Ed eccoci qui al terzo capitolo.
Vi ho lasciato col fiato sospeso? Bene, in questo capitolo fugherò tutte le vostre ansie per il piccolo Robin.
Per questo capitolo ho dovuto pensare a un modo plausibile
nel
quale il nostro eroe sia riuscito a scappare da
Roger &Co. Fra tutte le opzioni che ho analizzato e sperimentato, questa mi
è sembrata la meno artificiosa e più plausibile. Spero che vi piaccia!
Aspetto con ansia i vostri commenti…enjoy the chapter
Fear.
“Cosa
dobbiamo fare con te?”
Robin
chiuse istintivamente gli occhi, quando vide il sicario avvicinarsi per prendere
meglio la mira.
Ma
non ci fu alcuno sparo: inconsciamente Robin sperava che questo fosse dovuto al
fatto che gli uomini avessero visto qualcuno che li aveva terrorizzati a morte,
qualcuno che avrebbe atterrato Roger con un cazzotto ed avrebbe disperso gli
altri. Ma non accadde nulla di tutto questo.
Roger
scoppiò a ridere, una risata cattiva, senza gioia. Una risatina di
scherno.
“Oh,
ma guardatelo! Il povero uccellino, il piccolo pettirosso che trema!” sghignazzò
Roger, indicando Robin agli altri con la canna della
pistola.
Il
bambino sentì le risate sguaiate degli altri e realizzò che Roger non aveva
intenzione di farlo fuori subito: prima si sarebbe divertito un po’ e solo dopo
gli avrebbe sparato. La sua mente galoppava: questo piccolo show, forse, avrebbe
potuto regalargli qualche prezioso minuto di vita in più, ma come avrebbe fatto
ad impiegarli bene? Come poteva scappare?
Mentre
gli altri ridevano, Robin si guardò intorno con aria disperata: la fine del
vicolo non era lontanissima, e lui era veloce a correre. Se solo fosse riuscito
a scattare ….
Ma
Roger, come se avesse intuito quello che stava per fare, lo afferrò per un
braccio, che era sempre sopra la sua testa, e lo buttò per terra. Robin cadde
lungo disteso, ma si impose di non lamentarsi. Volevano divertirsi? Bene, non
gli avrebbe reso le cose semplici.
“Se
solo potessi distrarli, in qualche modo…” pensò freneticamente “ Probabilmente
non andrò lontano, ma avrò avuto la soddisfazione di farli penare, prima di
uccidermi.”
“Dove
pensavi di andare, orfanello?” lo derise Roger, avvicinandosi a passi lenti.
Robin istintivamente si allontanò un poco, spostandosi con le braccia e con le
gambe. Anche questo poteva tornargli utile.
“Eh?
Dove volevi andare? Volevi scappare? Per andare dove, dalla mammina?” continuò
Roger.
Robin
cercò di assumere l’espressione più truce di cui fosse capace, cosa che l’uomo
parve trovare incredibilmente divertente.
“Ehi
Roger!” esclamò uno del gruppo “non è che vuoi creare un altro Bruce Wayne,
eh?”
Robin
aggrottò la fronte: cosa c’entrava Bruce Wayne, il miliardario più giovane di
Gotham con lui?
“No
ragazzi, non ne ho la minima intenzione, anche perché questo qui è quanto di più
lontano possa esserci da Bruce Wayne.”sghignazzò Roger, tornando a guardare
Robin, indifeso ai suoi piedi.
“Allora..”
continuò a provocarlo “vuoi andare dalla mammina? Ops! Forse ho toccato un tasto
dolente..Vedi mio caro, noi sappiamo tutto di te e della tua bella famigliola.
Sappiamo tutto della tua povera mammina, morta in un incidente, sappiamo tutto
di tuo padre un povero fallito, capace solo di frignare e di perdere al gioco.
Un codardo!”
Robin
sapeva di dover restare calmo per non dargli soddisfazione, ma le ultime parole
lo avevano fatto imbestialire.
“Non
era un codardo..” disse Robin a bassa voce, guardandolo con aria di
sfida.
“Oh,
ma che sguardo cattivo!” continuò ad infierire Roger, cogliendo la palla al
balzo “ora cosa farai, ti … vendicherai? Vendicherai quella nullità di tuo
padre?” Si chinò lentamente su di lui, i loro nasi erano vicinissimi “Non
serviva a nulla a questo mondo, era solo un piccolo codardo capace solo di
implorare.”
Fece
un attimo di pausa, per gustarsi l’espressione di rabbia di Robin, ma si rese
conto con disappunto che il bambino
non aveva tradito nessuna emozione.
“Anche
tu sei come lui” riprese, avvicinandogli la pistola al viso” sei un piccolo
codardo, un niente di cui il mondo potrà fare a meno. Nessuno sentirà la vostra
mancanza.”
Robin
capì che gli erano rimasti pochi secondi per agire e doveva sfruttarli al
meglio: si fece coraggio e gli sputò dritto in faccia.
Roger
non realizzò subito cosa era appena successo: Robin aveva calcolato che si
sarebbe asciugato la fronte e, confidando nella sua immobilità, si sarebbe
alzato in piedi e lo avrebbe finito.
Non
gli regalò nessun secondo extra: inspirò profondamente e gli assestò un calcio
nello stinco, facendo scattare la gamba con tutta la forza di cui era
capace.
Il
resto accadde molto in fretta: Roger guaì di dolore, gli amici del sicario non
ebbero neanche il tempo di realizzare cosa fosse successo e, mentre facevano due
più due, Robin era scattato in piedi con un’agilità mai sperimentata prima di
allora ed aveva iniziato a correre a perdifiato verso la fine del
vicolo.
Gli
sembrava una voce lontana centinaia di chilometri quella che urlava “Che
aspettate, imbecilli?Prendetelo e riportatelo qui!” e il rumore di tre paia di
piedi che si mettevano al suo inseguimento, gli pareva un rombo
lontano.
Robin
era già arrivato alla fine del vicolo e si trovava in una strada un po’ più
illuminata e di ma completamente deserta. Non potendo concedersi il lusso di
stare a pensare troppo, Robin si infilò in un vicolo parallelo a quello dove era
stato in balìa dei sicari, sperando che il seguito di Roger fosse abbastanza
stupido da credere che si fosse nascosto sotto una macchina, nella strada
illuminata.
Continuava
a correre, disperato, non trovando nessun posto utile per
nascondersi.
“Tanto
ti prenderanno, a che serve correre?” gli diceva una vocina nella sua testa. Si
sentiva tutto d’un tratto stanco: era solo un bambino, era indifeso e loro erano
in 4 e armati di pistole. Che speranze avrebbe avuto?
All’improvviso,
Robin notò un particolare che lo fece quasi scoppiare a piangere dal sollievo:
alla sua destra, al livello della strada, c’era la finestra aperta della
cantina, appartenente ad un palazzo abbandonato. La finestra era abbastanza
grande da permettere ad un bambino molto esile di entrarci. Senza indugiare,
Robin si tuffò letteralmente a
destra calandosi senza fatica dentro la bocca oscura della cantina, benedicendo
per la prima volta ,la sua costituzione esile. Scivolò nella cantina buia ed
umida, toccando il suolo con un rumore lieve: notò che la finestra non era molto
in alto e che, se l’avesse scampata, non avrebbe fatto troppa fatica ad uscire.
Si concesse qualche secondo per permettersi di tranquillizzarsi e si lasciò
scivolare per terra, con la schiena contro il muro.
L’imboccatura
della cantina era troppo in basso e non era esattamente il tipo di rifugio che i
suoi inseguitori avrebbero visto a colpo d’occhio: Robin contava sul fatto che
Roger e gli altri si sarebbero concentrati di più su quello che si trovava nel
loro immediato campo visivo. E poi, se anche fosse venuto loro il dubbio, non
sarebbero riusciti ad entrare nella cantina, perché l’imboccatura era troppo
stretta ed il buio che lo avvolgeva lo avrebbe
protetto.
Sentì
che gli inseguitori si avvicinavano velocemente e si premette le mani sulla
bocca: aveva il fiatone per la corsa e per la tensione e questo avrebbe potuto farlo
scoprire.
“Dov’è
andato? Dov’è andato?!” sbraitò Roger, assestando un calcio ad un bidone della
spazzatura, che cadde, facendo un gran rumore e sparpagliando tutto il suo
contenuto. “Cercatelo, guardate sotto le macchine, nelle nicchie, negli androni
delle porte! Trovatelo!”
Robin
spostò lentamente le mani dalla bocca e guardò verso l’alto e si arrischiò ad
alzarsi lentamente per sbirciare dalla finestrella: con un brivido si accorse
che Roger era in piedi proprio davanti al buco.
“Qui
non c’è, Roger. E’ veloce il ragazzino..” replicò uno degli uomini più
lontani.
Roger
imprecò “Ve lo siete fatto scappare, razza di imbecilli.” Ringhiò, come se non
fosse stato lui quello che si era fatto distrarre “a quest’ora sarà già sulla
Main Street a picchiare contro la porta di un commissariato.”
“Cosa
vuoi che facciamo allora?” chiese uno degli amici di Roger, quello che aveva
parlato di Bruce Wayne.
Ci
fu un lungo silenzio, poi Roger sospirò.
“Cosa
vuoi che facciamo?Il ragazzino ormai è sparito, a quest’ora può essere
ovunque..E se è nascosto qui da qualche parte, è nascosto fin troppo
bene.”
“E
lasci perdere così?” lo apostrofò uno degli sgherri,
incredulo.
Roger
lo fulminò con lo sguardo. “Si, lo lascio perdere così. Ormai il divertimento ce
lo siamo perso, non ho voglia di rincorrere un ragazzino per mezza Gotham.
Dovevo farlo fuori subito e basta, è stato più furbo di me, lo
ammetto.”
Robin
non osava quasi respirare: li aveva depistati così facilmente? O era una
trappola?
“Non
vale al pena perdere una nottata per cercare un orfanello. Tanto non potrà
neanche denunciarci, ufficialmente, Roger Towers è morto. Anche se il ragazzino
cantasse, si smuoverebbero le acque per due o tre giorni al massimo, poi
tornerebbe la tranquillità. Andiamocene, è ancora presto e volevo andare al
club.”
Robin
fissò, con un misto di incredulità e paura i piedi degli sgherri sfilare davanti
alla finestra, mentre si allontanavano. Sentì il rumore dei loro passi diventare
sempre più flebili, fino a scomparire, dopo pochi minuti.
“Aspetterò
10 minuti e poi uscirò da qui..” si disse Robin.
Invece
passò un’ora, un’ora nella quale il bambino, provato da tutti gli eventi, dalla
paura e dallo shock, cadde addormentato, senza rendersene
conto.
Nel
suo sogno c’era un vicolo buio ed un uomo con la pistola. Sentiva uno sparo, ma
non capiva da dove fosse venuto. Gli sembrava che qualcuno lo chiamasse per
nome, ma non riusciva ad identificare la voce. Poi vedeva una figura femminile,
vaga ed indistinta che lo salutava dal fondo del vicolo. Lui le si avvicinava,
con circospezione, ma il volto della donna rimaneva in
ombra.
“Eccoti
qua, Robin. Ti aspettavo!” gli carezzava il viso, ma quando ritraeva le mani,
erano sporche di sangue.
“Robin..”
lo chiamava di nuovo la voce. Ma stavolta non era una voce di donna. Era la voce
di Roger.
Robin
si svegliò di soprassalto: era madido di sudore, nonostante il freddo pungente e
tremava di paura.
“E’
stato solo un incubo..” si disse.
Poi la forza della realtà lo colpì, come
un pugno allo stomaco. Non era tutto un incubo: suo padre era morto, era solo al
mondo ed era appena scampato per un soffio alla morte.
Di
tutte queste considerazioni, una in particolare gli martellava in testa. “Sono
solo al mondo..” mormorò.
Rimase
immobile ancora per qualche secondo, per dare il tempo ai muscoli di uscire dal
torpore del sonno e poi si issò fuori dalla finestra: avrebbe voluto correre dal
padre nel vicolo accanto ma non osava. E se i sicari si fossero appostati da
qualche parte, aspettando che lui uscisse?
Robin
rabbrividì e si strinse addosso il cappotto. Era completamente solo. Non una
persona, non un cane o un gatto girava per quel vicolo.
Lentamente,
senza fretta, si incamminò verso la fine del vicolo che gli aveva offerto
protezione: da lì sarebbe sbucato in una strada più trafficata, con la gente.
Qualcuno lo avrebbe aiutato. O forse doveva andare dalla polizia. Non aveva il
coraggio di tornare a casa, aveva il terrore di varcare di nuovo quella porta ed
infatti non ci sarebbe più entrato.
Continuò
a camminare senza meta, le mani in tasca, il viso sporco di polvere nera che gli
si era appiccicata addosso nella
cantina. Aveva i pantaloni strappati sul ginocchio destro, a causa della sua
caduta , ed aveva la mente annebbiata dal sonno e dalla
confusione.
All’improvviso
urtò contro qualcosa di morbido. Se ne staccò.
“Ehi,
piccolo, tutto bene?”
Era
appena andato a sbattere conto un poliziotto: il distintivo con su scritto GCPD
brillava sul lato destro della sua
giacca di servizio invernale.
Robin
lo guardò e per un attimo desiderò essere come lui: un adulto, forte e armato.
Un poliziotto coraggioso, al servizio della giustizia.
Se
ci fosse stato lui nei paraggi, tutto quello che gli era accaduto non sarebbe
successo.
“Ragazzino,
stai bene?” gli chiese il poliziotto
inginocchiandosi ed afferrandolo per le spalle con
gentilezza.
Robin
sentì una lacrima che gli solcava il volto: aveva retto troppo per quella notte,
non aveva tradito nessun segno di debolezza davanti alla pistola di Roger e non
si era fatto prendere dal panico in quella cantina buia. Ma ora non ce la faceva
più.
“Non proprio…” rispose asciugandosi la guancia con la manica “sono appena scappato da una cantina, c’erano degli uomini che hanno ucciso mio padre e hanno cercato di fare lo stesso con me. Può aiutarmi, per favore?”
E anche questa è fatta! Eravate tutti/e lì, con gli occhi sbarrati e le dita aggrappate al bordo del tavolo a fare il tifo per Robin? Lo spero J
Anche per questo capitolo ho attinto da una fonte, per un particolare: il calcio che Robin assesta a Roger è preso pari pari dal film “Brick” con…indovinate un po’? Il caro Joseph Gordon-Levitt! (eccovi il trailer, ve lo consiglio tantissimo come film! http://www.youtube.com/watch?v=4Zfw8__A7ps)
Nella scena, lui è coinvolto in una zuffa con un tizio che è ehm, tipo il doppio di lui, che l’ha buttato per terra. Joe lo guarda malissimo e gli tira il calcio che ho appena descritto ( e l’energumeno è pure così idiota che ci casca per due volte). Pensavo che mi sarebbe tornata utile e l’ho “riciclata” per questo capitolo.
La fortuna mi ha assistito anche nella ricerca di una foto di inizio capitolo adatta: la foto inserito è più che adatta, secondo me. Rappresenta il momento in cui Robin è nella cantina ed ascolta quello che i tizi dicono, sopra di lui.
Bene, dire che ho finito con i chiarimenti. Un grazie grosso come una
casa a chi segue la storia e un grazie “futuro” a chi la leggerà e la
recensirà.
Besos!