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Autore: MissShinigami    20/09/2012    2 recensioni
Kimberly Williams è una ragazza non poi così normale che abita in un paesino non molto distante da Grandview, dove abita sua cugina.
La cugina M, come la chiama sempre Kim, ha il dono particolare di vedere i fantasmi, cosa comune nella famiglia, poichè lo possiede anche la protagonista...
Tuttavia la cugina M non è mai stata coinvolta in una storia con molte sfumature del thriller!
Genere: Fantasy, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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La porta si aprì e io mi svegliai, il mio sonno non era mai stato profondo, Hope dormiva ancora invece accanto a me.
Il tutore si avvicinò.
Lo guardai con esasperazione.
La cosa non lo toccò neanche. “Adesso ti sarai schiarita le idee, giusto?”
Non risposi.
“Bene.”
Mi prese per la spalla rotta portandomi fino al muro, dove mi ci appoggiò mettendomi seduta, mentre io tentavo di sopprimere le urla di dolore in grugniti.
Hope si svegliò, non sentendomi più accanto a lei; ci mise un po’ per inquadrare la scena.
“Devi dirmi cosa sai su di me.” mi ordinò il tutore.
Mi teneva ferma contro il muro, come se avessi potuto scappare.
Lo guardai negli occhi mentre dicevo: “Io non so neanche il tuo nome.”
Appoggiò la sua mano sulla mia gamba rotta, il solo tocco mi fece rabbrividire di dolore e disgusto.
“Avrai capito che detesto chi dice le bugie.”
Premette forte.
Questa volta non riuscii a trattenermi dall’urlare il mio dolore.
Mi accasciai, ripiegandomi su me stessa.
Hope corse contro il tutore colpendolo con i pugni sulla schiena. “No! Basta!! Sta dicendo la verità!!”
Lui si voltò e la prese per i capelli. “E tu come fai a saperlo? Tu non sai nulla!!” la gettò via come se non avesse importanza. “Lei invece potrebbe sapere qualcosa … e non posso permettere che lo dica a qualcuno.” disse guardandomi furioso. “Ma si ostina a non parlare!! Perciò adesso passerò dalle minacce ai fatti!!”
Era la personificazione della calma mentre estraeva la pistola da sotto la camicia e la puntava contro di me.
Il campanello lo strappò dal suo intento con il suo suono brillante e acuto. Lui si affacciò alla finestrella per vedere chi fosse.
“Maledizione!” la chiuse. “Ci sono gli assistenti sociali!!” disse muovendosi per la stanza. “Voi adesso state qua in silenzio, intesi?” prese un rotolo di scotch e ne strappò un pezzo, me lo premette sulle labbra.
Si volse verso Hope. “Tu te ne starai qui buona, altrimenti capirai fin dove mi sono spinto.” le disse indicandomi con la canna dell’arma.
Il campanello suonò ancora e lui urlò qualcosa mentre si chiudeva la porta del garage alle spalle.
Guardai fuori dalla finestrella, nonostante la distanza capii che doveva essere tardo pomeriggio: perché Julie non era ancora arrivata? Dove era finito John? Possibile che quando ti servisse un fantasma, non ce ne fosse mai uno!?!
I fantasmi … qualche ora prima era comparsa la madre di Hope, allora perché lei non l’aveva vista? Non era riuscita a chiamare neanche la Contessa. Che avesse perso la capacità di vedere?
“ Dietro questa porta cosa c’è?” sentii chiedere.
“Oh, è solo il garage, ci tengo gli attrezzi per il giardinaggio.” rispose la voce del tutore.
Hope si alzò e andò davanti alla porta. Sgranai gli occhi …
Non poteva farlo, si sarebbe cacciata nei guai.
Alzai in aria le braccia, il destro tirò su anche l’altro nonostante la spalla rotta, procurandomi dolore, ma almeno la fermai.
Mi si avvicinò. “Perché no? Ci salverebbero!!” sussurrò pianissimo.
Scossi la testa e le feci segno di fare silenzio.
“Ora dove si trova la piccola Hope?” chiese un’altra voce.
“È uscita con la mia ragazza a fare un po’ di shopping, se avessi saputo del vostro arrivo le avrei detto di aspettare a portare la bambina in giro, ma lei è sempre così entusiasta!”
Stronzate … pensai.
“Sapete loro vanno molto d’accordo …” la voce si allontanò.
“Vuoi che te lo tolga?” mi chiese Hope indicando lo scotch.
Scossi ancora la testa, non volevo farla finire nei guai.
Lei sospirò incerta e si mise a sedere accanto a me, aveva il volto solcato dalle lacrime.
Dannazione! Dovevo fare qualcosa … ma lui aveva una dannata pistola!
Presi a guardarmi attorno: c’erano un sacco di oggetti per il giardinaggio o la cura della macchina; un piano di lavoro stracolo di trofei di wrestling e kick boxing, che spiegavano la stazza e la forza di quell’uomo; due taniche di benzina che sembravano piene; un taglia erba, he sembrava tutto tranne che funzionante, e le gomme che gli avevo forato io. Niente che potesse aiutarmi … mi sarebbe servito un miracolo … o un fantasma …
“Arrivederci!!” il salutò ci arrivò dal soggiorno.
Poco meno di un minuto dalla partenza dell’auto dei servizi sociali, la porta del garage si spalancò ancora una volta e lui tornò da noi.
“Ora che anche questa scocciatura è andata, pensiamo a quella più grande.”
Adesso che lo osservavo meglio, che lo ascoltavo anche, notavo che si ripeteva le cose, come se dovesse tenere in mente i punti di una lista.
Era instabile?
Mi diede le spalle. “Non posso fermarmi adesso, non dopo quello che ho fatto.” sussurrò.
 Cosa aveva fatto?
Mi tolse lo scotch con furore.
Aveva degli sbalzi di umore davvero notevoli …
Avrei potuto usarli a mio vantaggio.
Camminò avanti e indietro lungo il garage, prima di parlare estrasse la pistola. “Cosa sai su di me?”
“Niente.” dissi ancora.
Cosa aveva fatto? Cosa avrei dovuto sapere?
“Non posso perdere altro tempo con te!” urlò.
Hope se ne stava seduta in un angolo con le ginocchia al petto: perché non la faceva uscire!?
Dal nulla comparvero i suoi genitori, la madre si chinò su di lei e le disse di stare tranquilla, ma la piccola non la vedeva, quando la donna le sfiorò la guancia però sembrò sentirla; il padre le stava in piedi davanti, come per proteggerla, però il suo sguardo era fisso su di me.
“Cosa stai fissando?!” mi richiamò il tutore.
“Nulla …” risposi rivolgendo i mio sguardo su di lui.
Mi guardò storto. “Tu non me la racconti giusta … da quando sei qui non hai mai detto la verità! Cosa sai su di me!? Sai cosa ho fatto?!”
“No, non so niente.”
“Menti! Tu lo sai!! Altrimenti non proteggeresti così la bambina!!” stava urlando.
Mi si avvicinò per intimorirmi però io rimasi calma.
“Perché? Cos’hai fatto?” chiesi.
Si allontanò febbrile, sembrava una pentola a pressione pronta ad esplodere. “Lo sai, è inutile continuare con questa farsa.”
“Cos’hai fatto?” chiesi ancora incalzandolo.
“Dillo …” disse il padre di Hope. Il fantasma camminò fino ad arrivare davanti a me. “Chiediglielo ancora …”
Presi fiato. “Cos’hai fatto?”
Esplose: “HO UCCISO I SUOI GENITORI!!”
Indicava Hope.
Lei iniziò a piangere in silenzio.
I due fantasmi svanirono lentamente.
Mi si offuscò la vista e credetti di svenire.
Rivissi l’incidente, sentii il pezzo di lamiera conficcarsi nel mio stomaco, ma non ero io: vedevo prima con gli occhi del padre poi con quelli dalla madre di Hope. Mi sentii urlare, dovevo averlo fatto davvero. Fui trascinata in un altro ricordo: vidi suo padre davanti al tavolo di una cucina.
“Allora Tom? Ti va bene badare alla nostra bambina finché siamo via?”
“Sì, certo. Ma perché tutte queste cose burocratiche?”aveva parlato il tutore, che ora mi dava le spalle.
“Mha! Non lo so ma basta che firmi!” rise l’uomo. “Guarda qua! C’è addirittura una clausola che ti concede l’affidamento della bambina e in qualche modo in nostri averi in caso di morte!!” rise ancora.
“Tesoro, non scherzare su questa cose.” lo rimproverai, ma non ero io.
Lui disse che era troppo felice per fare pensieri tristi …
Vidi per un’ultima volta il viso del tutore diventato improvvisamente serio poi tutto divenne nero e persi i sensi.
Riaprii subito gli occhi.
Ero nel garage, la scena non era cambiata da quando avevo iniziato ad avere i flash back indotti dai fantasmi. Mi girava la testa, guardai a terra per recuperare la calma: ero in una pozza di sangue, l’odore dolciastro mi stordì definitivamente.
Mi sentii ancora urlare.
Non capivo cosa mi stesse accadendo, sapevo solo che dovevo riprendermi in fretta per proteggere Hope.
Strinsi forte gli occhi e mi concentrai solo su di me, sul mio corpo, sulla mia mente, sul dolore che provavo a causa delle ossa rotte, anche sulla voglia di vomitare che mi aveva scatenato la vista del sangue.
“Cosa le sta succedendo!?” sentii il tutore parlare.
Qualcuno mi prese per la spalla destra. “Kim! Kim! Cosa c’è?!”
Hope.
Riaprii lentamente gli occhi: lei stava davanti a me mentre l’uomo si stava appoggiando al tavolo dei trofei, era cereo, terrorizzato.
“Scusa piccola, ma adesso so … so perché … perché ha fatto tutto questo.” stentavo a parlare, mi girava la testa e sentivo già i succhi gastrici bruciarmi la gola. Guardai la porta aperta del garage. “Hope tu adesso devi scappare, scappa e chiedi aiuto.” mi rivolsi poi alla finestrella rettangolare: era quasi notte. “Ci penso io a tenere occupato lui.” sussurrai.
“No! Tu non cammini neanche e …”
“Per favore …” la abbracciai. “Tu devi andartene, è una persona instabile, non riuscirà a farmi del male, sono più sveglia di lui. Ma ti prego, tu va via …”
Mi abbracciò forte, facendomi anche male, ma ormai non aveva più importanza il mio dolore.
“Vai.” le dissi mentre in qualche modo tentavo di alzarmi in piedi.
La bambina cose alla porta.
“Ferma!!” tuonò il tutore risvegliandosi dalla paura in qui l’avevo gettato, puntò la pistola contro di lei.
“No Tom!” urlai.
Hope uscì dal garage.
Lui si voltò assolutamente basito. “Come fai a sapere il mio nome?”
Mi appoggiai al muro dietro di me, avevo dolori ovunque. “So molte cose su di te: stella del wrestling al liceo; disoccupato in cerca di soldi; questa casa è dei genitori della bambina che te l’hanno lasciata in affidamento assieme hai loro averi dopo la loro morte. Tu hai fatto in modo che morissero in un incidente stradale, tagliandogli il collegamento hai freni, perché la somma di denaro era davvero troppo allettante. Dopo l’incidente hai capito la gravità delle tue azioni, ma era troppo tardi … sei crollato …”
“Basta!! ZITTA!!” mi urlò contro.
“ … diventando quello che sei ora.”
“Devi stare zitta!! Silenzio!” mi intimò con la pistola.
“Un mostro.”
Sparò.
Tutto il dolore che avevo sentito fino a quel momento era nulla  confronto. Mi aveva colpito allo stomaco, la sua mira faceva pena ma io non potevo scappare. Mi accasciai a terra.
Tom continuava a urlarmi che dovevo stare zitta, che non sapevo nulla, che comunque non aveva importanza perché sarei morta, ed era vero.
Mi sentivo morire.
L’uomo urlava e si muoveva scompostamente nel garage, urtò le due taniche di benzina che caddero, riversando il loro contenuto a terra.
Tentai ancora di alzarmi, non potevo morire … non dopo aver detto ad Hope che non mi sarei fatta nulla. La vista mi si offuscava sempre di più …
“Sei ancora in piedi?!”
Tom mi puntò ancora l’arma contro e sparò.
Mi mancò e il colpo rimbalzò non so dove e colpì lui, al petto …
Cadde a terra gorgogliando, il suo sangue si mescolò alla benzina.
“No …” rantolò.
Continuai ad avanzare verso la porta aperta, forse avevo qualche possibilità se uscivo da quel posto.
“Non te ne puoi andare ora …”
Sentii sparare mentre attraversavo la soglia.
Ci fu un momento di silenzio poi un’esplosione mi sbalzò al centro del soggiorno.
Ero a terra.
Un rombo assordante nelle orecchie.
Intorno a me, lentamente, tutto prese fuoco-
Da lontano giunse un rumore acuto e intermittente, non capii cosa fosse.
Chiusi gli occhi.
Non so quanto tempo passò, sentivo il calore del fuoco lambire tutto il mio corpo e stringermisi sempre più attorno, o forse era solo la sensazione che ti da morire.
Una voce … una voce di uomo …
Aprii di scatto gli occhi: era lui? Era venuto a controllare che fossi morta?
“Kim!”
No, era qualcun altro.
“Kim!!”
La voce mi era familiare …
Qualcuno entrò nel mio campo visivo, mi accorsi di non avere più gli occhiali.
“Kim!” sembrava terrorizzato.
Si avvicinò e lo riconobbi.
“Jim …”
“Sì, sono qui. Adesso ti porto fuori!” mi rassicurò.
Riuscì a prendermi in braccio, mi afferrai a lui con la poca forza che mi rimaneva.
“Dov’è Hope …” gli chiesi ma ero troppo debole.
In breve fummo fuori ma mi sembrava ancora che il fuoco mi stesse ancora mordendo.
Sentii molte voci e il fischio acuto e intermittente.
Una macchia chiara mi si avvicinò: Julie.
Disse qualcosa in preda al panico.
Jim continuava a camminare verso quella che mi sembrava un ambulanza.
Un’altra macchia scura.
“Kim!” urlò vedendomi.
“Melinda …” soffiai via.
Sorrise.
“Adesso andiamo via …” disse anche qualcos’altro ma non sentii.
Chiusi gli occhi, non riuscivo più a stare sveglia.
Mi misero giù e iniziai a respirare qualcosa di fresco.
Mi ripresi un attimo assalita dalla paura: dov’era Hope?
Sollevai il braccio destro con una fatica enorme e farfugliai il suo nome.
Accanto a me, Melinda mi guardò senza capire poi si voltò verso destra e disse: “Si chiama così?”
“Sì!!” sentii rispondere.
Si rivolse di nuovo a me. “Kim, tranquilla. Hope è su un’altra ambulanza, è già all’ospedale!”
Le presi la mano preoccupata: perché?
“Calmati Kim! Sta bene!  Ha solo respirato troppo fumo!”
Era entrata nella casa in fiamme?!
“Kim, sta bene! È salva!”
… sta bene …
… è salva …
  
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