Agli
incontri inaspettati.
Alle situazioni che ci creiamo da sole.
Ai
momenti che ci cambiano la vita.
CINQUE.
Aver
incontrato mio padre era stata la ciliegina sulla torta.
Continuavo
a pensare al motivo per cui fosse venuto a Roma a cercarmi
dopo
dieci lunghi anni di silenzio e non riuscivo a trovarlo: forse
stava davvero male e aveva bisogno d'aiuto. Per colpa sua avevo perso
tutta la concentrazione che mi serviva per organizzare quello stupido
matrimonio.
Stanca dell'ennesimo pensiero su mio padre, lanciai
l'agenda sul tavolo e mi accasciai sulla sedia, sbuffando
rumorosamente. Avevo voglia di una tazza di cioccolata
calda.
-
Puoi parlarne, se ti va. - Avevo dimenticato che ci fosse anche Mina
con me. - È per la
storia dell'uomo misterioso
di questa mattina?
Sospirai, stanca
di mentire a me stessa e di nascondere il mio passato agli altri
–
Era mio padre.
E
così le raccontai una parte della mia vita, quella che avevo
sempre
tenuto segreta un po' per paura e un po' per vergogna: essere
abbandonata non era cosa di cui vantarsi. Non volevo neanche che gli
altri mi tempestassero di domande su come avesse reagito mia madre
all'abbandono o su come avesse fatto a crescere due figlie da
sola, dato che aveva un lavoro a cui pensare o ancora:
-
Perché ti sei trasferita a Roma? Tua madre
è rimasta in
Francia e tua sorella è... dove hai detto che
è, scusa?
Ecco
appunto. Non era semplice spiegare il motivo
della partenza mia
e di mia sorella, soprattutto perché tutti poi pensavano che
anche
noi avessimo abbandonato nostra madre, quando era tutto il contrario;
lei non era la vittima, ma uno dei cattivi, più o
meno.
-
Perché non era facile vivere in quel piccolo paesino dove
tutti
sapevano la nostra storia. Essere additata come la “bimba
abbandonata” non mi faceva sentire a mio agio.
Perciò decisi di
venire qui in Italia dai miei nonni paterni, mia madre si
trasferì
definitivamente a Parigi e mia sorella ne approfittò per
coronare il
suo sogno: New York.
-
Quindi odi anche tua madre?
E
ovviamente mancava all'appello ancora quest'ultima domanda e la
risposta era sempre la stessa – Certo che no. E' mia madre,
come
potrei odiarla? Le voglio bene, come lei ne vuole a noi, a
modo
suo.
Parlarne
con Mina, però, mi aveva
fatto sentire meglio,
molto più che dopo aver parlato con il
dottor Rossi:
almeno con lei c'era dialogo. Sbrigai le ultime cose in modo da poter
restare a casa il giorno dopo, dato che era sabato ed era il
nostro giorno di riposo; uscii dall'ufficio quando era troppo tardi
per passare al supermercato e racimolare qualcosa per cucinare,
perciò mi fermai dal Dio del Kebab sotto casa mia.
Kamal
diceva che io ero la sua cliente preferita e non perché
avessi le
tette grandi o perché gli sorridessi sempre, ma
perché avevamo una
cosa in comune: eravamo stranieri, anche se lui lo era più
di me;
ecco perché mi faceva lo sconto famiglia.
-
Emily, non vedere te da tanto tempo.
-
Ciao anche a te, Kamal.
Oltre
ad avere il nome indiano più comune tra gli indiani e a
essere
gentile, faceva il Kebab più buono che avessi mai mangiato
in vita
mia; peccato che lo avessi mangiato solo lì. Non avevo
neanche
bisogno di ordinare perché sapeva già i miei
giusti: carne, senza
lattuga, con pomodoro e cipolla ma poco piccante; a volte facevo
aggiungere le patatine fritte, quando volevo farmi del male ed ero
tanto depressa, come quella sera per esempio.
-
Vuoi una birra, Emily?
-
Oh sì, per favore! E' stata una giornata
pesante.
-
Tu sposi sempre le persone, quand'è che ti sposi
tu?
Risi
per quella sua domanda, Kamal era simpatico, gentile, un bravo
cuoco, ma non si faceva mai i fatti suoi e chiedeva le cose
giuste al momento sbagliato o le cose sbagliate al momento giusto
o, forse per il fatto di essere indiano, aveva quello strano
potere di capire le persone e leggergli dentro.
-
Ma io non voglio sposarmi, sto bene come sto.
Mi
guardò stralunato, mentre poggiava il piatto con il
Kebab che
avevo ordinato davanti a me.
– E
perché tu non volere sposarti? Non credere in Dio?
Stavo
masticando quella bontà divina e non potevo rispondergli,
quindi
scossi la testa. Fu qualcuno dalla cucina a dire, al posto mio, che
magari non stavo con nessuno e che non ero innamorata. - Esatto.
L'amore non esiste e quindi non mi sposerò mai.
Per
poco non mi tolse il piatto da davanti e non mi cacciò dal
locale;
era come se avessi bestemmiato e avessi offeso tutte le
divinità in
cui credeva.
-
In India diciamo “Non amare è un lungo
morire”. Vuoi morire
vecchia e sola, Emily? Con tanti rimpianti e rimorsi?
Mi
resi conto che Kamal era molto di più che un semplice cuoco
indiano,
non era neanche il tizio straniero sotto casa mia che mi faceva lo
sconto quando mangiavo la sua specialità; lui era il grillo
parlante
versione indiana, mandato da non so chi per portarmi sulla
retta
via e farmi pentire delle scelte fatte fino ad allora.
Forse
era l'unico che poteva eliminare il mio Karma negativo; forse dovevo
convertirmi all'induismo.
Forse
dovevo andare a rinchiudermi in qualche ospedale psichiatrico.
-
Certo che no, solo che non credo nell'amore e a tutte quelle storie
sul destino che sceglie per te, all'uomo della vita o alla storia del
principe azzurro che riconosci solo perché il tuo cuore
batte forte
e senti le farfalle nello stomaco. Beh, le farfalle sono sfigate
perché vivono solo un giorno quindi io non voglio avercele
nello
stomaco.
Forse
un manicomio era quello che più mi si addiceva.
-
Scusa Kamal, non volevo aggredirti. Posso avere il conto
così vado a
casa e dimentico questa brutta giornata?
Mi
dispiaceva averlo trattato male ma le sue parole mi avevano colpita
dritto al cuore come una lama affilata. Quei discorsi sul vero amore
e i matrimoni erano troppo delicati per affrontarli con un estraneo
che non si faceva pagare trecentocinquanta euro.
-
A presto Emily e ricorda “Fa che sia il tuo cuore a scegliere
la
meta e la ragione a cercare la via.”
-
Anche questo lo dite in India?
Annuì
sorridendo e lo salutai per poi uscire dal locale abbastanza turbata
e stanca; avevo voglia e tanto bisogno di una doccia e di mettermi a
letto per non pensare più a ciò che avevo passato
nell'arco di
quelle ore. Ero distrutta e depressa, il mondo aveva ordito un
complotto contro di me, cos'altro poteva andare storto
ancora?
“Cara
El.”
-
No. Troppo formale.
“Ciao
Elle, tutto bene?”
- Ma
cazzo. Non la sento da quasi un anno, non posso mica dirle
“ciao”
“Eléonore, ho visto nostro padre.”
Cancellai
per l'ennesima volta l'inizio di quella email che vedeva mia sorella
Eléonore come destinataria: stavo impazzendo. Non avevo sue
notizie
da più o meno dieci mesi e non sapevo cosa
dirle e come
dirle che nostro padre si era fatto vivo ma stava morendo,
forse.
Misi su un po' di musica per rilassarmi e a piedi scalzi mi
alzai dalla scrivania per andare in cucina e versarmi del vino
bianco: amavo quei momenti serali in cui io, il vino, la musica e il
computer avevamo degli attimi di goduria e puro relax. Capitava, ogni
tanto, che bevessi qualche bicchiere di troppo e andassi a letto
ridendo come un'idiota e per
giunta accaldata, per alzarmi poi, il mattino seguente, con un
mal di testa sensazionale: la tipica sbornia da
vino, insopportabile e ingestibile.
Al
terzo sorso e mentre cantavo insieme ai Kasabian, mettendo
senza sosta una delle mie canzoni preferite, perché
ne
conoscevo solo due e mezza, scrissi quella maledetta email.
“Questa
email non ha inizio.
Ehi Elle, dove accidenti sei e perché non ho
tue notizie dalla notte dei tempi? La colpa è anche mia,
è vero,
quindi metti giù quel telefono e smettila di minacciarmi
telematicamente. Sto bene, non sono incinta e non sono fidanzata e
NO! non ho nessun trombamico. Sì, lo so,
ti ho delusa.
Spero che tu stia ridendo perché devo darti una spiacevole
notizia:
ho rivisto papà.
Devo dirti altre mille cose, quindi,
per favore, potresti farti sentire?
Un bacio.”
La
rilessi più volte prima di inviarla. Ripristinare i contatti
con mia
sorella mi metteva un po' d'ansia, in fondo se lei non si era fatta
sentire per tutto quel tempo c'era un motivo: forse non voleva farlo
perché mi odiava, forse le avevano rubato tutti i mezzi
tecnologici
utili a mettersi in contatto con me o ancora l'avevano rapita gli
alieni o forse, semplicemente, non aveva il tempo per farmi avere sue
notizie.
Eléonore
era sempre stata così fin da piccola, non si preoccupava mai
di dire
ai nostri genitori quando e con chi usciva, lei lo faceva e basta
perché lo voleva fare. Si definiva “uno spirito
libero in
catene” e non andava d'accordo con nostro
padre perché
erano uguali: entrambi si sentivano in gabbia, avevano gli occhi
tristi ed erano sempre in cerca di qualcosa; non si accontentavano
mai ed erano stanchi della propria vita e della Francia. Io invece
ero tutto l'opposto. Accettavo quello che avevo senza battere
ciglio, pentendomi in seguito di tutte le scelte
sbagliate
e di quelle imposte.
Quando
mio padre andò via quella fredda notte, mia sorella non
disse nulla,
non reagì o pianse, continuò la sua routine
quotidiana andando a
scuola, uscendo con i suoi amici e frequentando
Gian-come-si-chiamava; solo dopo un mese o poco più disse a
me e a
nostra madre che dovevamo reagire, che piangere non serviva a nulla e
che lei voleva andarsene.
Improvvisamente
mi ritrovai dai miei nonni a Roma e tutto il resto fu... vino bianco.
Amavo
il sabato mattina perché potevo dedicarmi a me, non alle
spose e ai
loro stupidi capricci: almeno per un giorno alla settimana c'eravamo
solo io, il bagno caldo e il libro che stavo leggendo; insieme ad
altri momenti di relax.
Stavo
giusto mettendo il cellulare in modalità silenzioso e
staccando il
cordless di casa per evitare che qualcuno mi disturbasse,
portando il libro in bagno e iniziando a riempire la vasca, mettendo
i sali giusti.
Dopo
neanche un minuto il flusso dell'acqua iniziò a diminuire
fino a
interrompersi del tutto e io imprecai come un
maschiaccio.
-
Hai il numero di un cazzo di idraulico?
Il
silenzio dall'altro capo del telefono mi innervosiva ancora di
più –
Non penso che i “cazzi” vivano di vita propria tale
da avere
anche i cellulari.
-
Giù,
sei davvero idiota. Non ho più acqua in casa e sto andando
in
panico.
Quella
brutta
strega iniziò a ridere, probabilmente fece anche cadere il
telefono
perché la sua risata sembrò distante –
Ok, ci sono. Em, hai rotto
qualche specchio di recente? E' incredibile la tua sfiga in questo
periodo.
-
Ti odio.
-
Prima la macchina, poi il cellulare e adesso l'acqua.- Riprese a
ridere, forse era meglio riagganciare e lasciarla sfogare in pace.
-
Ti sto odiando. Hai questo numero o no?
-
Sì sì, lo cerco subito.
-
Non è che per caso devi dirmi che lavorano solo il
pomeriggio dalle
sedici alle sedici e zero uno? Sai com'è, l'ultima volta il
meccanico...
-
No miss
“voglio tutto e subito” questi sono sempre a
disposizione e
quando ti decidi a prendere un elenco telefonico o un pagine
gialle?
-
Ma io ce l'ho
già, perché cercare quando ci sei tu? Grazie
Giuli. Bacino.
Composi
il numero che mi aveva dato la mia amica e che avevo scritto su un
post-it azzurro: ero fissata con quel colore. La voce di
quell'uomo mi fece rassegnare all'idea che, dopo una mezz'ora
abbondante, avrei avuto in casa un tizio sconosciuto sulla
cinquantina, probabilmente con la pancia da birra, la canottiera
bianca sporca di grasso e i jeans luridi e lacerati che mi avrebbero
fatto intravedere metà delle sue chiappe.
Indossai
una tuta e sconsolata mi stesi sul divano a guardare la televisione o
meglio, passai mezz'ora a scorrere tutti i canali del digitale
alla ricerca di qualcosa di interessante, ma quella stupida
scatola non trasmetteva nulla che potesse soddisfare la mia voglia di
omicidi.
Al
suono
del campanello scattai come una furia, non guardai neanche dallo
spioncino perché sapevo che a quell'ora poteva solo essere
l'idraulico.
Lo
fissai
imbambolata per due minuti quasi, circa, forse meno ma melius
abundare quam deficere.
-
Ho qualcosa in faccia o ho sbagliato appartamento?
- Oh, emh...
Non ha niente in faccia e credo non abbia sbagliato, è
l'idraulico?
- Così dicono. Dov'è il problema?
Indicai con il
dito la porta del bagno e quell'uomo, uno dei più sexy che
avessi
mai visto in divisa da lavoro, andò verso la fonte dei miei
problemi
per sistemarla, permettendomi di chiudere la porta d'ingresso. Andai
a spiarlo anche perché volevo sapere quanto grave fosse il
danno e
lo trovai disteso supino sotto il lavello, con le gambe piegate, la
canottiera nera leggermente alzata che lasciava intravedere gli
addominali obliqui; scivolai dallo stipite della porta e quasi
sbattei la testa.
- Dovrei controllare anche in cucina, se
non è un problema.
- No, no no.
I jeans non erano per niente
luridi o lacerati, anzi, erano stretti e risaltavano il suo bel
sedere tondo, sodo e da prendere a morsi. Deglutii e desiderai
dell'acqua fredda in testa per calmarmi: era solo un bell'uomo
attraente, con delle gran belle braccia muscolose e tatuate che
faceva il suo lavoro. Potevo ignorarlo, dovevo.
- Quindi?
Tornai
sulla terra e mi ricordai che dovevo mostrargli la cucina –
Ci
siamo già visti da qualche parte?
Era figo sì, ma mi
sembrava di conoscerlo; lui mi guardò meglio, mi
sembrò di vedere
qualcosa di diverso nel suo sguardo come se avesse trovato la
soluzione a una delle più terribili malattie del mondo, poi
però
scrollò le spalle, fece una smorfia e – No. Almeno
non nella
realtà ma, forse mi hai incontrato nei tuoi sogni.
- Come scusa?
- Incrociai le braccia sotto al seno. Mi aveva davvero risposto in
quel modo?
- Calma ragazza, stavo scherzando. E' una battuta di un
cartone animato, lo dice un principe,
volevo vedere se funzionava davvero.
Lo ignorai – Questa è la
cucina.
Si accucciò nella stessa posizione in cui l'avevo
trovato in bagno e trafficò con alcuni attrezzi. Rimase un
bel po'
lì sotto a lavorare in completo silenzio, tutto quello che
si
sentiva era solo il rumore di tubi e altri cosi maneggiati;
sapevo che non gli sarei stata d'aiuto perciò tornai sul
divano per
leggere qualche pagina in più di quel famoso libro.
-
Qui sotto c'è puzza di panna, l'hai gettata nel lavello per
caso?
Alzai
gli occhi dal
libro e fissai scettica lo schermo nero della televisione –
Scusa?
Mascherò
la
risata con un colpo di tosse – Niente, dicevo per dire.- Non
feci
in tempo a tornare a leggere che lui riprese a parlare – Che
fai
nella vita? Lavori, studi... la ballerina professionista in locali
notturni?
-
Puoi
limitarti a sistemare il problema e chiudere la tua bocca?
Grazie.
Lo
fissai
per qualche istante, in realtà fissavo le sue gambe
perché erano
l'unica cosa che riuscivo a vedere data la sua posizione e avevo
ancora l'impressione d'averlo visto da qualche parte,
benché non
sapessi dove; forse era stato l'ospite di qualche matrimonio
che
avevo organizzato ma ciò non spiegava quelle frasi e
domandine
idiote che non smetteva di farmi: era idiota per caso o la puzza di
fogna gli aveva atrofizzato i neuroni?
La
regola del 'biondo e cretino' a quanto pare valeva anche per i
maschi.
-
Finito, c'era
questo tubo rotto che ho cambiato e adesso dovrebbe funzionare tutto.
Controlla se non ti fidi.
Lui
stesso mi fece vedere che l'acqua scorreva limpida e abbondante dal
rubinetto della cucina e anche da quelli del bagno.
-
Grazie mille. - Gli diedi la cifra che mi aveva chiesto, per fortuna
non era caro. Sexy, maleducato, ma non caro.
-
E' stato un piacere. Se dovesse rompersi la lavatrice, qui
c'è il
mio biglietto da visita: sono bravo con la centrifuga.
Era
un doppio senso quello? E aveva davvero ammiccato mentre mi passava
il cartoncino bianco e rosso? Per fortuna uscì di casa
perché stavo
iniziando a pensare che quel tizio fosse un maniaco e ad avere un po'
paura di lui. - S.C.? Che diavolo è S.C.?
-
Il mio nome. E' stato un piacere ragazza, a presto.
Non
aspettai che andasse verso le scale, chiusi la porta e
andai in bagno
per concedermi, finalmente, quella mia ora di relax immersa nella mia
vasca.
Raccontai
a Giulia quanto era successo quella mattina, mi rispose che ero la
solita fortunata in fatto di uomini, perché ogni volta che
lei
chiamava quella ditta le mandavano un idraulico peggio dell'altro.
-
Ma non avevi detto che ero sfigata? E ti ricordo il meccanico.
-
Il signor Ciccio è gentile, non offenderlo.
-
Comunque, meglio un idraulico indecente che quello di oggi, Dio, era
insopportabile.
La
sentii
sbuffare – Sei tu quella poco tollerante Em. È pronta
la pasta, ci sentiamo domani, buona serata.
-
Sì, ciao ciao.
Anche
io
aspettavo che la mia cena si cucinasse, guardavo impaziente il pollo
ancora crudo dentro al forno e non sapevo che fare.
Un'idea
geniale illuminò la mia mente.
Accesi
la tv sintonizzandola sul canale trentasei del digitale, RTL era
quello che ci voleva per rianimare la serata e risollevare il mio
morale; presi la bottiglia di vino bianco dal frigo e mi versai un
bicchiere: adesso sì che il mio sabato sera poteva avere
inizio.
Avevo
già bevuto tre bicchieri di vino e stavo versando il
quarto; ero
accaldata, perciò avevo tolto la tuta restando in
intimo e
scalpitavo in attesa della canzone successiva. Non mi piaceva il
giornale orario o le informazioni sul traffico in autostrada: io
volevo cantare e ballare.
Strillai
felice quando il tizio salutò i video telespettatori e i
radio
ascoltatori e la VJ introdusse uno degli ultimi successi di
J.Lo.
Trangugiai
mezzo bicchiere e salii sul divano – I wanna dance and love
and
dance AGAIN.
Aumentai
il
volume quasi al massimo, rischiando che i vicini del mio stesso piano
venissero a suonare e protestare, ma era sabato sera, volevo
divertirmi, almeno per una volta.
-
UUUUUHHH I wanna dance. EEEE. Oooooh.
Il
campanello interruppe il mio acuto, proprio come avevo
previsto.
Spensi
la tv,
posai il bicchiere sul tavolo in cucina e indossai una vestaglia, non
potevo certo aprire in mutande e reggiseno: la signora Molinari si
sarebbe scandalizzata più del previsto.
Non
mi preoccupai, per la seconda volta, di guardare dallo spioncino; i
probabili scocciatori potevano essere solo tre: la signora Molinari,
appartamento adiacente al mio, terribile vecchiaccia rompi scatole
che si lamentava anche per il ronzio di una mosca; mi odiava dal
momento in cui aveva scoperto la mia nazionalità. Il signor
Cesari,
un signore mezzo sordo ma che, non si sapeva come, riusciva a sentire
ogni rumore, nonostante abitasse di fronte al mio appartamento.
Infine c'era lei, la signora Cuccia, cicciotta e bassina, siciliana
ma romana d'adozione, viveva di pettegolezzi; molte volte suonava
alla mia porta per chiedermi come stessi e perché nessun
ragazzo mi
facesse mai visita.
Non
sapevo chi fosse il peggiore tra i tre.
Aprii
la porta e spalancai occhi e bocca. - Mi prendi in giro?
-
Chiudi la bocca biondina o entrano le mosche.- Era uno scherzo?
Sentii una delle tre porte aprirsi e lo tirai dentro. -
Eh, calma
Dumbo, che irruenza!
-
Idiota, non voglio che i miei vicini ti vedano, non smetterebbero di
parlare. Che ci fai qui?
-
Aspettavi qualcuno? Carino il tuo appartamento.
Andai
in panico. La vestaglia mi copriva fino a metà coscia e
lasciava
intravedere il mio décolleté; me
l'avevano regalata Giulia e
Mina, dicevano che sarebbe stata utile, prima o poi. Cercai di
coprirmi il più possibile mentre quel deficiente si
intrufolava in
cucina e curiosava in giro.
- Tua madre non ti ha mai detto che è
maleducazione fare quello che stai facendo?
Mi guardò sorridendo,
aveva i denti bianchi e allineati in modo perfetto. - E cosa starei
facendo?
Non risposi perché le rotelline del mio cervello non
funzionavano bene come sempre, avevo bevuto troppo per reggere un
confronto verbale con lui: avrei perso la battaglia, mi
avrebbe
umiliata.
- Lascia perdere, non capiresti. Come hai fatto a
scoprire dove abito?
- Ho i miei informatori. Apri sempre in
questo modo la porta di casa? Perché potrei venire spesso, a
trovarti.
Perché ogni cosa che usciva dalla sua bocca era un
esplicito riferimento al sesso? Il trillo del forno mi
avvisò che il
pollo era pronto; ne fui grata, in quel modo l'avrei cacciato di casa
e mi sarei ripresa dalla quasi sbronza.
- La tua cena è pronta e
sembra essere invitante. Apparecchio per due, ho un certo
languorino...
- Ma tu non hai da lavorare questa sera? - Per colpa
sua quasi non mi bruciavo nel tirar fuori la teglia dal forno.
Maledetto idiota palestrato, oliato e deficiente.
Aspettai che il
pollo si freddasse un po' prima di tagliarlo e metterlo nei piatti,
intanto guardavo Geremia muoversi nella mia cucina alla ricerca
dell'occorrente per apparecchiare: quella scena mi fece
sorridere, era davvero raro che cenassi con qualcuno, soprattutto un
estraneo. Pensai a quanto dovesse essere bello vivere con qualcuno,
condividere con una persona la quotidianità di una giornata,
raccontarsi i momenti brutti e belli a cena e poi accoccolarsi
insieme sul divano a guardare la tv.
- S'è freddato abbastanza?-
Mi fu accanto e tornai con i piedi per terra – Se vuoi faccio
io.
-
No, sei un ospite, quindi siediti e stai zitto.- Gli misi il piatto
davanti e mi accomodai di fronte a lui.- Dov'è
l'acqua?
-
Credevo volessi bere solo vino e non l'ho messa.- Fece di nuovo quel
suo sorrisetto impertinente. Lo odiavo talmente tanto che avrei tanto
voluto farlo a pezzetti e infilarlo dentro il forno. - Se hai
problemi d'alcool conosco una clinica che può aiutarti.
- Senti,
mettiamo ben in chiaro una cosa: io non ti conosco e non voglio
farlo. Sei qui solo perché ti sei auto invitato e non ti
caccio
perché sono educata ma se continui ad offendermi ti sbatto
fuori a
calci, chiaro?
Annuì – Mangiamo?- Aspettò che tornassi
a
tavola con l'acqua. - Buona cena.
Gli feci una smorfia e
assaggiai il mio piccolo capolavoro.
Geremia o come si chiamava in
realtà, mangiava in silenzio, gustando il pollo e
lanciandomi, ogni
tanto, un'occhiata; sembrava volesse dirmi qualcosa ma non ne aveva
il coraggio. Nel silenzio di quel momento ne approfittai anch'io per
guardarlo, era così calmo e gestibile che colsi la palla al
balzo.
Era proprio un bel ragazzo, nessuno poteva affermare il contrario e i
suoi occhi avevano qualcosa di particolare, non era il colore,
azzurro, o la forma, piccola e un po' allungata; c'era qualcosa, nel
suo sguardo, che incuriosiva e affascinava, che spingeva a volerne
sapere sempre di più. Era ipnotico.
- Era mio padre.- I
suoi occhi curiosi si posarono su di me – Quello non era uno
stalker o uno dei miei amanti, era mio padre. - Il suo silenzio mi
diede il coraggio di continuare. – Non lo vedevo da dieci
anni, per
questo stavo scappando. Lui, se n'è andato e non l'abbiamo
più
rivisto e io non voglio più avere niente a che fare con lui,
perciò
ti ringrazio per quello che hai fatto e mi dispiace davvero per la
storia del porta penne.
Abbassai lo sguardo colpevole e
imbarazzata
– Tranquilla, mi hanno tirato di peggio addosso.-
Mi sorrise e ristabilii il contatto visivo. L'ho detto, era ipnotico.
- Anche io ho un padre difficile. Lui è uno di quelli stra
ricchi
dei quartieri alti che mi ha sempre imposto cosa fare e cosa non
fare. Voleva che andassi all'università e studiassi legge:
io,
giurisprudenza, ma ti immagini?
Risi, in effetti non ce lo
vedevo in toga, seduto di fronte a una corte a
difendere un
assassino; al massimo avrebbe fatto arrestare un innocente.
-
Così ho fatto di testa mia e sono partito, lui non ha visto
di buon
occhio questa mia scelta e mi ha buttato
fuori di casa,
definitivamente. Tutti abbiamo dei padri difficili o teste di cazzo,
l'importante è non fare i loro stessi errori. L'ha detto
anche
Olivia a Peter “Na ine kalitero antropo apo ton patera
toi”.
-
Cosa hai detto?
- Sii
un uomo migliore di tuo padre.
E' greco.
Gli sorrisi rassegnata: quel ragazzo era davvero
strano. Verso le ventuno e trenta scappò via
perché doveva andare a
lavorare ed era in ritardo; avevo cenato con lui, gli avevo
raccontato un pezzo del mio passato e lo stesso aveva fatto lui, ma
non sapevo ancora il suo nome: era normale?
La mia vita era
un gran casino, preferivo la solitudine alla vita di coppia,
rifiutavo l'amore per paura di star male, ma in questo modo soffrivo
ancora di più.
Quando sarebbe arrivata la grande svolta? O
meglio, sarebbe mai arrivata?
****
UAO
quanto ho scritto!
Il
capitolo è diviso in tre parti: il Venerdì
pomeriggio, Emily pensa al padre e racconta a Mina altri dettagli
sulla sua vita e si scopre la presenza di una sorella. TA TA TA
TAAAA. E la sera, impegnata a mandarle una email.
Sabato
mattina,
Emily vuole fare un bagno ma ha un problema con le tubature e
così
chiama l'idraulico. LOL Amo questa parte.
Terza
scena: Geremia va
a trovarla a casa.
Come
accidenti avrà fatto a sapere dove abita?
:O E cosa voleva da lei? Questo ragazzo è insopportabile,
vero?
(Mandatemelo a casa, vi prego! VI PREEEEGO!)
C'erano
molte cose
che volevo dirvi ma la mia memoria mi impedisce di farlo
perciò
accontentatevi di quello che ricordo.
Spero
che tutte conosciate i
Kasabian, io li ho scoperti troppo tardi e sto cercando di recuperare
o almeno ci provo. ( La canzone di cui parla Emily è Goodbye
Kiss.
)
* melius
abundare quam deficere è
un espressione latina che si traduce con: meglio abbondare che
scarseggiare. Si usa per affermare che per non rischiare di non
raggiungere la giusta misura, è preferibile superarla ed
eccedere.
(Wikipedia mi ha aiutata con la spiegazione)
La frase che dice
l'idraulico, detta da un principe
e che si riferisce ad un cartone animato altro non è che: La
bella addormentata nel bosco
e lui è il principe Filippo. (Questo cartone mi sta proprio
sulle
scatole)
Credo che tutti conosciate la canzone di J.Lo insieme a
Pitbull, Dance Again. Dovevo metterla per forza nel capitolo dopo
aver visto il primo episodio di Glee.
La frase in greco “Na
ine Kalitero, apo ton patera toy”
La dice Olivia Dunham in Fringe nell'episodio 2x01 e significa: Sii
un uomo migliore di tuo padre. E' greco antico la trascrizione
originale è questa: Γίνε
καλύτερος
άνθρωπος
από
τον
πατέρα
σου.
Credo di non avere altro da dire se
non :
Per chi volesse esiste un GRUPPO
dove ogni tanto mi piace fare l'idiota più di quanto io non
lo sia
xD
Esiste anche una mia pagina
facebook
dove pubblicizzo il mio account YOUTUBE
e quello DAILYMOTION.
O
ancora, il mio account TUMBLR.
Ringrazio chi ha letto e chi ha commentato lo scorso
capitolo, chi aggiunge questa storia tra i preferiti, seguiti e
ricordati: SIETE COSI' MERAVIGLIOSE CHE VI MANDEREI UNA BOMBOLETTA DI
PANNA SPRY A CASA.
Ringrazio, infinitamente, Ellina
Bellina per
quello che fa e per la sua pazienza.
Alla prossima e che la
panna sia con voi.