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Autore: thecarnival    21/09/2012    7 recensioni
MOMENTANEAMENTE SOSPESA CAUSA: ESAMI UNIVERSITARI.
Lei: ventisette anni, francese di nascita ma italiana d'adozione.
Lui: italiano, meglio dire, romano D.O.C.
Lei: vive in un piccolo appartamento in una zona tranquilla di Roma e si mantiene grazie ad un modesto lavoro che tuttavia sta iniziando ad odiare, perché è propria a causa di esso che ha visto infrangere le sue aspettative sul vero amore e sugli uomini: l'organizzatrice di matrimoni.
Lui: condivide casa con due sue amici e colleghi e, a differenza di lei, ama il suo lavoro, perché non solo guadagna soldi ma anche donne: è uno spogliarellista in un noto locale di Roma, il Ladies Night, ed è la principale attrazione del locale.
Entrambi pensano che l'amore sia inutile e passeggero, che la gente si stanchi di stare sempre con la stessa persona e che, prima o poi, si finirà per soffrire.
Le loro vite si intrecceranno per caso e il caso non li lascerà più allontanare.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Undress my heart.'
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Agli incontri inaspettati.
Alle situazioni che ci creiamo da sole.
Ai momenti che ci cambiano la vita.



CINQUE.



Aver incontrato mio padre era stata la ciliegina sulla torta.
Continuavo a pensare al motivo per cui fosse venuto a Roma a cercarmi dopo dieci lunghi anni di silenzio e non riuscivo a trovarlo: forse stava davvero male e aveva bisogno d'aiuto. Per colpa sua avevo perso tutta la concentrazione che mi serviva per organizzare quello stupido matrimonio.
Stanca dell'ennesimo pensiero su mio padre, lanciai l'agenda sul tavolo e mi accasciai sulla sedia, sbuffando rumorosamente. Avevo voglia di una tazza di cioccolata calda. 
- Puoi parlarne, se ti va. - Avevo dimenticato che ci fosse anche Mina con me. - È per la storia dell'uomo misterioso di questa mattina? 

Sospirai, stanca di mentire a me stessa e di nascondere il mio passato agli altri – Era mio padre.
E così le raccontai una parte della mia vita, quella che avevo sempre tenuto segreta un po' per paura e un po' per vergogna: essere abbandonata non era cosa di cui vantarsi. Non volevo neanche che gli altri mi tempestassero di domande su come avesse reagito mia madre all'abbandono o su come avesse fatto a crescere due figlie da sola, dato che aveva un lavoro a cui pensare o ancora:
- Perché ti sei trasferita a Roma? Tua madre è rimasta in Francia e tua sorella è... dove hai detto che è, scusa?
Ecco appunto. Non era semplice spiegare il motivo della partenza mia e di mia sorella, soprattutto perché tutti poi pensavano che anche noi avessimo abbandonato nostra madre, quando era tutto il contrario; lei non era la vittima, ma uno dei cattivi, più o meno.
- Perché non era facile vivere in quel piccolo paesino dove tutti sapevano la nostra storia. Essere additata come la “bimba abbandonata” non mi faceva sentire a mio agio. Perciò decisi di venire qui in Italia dai miei nonni paterni, mia madre si trasferì definitivamente a Parigi e mia sorella ne approfittò per coronare il suo sogno: New York.
- Quindi odi anche tua madre?
E ovviamente mancava all'appello ancora quest'ultima domanda e la risposta era sempre la stessa – Certo che no. E' mia madre, come potrei odiarla? Le voglio bene, come lei ne vuole a noi, a modo suo. 
Parlarne con Mina, però, mi aveva fatto sentire meglio, molto più che dopo aver parlato con il dottor Rossi: almeno con lei c'era dialogo. Sbrigai le ultime cose in modo da poter restare a casa il giorno dopo, dato che era sabato ed era il nostro giorno di riposo; uscii dall'ufficio quando era troppo tardi per passare al supermercato e racimolare qualcosa per cucinare, perciò mi fermai dal Dio del Kebab sotto casa mia.
Kamal diceva che io ero la sua cliente preferita e non perché avessi le tette grandi o perché gli sorridessi sempre, ma perché avevamo una cosa in comune: eravamo stranieri, anche se lui lo era più di me; ecco perché mi faceva lo sconto famiglia. 
- Emily, non vedere te da tanto tempo. 
- Ciao anche a te, Kamal. 
Oltre ad avere il nome indiano più comune tra gli indiani e a essere gentile, faceva il Kebab più buono che avessi mai mangiato in vita mia; peccato che lo avessi mangiato solo lì. Non avevo neanche bisogno di ordinare perché sapeva già i miei giusti: carne, senza lattuga, con pomodoro e cipolla ma poco piccante; a volte facevo aggiungere le patatine fritte, quando volevo farmi del male ed ero tanto depressa, come quella sera per esempio. 
- Vuoi una birra, Emily? 
- Oh sì, per favore! E' stata una giornata pesante.
- Tu sposi sempre le persone, quand'è che ti sposi tu? 
Risi per quella sua domanda, Kamal era simpatico, gentile, un bravo cuoco, ma non si faceva mai i fatti suoi e chiedeva le cose giuste al momento sbagliato o le cose sbagliate al momento giusto o, forse per il fatto di essere indiano, aveva quello strano potere di capire le persone e leggergli dentro.
- Ma io non voglio sposarmi, sto bene come sto. 
Mi guardò stralunato, mentre poggiava il piatto con il Kebab che avevo ordinato davanti a me.
E perché tu non volere sposarti? Non credere in Dio?
Stavo masticando quella bontà divina e non potevo rispondergli, quindi scossi la testa. Fu qualcuno dalla cucina a dire, al posto mio, che magari non stavo con nessuno e che non ero innamorata. - Esatto. L'amore non esiste e quindi non mi sposerò mai.
Per poco non mi tolse il piatto da davanti e non mi cacciò dal locale; era come se avessi bestemmiato e avessi offeso tutte le divinità in cui credeva.
- In India diciamo “Non amare è un lungo morire”. Vuoi morire vecchia e sola, Emily? Con tanti rimpianti e rimorsi?
Mi resi conto che Kamal era molto di più che un semplice cuoco indiano, non era neanche il tizio straniero sotto casa mia che mi faceva lo sconto quando mangiavo la sua specialità; lui era il grillo parlante versione indiana, mandato da non so chi per portarmi sulla retta via e farmi pentire delle scelte fatte fino ad allora.
Forse era l'unico che poteva eliminare il mio Karma negativo; forse dovevo convertirmi all'induismo. 
Forse dovevo andare a rinchiudermi in qualche ospedale psichiatrico.
- Certo che no, solo che non credo nell'amore e a tutte quelle storie sul destino che sceglie per te, all'uomo della vita o alla storia del principe azzurro che riconosci solo perché il tuo cuore batte forte e senti le farfalle nello stomaco. Beh, le farfalle sono sfigate perché vivono solo un giorno quindi io non voglio avercele nello stomaco. 
Forse un manicomio era quello che più mi si addiceva.
- Scusa Kamal, non volevo aggredirti. Posso avere il conto così vado a casa e dimentico questa brutta giornata?
Mi dispiaceva averlo trattato male ma le sue parole mi avevano colpita dritto al cuore come una lama affilata. Quei discorsi sul vero amore e i matrimoni erano troppo delicati per affrontarli con un estraneo che non si faceva pagare trecentocinquanta euro.
- A presto Emily e ricorda “Fa che sia il tuo cuore a scegliere la meta e la ragione a cercare la via.”
- Anche questo lo dite in India? 
Annuì sorridendo e lo salutai per poi uscire dal locale abbastanza turbata e stanca; avevo voglia e tanto bisogno di una doccia e di mettermi a letto per non pensare più a ciò che avevo passato nell'arco di quelle ore. Ero distrutta e depressa, il mondo aveva ordito un complotto contro di me, cos'altro poteva andare storto ancora?


Cara El.”
- No. Troppo formale.
Ciao Elle, tutto bene?” 
Ma cazzo. Non la sento da quasi un anno, non posso mica dirle “ciao”
“Eléonore, ho visto nostro padre.”
Cancellai per l'ennesima volta l'inizio di quella email che vedeva mia sorella Eléonore come destinataria: stavo impazzendo. Non avevo sue notizie da più o meno dieci mesi e non sapevo cosa dirle e come dirle che nostro padre si era fatto vivo ma stava morendo, forse.
Misi su un po' di musica per rilassarmi e a piedi scalzi mi alzai dalla scrivania per andare in cucina e versarmi del vino bianco: amavo quei momenti serali in cui io, il vino, la musica e il computer avevamo degli attimi di goduria e puro relax. Capitava, ogni tanto, che bevessi qualche bicchiere di troppo e andassi a letto ridendo come un'idiota e 
per giunta accaldata, per alzarmi poi, il mattino seguente, con un mal di testa sensazionale: la tipica sbornia da vino, insopportabile e ingestibile.
Al terzo sorso e mentre cantavo insieme ai Kasabian, mettendo senza sosta una delle mie canzoni preferite, perché ne conoscevo solo due e mezza, scrissi quella maledetta email.



Questa email non ha inizio.
Ehi Elle, dove accidenti sei e perché non ho tue notizie dalla notte dei tempi? La colpa è anche mia, è vero, quindi metti giù quel telefono e smettila di minacciarmi telematicamente. Sto bene, non sono incinta e non sono fidanzata e NO! non ho nessun trombamico. Sì, lo so, ti ho delusa. Spero che tu stia ridendo perché devo darti una spiacevole notizia: ho rivisto papà. 
Devo dirti altre mille cose, quindi, per favore, potresti farti sentire?
Un bacio.”

La rilessi più volte prima di inviarla. Ripristinare i contatti con mia sorella mi metteva un po' d'ansia, in fondo se lei non si era fatta sentire per tutto quel tempo c'era un motivo: forse non voleva farlo perché mi odiava, forse le avevano rubato tutti i mezzi tecnologici utili a mettersi in contatto con me o ancora l'avevano rapita gli alieni o forse, semplicemente, non aveva il tempo per farmi avere sue notizie.
Eléonore era sempre stata così fin da piccola, non si preoccupava mai di dire ai nostri genitori quando e con chi usciva, lei lo faceva e basta perché lo voleva fare. Si definiva “uno spirito libero in catene” e non andava d'accordo con nostro padre perché erano uguali: entrambi si sentivano in gabbia, avevano gli occhi tristi ed erano sempre in cerca di qualcosa; non si accontentavano mai ed erano stanchi della propria vita e della Francia. Io invece ero tutto l'opposto. Accettavo quello che avevo senza battere ciglio, pentendomi in seguito di tutte le scelte sbagliate e di quelle imposte. 
Quando mio padre andò via quella fredda notte, mia sorella non disse nulla, non reagì o pianse, continuò la sua routine quotidiana andando a scuola, uscendo con i suoi amici e frequentando Gian-come-si-chiamava; solo dopo un mese o poco più disse a me e a nostra madre che dovevamo reagire, che piangere non serviva a nulla e che lei voleva andarsene. 
Improvvisamente mi ritrovai dai miei nonni a Roma e tutto il resto fu... vino bianco.





Amavo il sabato mattina perché potevo dedicarmi a me, non alle spose e ai loro stupidi capricci: almeno per un giorno alla settimana c'eravamo solo io, il bagno caldo e il libro che stavo leggendo; insieme ad altri momenti di relax.
Stavo giusto mettendo il cellulare in modalità silenzioso e staccando il cordless di casa per evitare che qualcuno mi disturbasse, portando il libro in bagno e iniziando a riempire la vasca, mettendo i sali giusti. 
Dopo neanche un minuto il flusso dell'acqua iniziò a diminuire fino a interrompersi del tutto e io imprecai come un maschiaccio. 

- Hai il numero di un cazzo di idraulico?
Il silenzio dall'altro capo del telefono mi innervosiva ancora di più – Non penso che i “cazzi” vivano di vita propria tale da avere anche i cellulari.
- Giù, sei davvero idiota. Non ho più acqua in casa e sto andando in panico.
Quella brutta strega iniziò a ridere, probabilmente fece anche cadere il telefono perché la sua risata sembrò distante – Ok, ci sono. Em, hai rotto qualche specchio di recente? E' incredibile la tua sfiga in questo periodo.
- Ti odio.
- Prima la macchina, poi il cellulare e adesso l'acqua.- Riprese a ridere, forse era meglio riagganciare e lasciarla sfogare in pace.
- Ti sto odiando. Hai questo numero o no?
- Sì sì, lo cerco subito.
- Non è che per caso devi dirmi che lavorano solo il pomeriggio dalle sedici alle sedici e zero uno? Sai com'è, l'ultima volta il meccanico...
- No miss “voglio tutto e subito” questi sono sempre a disposizione e quando ti decidi a prendere un elenco telefonico o un pagine gialle?
- Ma io ce l'ho già, perché cercare quando ci sei tu? Grazie Giuli. Bacino.
Composi il numero che mi aveva dato la mia amica e che avevo scritto su un post-it azzurro: ero fissata con quel colore. La voce di quell'uomo mi fece rassegnare all'idea che, dopo una mezz'ora abbondante, avrei avuto in casa un tizio sconosciuto sulla cinquantina, probabilmente con la pancia da birra, la canottiera bianca sporca di grasso e i jeans luridi e lacerati che mi avrebbero fatto intravedere metà delle sue chiappe.
Indossai una tuta e sconsolata mi stesi sul divano a guardare la televisione o meglio, passai mezz'ora a scorrere tutti i canali del digitale alla ricerca di qualcosa di interessante, ma quella stupida scatola non trasmetteva nulla che potesse soddisfare la mia voglia di omicidi. 
Al suono del campanello scattai come una furia, non guardai neanche dallo spioncino perché sapevo che a quell'ora poteva solo essere l'idraulico.
Lo fissai imbambolata per due minuti quasi, circa, forse meno ma melius abundare quam deficere.
- Ho qualcosa in faccia o ho sbagliato appartamento?
- Oh, emh... Non ha niente in faccia e credo non abbia sbagliato, è l'idraulico?
- Così dicono. Dov'è il problema?
Indicai con il dito la porta del bagno e quell'uomo, uno dei più sexy che avessi mai visto in divisa da lavoro, andò verso la fonte dei miei problemi per sistemarla, permettendomi di chiudere la porta d'ingresso. Andai a spiarlo anche perché volevo sapere quanto grave fosse il danno e lo trovai disteso supino sotto il lavello, con le gambe piegate, la canottiera nera leggermente alzata che lasciava intravedere gli addominali obliqui; scivolai dallo stipite della porta e quasi sbattei la testa. 
- Dovrei controllare anche in cucina, se non è un problema.
- No, no no.
I jeans non erano per niente luridi o lacerati, anzi, erano stretti e risaltavano il suo bel sedere tondo, sodo e da prendere a morsi. Deglutii e desiderai dell'acqua fredda in testa per calmarmi: era solo un bell'uomo attraente, con delle gran belle braccia muscolose e tatuate che faceva il suo lavoro. Potevo ignorarlo, dovevo.
- Quindi? 
Tornai sulla terra e mi ricordai che dovevo mostrargli la cucina – Ci siamo già visti da qualche parte? 
Era figo sì, ma mi sembrava di conoscerlo; lui mi guardò meglio, mi sembrò di vedere qualcosa di diverso nel suo sguardo come se avesse trovato la soluzione a una delle più terribili malattie del mondo, poi però scrollò le spalle, fece una smorfia e – No. Almeno non nella realtà ma, forse mi hai incontrato nei tuoi sogni.
- Come scusa? - Incrociai le braccia sotto al seno. Mi aveva davvero risposto in quel modo?
- Calma ragazza, stavo scherzando. E' una battuta di un cartone animato, lo dice un 
principe, volevo vedere se funzionava davvero.
Lo ignorai – Questa è la cucina. 
Si accucciò nella stessa posizione in cui l'avevo trovato in bagno e trafficò con alcuni attrezzi. Rimase un bel po' lì sotto a lavorare in completo silenzio, tutto quello che si sentiva era solo il rumore di tubi e altri 
cosi maneggiati; sapevo che non gli sarei stata d'aiuto perciò tornai sul divano per leggere qualche pagina in più di quel famoso libro.
- Qui sotto c'è puzza di panna, l'hai gettata nel lavello per caso?
Alzai gli occhi dal libro e fissai scettica lo schermo nero della televisione – Scusa?
Mascherò la risata con un colpo di tosse – Niente, dicevo per dire.- Non feci in tempo a tornare a leggere che lui riprese a parlare – Che fai nella vita? Lavori, studi... la ballerina professionista in locali notturni?
- Puoi limitarti a sistemare il problema e chiudere la tua bocca? Grazie. 
Lo fissai per qualche istante, in realtà fissavo le sue gambe perché erano l'unica cosa che riuscivo a vedere data la sua posizione e avevo ancora l'impressione d'averlo visto da qualche parte, benché non sapessi dove; forse era stato l'ospite di qualche matrimonio che avevo organizzato ma ciò non spiegava quelle frasi e domandine idiote che non smetteva di farmi: era idiota per caso o la puzza di fogna gli aveva atrofizzato i neuroni? 
La regola del 'biondo e cretino' a quanto pare valeva anche per i maschi.
- Finito, c'era questo tubo rotto che ho cambiato e adesso dovrebbe funzionare tutto. Controlla se non ti fidi.
Lui stesso mi fece vedere che l'acqua scorreva limpida e abbondante dal rubinetto della cucina e anche da quelli del bagno.
- Grazie mille. - Gli diedi la cifra che mi aveva chiesto, per fortuna non era caro. Sexy, maleducato, ma non caro.
- E' stato un piacere. Se dovesse rompersi la lavatrice, qui c'è il mio biglietto da visita: sono bravo con la centrifuga. 
Era un doppio senso quello? E aveva davvero ammiccato mentre mi passava il cartoncino bianco e rosso? Per fortuna uscì di casa perché stavo iniziando a pensare che quel tizio fosse un maniaco e ad avere un po' paura di lui. - S.C.? Che diavolo è S.C.?
- Il mio nome. E' stato un piacere ragazza, a presto.
Non aspettai che andasse verso le scale, chiusi la porta e andai in bagno per concedermi, finalmente, quella mia ora di relax immersa nella mia vasca.


Raccontai a Giulia quanto era successo quella mattina, mi rispose che ero la solita fortunata in fatto di uomini, perché ogni volta che lei chiamava quella ditta le mandavano un idraulico peggio dell'altro.
- Ma non avevi detto che ero sfigata? E ti ricordo il meccanico.
- Il signor Ciccio è gentile, non offenderlo.
- Comunque, meglio un idraulico indecente che quello di oggi, Dio, era insopportabile.
La sentii sbuffare – Sei tu quella poco tollerante Em. È pronta la pasta, ci sentiamo domani, buona serata.
- Sì, ciao ciao.
Anche io aspettavo che la mia cena si cucinasse, guardavo impaziente il pollo ancora crudo dentro al forno e non sapevo che fare.
Un'idea geniale illuminò la mia mente.
Accesi la tv sintonizzandola sul canale trentasei del digitale, RTL era quello che ci voleva per rianimare la serata e risollevare il mio morale; presi la bottiglia di vino bianco dal frigo e mi versai un bicchiere: adesso sì che il mio sabato sera poteva avere inizio. 


Avevo già bevuto tre bicchieri di vino e stavo versando il quarto; ero accaldata, perciò avevo tolto la tuta restando in intimo e scalpitavo in attesa della canzone successiva. Non mi piaceva il giornale orario o le informazioni sul traffico in autostrada: io volevo cantare e ballare.
Strillai felice quando il tizio salutò i video telespettatori e i radio ascoltatori e la VJ introdusse uno degli ultimi successi di J.Lo. 
Trangugiai mezzo bicchiere e salii sul divano – I wanna dance and love and dance AGAIN.
Aumentai il volume quasi al massimo, rischiando che i vicini del mio stesso piano venissero a suonare e protestare, ma era sabato sera, volevo divertirmi, almeno per una volta. 
- UUUUUHHH I wanna dance. EEEE. Oooooh.
Il campanello interruppe il mio acuto, proprio come avevo previsto.
Spensi la tv, posai il bicchiere sul tavolo in cucina e indossai una vestaglia, non potevo certo aprire in mutande e reggiseno: la signora Molinari si sarebbe scandalizzata più del previsto.
Non mi preoccupai, per la seconda volta, di guardare dallo spioncino; i probabili scocciatori potevano essere solo tre: la signora Molinari, appartamento adiacente al mio, terribile vecchiaccia rompi scatole che si lamentava anche per il ronzio di una mosca; mi odiava dal momento in cui aveva scoperto la mia nazionalità. Il signor Cesari, un signore mezzo sordo ma che, non si sapeva come, riusciva a sentire ogni rumore, nonostante abitasse di fronte al mio appartamento. Infine c'era lei, la signora Cuccia, cicciotta e bassina, siciliana ma romana d'adozione, viveva di pettegolezzi; molte volte suonava alla mia porta per chiedermi come stessi e perché nessun ragazzo mi facesse mai visita.
Non sapevo chi fosse il peggiore tra i tre.
Aprii la porta e spalancai occhi e bocca. - Mi prendi in giro?
- Chiudi la bocca biondina o entrano le mosche.- Era uno scherzo? Sentii una delle tre porte aprirsi e lo tirai dentro. - Eh, calma Dumbo, che irruenza! 
- Idiota, non voglio che i miei vicini ti vedano, non smetterebbero di parlare. Che ci fai qui?
- Aspettavi qualcuno? Carino il tuo appartamento.
Andai in panico. La vestaglia mi copriva fino a metà coscia e lasciava intravedere il mio décolleté; me l'avevano regalata Giulia e Mina, dicevano che sarebbe stata utile, prima o poi. Cercai di coprirmi il più possibile mentre quel deficiente si intrufolava in cucina e curiosava in giro.
- Tua madre non ti ha mai detto che è maleducazione fare quello che stai facendo?
Mi guardò sorridendo, aveva i denti bianchi e allineati in modo perfetto. - E cosa starei facendo?
Non risposi perché le rotelline del mio cervello non funzionavano bene come sempre, avevo bevuto troppo per reggere un confronto verbale con lui: avrei perso la battaglia, mi avrebbe umiliata. 
- Lascia perdere, non capiresti. Come hai fatto a scoprire dove abito? 
- Ho i miei informatori. Apri sempre in questo modo la porta di casa? Perché potrei venire spesso, a trovarti.
Perché ogni cosa che usciva dalla sua bocca era un esplicito riferimento al sesso? Il trillo del forno mi avvisò che il pollo era pronto; ne fui grata, in quel modo l'avrei cacciato di casa e mi sarei ripresa dalla quasi sbronza.
- La tua cena è pronta e sembra essere invitante. Apparecchio per due, ho un certo languorino...
- Ma tu non hai da lavorare questa sera? - Per colpa sua quasi non mi bruciavo nel tirar fuori la teglia dal forno. Maledetto idiota palestrato, oliato e deficiente.
Aspettai che il pollo si freddasse un po' prima di tagliarlo e metterlo nei piatti, intanto guardavo Geremia muoversi nella mia cucina alla ricerca dell'occorrente per apparecchiare: quella scena mi fece sorridere, era davvero raro che cenassi con qualcuno, soprattutto un estraneo. Pensai a quanto dovesse essere bello vivere con qualcuno, condividere con una persona la quotidianità di una giornata, raccontarsi i momenti brutti e belli a cena e poi accoccolarsi insieme sul divano a guardare la tv.
- S'è freddato abbastanza?- Mi fu accanto e tornai con i piedi per terra – Se vuoi faccio io.
- No, sei un ospite, quindi siediti e stai zitto.- Gli misi il piatto davanti e mi accomodai di fronte a lui.- Dov'è l'acqua? 
- Credevo volessi bere solo vino e non l'ho messa.- Fece di nuovo quel suo sorrisetto impertinente. Lo odiavo talmente tanto che avrei tanto voluto farlo a pezzetti e infilarlo dentro il forno. - Se hai problemi d'alcool conosco una clinica che può aiutarti.
- Senti, mettiamo ben in chiaro una cosa: io non ti conosco e non voglio farlo. Sei qui solo perché ti sei auto invitato e non ti caccio perché sono educata ma se continui ad offendermi ti sbatto fuori a calci, chiaro?
Annuì – Mangiamo?- Aspettò che tornassi a tavola con l'acqua. - Buona cena. 
Gli feci una smorfia e assaggiai il mio piccolo capolavoro.
Geremia o come si chiamava in realtà, mangiava in silenzio, gustando il pollo e lanciandomi, ogni tanto, un'occhiata; sembrava volesse dirmi qualcosa ma non ne aveva il coraggio. Nel silenzio di quel momento ne approfittai anch'io per guardarlo, era così calmo e gestibile che colsi la palla al balzo. Era proprio un bel ragazzo, nessuno poteva affermare il contrario e i suoi occhi avevano qualcosa di particolare, non era il colore, azzurro, o la forma, piccola e un po' allungata; c'era qualcosa, nel suo sguardo, che incuriosiva e affascinava, che spingeva a volerne sapere sempre di più. Era ipnotico. 
- Era mio padre.- I suoi occhi curiosi si posarono su di me – Quello non era uno stalker o uno dei miei amanti, era mio padre. - Il suo silenzio mi diede il coraggio di continuare. – Non lo vedevo da dieci anni, per questo stavo scappando. Lui, se n'è andato e non l'abbiamo più rivisto e io non voglio più avere niente a che fare con lui, perciò ti ringrazio per quello che hai fatto e mi dispiace davvero per la storia del porta penne.
Abbassai lo sguardo colpevole e imbarazzata
– Tranquilla, mi hanno tirato di peggio addosso.- Mi sorrise e ristabilii il contatto visivo. L'ho detto, era ipnotico. - Anche io ho un padre difficile. Lui è uno di quelli stra ricchi dei quartieri alti che mi ha sempre imposto cosa fare e cosa non fare. Voleva che andassi all'università e studiassi legge: io, giurisprudenza, ma ti immagini? 
Risi, in effetti non ce lo vedevo in toga, seduto di fronte a una corte a difendere un assassino; al massimo avrebbe fatto arrestare un innocente. 
- Così ho fatto di testa mia e sono partito, lui non ha visto di buon occhio questa mia scelta e mi ha buttato fuori di casa, definitivamente. Tutti abbiamo dei padri difficili o teste di cazzo, l'importante è non fare i loro stessi errori. L'ha detto anche Olivia a Peter “Na ine kalitero antropo apo ton patera toi”.
- Cosa hai detto? 
Sii un uomo migliore di tuo padre. E' greco. 
Gli sorrisi rassegnata: quel ragazzo era davvero strano. Verso le ventuno e trenta scappò via perché doveva andare a lavorare ed era in ritardo; avevo cenato con lui, gli avevo raccontato un pezzo del mio passato e lo stesso aveva fatto lui, ma non sapevo ancora il suo nome: era normale? 
La mia vita era un gran casino, preferivo la solitudine alla vita di coppia, rifiutavo l'amore per paura di star male, ma in questo modo soffrivo ancora di più. 
Quando sarebbe arrivata la grande svolta? O meglio, sarebbe mai arrivata?






****

UAO quanto ho scritto!
Il capitolo è diviso in tre parti: il Venerdì pomeriggio, Emily pensa al padre e racconta a Mina altri dettagli sulla sua vita e si scopre la presenza di una sorella. TA TA TA TAAAA. E la sera, impegnata a mandarle una email.
Sabato mattina, Emily vuole fare un bagno ma ha un problema con le tubature e così chiama l'idraulico. LOL Amo questa parte.
Terza scena: Geremia va a trovarla a casa.
Come accidenti avrà fatto a sapere dove abita? :O E cosa voleva da lei? Questo ragazzo è insopportabile, vero? (Mandatemelo a casa, vi prego! VI PREEEEGO!)
C'erano molte cose che volevo dirvi ma la mia memoria mi impedisce di farlo perciò accontentatevi di quello che ricordo.
Spero che tutte conosciate i Kasabian, io li ho scoperti troppo tardi e sto cercando di recuperare o almeno ci provo. ( La canzone di cui parla Emily è
Goodbye Kiss. )
*
melius abundare quam deficere è un espressione latina che si traduce con: meglio abbondare che scarseggiare. Si usa per affermare che per non rischiare di non raggiungere la giusta misura, è preferibile superarla ed eccedere. (Wikipedia mi ha aiutata con la spiegazione)
La frase che dice l'idraulico, detta da un
principe e che si riferisce ad un cartone animato altro non è che: La bella addormentata nel bosco e lui è il principe Filippo. (Questo cartone mi sta proprio sulle scatole)
Credo che tutti conosciate la canzone di J.Lo insieme a Pitbull, Dance Again. Dovevo metterla per forza nel capitolo dopo aver visto il primo episodio di Glee.
La frase in greco “
Na ine Kalitero, apo ton patera toy” La dice Olivia Dunham in Fringe nell'episodio 2x01 e significa: Sii un uomo migliore di tuo padre. E' greco antico la trascrizione originale è questa: Γίνε καλύτερος άνθρωπος από τον πατέρα σου.
Credo di non avere altro da dire se non :
Per chi volesse esiste un
GRUPPO dove ogni tanto mi piace fare l'idiota più di quanto io non lo sia xD
Esiste anche una mia
pagina facebook dove pubblicizzo il mio account YOUTUBE e quello DAILYMOTION.
O ancora, il mio account
TUMBLR.

Ringrazio chi ha letto e chi ha commentato lo scorso capitolo, chi aggiunge questa storia tra i preferiti, seguiti e ricordati: SIETE COSI' MERAVIGLIOSE CHE VI MANDEREI UNA BOMBOLETTA DI PANNA SPRY A CASA.

Ringrazio, infinitamente,
Ellina Bellina per quello che fa e per la sua pazienza.

Alla prossima e che la panna sia con voi.

   
 
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