sempre la stessa, la stessa doccia fredda, ogni volta: a che gli serviva? Chi glielo faceva fare? Se se lo fosse chiesto una anche solo per un minuto, chissà cosa avrebbe risposto...

Certo se glielo avessi domandato io mi avrebbe mandato al diavolo, o mi avrebbe rovesciato addosso grandi parole per dimostrarmi, una volta di più, di star compiendo la più grande opera della sua vita, la missione straordinaria che avrebbe cambiato il mondo...Anche a me sarebbe piaciuto cambiare il mondo, sentirmi destinato a grandi cose...prima, però, avrei dovuto trovarne almeno una talmente bella, talmente luminosa e grande, da non crollare come un castello di carta al primo cambio di stagione.

Ero già sotto la porta e suonai.

Camilla mi aprì con un viso raggiante, che stonava parecchio con quello che doveva essere il mio

- Sempre più tardi! - protestò scherzosamente - non spererai di 'sgamare' il turno di cucina anche stavolta! -

- No, se ti accontenti di cenare a tarda notte - provai a rispondere a tono - e poi, è molto più faticoso rigovernare che friggere due patatine -

- Coi piatti usa e getta? Bella forza! -

Passai in cucina, e la vampa di un enorme mazzo di rose lucide e ben confezionate in mezzo alla tavola bastò a spiegarmi in un'occhiata il motivo dell'euforia di Camilla

- Visto? - fece lei senza darmi il tempo di chiederle nulla - E' stato Vito -

Lì per lì non aggiunse altro e si guardò bene anche dal richiedermi commenti quando io rimasi stranamente lì, zitto zitto e per nulla stupito. Forse sospettava che le avrei rinfacciato il troppo entusiasmo, e si accontentava di un auspicabile pietoso silenzio: invece ero soltanto distratto, e non avevo ancora messo a fuoco il nome del misterioso spasimante. Non ricordavo che il suo ex si chiamasse Vito, tanto ero abituato a sentirlo definire piuttosto, a seconda degli stati d'animo, con epiteti quali "il mio amore" "il mio uomo", o, all'evenienza, "il cretino" "il maledetto", oppure ancora, solamente, con un tono traducibile su carta per mezzo della lettera maiuscola "Lui"...Era sempre stato quasi un'entità astratta!

- Ritorno di fiamma? - chiesi, mettendo fine a quel mutismo imbarazzante.

Lei agitò il capo frettolosa, in segno di discolpa

- Non ci torno mica insieme! - disse.

Poi sorrise, trasognata

- Ma sono felice perché mi ha chiesto scusa -

Esitò, cercando di nuovo di giustificarsi, di trovare delle motivazioni razionali alla sua allegria da potermi elencare a scopo probante

- Ho avuto la soddisfazione di averlo cambiato: prima non si sarebbe mai abbassato a chiedere scusa a una donna. Ricordi? Detestavo il suo orgoglio. Invece stamattina è arrivato qui con questi fiori e mi ha detto che ora si sente un uomo diverso, e che lo deve a me, perché se non lo avessi lasciato, se non fosse stato privato della cosa più importante, cioè io, non si sarebbe mai accorto di quanto era stato bastardo... -

Le brillavano gli occhi, aveva un tremolio strano persino nella voce, si era già rimesso in moto tutto, insomma, ed io, che avevo voglia di sentirmi cattivo, pensai che ogni cosa procedeva secondo copione: il brillio degli occhi, il tremolio della voce, il bel discorso sdolcinato, amore e sofferenza...Se avessi voluto esserlo fino in fondo avrei potuto anche farglielo notare: ma preferii usarle la stessa cortesia che Rino aveva usato poco prima a me.

E poi volevo proprio che il discorso finisse lì, per quella sera: a coronare la paranoia di una simile giornata ci sarebbe giusto mancata la consulenza sentimentale.

- Beh, lui mi pare ancora innamorato di te - affermai, addentando quel che rimaneva di un panino svuotato della mollica da Camilla, che aveva sfogato l'emozione facendone tante piccole palline e allineandole sul bordo del tavolo

- Si - confermò - me lo ha confessato. Ma mai tornare sui propri passi, giusto? Una decisione presa è un punto e a capo per sempre -

Mi divertiva quando diventava sentenziosa per suggellare dignitosamente le sue riflessioni spicciole di auto convincimento: sembrava sempre che dovesse blandire e persuadere un giudice implacabile, incarnato, chissà come, nella mia persona, per essere sicura di rimanere ferma sulle proprie posizioni...Quando poi sapevamo già benissimo entrambi che non sarebbe successo!

- Non essere tassativa - feci io, bonariamente - non si sa mai - e Milly, che non si aspettava una simile manifestazione di "indulgenza" - credi? - disse - pensavo saresti stato più rigoroso... - Mi alzai dalla tavola: mi venne su dalla gola una nota di tristezza - forse... - bisbigliai - non stasera, comunque... -

 

Mauro Nissori tornò in ufficio il giorno dopo, e ancora il successivo, e via così per tutti quelli a venire, finchè un mattino di primo novembre non riuscì ad incontrare Filippo, che era tornato allora allora e non aveva ancora avuto neppure il tempo di scambiare qualche parola con noi.

- Ti ha cercato continuamente - gli sussurrai all'orecchio, fingendomi scherzoso, mentre gli andava incontro davanti alla porta - quell'uomo è una mignatta! -

Filippo mi rivolse uno sguardo complice, sorrise

- Lo so - disse.

Un attimo dopo lo vidi percorrere il corridoio in senso opposto, seguito dall'ospite, e andare a chiudersi con lui dentro il suo ufficio. In vero non avevo intenzione propriamente di origliare, ma dalla mia posizione le loro parole si sentivano così bene, che sarebbe stato uno sforzo troppo grosso per me rinunciare ad ascoltarle. Del resto, nessuno dei due sembrava molto interessato a mantenere la conversazione chiusa tra quelle quattro pareti: entrambi tenevano un tono di voce piuttosto sopra il livello della pacifica conversazione. Nissori, soprattutto, sembrava davvero molto acceso...

- Io, signor Scizio, proprio non riesco a capire la sua ostinazione autodistruttiva nel rifiutare i nostri accordi!...Non vuole ritrattare? E' una questione di prestigio? Va bene! Le siamo venuti fin troppo incontro chiedendole la semplice garanzia di non toccare mai più l'argomento sulle pagine della sua rivista. Non mi pare una gran pretesa...E lei invece?...Non si degna nemmeno di darci una risposta. A questo punto, credo ci dovrebbe proprio delle scuse! -

- D'accordo. Mi scuso, se può farle piacere. Ma questo non cambia i fatti: garanzie o ritrattazioni, sempre di un compromesso si tratta. Ed io non scendo a compromessi -

- Mi permetta di farglielo presente, Scizio: lei è un uomo irragionevole. Per un orgoglio che non giova a nessuno, persiste nel voler affrontare gli inconvenienti di un processo presumibilmente lungo e costoso per entrambi -

- Parli al singolare, di grazia -

- Scizio, per l'amor del cielo!...Lei sarà pure ricco, ma pensa davvero di vincere la causa? -

- Questo non lo so. Ma ora come ora è nel mio interesse che il processo si faccia -

- Nel...suo interesse?...Ma se l'abbiamo sporta noi, la denuncia! -

- Esatto. E adesso, chissà come mai, vi vendereste l'anima perché tutto saltasse. Strano, molto strano, davvero... -

Ci fu un attimo di silenzio, poi udii di nuovo la voce di Filippo, distesa, naturale.

- Ha nient'altro da dirmi? Perché altrimenti... -

Nissori rispose con un tono più dimesso, ma austero.

- Mi arrendo, Scizio. Lei è davvero più agguerrito di quanto credessi. Le confesso che avevamo minacciato il processo solo nella certezza che lei si sarebbe lasciato intimidire e ci avrebbe fatto pubbliche scuse. -

- Ah, ma guarda -

- Ciò non toglie che le sue accuse siano completamente insussistenti, e se lei vuole ostinarsi nel suo intento, le garantisco che ci toglieremo la soddisfazione di dimostrarglielo. Vedremo in seguito quanto tutto questo potrà continuare a rientrare nel "suo interesse" -

Ci fu un nuovo, prolungato silenzio prima che Filippo riprendesse la parola. Io già mi aspettavo una bella frecciata pungente, o anche solo un cortese invito a guadagnare la porta, invece lui, cambiando tono e discorso all'improvviso, disse

- Cosa sa della Canavan-trasporti, signor Nissori? -

Silenzio.

- Niente. L'ho solo sentita nominare -

- Peccato. Pensavo che avessimo delle conoscenze comuni -

Il telefono squillò e dovetti rispondere, così non potei capire cosa c'entrasse quell'intermezzo inspiegato nella loro conversazione. Ma li ritrovai poco dopo, nell'atrio dell'edificio, davanti al portone a vetri, mentre tornavo dal distributore del caffè, e mi attardai sulle scale per aspettare Filippo.

Nissori era molto più arrabbiato di prima.

- La sua testardaggine rasenta il fanatismo, signor Scizio. Ma la rovino, le giuro che la rovino! -

- Mi conceda il beneficio del dubbio -

- Lei mi renderà ragione! -

- Lo vedremo al processo -

Nissori scrollò le spalle, e, senza un cenno di saluto, si avviò alla sua macchina con passo nervoso. Anche Filippo si voltò dall'altra parte, stizzito

- Che schifo! - bisbigliò mangiandosi le lettere, ma non appena vide me, in piedi, lì impalato, mi venne incontro tutto gioviale.

- Mi aspetti Mattia? Prendo un caffè anch'io e saliamo insieme -

Bisognava che approfittassi dell'occasione se volevo chiedergli conto di tutte le balle che mi aveva raccontato, perciò lo assecondai volentieri e, salendo tre gradini alla volta, gli andai dietro.

- Che voleva il Nissori? - esordii disinvolto, come si stesse chiacchierando dei cornetti mangiati a colazione.

- Romper le scatole - fece Filippo, a tono, lasciando scivolare una monetina nella fessura del distributore automatico - Hai qualche spicciolo? -.

Mi frugai nelle tasche e tirai fuori una manciata di monete di vario calibro.

- Grazie, grazie mille. In ufficio te li restituisco -

- Figurati! -

Quello scatolone azzurro faceva un gran tramestio per colar giù un mezzo bicchierino di caffè: sembrava una manifestazione di insofferenza...Ma guarda un po'! Con lo schifo di acqua macchiata che ci propinava!

- Senti Filippo - presi coraggio - E' vero quel che Nissori ci ha detto, che non sei mai stato a Grosseto, e che non hai avuto più relazione con la Lefis da almeno un mese? -

Lui non parve colto sul vivo, e mi sorrise con gran naturalezza, quasi affettuosamente

- Ah, si è lamentato anche con te? -

Poi sorseggiò il suo caffè, si scottò le labbra, fece una smorfia.

- Si, è vero. Ma non mi pare il caso di discuterne, ora. Se mi inviti a cena stasera, ti spiego tutto -

Fui felice che non volesse tenermi fuori dalla questione, e acconsentii di buon grado, sforzandomi, o almeno fingendo di essere, assolutamente tranquillo

- Senz'altro! - dissi - ma mi devi concedere di rientrare in casa ad un’ora ragionevole, o Camilla mi bandirà per sempre dal suo appartamento! -

Filippo scoppiò a ridere

- Ed io le aumento l'affitto! - esclamò.

 

Cercavo le chiavi rovistando nel mio marsupio, quando vidi due figure avvicinarsi lungo il marciapiede. Per quanto le mie lenti sempre più graffiate potevano permettermi di vedere, una delle due mi pareva proprio Camilla, e l'altro era indubbiamente un uomo, che sospettai trattarsi del noto Vito.

Quando mi fu vicino, Milly arrossì, perché s'era accorta che l'occhio mi era subito caduto sulla mano che teneva stretta in quella di lui

- Eh si... - disse - E' come pensi... -

Le sorrisi, senza commentare

- E' cambiato... - aggiunse, piegando il capo su un lato e guardandolo

- Si - confermò lui - sono molto diverso, ora. Ho sofferto tutta l'estate, ma mi è servito di lezione -

Mi sentii cattivo, sfoderai un sorriso ancor più largo, e non poco ironico

- L'amore fa brutti scherzi! - dissi - Tuttavia ti trovo in ottima forma! -

Lui reagì con un’occhiata feroce, ma Camilla non aveva colto la battuta e pensò che volessi solo fargli un complimento. Ne fui felice, perché un attimo dopo mi ero già pentito di quello sprazzo di malignità. In fondo ero proprio meschino: avrei dovuto augurarmi che davvero fosse tutto diverso e che Camilla fosse per sempre felice, invece avevo persino sperato di ricevere da quel breve scambio di battute la conferma che il bel Vito era ancora un mascalzone tal quale a prima.

Scivolai su per le scale, lasciandoli che si baciavano sul portone.

Filippo doveva venire a cena, e mi convinsi che il mio solo desiderio, in quel momento, fosse sentirmi essenziale per lui.

 

- Bravi, complimenti! Facile con i cibi precotti, eh? -

Ci prendeva in giro, con una benevolenza che doveva servire a non screditare troppo il proprio status simbol di superbo, dopo i colpi persi recentemente. Ma benché ostentasse quell'atteggiamento, quella sera ogni suo gesto finiva con l'apparirmi inesorabilmente insicuro ed esitante. Mi dissi che dovevano essere i pasticci a renderlo così simpatico, e proprio di quelli mi aspettavo che mi parlasse.

Invece tirammo tardi giocando a carte, e al motivo per cui era lì, neppure un accenno.

Poi, quando Camilla si fu avviata a lavorare alla discoteca, mi sorprese

- Ti scoccia se usciamo?...E' tanto tempo che vorrei tornare in un locale che conosco... -

- Va bene - acconsentii - è distante? -

- Non tanto. Ma prendiamo la mia macchina -

- D'accordo -

Filippo guidava disinvolto, distogliendo spesso lo sguardo dalla strada per dire qualcosa a me; teneva una sola mano sul volante, con l'altra scorreva le frequenze dell'autoradio, protestava

- Che robaccia, di questi tempi... -

Era la prima volta, notai, che sperimentavo la sua guida, e mi dissi che, guai a prescindere, si muoveva sulla carreggiata come sui nostri marciapiedi o nel corridoio dell'ufficio: energico e sciolto. Ecco....io, invece, non avrei mai imparato a guidare...

- A che dobbiamo quest'idea? -

- Quale? -

- Quella di uscire... -

- Perché, non ti va? -

- Si, figurati. Solo, mi avevi sempre lasciato capire di detestare discoteche e locali...di divertirti in altre maniere...Ma come sempre non ho capito nulla -

- Come sempre hai capito benissimo, invece. Ma a volte ho voglia di fare cose che in altre occasioni non farei. Gusto di varietà. Sai, oggi compio venticinque anni -

Rimasi piacevolmente sorpreso: era dunque questa la ragione del suo insolito auto-invito!

- Potevi anche dirmelo prima! - lo rimproverai - Avrei preparato almeno la torta! -

- Si...lo sospettavo...Per questo ho preferito passare sotto silenzio la "grandiosa ricorrenza". Detesto i festeggiamenti. Le ultime candeline che ho spento erano dieci. Dieci e amen. Poi non se ne è fatto più di niente -

Credevo mi avrebbe spiegato anche il perché, ma lui non aggiunse altro.

- Io, invece - dissi allora - Presto molta attenzione alle "grandiose ricorrenze". Mi piace pormi delle scadenze: mi servono a sentire il tempo -

Filippo spense la radio, rise.

- Io il tempo non lo "sento", lo attraverso! -

Forse voleva solo sfoderare una bella frase conclusiva, e non pensò neppure al senso delle sue parole, ma calcò talmente bene il verbo finale che da allora non sarei più riuscito a separare quelle terribili quattro sillabe dal concetto di tempo, e dalla faccia solare di Filippo Scizio, per tutte le volte che mi sarebbe capitato di trovarmi di fronte a date significative.

Chissà che voleva dire, poi, "attraversare il tempo"!

 

Nel locale aleggiava un'atmosfera opaca, staniante, tra luci soffuse, fumo di sigarette, e strani colori nei bicchieri. A guardarsi in giro le persone potevano sembrare tutti uguali, i lineamenti sfocavano negli strani riflessi di quel posto. Solo quelli di Filippo spiccavano decisi nel tenue chiarore della lampada che pendeva bassa poco sopra i nostri capi, credo, più che per l'effettiva vicinanza, proprio per quell'effetto di sempre che faceva in modo che neanche il torpore di quel luogo fumoso riuscisse a smorzare il nitore essenziale dei suoi tratti e dei suoi gesti.

Il posto, però, non era bello: in questo non aveva avuto buon gusto. Ma faceva niente. Valeva bene la dimensione di confidenza che aveva contribuito a creare tra di noi.

Filippo non aspettò neppure l'ordinazione, venne subito al dunque.

Accavallò le gambe, braccia conserte in atteggiamento distinto da grande uomo d'affari (...nuovo salto di dimensione, nuova atmosfera, certo meno cordiale, ma più consueta, per me...) e cominciò

- Innanzi tutto ti sarai stupito della mia apparentemente ingiustificata testardaggine nel voler portare avanti la causa, dopo aver rassicurato tutti, alla mia prima partenza, di avere in serbo i migliori propositi accomodanti. In effetti l'accordo si sarebbe potuto raggiungere con facilità: interesse precipuo della Lefis era che l'argomento venisse una volta per tutte accantonato. Tuttavia la loro urgenza di mettere tutto a tacere mi ha insospettito parecchio, e purtroppo, sai, quando io sospetto qualcosa è molto difficile che sbagli -

Questa candida dichiarazione di infallibilità fu l'ultima tappa del cammino di ridiscesa nei nostri ruoli abituali, ma proprio perciò servì a rilassarmi.

- E quindi? - lo sollecitai, curioso.

Lui si fece serio, indossò l'espressione più grave tra quelle di cui disponesse il suo repertorio

- E quindi sono tutti dei grandissimi delinquenti! Ma ti giuro che li incastro, Mattia. Non gliela faccio passare liscia -

Rimasi di stucco, zitto a contemplare sul suo volto quel misto di istinto temerario, e di adulta consapevolezza.

- Disperdono nell'ambiente sostanze tossiche - spiegava lui, cercando di mostrarsi professionale e competente - servendosi dei famigerati mezzi di cui li accusavo, chiaramente. Conoscerai la zona, immagino...non è molto lontana da... -

No, non conoscevo la zona. Ma questo non aveva alcuna importanza.

Filippo mi stava confessando cose assurde, mi raccontava delle indagini che aveva svolto in quei mesi, mi diceva di voler sfruttare l'occasione del processo per smascherarli, mi assicurava di essere riuscito a raccogliere prove inconfutabili, mi trattava come la sua fida spalla in un folle, inverosimile film...

- E di che prove si tratta? - chiesi, illudendomi ancora che si sbagliasse, che fosse tutta una macchinosa farsa.

- Una prova schiacciante - disse - Ho una bolla di consegna. L'ho avuta dalla Canavan trasporti: sono loro che sbrigano il servizietto per la Lefis...Perché, ne dubitavi? -

- Beh, scusami...ma se la Canavan è coinvolta, che interesse aveva a dare a te una bolla di consegna? -

Filippo mi lanciò un'occhiata ambigua, tra il l'ironico e il compassionevole

- Suvvia, Mattia. E' ovvio che non gliel'ho gentilmente chiesta -

Mi guardò, sperò di ricevere uno sguardo d'intesa, ma non lo ottenne

- L'ho rubata, no? - disse allora a chiare lettere - Come dovevo fare? Non avevo altri mezzi -

Mi lasciai sfuggire un gridolino strozzato di sconforto

- Rubata? Ma sei matto! -

Filippo scrollò la testa in segno di disappunto

- Non essere eccessivo - mi sgridò - E' solo un pezzo di carta che non serve a nessuno. E lo faccio per una giusta causa. -

Poi si fece più bonario, e, amaro, sorrise

- Non te l'aspettavi, eh? -

 

Non me l'aspettavo, no! Noddavvero.

Ero rimasto ghiacciato. Non avevo mai provato lo sconforto di trovarmi così all'improvviso calato in una situazione tanto estranea alla mia ottica di vita, tanto incredibile, e che era invece così reale da far sì che l'irreprensibile Filippo Scizio diventasse ladro ed io - perché c'ero anch'io, nel bel mezzo della faccenda, era innegabile - vice direttore di una rivista, e magari (ormai non ci voleva poi molto!) complice di lui, che mi aveva abilmente inserito, a mia totale insaputa, in quel progetto pazzesco.

La macchina sfrecciava per la strada deserta sulla via del ritorno.

Stavolta ero io che scorrevo nervosamente le frequenze sulla radio non trovando una stazione su cui valesse la pena fermarsi, mentre lui guidava serio, taciturno, guardando fisso l'asfalto davanti a sé.

- Tu non credi... - mi disse ad un tratto - che serva a qualcosa...La pensi come Rino, vero?...Che non vale la pena, che sono altre le cose...importanti... -

Stavo per rispondergli, ma non me ne diede il tempo

- Lascia perdere... - troncò il discorso - tanto so quel che faccio -

"Io non credo niente" avrei voluto spiegargli "E' proprio questo il guaio"...Invece stetti zitto, una volta di più, e continuai a far scivolare rapida la mano sulla rotellina rossa e ad osservare assorto la stanghetta fosforescente che illuminava uno dietro l'altro fitti numerini disordinati.

Avrei potuto rompere quel silenzio inquietante assecondandolo nella critica ai "pezzi forti" del momento, ma non sarei stato sincero: anzi, la mia attenzione si fermava quasi ogni giro delle dita, a strappi, su pezzi di frasi, e metteva insieme, come in uno strano puzzle di parole, i mozziconi di strofe che sfuggivano alla fretta del mio zapping radiofonico, veloci come i coni dei lampioni sulla strada.

In questi tempo di grandi cambiamenti

you always shared my deepest thoughts

finché la paura non mi abbandonerà

...

la cosa che ha amato di più è stata l'aria

...

Mi fermai.

Inciampato in un ricordo

Camilla, che nei primi tempi che stavo da lei, mi cantava sempre quella canzone.

La sentiva sua: parlava di una donna di acqua e sole, che si era trasferita a Firenze. E di persone come noi, perse nelle sue strade, “fottute di malinconia”...

Guardai Filippo: era ancora immobile, con la stessa espressione, col suo perfetto profilo diritto, e per un lunghissimo momento, e neppure capivo perché, mi sembrò che quella fosse la nostra canzone, che io, Camilla, Rino, Alberto, fossimo tutti come quei personaggi, calati in un'atmosfera, in un'empatia destinata a finire prestissimo, di cui era colpevole lei, la città, e di cui la causa era stata lui, Filippo Scizio. Perché Filippo era così, come la donna della canzone, era fatto di aria, e diafano e puro come l'aria voleva rendere tutto ciò che vedeva, tutto quello che toccava, col duro mezzo delle sue azioni concrete, corpose e materiali, che tanto più difficili dovevano risultare, alla fine, per un essere così leggero.

Poi mi sentii stupido, e risi da solo. Filippo si voltò sorpreso, ed io arrossii, giustificandomi con una risata ancor più sonora.

Ma il mio gesto dissolse la tensione, ed anche lui parve stare meglio.

Eravamo ormai quasi sotto casa.

- Mi faresti un favore? - chiese, timido, come pronto a ricevere un rifiuto.

- Dimmi pure -

- Dovresti andare alla biblioteca della tua facoltà, e prendermi in prestito a tuo nome un libro: il manuale di archivistica di Eugenio Casanova, edizione del 1928. Ti spiace? -

Non compresi il perché di tanto ritegno per una richiesta così facile da esaudire

- Senz'altro. Ma tu toglimi una curiosità: a che ti serve? -

- Mi serve... -

Parve volesse attaccare un nuovo lungo sermone, condito con un'altra serie di rivelazioni scottanti, ma si riprese, frettoloso:

- Curiosità. Non lo sai che io sono un tuttologo? - disse.

- Consideralo già fatto - gli assicurai uscendo dalla macchina - te lo porto domani in giornata -

 

In dicembre la situazione precipitò. La prospettiva del processo era ormai quasi una certezza, Nissori ci bersagliava di telefonate, Filippo era diventato ancor più misterioso e aveva ripreso a sparire per giorni interi senza lasciar traccia di sé. Dalla sera del suo compleanno non mi aveva più parlato della causa, né delle sue indagini di detective improvvisato (giusto questo ancora gli mancava!), e vista la noncuranza con cui lui stesso pareva vivere quello strano frangente, anche io avevo finito per calarmi senza più troppo pensarci in quella strana atmosfera da film...Bizzarro scherzo del destino che mi toccasse tornare nel mondo reale quel mattino tetrissimo di nubi e tuoni, adatto più che mai alla tensione di un romanzo giallo!

Nissori si era precipitato in redazione iracondo e stranamente elettrico: pareva sentisse freddo, non voleva sfilarsi i guanti e si stringeva nell'alto bavero d'un cappotto spigato grigio. Da un po' di tempo le cravatte colorate non le indossava più.

- Devo vedere Scizio - irruppe sbrigativo - Fatemi parlare subito con Scizio -

E ripeteva quel nome con un'insistenza fastidiosa.

Filippo, una volta di più, era uscito.

- Non c'è - gli obiettai - Torna stasera, credo...sul tardi -

- Devo vederlo prima -

- Non so dove sia, mi spiace -

- Loira, mi faccia la cortesia: prenda quel telefono e me lo chiami -

Mi apostrofò con una pacatezza affettata che tradiva l'urgenza: lo assecondai, sicuro che mi avrebbe risposto di nuovo la vocetta della signorina Tim, come difatti accadde mentre facevo aderire la cornetta all'orecchio dello scocciatore, a carattere dimostrativo.

Era però visibilmente scosso quel giorno, il Nissori, e per un momento fui tentato di chiedergliene ragione, ma la mia premura si dileguò in men che non si dica nello scontro con la sua irruenza

- Loira - disse (e ripeteva anche il mio cognome con un'insolita pregnanza) - Loira, ci metterei la mano sul fuoco che lei sa dove si è cacciato quel... - sembrò correggersi in extremis dallo sciogliersi in epiteti irripetibili - quell'incosciente del suo capo! -

- Mi dispiace - cercai di rabbonirlo - Ma non credo che un paio di bestemmie servano a far sì... - e ammiccai all'apparecchio telefonico - ...che "l'utente sia raggiungibile" -

Mi fulminò con un'occhiataccia, serrò le labbra

- Lei è un po' troppo superficiale, signor “vice direttore” - bisbigliò masticando le sillabe - Saprà almeno se Scizio è rimasto in città? -

- Lo suppongo...Non mi ha lasciato detto diversamente -

- E allora per il momento lo cercherò nei luoghi dove potrebbe trovarsi. Al peggio sarò qui stasera. Se lei lo sente, mi faccia chiamare -

Non tornò, invece, quella sera, e nemmeno Filippo si fece vivo.

Lo attesi in ufficio almeno fino all'ora di cena, solo, passeggiando su e giù per il corridoio vuoto. Mi scorrazzavano per la testa brutti pensieri, primo tra tutti che la Lefis avesse scoperto il furto di documenti, o chissà che altre cose che Filippo non m'aveva mai detto.

Tornando a casa provai anche a suonare il campanello del suo portone, poi, scoraggiato, salii svogliatamente le scale del mio palazzo.

L'ultima cosa di cui avevo bisogno era trovare Camilla con quella faccia da funerale che aspettava ansiosa il rientro del suo terapeuta personalizzato con un'aria di speranza e insieme di pretesa che quasi mi rimproverava una mancanza di sollecitudine.

Ciò che fu peggio, non ebbe nemmeno il coraggio di interpellarmi subito, e, incurante del tutto del mio morale visibilmente sotto i piedi, sedette zitta zitta per tutta la sera, sperando che il suo mutismo mi inducesse presto o tardi alla fatidica domanda "qualcosa non va?" che, invece, non voleva proprio salirmi alle labbra.

Alla fine cedette, cominciò a mordicchiarsi un unghia laccata, si tuffò sul "divanetto dell'analista" e disse:

- Dido, secondo te ho sbagliato? - .

Sapevo già a cosa si stesse riferendo

- Perché? -

- Perché...Non so... - continuava a mangiarsi le unghie, graffiandosi lo smalto - temo di non essere sicura....Certi giorni tutto mi sembra perfetto, ma altri...lo trovo così poco interessante...E mi sembra che...che tutti gli uomini che incontro abbiano qualche dote in più di lui... -

Mi aveva ripetuto queste stesse considerazioni centinaia di volte: non capivo se lo facesse apposta o se, davvero, non ricordasse. In ogni caso, non mi pareva un problema tanto grave.

- Insomma - profferì tutto d'un tratto - gli ho fatto le corna -

Io la guardai, estraniato, in silenzio

- Sono stata a letto con un altro, Mattia - ripeté, quasi seccata per la mancanza di un mio subitaneo intervento - e ora non so che fare, non so proprio che fare! -

Non so se mi dava più fastidio la sua pretesa di attenzioni fuori luogo, o la facilità con cui mi confidava i suoi affari sessuali. Eppure, ero abituato alla leggerezza di Camilla (una leggerezza diversa da quella tutta letteraria e solare di Filippo, ma pur sempre leggerezza), e forse quello che mi disturbava era piuttosto il fatto che mi facesse sentire un moralista schifoso.

- Dov'è il problema? - domandai, freddo - Non hai che da scegliere -

- Macché, macché... - protestò - Ho già scelto da un pezzo. E' stata solo un'avventura...Il guaio - e s'accalorò, indispettita dalla mia sufficienza - Sta nel fatto che se son stata capace di questo, è evidente che non amo Vito quanto pensavo -

- Questo mi pare chiaro -

- Ecco, però... -

- Però non riesci a lasciarlo perché non hai il coraggio di stare sola -

Camilla mi elargì un'occhiata feroce che voleva mettermi in guardia che stavolta stavo proprio passando il segno

- Vorrei tanto sapere - mi aggredì - che razza di idea ti sei fatto di me! -

Scattò in piedi e mi diede le spalle

- Nessunissima in assoluto - ribattei, a tono - solo che quelli come Filippo e te, che "sanno sempre quel che fanno" dovrebbero cominciare a prendersi qualche volta le loro responsabilità, e smetterla di trascinarsi appresso quelli che non sono capaci a stare al passo con loro! -

Alzai talmente la voce che Camilla finì per sentirsi colpevole, serrò le labbra e tornò a sedersi in silenzio accanto a me

- Scusa... - bisbigliai allora - Scusa, sono veramente...veramente... -

Non trovavo le parole per giustificarmi, e sforzai un sorrisino indicandole con un cenno del capo il cielo rabbioso fuori dal piccolo rettangolo della finestra

- Sai...credo di essere meteoropatico! -

Lei tirò fuori il fazzoletto dalla manica del pullover e si soffiò il naso - Io raffreddata, invece... - disse - ...raffreddata... -

Mi sorse un dubbio: sapeva cosa voleva dire "meteoropatico" o aveva già scusato il mio malumore con l'attenuante d'una fastidiosa malattia? Tutto sommato avrei desiderato fosse proprio così...

 

Fui in redazione tutto il giorno successivo, affondato in un'inerzia di attesa che interrompevo solo per stancare il centralino con chiamate inutili.

Filippo si presentò finalmente nel tardo pomeriggio, trovandoci tutti sfaccendati, con ancora sulle scrivanie i bicchieri di carta del distributore di caffè.

Cianetti aveva messo su un cd di musica classica: il tempo sembrava ovattato e immobile. Suoni rotondi e nuvole gonfie.

Lui comparve sulla porta serio, con un impermeabile sotto braccio, nell'altra mano la sua immancabile ventiquattrore lucida, il viso molto pallido, d'un languore che si intonava alla stagione, ma su cui sprizzavano come sempre quegli occhi penetranti che non smettevano un attimo di promettere e minacciare grandi imprese.

- Beh, che succede? - domandò, stupito, e, almeno all'apparenza, sereno, quando si trovò puntati addosso svariati paia d'occhi e di occhiali - Ok, scusate - disse, guardando l'orologio - ho avuto dei problemucci, ma ora eccomi...Mattia, ti posso parlare in privato? -

Ci trasferimmo nel salottino d'attesa che si apriva accanto all'ingresso, e appena fummo soli, Filippo lasciò cadere del tutto quell'aria di pacatezza costruita male e sprofondò sul divano, respirando in profondità come per soffiar fuori qualcosa di ingombrante. Sembrava me alle prese con la tachicardia, e mi faceva venir voglia di fare lo stesso: non pensavo che mi sarebbe mai venuto in mente un paragone del genere...

- Allora? - chiesi

- Ho incontrato Nissori - mi spiegò, quasi a titolo informativo.

- Ah bene. Quasi dimenticavo di dirti che ti aveva cercato -

- Si - mi interruppe subito - lo so. Aveva un affare da propormi...Volva offrirmi un..."compenso", per dirla come lui...perché stessi zitto, zitto vita natural durante... -

- Che?... -

Filippo fece l'indifferente, sforzandosi di non mostrarsi nemmeno turbato

- Hai capito bene. Pagherebbero il mio silenzio. Pagherebbero profumatamente il mio silenzio...E' tutto vero, Mattia. Non avevo sbagliato di una virgola. I miei sospetti, le mie supposizioni...Tutto assolutamente vero. E ora hanno paura... -

Esitò, aspettando la domanda di rito, che non tardò a seguire

- E tu che farai? -

- Che farò? E' naturale. Andrò fino in fondo...Tu che altro faresti? -

Lo sguardo tradì il tono fermo della voce: affondò il capo tra le mani e fissò il pavimento. Come era molto bravo a rivestire ruoli, Filippo lo era anche nel capire quando non tenevano più.

- Mattia - disse - In realtà c'è dell'altro -

- Ovvero...? -

Cercò di esprimersi senza dover spiegare, serrò le labbra in una strana smorfia, mezzo sorriso mezzo paura, e non mi disse una parola. Rimase lì con quello sguardo per terra, sospeso e triste...Forse era vero che non mi considerava un cretino.

- Filippo - colsi al volo - non scherzare. Chiamiamo subito la polizia! -

- Ma no, ma no! - si schermì subito - Neanche per idea!...Forse...forse non ho neppure capito bene...forse mi sbaglio...Sono...sono solo un po' spaventato...Sai, me ne stanno capitando un po' troppe...Io...io non capisco più bene neppure cosa stia succedendo...! -

Era la confessione più autentica, più sincera e disarmata che mi avesse mai fatto, ma io ero già entrato nel panico completo.

Cominciò a girarmi la testa, avevo freddo, mi tremavano le gambe: non ricordavo da diverso tempo di aver avuto tanta paura, né di essere stato così stordito...

Come era possibile? Come si poteva concepire una cosa del genere? Come si poteva incassare minacce, giocare col rischio, pensare alla morte e alla vita, e dire con quel mezzo sorriso stanco "sai, me ne stanno capitando troppe"...? No, proprio no! Non valeva la pena: Rino aveva ragione. Filippo era un pazzo egocentrico, preso da manie di eroismo che non servivano a nessuno...In fin dei conti eravamo dei ragazzini, niente più che dei ragazzini, lui ed io!

- Sei scemo o ci fai! - proruppi - Qui c'è da lasciar perdere ogni cosa e darsela a gambe: qui c'è davvero da star zitti "vita natural durante"!...Altro che "non capisco cosa stia succedendo": mi pare che l'abbiamo capito benissimo, cosa succede! -

Alla mia reazione Filippo recuperò in un sol colpo tutta la propria grinta: saltò in piedi, mi sfidò

- E' vero - disse - abbiamo capito. Ma non sono un vigliacco, io! - e si battè una mano sul petto con una solennità che poteva sembrar ridicola e invece, in quella situazione, assumeva una gravità veramente spiazzante - Tu e Rino pensatela pure come volete, pensate pure alle vostre "cose importanti"...! Per me, oggi, è questa la cosa importante, e ci basta già lo staff della rivista a farmene una colpa. Per cui, se vuoi metterti anche tu a fare il saggio di turno, fammi il piacere di togliere il disturbo! -

Non gli lasciai dire altro, non potevo lasciarlo parlare, ne avevo abbastanza del senso di colpa, ne avevo abbastanza anche della mia paura e persino di quei continui tremiti alle gambe...Dovevo usarle per scappare, le mie gambe, e per uscirmene da quel pantano e da quella stanza prima di farmi strappare un nuovo consenso, un altro come i precedenti che, un passettino dopo l'altro, da un anno a quella parte, mi avevano trascinato fin lì.

- Lo tolgo eccome, il disturbo! - esclamai - fallo pure da solo il paladino della giustizia! -

E in men che non si dica scattai fuori dalla porta, quasi sbattendomela alle spalle.

No...non potevo davvero lasciarlo più parlare.

Non potevo davvero più stare a sentire una parola.

Mi avrebbe convinto, lo sapevo, e quella volta sarebbe stato per sempre...

...Ma “per sempre” cosa?

...Per sempre con lui, come nei film, come nei romanzi, come per i grandi della storia, nella morte, nella vita...?

Oh,no... - mi ripetevo caoticamente, forse a fior di labbra, o tra le labbra e la testa - no, non si poteva più fare...Eravamo quasi nel duemila, i tempi erano cambiati...non si muore più per le idee!...

Filippo era forse fuori dal tempo?

Anche lui, come me?

Mi fermai che ero appena a metà del corridoio. Mi pareva d'esser scappato via veloce come un lampo e invece non m'ero quasi mosso, e le pareti tutt'intorno continuavano a dondolare...Stavo in piedi davanti alla sala delle riunioni e da dentro venivano le voci dei colleghi, sopraffatte tutte dalla musica del cd di Cianetti...

Dopo quel pomeriggio lo conoscevo a memoria: ecco, cominciava l'aria sulla quarta corda di Bach...

...

Non riuscirei tutt’oggi a spiegarmi per quale 'sortilegio' perverso o per quali casi mai inopportuni una musica giusta abbia fatto sempre da sfondo a situazioni fondamentali della mia vita, o per quale stimolo ad associare forzatamente suoni ed eventi mi è sempre parso fosse così, ma fatto sta che in quel momento l'intromissione improvvisa del prestigioso Bach mi costrinse per un attimo determinante a sostare sulla porta senza aprirla...

...Un attimo, e pensai che se me ne andavo adesso, sarei per sempre stato costretto ad associare quello splendido pezzo alla mia misera fuga, ad un pomeriggio terribile, al corridoio che gira e alle occasioni perse....

...Un attimo, e mi ricordai quel giorno in cui il tempo era più brutto di quello, tuonava forte e giù acqua a catinelle, che sembrava non voler mai smettere, e Filippo con la stessa faccia assorta che avevo notato poco prima, quando era entrato lì, che aveva bisbigliato, un po' accorato, tra sé e sé "Non sprecare le tue occasioni"...

....

Non sprecare le tue occasioni...

....

Feci retro marsh: il corridoio non girava più, infilai il capo tra lo stipite e l'uscio del salottino e rientrai.

Filippo aveva di nuovo la testa tra le mani, i gomiti appoggiati sulle ginocchia leggermente divaricate: alzò appena gli occhi e mi guardò senza pretesa.

Io, invece, ero molto imbarazzato: imbarazzato e insieme commosso, non so se da lui, dal mio stesso gesto o dal pensiero che almeno per una volta tutto nella mia vita non cadeva balordamente a caso.

- Beh - mormorai, dolcemente - Questa potrebbe essere la mia occasione, vero? -

Sapevo che in un’altra circostanza avrebbe risposto “Non lo saprai mai se non provi “, ma lui sorrise, con affetto triste

- Chi lo sa - disse solo.

Gli sedetti accanto e mi rilassai.

Ci provai, almeno.

Fuori dalle finestre baluginavano lampi enormi: il cielo imbruniva e avrebbe potuto piovere da un momento all'altro.

Rimanemmo non so quanto così, calmandoci al silenzio isolato del salotto, rotto solo una volta dai passi e dai saluti dei colleghi che si affrettavano a casa per non essere sorpresi dall'acquazzone, incuranti di tutto ciò che stava succedendo a due passi da loro.

Finalmente Filippo s'alzò, andò alla finestra.

Io pure mi tirai su faticosamente per estrarre dalla tasca stretta un fazzoletto di carta, e nel farlo, altri caddero fuori, sul pavimento, sparpagliati.

A quel punto avrei dovuto chinarmi per raccoglierli, e invece rimasi lì fermo, a guardare quei pezzetti di carta morbida - nient'altro che volgarissima carta - che mi erano sfuggiti dalle mani, e pensai di essere sospeso tra il desiderio di raccattare tutte le cose che scappavano via senza avvertirmi, e la consapevolezza che tutte queste cose, in realtà, erano proprio nulla.

- Mattia - disse, allora, Filippo guardando fuori dalla finestra, con la gota quasi aderente al vetro appannato - Che ne diresti se adesso gettassi una bomba micidiale da questa finestra e facessi saltare in un momento questo mondo infame? -

Io mi chinai finalmente su un ginocchio per raccogliere i miei fazzoletti

- Direi - risposi - che sarebbe una politica rinunciataria -

- Hai ragione - troncò lui, serio - allora vorrà dire che non lo farò... -

Rimanemmo lì fino a tardi, non ricordo nemmeno a parlare di che; poi scendemmo in strada perché Filippo era stanco, e il mattino doveva alzarsi presto.

Ancora non pioveva: tuonava molto e l'aria era umida, ma non fredda, per esser dicembre.

Filippo aveva la macchina parcheggiata sulla strada

- Ti accompagno? - chiese, ma io non avevo voglia di rientrare subito, volevo andare da Camilla al locale, e avevo molto bisogno di prendere aria.

- No - rifiutai - E' una notte meravigliosa! Farò due passi... -

Lui non insistette: forse aveva bisogno quanto me di stare un po' solo.

- A proposito - disse - Ricordi il libro che ti ho dato da restituire in biblioteca? Vorrei che ti appuntassi da qualche parte la collocazione. Potrei averne ancora bisogno -

- Tranquillo - garantii - tengo sempre le collocazioni. Ho una rubrica apposita, così evito di frugare in quei maledetti cataloghi! -

- Ooh! - ironizzò - che organizzazione! -

Lo accompagnai alla vettura in silenzio: per tutto il breve tragitto avevo avuto sulla punta della lingua una domanda, che però avevo paura lo irritasse. Ma in fondo, quella sera, ero io in credito di un favore, così, mentre era curvo sullo sportello, cercando di inserire nella toppa la chiave giusta...

- Senti Filippo - dissi - Tu un giorno mi hai detto che io e Rino siamo diversi da te, e credo sia vero. Tu, intendo, non pensi...non ti domandi mai se quello che fai ha un valore che va al di là del momento in cui lo fai...Tu non hai, voglio dire, il "grande sogno", la sola grande cosa che sai di voler fare per tutta la vita, che sai che darà senso alla tua vita...O pensi davvero che il tuo scopo sia cambiare il mondo? Ma tutto questo lo cambierà, il mondo?...E, in fondo, cambiare il mondo servirebbe a qualcosa?...Cambierebbe anche la nostra vita, il nostro modo di essere? Cambierà anche me e te? -

Lui aveva già aperto il suo sportello, si sfilò l'impermeabile, lo lanciò sul sedile posteriore

- Le classiche "domande esistenziali"? - mi interruppe, divertito, ma non offeso.

Poi si voltò, sfoderò un sorriso raggiante, il più luminoso che avessi mai visto esplodere sul suo viso, e spalancò le braccia, i palmi tirati e aperti in segno di rassegnazione, la voce più cristallina e gioiosa che potesse tirar fuori in una sera del genere

- Non ci ho mai pensato! - esclamò, anzi, quasi gridò, nel silenzio della strada deserta.

Mi strizzò l'occhio, salutò, e sedette al posto di guida.

Io rimasi immobile, zitto a guardarlo, così...abbagliato da quella risata, e ne fissai ogni particolare, qui nella testa, con attenzione e incanto, come, davvero, se fosse l'ultima.

Anche se allora non lo sapevo.

  
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