Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: londonici    21/09/2012    1 recensioni
Hayley, sedicenne di Beverly Hills, sembra la tipica ragazza che mette il broncio giusto per essere diversa. Una grande passione per i Paramore e un gruppo di amici eccezionali la aiuteranno a superare i primi "piccoli" problemi della sua vita. Ma poi si aggiunge Hitch, un rapper diciannovenne di fama mondiale, e tutto cambierà all'improvviso...
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Senza nemmeno accorgermene, stavo diventando un'estranea a me stessa. Prendevo tutto sotto gamba, senza pensarci troppo. Okay, non ragionavo.

E con Jess c'era qualche problema di comunicazione. Lui continuava a straparlare su Adam e io fingevo di non sentire, perché in realtà – quando Jess non vedeva – io andavo a cercare quel rapper che riusciva a psicanalizzarmi alla perfezione. Era comodo. Era giusto.

Così, uno di quei pomeriggi in cui avevo incontrato Adam per strada, avevo iniziato a raccontargli (senza che lui me lo avesse estorto con l'inganno) del problema che mi stava veramente facendo impazzire. “Problema” era una parola grossa, perché avevo imparato a spese mie che i problemi, quelli veri, erano ben altri.

Comunque, importante o no, il fatto era che Jess usciva e si faceva vedere con me, mi si avvicinava sempre parecchio, mi guardava estasiato, era gentile e carino, continuava a cercare di convincermi a salire in sella a quella sua maledetta moto, ma... Okay. Il fatto era che non mi aveva più baciata dalla prima volta. Capito? Tutto ciò era un controsenso allucinante. Si comportava in un modo, ma poi, quando arrivava il momento giusto, spariva. Si tirava indietro.

Per non parlare della sua insistenza: era ostinato a voler sapere quale segretissimo problema mi avesse fatto chiudere due giorni in casa. Non capiva che più insisteva, più io non avrei parlato. Non capiva proprio.

Eppure, continuava a piacermi parecchio. Era Jess, accidenti, era Jess e girava con me. Con me. Era surreale, ma stava assumendo sfumature del tutto inaspettate.

Quando Lara mi aveva chiesto come stesse Adam e io le avevo risposto subito e sorridendo, mi aveva fulminata. Quando poi, lo stesso giorno, mi aveva chiesto dove fosse Jess e io le avevo risposto indifferente che non lo sapevo, era scoppiata a ridere, come Crudelia.

«Cara Hayley, ancora non hai focalizzato un bel niente!», aveva tentato di dire tra le risa.

Anche i gemelli provavano a farmi degli interrogatori camuffati da partite a Guitar Hero, con una noncuranza del tutto discutibile. Io, anche se capivo i loro intenti, fingevo, sorridevo e annuivo.

In realtà mi avevano esasperata tutti quanti.

Jenna mi faceva domandine tendenziose e per nulla imparziali sulle mie uscite. Bryan, quando c'era, mi prendeva in giro come se fossi una bimba dell'asilo alle prese con i primi fidanzatini. In un certo senso era così, ma non ero affatto una mocciosa. Anche Chris sembrava preoccupato che le mie azioni potessero ferire in qualche modo l'amico, Jess, che mi opprimeva con tutto se stesso, anche se non se ne accorgeva. E poi Lara, con le sue sentenze sempre accennate e mai costruttive... Jim, accidenti a lui, mi faceva occhiolini e mi fissava come un pervertito, soprattutto quando Jess era con me. Per non parlare del meglio del peggio: Dana, Bree e compagnia bella. Nei corridoi della scuola, a mensa, in palestra, OVUNQUE, mi guardavano di sottecchi e puntavano Jess come una preda.

Il fatto strano era che, però, non mi dava fastidio che volessero lui per fare un dispetto a me; piuttosto, non sopportavo che tutti si immischiassero negli affari miei.

Tutti tranne uno. Uno che, certi giorni, sembrava sopportare a malapena la mia presenza; altri giorni, invece, si trasformava in ciò che i miei amici avrebbero dovuto essere.

Direi che un po' di confusione era più che legittima.

Quel giorno, dissi a Jenna che stavo uscendo per conto mio, da sola, e che non ci sarei stata per nessuno. Indaffarata com'era, mi liquidò subito e annuì. Grazie al cielo.

Guardandomi le spalle, attraversai la strada, ma non bussai alla porta dei gemelli.

«Supponevo una visita del genere, sai», mi aveva accolta Adam, con un aspetto trasandato e una sigaretta in bocca. «Dovresti dirlo a Mr. Non Bacio Nessuno che ogni tanto passi da me come una fuggitiva».

«Direi una bugia», risposi entrando.

«Nel senso che non è vero che vieni da me, non è vero che non bacia nessuno o non è vero che sei una fuggitiva?».

«Sta' zitto e cammina nella stanza dei sogni, idiota».

«Questa gentilezza la devo a...?», fece come se non gli avessi detto niente.

«Ti ho già detto di stare zitto?».

«Hey, d'accordo che ti lascio andare e venire come ti pare, ma non andiamo bene se inizi a fare la schizzinosa dittatrice. Non con me».

Senza rispondergli, entrai nella stanza più bella che avessi mai visto. Quella sala “svago” era diventata un paradiso per me, mi sentivo bene lì dentro. Il mondo, là fuori, poteva implodere o precipitare nel vuoto: a me non sarebbe importato nulla.

«Niente interviste, oggi?», gli chiesi affondando nel divano di pelle, esausta.

«No. Per un bel po' nessuna rivista si farà viva. Se ne sta occupando Frank. Almeno credo». Neanche lui chiamava lo zio “zio” e la cosa mi faceva sentire a mio agio. «Insomma, sono venuto qui per darci un taglio, tornerò sulla scena quando avrò di nuovo qualcosa da dire. I media hanno interpretato il mio trasferimento a Beverly Hills come un atto di creatività. Ma presto si stancheranno di aspettare e di pedinarmi».

«Pedinarti?», feci incredula. «E quando ti pedinerebbero?».

«Quando vado a scuola, quando torno a casa, quando mangio fuori. Sempre. Paparazzi, inutili rifiuti della società», disse spegnendo la sigaretta nel portacenere sul tavolino di fronte a me e sedendosi.

«E perché io non me ne sono mai accorta?».

«Perché sono professionisti, non si fanno beccare in flagranza». Mi esaminò da capo a piedi. «E poi non sei una che se ne accorgerebbe».

Non capii subito il senso della sua affermazione, ma dal tono che aveva usato sembrava un'offesa o, comunque, una frecciatina.

«Scusa?!», sbottai irritata.

«Ma se nemmeno hai capito cosa intendo dire, perché fai la donnina isterica e offesa?».

«Riflesso incondizionato», sibilai sputando veleno, «e adesso spiegati, Hitch». Scoppiò a ridere. «Cosa c'è di così divertente?», strillai.

«Adesso torni a chiamarmi Hitch? Ti ho fatta arrabbiare e mi chiami “Hitch”? Sei incredibile, signorina Smithson».

Tentai di ribattere un paio di volte, mi alzai, feci avanti e indietro di fronte a lui puntandogli l'indice in segno di minaccia, ma poi alzai gli occhi al cielo e mi buttai le mani in testa, arrendendomi.

«Okay. Dimmi cosa intendevi», dissi infine.

Rispose con due schiocchi di lingua netti e secchi: era un “no, no”.

«Andiamo», implorai. La curiosità mi aveva imbrogliata e adesso mi stava facendo i dispetti. Eh, no, non era la curiosità che faceva la dispettosa: era un ragazzo intrattabile che si chiamava Adam, e se lo si chiamava Hitch si metteva a ridere. Supponevo che allora fosse consapevole di quanto fosse ridicolo il suo nome d'arte.

«Hayley, ti fasci la testa prima di essertela rotta. Dicevo solo che non ti accorgeresti di un paparazzo perché tu non sei una che si sente una vip, non vai in giro credendo di essere ammirata dagli altri. Se passi davanti una vetrina, non guardi il tuo riflesso che sculetta, non ti reputi una che dovrebbe camminare sul tappeto rosso. In poche parole, non te la tiri. Tutto qui. In compenso, però, sei una fissata e illegalmente curiosa. Rilassati. Lo dico per te. Anche per quanto riguarda Jess... Diglielo che parli anche con me, non fare le cose di nascosto. Se ometti, menti e... non arriverai da nessuna parte se hai certi problemi di fiducia già a sedici anni». Risi tra me e me. “Se ometti, menti”. L'avevo già sentita, questa.

«Okay», dissi sprofondando di nuovo nel divano. «Fammi sentire come suoni».

«Ma anche no», rispose senza scomporsi troppo.

«Paura di un po' di sana critica?», lo stuzzicai. «Lo sai che non ho mai sentito una sola parola delle tue canzoni? Mai».

«Buon per te». Era di nuovo distaccato e irraggiungibile nei suoi pensieri.

«Per favore?».

«Non fare la carina con me, risparmiamelo». Altro che distaccato: scorbutico.

«Facciamo un compromesso. Cosa vuoi che faccia in cambio?», tentai di trattare.

«Niente, Smithson, niente. Smettila o ti caccio a calci».

«Morrissey, facciamo meno gli irritabili, eh? Se qui c'è una persona che potrebbe permettersi di essere irritabile durante alcuni specifici giorni, quello non sei tu».

«Sei in quegli specifici giorni?», mi chiese sfacciato. E mi prese in contropiede. «Io credo di sì. Si vede», si rispose da solo. Sentii il sangue bollirmi nelle guance e la bocca bloccarsi.

«Si... vede?», feci terrorizzata. Uno dei miei peggiori incubi diventava realtà. Le donnine sanno cosa intendo...

«Non in quel senso, Smitty. Non si vede direttamente, si capisce da... alcuni particolari», concluse trattenendo una risatina.

«Alcuni... particolari?». Sapevo bene quali erano le due cose che mi succedevano in quei giorni. Una era l'intrattabilità più o meno accentuata, l'altra...

«Sì. Due», affermò ridendo. Merda! Ecco che facevo la mia prima figura di merda con Adam.

«Da quanto tempo mi stavi fissando le due amichette qui sotto piuttosto che guardarmi in faccia o non guardarmi affatto?», gridai irritata e incredibilmente imbarazzata.

«Non sono io che le guardo, sono loro che... ingrassano». Lo fissai con gli occhi fuori dalle orbite e la mascella per terra. «Sia ben chiaro, solo in quei giorni», precisò.

«Cazzo, Adam!», farfugliai mentre lo prendevo a schiaffi un po' ovunque. «Smettila, smettila, smettila! Smettila adesso di esaminarmi in tutto e per tutto!».

«Hey, Smitty, sono solo un buon osservatore, nel senso che non mi sfugge niente. Rilassati...», disse ridendo.

«Chiamami di nuovo Smitty e... e...». Non mi veniva in mente una minaccia abbastanza minacciosa.

«E...? Avanti, Smitty. Che fai, chiami il tuo “fidanzato”?», fece mimando apposta le virgolette e smettendo di ridere. Riuscì a mettere di malumore anche me.

Scossi la testa e lo fissai schifata. E l'Oscar per il miglior guasta feste va a...

«Sai una cosa? Hai ragione, non dovrei affatto essere qui. Sei l'unico che se ne frega di quello che succede nella mia vita privata, ma adesso solo tu me lo fai pesare più di tutti gli altri ficcanaso messi insieme. Hai ragione da vendere, non è con te che dovrei parlare, Adam», dissi prendendo le mie cose. «Ci vediamo a scuola».

 

Credevo che la mia uscita scenica lo avesse fatto dubitare del suo potere di sparare giudizi e analisi su tutti. Evidentemente non era affatto così, perché – seguendomi nel vialetto di casa sua – iniziò a gridarmi dietro.

«Tu? Tu che fai la ramanzina a me? Hayley, andiamo! Sei tu che vieni da me, cosa ti aspetti che faccia? Non me ne frega dei tuoi problemi con il tuo amichetto, ma sei tu che continui a rifilarmeli sotto ogni possibile aspetto. Una volta passa, due anche, ma poi... Basta. Non sono tuo amico, i gemelli qui di fianco sì. Mi fa piacere se vuoi fare due chiacchiere, ma che non ti salti in mente di scambiarmi come il tuo terapista di fiducia. Mettiamo le cose in chiaro: io non sono quello con cui ci si confida. Non so tenere i segreti e non mi impegno per farlo. Vai a sbattere i tuoi sensi di colpa in faccia a qualcun altro».

E, rientrando, aveva sbattuto la porta con così tanta forza da farmi sobbalzare. Aspettai qualche secondo prima di attraversare la strada del tutto, non ero sicura che le mie gambe avrebbero collaborato molto volentieri.

Girai la chiave nella serratura e trovai Jenna in salotto che rideva con Frank.

Fantastico.

«Ciao, tesoro! Ti ricordi Frank?», mi accolse smagliante.

«Certo che sì. Ciao, Frank. Come va?», chiesi cancellando il punto di domanda alla fine. Il mio tono era troppo apatico.

«Bene, Hayley, grazie. Spero di non essere di troppo, posso sempre...».

«No, no», lo interruppi rianimata. «Stavo giusto per uscire di nuovo. Volevo solo dire a Jenna che stasera non ceno a casa».

«Come mai?», mi chiese lei palesemente disinteressata alla mia risposta. Ma il normale protocollo del genitore modello presupponeva che, di fronte agli altri, domande del genere fossero obbligatorie.

«Vado da Lara. O dai gemelli, magari usciamo tutti insieme visto che è venerdì sera».

«Avevi ragione, è proprio una bellissima ragazza. Educata, per di più», si intromise Frank. Da quando la gente parlava di me e mi definiva “bellissima” ed “educata”? La cosa mi infastidiva parecchio.

«Già», tagliai corto. «Io vado. Ciao a tutti. Se senti Bryan, salutamelo», dissi scappando dal luogo dei finti convenevoli che era diventato casa mia.

Peccato che non sapessi dove andare. Mi veniva in mente solo un nome, ma non era quello di Adam. Assolutamente.

Iniziai a passeggiare per le vie del mio quartiere con il cellulare in mano.

«Jess, ciao».

«Ciao!», mi rispose sollevato e sorpreso. «Credevo che avessi detto a Jenna che volevi startene da sola».

«Già. Questo prima che mi venisse voglia di parlare un po' con te». Stupida Jenna, poteva almeno dirmi che Jess mi aveva cercata. Stupido Adam, che mi aveva messo le parole in bocca mentre parlavo con Jess.

«Ah. Beh, certo. Se mi dici dove sei, passo a prenderti», acconsentì felice.

«No, bello, tu passi con la moto, e io sul tuo mostriciattolo non ci salgo affatto. Ci vediamo a Coldwater Park, va bene?». Lo sentii ridere mentre riagganciava e mi informava del suo imminente arrivo.

Infatti, neanche dieci minuti dopo lo trovai già lì, che mi aspettava su una panchina. Non appena mi vide, sorrise come un bambino (molto adorabile, direi) e alzò un braccio per salutarmi. Senza accorgermene, mi misi a ridere: ero tornata di buon umore.

«Mi hai fatto prendere un altro infarto», disse facendomi spazio sulla panchina per permettermi di sedermi vicino a lui.

«Scusa, non volevo», risposi rannicchiando le ginocchia contro il mio petto. Inaspettatamente, mi mise un braccio intorno alla spalla e mi tirò verso di sé.

«Non ti preoccupare, Hayley. Sopravvivo a tutto, sai?». Rise del mio silenzio imbarazzato e mi baciò sulla testa.

«Di' la verità, cosa ti ha detto Jenna?», chiesi con il broncio tirando su la testa per guardarlo in faccia. Che occhi indecenti che aveva.

«Ha detto solo che eri uscita e che volevi startene per conto tuo. E io ho pensato che stessi per sparire di nuovo. Non volevo, tutto qui. Ma poi mi hai chiamato e sono resuscitato».

Sospirai, comprendendo dove sarebbe finita presto la conversazione. Forse aveva ragione Adam, dovevo parlare con Jess. Lui sì che mi avrebbe ascoltata. Il punto era: volevo davvero parlarne?

«Jess, Jess», iniziai.

«Non mi devi dire niente se ti senti obbligata, Hayley. Lo sai. Anzi, ti chiedo scusa se ho fatto il bamboccio cocciuto e ho insistito tanto».

Restai stralunata per qualche secondo. Cosa?

Fu lì che ebbi l'impulso di lasciar cadere tutti i muri. Peccato che durò così poco che, non appena aprii bocca, subito cercai un modo per rimangiarmi la frase che segnava l'inizio della mia confessione.

«Hai mai sentito parlare di mio padre? Hai mai sentito da me una parola su di lui?», dissi in preda all'indecisione. Volevo lasciar perdere quel discorso frustrante e insopportabile.

«No. E non devi per forza parlarne adesso, se non vuoi». Colsi la palla al balzo e restai in silenzio, più stupita ed esterrefatta di prima.

«Ti basti sapere che quella era la ragione della mia “sparizione”. Non tu, Jess», conclusi con un sospiro di sollievo.

«Sai una cosa?», fece lui ridendo.

«Come potrei sapere tutte le cose del mondo, Jess?», tentai di sdrammatizzare.

«Sì, sì. Stavo proprio pensando che adesso posso reputarmi abbastanza sicuro delle mie azioni e...», disse girandomi il viso verso di lui con una mano.

«E...?», feci senza voce. A questo punto le mie aspettative non potevano essere deluse ancora. Lo avrei ucciso, se lo avesse fatto.

«E... dico che adesso, se ti baciassi, tu non scapperesti, vero?», chiese a bassa voce nel mio orecchio. Scossi la testa senza una parola. «Allora diamo inizio alle danze».

Mai sentito, vissuto, visto, provato niente del genere. Giuro. Una cosa così fuori dal comune che vi risparmio i particolari. Se vi dicessi tutto, tutte le ragazze si aspetterebbero cose inumane dai rispettivi ragazzi e... Insomma, non è il caso di mettere i manifesti. Vi basti sapere che potrebbe anche passare come un bacio illegale.

E che, alla fine, i passanti ci applaudirono. Qualcuno addirittura si complimentò con Jess.

 

Quella sera, ci ritrovammo tutti a casa di Lara. I suoi erano via e lei aveva invitato la solita combriccola. Lei e Travis erano particolarmente su di giri, ma non quanto me.

Io e Jess arrivammo insieme – non con la moto, sia ben chiaro. Chris ci diede un passaggio e poi passò a prendere anche i cugini.

Ma la nostra entrata fu più che scenica. Lui, un bellissimo ragazzo decisamente al di sopra della mia portata, che mi teneva stretta a sé con un braccio intorno al mio collo. Lara, non appena ci vide, scoppiò in un urlo di gioia e liberazione.

«Grazie Signore per aver riunito questi due in via definitiva e averci liberati tutti dal pesante fardello che era diventata la loro sopportazione!», strillò saltellando a destra e a sinistra.

«Che simpaticona», esclamammo in coro io e Jess.

Quando poi Travis, Jamie e Chris ci raggiunsero, i commentini raggiunsero livelli così bassi da dover essere censurati. Jamie era l'unico che a volte si tratteneva, e ogni tanto mi faceva l'occhiolino, tutto soddisfatto.

Mangiammo sushi, rigorosamente stravaccati per terra. Poi iniziammo a fare la gara: dovevamo lanciarci i pezzi di cibo da una parete all'altra della stanza, centrando le rispettive bocche. Beh, vincemmo io e Jess.

Dopo la gara, invece, ci fu la lotta, ma nessuno osò avvicinarsi a me. Solo Jess poteva prendermi in spalla e buttarmi in giro, sul divano o per terra.

E, per concludere, ci sfidammo tutti a Guitar Hero. Senza troppe sorprese, Travis vinse contro tutti noi, tanto che alla fine formammo un'associazione contro di lui. Ma Jamie ci fece perdere clamorosamente, e lì iniziarono le prese in giro.

Fu una bellissima serata, che mi ricordò nitidamente una delle ultime serate spensierate passate dai gemelli: una delle sere in cui, giustamente, non potevo nemmeno immaginare che Jess nutrisse un qualsiasi tipo di interesse per me.

Il fatto è che, come spesso accade, fino a che si è in compagnia e si hanno brutti pensieri, è facile scacciarli ridendo. Risulta più difficile restare lucidi quando, la notte, si resta da soli in una camera immensa e buia. Magari con le canzoni più belle e riflessive dei Paramore sparate a mille nelle orecchie.

Ripercorsi mentalmente la mia giornata. I momenti migliori li avevo passati con Jess, indubbiamente, ma... C'era una vocina che mi gridava “eppure non gli hai detto tutta la verità!”. Non gli avevo detto niente, a dirla tutta. Adam era caduto nel dimenticatoio, mio padre era stato accuratamente evitato. E la vocina strillava e strillava, finché non assunse il tono e la voce di Hitch, non Adam. Afferrai il cuscino e tentai di soffocare quella vocina insolente, ma non ci riuscii fino a notte fonda. La verità era che la situazione si chiariva a tutti, tranne che a me. C'era una sensazione fastidiosa (ora più che mai) che tentavo di zittire e reprimere, ma nel mio profondo sapevo che stavo mentendo a me stessa.

Quello stronzo di Hitch, accidenti a lui, mi faceva trovare più a mio agio quando parlavo con lui. Non insisteva, non si arrendeva, sapeva quando doveva fermarsi. Però era troppo sgraziato e cattivo, distaccato e indecifrabile.

Jess era tutta un'altra cosa. Mi piaceva di più, era solare, simpatico e, perché no, anche tenero. Ah, dimenticavo: qualcosa di molto simile a un modello, solo non troppo tirato a lucido.

E poi, sembrava che le cose fossero diventate un po' più esplicite e “limitate”. Se prima mi sentivo soffocata dai pensieri di altra gente, ora ero veramente seppellita sotto le loro opinioni.

Sapevo di non essere stata del tutto onesta con Jess, e lui non se lo meritava; ma proprio non volevo rovinare l'atmosfera che veniva a crearsi con lui parlando di Adam.

Per fortuna l'indomani, sabato soleggiato e allegro, mi avrebbe salvata non solo dalla scuola, ma anche da quei pensieri stupidi e, sì, infondati. Era facile da capire: io e Jess. Adam aveva solo contribuito a rovinare una parte di quella splendida giornata. Era la parte più piccola, sgradevole e insignificante di quel giorno. E pensare che fino a qualche settimana prima non potevo nemmeno vedere la sua faccia in TV. Mi era facilissimo girare canale e ignorarlo al meglio. Però, ora che abitava sul marciapiede di fronte al mio, era un pochino più difficile. La situazione era cambiata radicalmente.

Volevo disperatamente che arrivasse l'alba del giorno dopo, mi stavo crogiolando fin troppo in un problema che sostanzialmente non esisteva. Avanti, qual era il mio problema?

Non c'era.

Perciò sarebbe stato ancora più facile risolvere il fatto che un problema non ci fosse, non so se mi spiego. Sono un po' contorta, lo so, ma davvero non saprei dire meglio da cosa partisse quella mia angoscia. O forse sì, saprei dirlo. Con esattezza, per di più.

Il vero punto della situazione era che adesso mi sentivo in debito, vincolata irreversibilmente alle opinioni della gente; mi ero mostrata loro sotto una luce diversa, e mi avevano accettata. Ora, però, sapevo che non ne sarei stata all'altezza, avrei deluso tutti quanti, forse me stessa più di tutti.

Una cosa era certa: durante il periodo che era in procinto di assalirmi io mi sarei dimostrata una persona totalmente nuova, sia a me stessa che agli altri. Non poteva piacermi quella situazione, perché era nuova, e in quanto tale non potevo proprio fare i salti di gioia ed essere lieta di qualcosa che non conoscevo se non per sentito dire. La pratica è tutta un'altra cosa rispetto alla teoria, perciò la gente può parlare quanto vuole, ma le esperienze non si acquisiscono così, o sbaglio?

Mi stavo creando un problema che potevo evitare: stare con Jess non avrebbe dovuto crearmi problemi esistenziali. Non è così quando ci si innamora, no?

Ora, io non ne sapevo abbastanza da poter fare l'esperta, ma supponevo (e suppongo tutt'ora) che non fosse quello il modo in cui mi sarei dovuta sentire pensando a ciò che stava nascendo tra me e un bellissimo ragazzo. Al contrario, nessuno parlerebbe delle cotte e dell'amore con così tanti luccichii negli occhietti luminosi, no?

Io non avevo mica gli occhietti luminosi quando parlavo di Jess. Sì, mi mandava un po' in tilt con le sue mosse da cavaliere, ma...

Non lo sapevo. Forse il senso di oppressione era più forte.

Se davvero l'amore era qualcosa di simile a quell'angoscia che stavo provando quella notte, quel peso che mi stava bucando il petto e rompendo le ossa lentamente, beh... Allora era davvero una gran fregatura.

 

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: londonici