Non ve l’aspettavate più, vero? Invece vi siete un sacco sbagliati, perchè la fine è ancora ben lungi...
Peggio per voi
suni
Hogwarts: Primo anno
La primavera si fa largo a grandi falcate,
investendo Londra come un tornado di luce e vaghi profumi. Dalle finestre
socchiuse penetra un’aria diversa, più fresca e leggera.
In queste due settimane ho riflettuto su quale fosse
la cosa migliore che dovessi fare di queste pagine. Più volte sono stato
tentato di usarle per attizzare le ultime volte il camino, prima del grande
caldo durante il quale rimarrà inutilizzato, ma non ce l’ho fatta.
Non lo voglio, ma avverto la necessità
insopprimibile di andare fino in fondo, contro la mia stessa volontà: ne ho
bisogno.
Ieri ho capitolato, ho cominciato a pensare a quale
fosse il prossimo punto da toccare. E mi sono reso conto che curiosamente ho
saltato di palo in frasca, finora, creando solo una gran confusione.
Sarebbe d’uopo, allora, ritornare all’inizio di
tutto.
I miei primi undici anni di vita sono stati un
trionfo di esaltazione e capriccio. Tutto quello che i Black erano e credevano
è stato riversato in me come in un otre da riempire al più presto, prezioso e
magnifico. Quando sono partito per Hogwarts –accompagnato alla Stazione da una
specie di pomposa e fiera delegazione di famiglia, con tutti gli onori del
caso- non c’era Malfoy o Rosiel che tenesse, ero io il più snob, il più superbo
e il più malevolo.
Nei medesimi undici anni, James Potter cresceva e
frequentava la scuola elementare Babbana –per precisa scelta dei genitori- a Llandudno, nel Galles, un piccolo paese
poco lontano del confine con l’Inghilterra e sede della più profonda miniera
del Regno, seppur ormai in disuso. Viveva in una cascina con le galline e tre
cani, nonché due genitori che più diversi dai miei non avrebbero potuto essere:
Arnold Potter, professore di Storia della Magia Asiatica all’Accademia della
Magia, umanista e strenuo difensore dei diritti babbani, e Mirtle Annabel
Potter, ex-inviata all’estero della Gazzetta che aveva deciso di ritirarsi per
dedicare le restanti energie al terreno di famiglia, da lei coltivato con
ortaggi e frutteti, da cui le marmellate che avrebbero fatto la nostra gioia
nei Natali a venire.
Comprensibilmente, quindi, quando quello ragazzetto
alla buona si presentò sulla soglia del mio scompartimento sull’Espresso,
chiedendo se poteva sedere lì, la mia reazione fu grossomodo la stessa che
avrei avuto se qualcuno mi avesse lanciato in faccia una manciata di sterco di
vacca.
James comunque aveva già deciso di sedersi lì.
Quindi lo fece e basta, come ogni volta che stabiliva di fare qualcosa. Non ci
parlammo per tutti il viaggio, ma ricordo ancora che non fece altro che
osservarmi.
Lo Smistamento fu uno dei momenti peggiori della mia
vita. Non potevo credere che fosse successo veramente, che io, Sirius Black,
erede della più nobile e pura Casata d’Inghilterra, da secoli smistata a
Serpeverde, fossi finito a Grifondoro. E naturalmente avevo paura, un
sacrosanto terrore di quale sarebbe stata la reazione dei miei.
James scoppiava di gioia, suppongo, anche se non ci
feci caso, preso com’ero dai miei cupi ed indignati pensieri. Immagino che
dovessi essere piuttosto buffo, rigido e isolato in un angolo, col mio mantello
splendente e lo stemma argentato dei Black in bella mostra, la faccia
minacciosa di chi potrebbe uccidere se solo ci si azzarda ad avvicinarsi.
E fu in quella situazione, appunto, che James mi
notò veramente.
Per tre, infernali mesi rimasi rigido sulle mie
posizioni di boicottaggio alla mia nuova Casa. Credo che Walburga potrebbe
sentirsi molto orgogliosa di me, per quel periodo, perché la stronzaggine
innata che riuscii a dimostrare in ogni singolo istante verso i miei compagni
di Casa raggiunse picchi di maestria che, falsa modestia a parte, ho scorto in
poche altre persone –eccetto Lei, ovviamente,
Tirando le somme, un vero bastardello.
James, me l’ha detto più volte, mi detestava, eppure
non riusciva a darsi pace, perché lui aveva deciso durante quel maledetto
Smistamento che io ero l’amico giusto per lui, e siccome l’aveva deciso, solito
discorso, così doveva essere.
Capitolai poco prima delle vacanze di Natale.
Del resto i miei nervi di ragazzino cominciavano a
dare segni di scompensi, la cattiveria iniziava a diventare isteria, stavo
crollando. A Serpeverde,
Ero solo come un cane.
Come adesso.
No. Scusami, Remus, non è vero che adesso sono solo.
Comunque, James e io durante un litigio molto acceso
mandammo in pezzi un’armatura che accidentalmente rotolò su una ragazzina del
secondo anno di Tessorosso, facendola cadere dalle scale.
Galeotta fu la punizione, interminabile: lucidare a
mano tutta l’argenteria dei Saloni. Immagino che Albus avesse capito che brutta
aria tirava con noi due e volesse
metterci in riga da subito, chè la punizione fu davvero dura. E forse
sperava anche che trascorrendo del tempo insieme ci saremmo ammorbiditi nei
confronti l’uno dell’ altro: riguardo al primo obiettivo, mi sento francamente
di dire che per una volta il nostro Preside fallì miseramente; per il secondo,
i risultati ottenuti andarono ben al di là di ogni più rosea aspettativa.
Quella giornata di punizione fu la prima bella
giornata che trascorsi ad Hogwarts, la prima di una lunghissima serie. Oh,
vorrei saper descrivere quegli anni, ma non credo di poterlo fare: come
spiegare la gioia, la sicurezza, la fiducia in me stesso, in noi, la sensazione
che di lì a poco, finiti i corsi, avremmo avuto in mano le redini della nostra
vita, avremmo conquistato il mondo con le nostre sole forze, noi quattro
insieme? Come raccontare il senso di appoggio inattaccabile che i mie amici
sapevano darmi, la consapevolezza di averli accanto sempre e comunque, di poter
contare su qualcuno come me, che mi capiva al volo, che condivideva le mie idee
e quantomeno le capiva e accettava? Hogwarts era un nido caldo e confortevole
in cui il massimo problema che poteva presentarsi era un test a sorpresa di
Pozioni o una baruffa con i Serpeverde in corridoio, che puntualmente si
concludeva con qualche malcapitato colto da accessi irrefrenabili di risate
isteriche o labbra spaccate –pochi anni dopo, poveri cadaveri sarebbero rimasti
sul campo in seguito agli scontri tra quelle stesse persone- mentre tutto il
resto del tempo era divertimento, era sicurezza, era spensieratezza
soprattutto, perché non avevamo niente di cui davvero preoccuparci, e quelle
poche cose per cui riuscivamo comunque a sentirci in ansia –i brufoli enormi di
James due ore prima di un appuntamento, un Eccezionale di Remus al posto
dell’Oltre da lui previsto, Snivellus che mi spiava in corridoio per capire che
cosa nascondessimo, tutte queste erano cose che comunque non lasciavano vere
conseguenze. Non si finisce ad Azkaban, durante Hogwarts.
Divago troppo, e divento noioso. Ma ho così tanti
ricordi, su Hogwarts, tanti pensieri mi si affollano in mente…
Nelle vacanze di Natale, James mi spedì un biglietto
di auguri. La cosa provocò una specie di trucida guerra civile a Grimmauld
Place e credo di poter affermare che dopo le mie guance non tornarono più le
stesse, tanti furono i ceffoni che mi presi.
MA il mio nuovo amico mi aveva spedito un biglietto
di Natale; non mi era mai successo prima.
Durante la seconda parte dell’anno, si formò quel
sodalizio che determinò lo scorrere delle nostre vite per intero. James, Remus,
Peter ed io cominciammo a trascorrere sempre più tempo insieme. Dapprincipio
non fu semplice: Jim mi piaceva, con lui ridevo molto e facevo un mondo di cose
ganze, ma Remus era uno sporco Mezzosangue e Peter un idiota –e su questo
secondo punto James avrebbe dovuto darmi retta- e non volevo stare con loro.
Sparivo per ore ed ore finchè James non restava solo, così da non doverli avere
intorno. Ma erano i suoi amici, e a lui dispiaceva.
Discutevamo molto. Era piuttosto strano per due
bambini così piccoli, dialogavamo veramente tantissimo, e fu su quella base che
nacque un rapporto che per tutta la sua durata, in effetti, si basò proprio su
un dialogo aperto e cristallino, una totale condivisione di idee e pensieri
senza schermature.
Forse, se dapprincipio non ci fossimo trovati così
distanti, con idee tanto antitetiche da opporre l’una all’altra metodicamente,
durante conversazioni lunghe ore, tra noi non sarebbe stato così.
James a volte mi spiazzava. C’erano parti dei suoi
ragionamenti, sui Purosangue, che mi spingevano senza che me ne rendessi conto
ad analizzare spietatamente e oggettivamente tutte quelle che erano le mie più
radicate convinzioni. E’ così che sono andate le cose. Senza James Potter,
Sirius Black non sarebbe stato quello che è stato. Così come senza di me, James
non sarebbe stato il James che tutti abbiamo conosciuto. Sono stato io a
risvegliare e rendere ciclopico in James quel gusto del proibito che diventò in
così grande quantità parte naturale di lui. E immagino sia dovuta a me la
naturalezza con cui viveva le sue idee e le sue convinzioni apertamente, a mia
immagine: io ero quello che sbatteva in faccia al mondo la sua unicità, sempre
a causa dei Black.
James arrivò a dimostrarmi con una semplicità quasi
innaturale, dovuta alla gradualità della cosa, che anche uno straccione
Mezzosangue può essere una persona straordinaria: un giorno, d’un tratto, mi
resi conto di essere amico di Remus J. Lupin senza capire bene come fosse
successo. Semplicemente, era così e basta. Tra tutti noi le cose funzionarono
sempre in questo modo: accadevano, tutto qui, senza essere ponderate o
programmate; il nostro rapporto seguiva un andamento lineare del tutto
spontaneo e sincero dal quale ogni
traccia di calcolo o strategia era completamente esclusa.
Come ho detto fu graduale, in un certo senso. La
violenta metodicità con cui quotidianamente ricercavamo lo scontro fintanto che
restammo nemici, nei primi mesi, svanì per lasciare il posto ad un placido
conoscersi in cui ci svelavamo poco a poco, annusandoci quasi con timore. Mi
sembra quasi che già sapessi quanto James sarebbe stato importante per me –come
sono strani i ricordi, non è vero, Remus? Ti fanno sembrare tutto così
consequenziale,,,- e lo stesso per lui. Era come se sapessimo che non c’era più
nessuna fretta, eravamo arrivati esattamente dove dovevamo arrivare: uno di
fianco all’altro.
Arrivato a giugno, Sirius Black era un altro
ragazzino rispetto al giovane Lord che aveva preso l’Espresso qualche mese
prima: durante la seconda metà dell’anno la conoscenza approfondita con James,
l’inizio del “Protettorato” che per sette anni avremmo esercitato su Peter per
difenderlo da quel Pianeta Terra che tanto lo intimoriva e l’immensa sorpresa
costituita da persone come Remus, nonché la constatazione della meschinità e
della pochezza di quelli che avevo ritenuto i miei simili –gentaglia come
Rosiel, Avery, quel clan di bestie- tutto questo insomma, il mondo esterno alle
mura del 12 di Grimmauld Place, aveva esercitato su di me un’influenza che
niente avrebbe più potuto cancellare. Furono mesi di un’intensità fuori dalla
norma, in cui ogni giorno era una scoperta che non effettuavo mai da solo: i
miei amici erano con me, James era con me. Più passava il tempo, più
sorprendenti punti in comune scoprivamo tra noi. Certi erano talmente bizzarri
e rari da non poter costituire banali casualità –il fatto che entrambi non
sopportassimo di infilarci il calzino sinistro prima del destro quando ci
vestivamo, o che il ritratto di Sir Hampshington nel corridoio del secondo
piano ricordasse a entrambi i nostri zii paterni, peraltro diversissimi tra
loro- arrivando a rappresentare ai nostri occhi un qualche genere di segno
karmico a dimostrare la nostra affinità innata.
Credo di aver già detto quanto ridevamo, io e James
insieme: ma è qualcosa che se non lo si è visto è difficile da capire. So per
certo che a volte mettevamo in imbarazzo la gente che ci stava insieme, perché
ridevamo talmente a lungo da farli sentire decisamente di troppo.
Comunque, quando arrivammo a giugno, tra la nascita
dei Malandrini –il cui nome fu decretato ufficlmente soltanto durante la prima
settimana dell’anno successivo, Lily Evans e Snivellus, l’anno mi sembrò essere
volato via in pochi istanti.
Ero felice.
X sourcream: mio lume... Ti
ho mai detto quanto mi sei cara? No? Te lo dico ora. Sei straordinaria e
insospettabilmente gentile, pensa tu. E io sono troppo ruffiana per la mia
Casa. Come già sapevi Marzo non è affatto finita ed eccola qua che torna con
dolore e depressione come tu sognavi. Sei felice? Sì vero? Il cagnaccio un po’
meno...
X Angel Natalie: In effetti il
pairing non è proprio usuale, perciò sono doppiamente contenta quando qualcuno
apprezza. Spero continuerai.
X Mixky: Grazie. E’ un po’
l’immagine che mi dà Grimmauld Place nel 5, un uomo morto in gabbia e un altro
che puo solo stare a guardare. Penso sempre che a un certo punto al suo posto
scoppierei. E qui é scoppiato. Non è facile stare a guardare una persona a cui
vuoi bene che affonda volontariamente, lo so perchè l’ho provato. Non riesci a
stare solo fermo. Grazie
X Giulia: carissima, grazie.
Condivido assolutamente le tue parole percio’ non aggiungo nulla se non “si,
hai ragione, che bello che ti abbia trasmesso queste cose!” Azzeccato il Rocky
Horror. Quanto all’ultima domanda, la risposta é il capitolo...
X elrohir: Orbene, sono
lusingata che la tua recensione sia stata per me. Anche io amo molto Sirius
–morbosamente- e James, li amo insieme in tutti i modi, è vero, ma questo qui è
il modo assurdo, che mi fa un po’ ribrezzo. Oddio, la parola è un po’ forte,
diciamo che mi stona. Quanto all’immagine di cui parli, credo di aver
specificato che non è mia, percio’ complimentiamoci tutti con Baricco, anche se
non è tanto simpatico. E grazie ancora