3.1:
14 FEBBRAIO 2013 (Los Angeles Liceo
West Eastman)
La
campanella suonò per annunciare la fine delle lezioni per
quella
giornata.
Erano
all’ultimo anno del liceo, dopo il diploma ognuno avrebbe
intrapreso una strada diversa. Simon e Jeanette avrebbero proseguito
gli studi
iscrivendosi all’U.C.L.A., Alvin si era fatto rimediare con
l’aiuto di alcuni
contatti di Ian Hawke un lavoro niente meno che negli studi di
registrazione
della Jet Records, mentre Brittany cominciava ad appassionarsi al ballo
e
desiderava cominciare dei corsi di preparazione per diventare
insegnante di
danza classica a tutti gli effetti.
Grandi
ambizioni e grandi progetti, ai quali gli unici che sembravano
non volerne prendere parte erano Theodore ed Eleanor. Non che non si
preoccupassero del loro futuro, ma semplicemente si trovavano
d’accordo
nell’affermare che tutto sommato non aveva molto senso andar
così di fretta,
del resto era solo febbraio, come Alvin e Brittany nemmeno loro erano
intenzionati a frequentare il college e prima del termine della scuola
c’erano ancora
gli esami di Maturità da superare.
Già,
la Maturità, un problema che non sfiorava minimamente Simon
e
Jeanette, ma che Eleanor non tardava a ricordare di continuo ad Alvin e
Brittany, i quali sembravano pensare a tutto fuorché allo
studio.
Per
quanto riguardava Theodore, non capiva perché i suoi
fratelli
desiderassero tanto distaccarsi dalla famiglia. Avevano già
una lunga e
promettente carriera da rock-star, perché voler a tutti i
costi avviarsi su
sentieri differenti?
Negli
ultimi tempi finivano spesso per discuterne, e se la maggior parte
delle volte erano solo chiacchiere innocue, non era raro che in taluni
casi
scoppiassero degli accesi litigi che coinvolgessero più
parti. Theodore con
Alvin, Brittany con Eleanor, oppure con lo stesso Dave, il quale pur
condividendo l’opinione secondo qui Alvin e Brittany
trascuravano troppo la
scuola a favore dei loro progetti, non era invece a favore
dell’indifferenza di
Theo e Ellie per il loro futuro.
Ad
ogni modo, era un San Valentino molto speciale quello che i Chipmunks
e le Chipettes avevano deciso di godersi quell’anno, sarebbe
infatti stato
l’ultimo che i sei avrebbero potuto trascorrere veramente
insieme, se i loro
progetti sarebbero andati tutti in porto.
Quel
giorno non sarebbero rientrati a casa subito dopo la fine delle
lezioni, bensì, sarebbero usciti tutti e sei insieme per
godersi, oltre alla
festa degli innamorati con i loro rispettivi partner, anche una
giornata
all’insegna del divertimento e dell’amicizia.
Avrebbero
iniziato con una passeggiata al parco, magari accompagnata da
qualche gelato da dividersi tra di loro, e poi tra una chiacchiera e
l’altra,
si sarebbero diretti a piedi a casa per cambiarsi d’abito e
uscire nuovamente
per una cenetta al ristorante che si sarebbe conclusa con
l’immancabile scambio
dei regali di San Valentino.
Non
sapeva quali regali i suoi fratelli avessero scelto per Jeanette e
Brittany, ma sapeva senz’altro cosa avrebbe donato a Eleanor.
Il
dono in questione era un anello in acciaio molto semplice e senza
pietre preziose a decorarlo, ma sul quale l’orefice aveva
inciso le iniziali
dei loro nomi, “T&E”.
Ovviamente
Eleanor non l’avrebbe portato al dito, ma a mo’ di
braccialetto, però Theodore era convinto che ne sarebbe
stata comunque entusiasta.
Subito
dopo essere usciti ed essersi salutati con i compagni di scuola,
i sei scoiattoli chiamarono al telefono pubblico Dave per avvertirlo
della loro
uscita e ridendo e scherzando tra di loro, si diressero verso il parco.
3.2:
Giunti
a destinazione, presero la decisione di separarsi per un po’.
Ognuno voleva godersi un po’ di privacy col proprio compagno.
Jeanette
e Simon tornarono alla loro quercia, la quale era stata il
luogo della consacrazione definitiva del loro amore e che per poco non
fu la
causa della loro prematura morte.
Dopo
quel terribile incidente, dal quale i due ne erano usciti solo con
qualche frattura di poco conto, Jeanette era convinta che avrebbe
iniziato a
provare odio per quell’albero, invece, benché si
sforzasse di vederlo dal lato
negativo, non poteva fare a meno di ricordarsi di Mark e delle sue
parole: “Un
giorno tornerò…dovrete aspettare ancora alcuni
anni prima che ciò accada, ma quando tornerò
resterò insieme a voi per sempre!”
Quante
coppie potevano
vantare la fortuna di scoprire che nel loro futuro sarebbero stati
destinati a
formare insieme una famiglia forte e stabile? E se ciò era
possibile lo
dovevano in parte anche a quell’albero.
Così,
dopo averlo
raggiunto ed essersi seduti ai suoi piedi, Jeanette appoggio la testa
alla
spalla di Simon, e lì, dopo essersi scambiati reciprocamente
un «Ti
amo»
seguito da un «anch’io» restarono in
silenzio e con occhi
socchiusi per godersi il loro momento di pace.
3.3:
Alvin
e Brittany passeggiarono un po’ per il sentiero del parco.
Anche
loro, come Simon e Jeanette, avevano vissuto un’esperienza
tragica che li aveva
uniti come mai avrebbero immaginato.
Tornati
finalmente sani e salvi dall’isola e dopo il successo
dell’esibizione agli International Music Awards, si misero
subito insieme, e da
quel giorno furono inseparabili. Non litigavano più come
prima e anzi, il più
delle volte se uno dei due combinava dei guai che provocavano le ire di
Dave,
l’altro correva subito in suo soccorso.
Mentre
passeggiarono tenendosi per mano, Alvin lasciò la mano di
Britt e
la invitò ad aspettare. Lei gli domandò dove
stesse andando, ma il chipmunk
corse via di fretta.
Brittany
fu tentata di seguirlo, scoprire dove stesse andando e cosa
stesse facendo, ma scelse di obbedire.
Poco
dopo Alvin tornò da lei sbucandole alle spalle e tenendo in
mano un
piccolo mazzetto di fiori di campo appena raccolti. Un gesto che
commosse
Brittany, la quale li raccolse, odorò il loro profumo e
abbraccio il suo
compagno per ringraziarlo del gesto.
3.4:
Theodore
ed Eleanor erano l’unica coppia dei Chipmunks e delle
Chipettes
a essere rimasti ancora due semplici amici.
Benché
festeggiassero il San Valentino come tutti gli altri e fossero
ancora più inseparabili dei loro fratelli con i partner, non
si vedevano ancora
come due innamorati, ma con il regalo che avrebbe donato a Ellie
durante la
cena di quella sera, Theodore sperava di poter finalmente arrivare a
una svolta
nel loro rapporto.
Pensava
ad Alvin e Simon e al legame che avevano con le sorelle di
Eleanor, e provava una forte invidia per i due. Come avevano fatto ad
arrivare
a quel punto? Era stato davvero merito/colpa dei loro incidenti? O
c’era
qualcosa che gli sfuggiva? Forse centra col fatto che lui si era sempre
comportato come il più infantile del gruppo? Anche se
Eleanor non gli aveva mai
dato l’impressione che questo fosse un problema, anzi,
sembrava quasi che le
piacesse quella specie di ruolo da “mamma” che a
volte interpretava con
Theodore.
«Hey,
Theodore? Ma mi ascolti?»
La
voce di Ellie spezzò il filo dei suoi pensieri.
«Oh,
sì scusa… » Le rispose.
«Che
succede?» Gli domandò curiosa e anche un
po’ preoccupata.
«Niente,
niente… eheh, dicevi?» Le rispose cercando di
eludere la sua
domanda.
Erano
usciti fuori dal parco e ora si trovavano sul marciapiede a pochi
passi dalla via d’accesso. Lei gli indicò con un
cenno della testa la gelateria
dall’altra parte della strada vicino all’incrocio.
«Che
ne dici? Ci andiamo?»
Theodore
fu colto alla sprovvista dalla domanda.
«Ma…
e gli altri?»
«Gli
altri mangeranno quando torneranno, no?»
Theodore
non era molto d’accordo.
«Si
però… dopo si arrabbieranno se…
»
«Ma no, e poi non possono mica farcene una colpa! Se ne sono andati lasciandoci qui imbambolati ad aspettarli!».
Theodore
era ancora restio ad assecondarla. Alternava gli sguardi tra la
gelateria, la sua amica Eleanor e il parco.
«Dai
su!» Insistette lei «Sono stanca di stare qui ad
aspettarli senza
far niente!»
«Ellie, io… »
«Fallo
per me!»
Gli
si avvicinò e gli fece gli occhi dolci, un gesto a cui lui
non
poteva mai resistere e col quale lei riusciva a convincerlo a fare
qualunque
cosa.
Lui
la fissò in silenzio e ci rifletté per un
po’.
Guardò
ancora una volta in direzione del parco e poi verso lei.
Cosa
c’era di male in fondo? Eleanor voleva solo mangiare in
anticipo il
gelato che si erano ripromessi. Sarebbe potuta essere una buona
occasione per
fare qualcosa insieme che non comprendesse aspettare gli altri membri
del
gruppo o fare chiacchiere inutili.
«Allora?»
Insistette lei.
Ci
pensò ancora un po’, cercando di valutare i pro e
i contro che avrebbe
portato la sua decisione, e alla fine prevalsero i primi.
«Va
bene, andiamo.» Si lasciò convincere Theo.
«Yuhuu!»
Esultò lei.
Eleanor
lo prese subito per mano e insieme si diressero verso
l’attraversamento pedonale. Intorno a loro altre persone
camminavano
indifferenti e non curanti dei due piccoli scoiattoli.
Si
fermarono nell’attesa che la spia del semaforo
dell’attraversamento
diventasse verde e quando ebbero il via libera, procedettero sempre
tenendosi
per mano.
Alla
luce di quanto stava succedendo, Theodore tornò a pensare
all’anello che avrebbe regalato a Ellie. Le guardò
il polso sinistro e si
immaginò di vederglielo già indossare.
Sicuramente l’avrebbe portato sopra la
manica della maglietta, oppure avrebbe indossato capi
d’abbigliamento che le
avrebbero permesso di esporlo, perché Eleanor era fatta
così, amava far vedere
alla gente i doni che Theodore le faceva. Che si trattassero di fiori,
cartoline, cioccolati o nastrini. Lei li mostrava alle amiche, offriva
a tutti
i dolcetti che riceveva e parlava a ruota libera di quanto Theo era
stato
tenero con lei durante questa o quell’uscita.
Con
molta probabilità avrebbe cercato di tenere sempre
l’incisione
“T&E” del suo anello bene in vista, in modo
che tutti potessero leggere le
due lettere che Theo aveva fatto inciderci sopra.
«Sai»
iniziò lei «non so te ma io ho proprio voglia di
un bel gusto arancia!»
Sul
volto di Theo si stampò un sorriso allegro e soddisfatto.
«Allora
un gelato all’arancia per entrambi!» Propose lui.
Lei
si voltò verso di lui di scatto.
«Ma
a te non è mai piaciuta l’arancia…
»
«E’
vero, però mi piaci te.» Sussurrò lui.
L’aveva
detto davvero? Era una frase che avrebbe solo voluto pensare,
eppure finì per pronunciarla ad alta voce.
Stavano
ancora attraversando la strada quando lui lo disse. Eleanor
restò stupefatta dalla confessione del suo migliore amico,
lo guardò con
sorpresa e gli sorrise. Lui ricambiò a sua volta con un
altro sorrisino più
timido.
In
quel momento successe qualcosa. Nessuno dei due se ne accorse, se
fosse stato così forse sarebbero riusciti a evitarlo, ma
alla fine il destino
aveva giocato il suo scherzo più crudele.
All’incrocio
vicino al quale si trovava la loro gelateria, una macchina
sopraggiunse a folle velocità, e non curante del rosso del
semaforo sulla sua
corsia che imponeva lo stop, attraversò la strada nel
momento in cui i due
chipmunk stavano percorrendo sulle strisce pedonali.
Se
fossero rimasti ad aspettare i loro fratelli all’entrata del
parco,
se avessero attraversato le strisce due secondi prima o più
tardi, se non si
fossero distratti dalla frase di Theo, probabilmente si sarebbero
accorti per
tempo del mezzo e l’avrebbero evitato.
Solo
il chipmunk con la felpa verde riuscì a notarla, anche se
nel
momento in cui la vide era ormai tardi per fare qualunque cosa. Stava
sopraggiungendo sulla sinistra di Eleanor e lei in quel momento aveva
ancora lo
sguardo fisso su di lui.
Theodore
stava per gridarle “Attenta” e fu sul punto di
spingerla via,
ma non ci riuscì. La macchina li investì e dopo
di che, per i due chipmunk ci
fu solo il buio. Niente dolore, nessuna sensazione, soltanto
l’oscurità più
totale.
3.5:
DATA
IMPRECISA (Luogo Sconosciuto)
«Che
succede? Dove mi trovo?» Provò a domandarsi.
Se
glielo avessero chiesto, non sarebbe mai stato in grado di spiegare
la strana esperienza che stava vivendo in quel momento.
La
sensazione era come di svegliarsi da un lungo sonno senza sogni, solo
per poi scoprire di essere finiti in un altro sogno.
Non
vedeva nulla, era tutto buio, provò a guardarsi le mani, i
piedi, ma
non era sicuro di riuscirci. Non capiva se non era in grado di vederli
a causa del
buio o per qualcos’altro.
Provò
a camminare, e seppur sentiva lo stimolo nei muscoli delle sue
gambe, gli sembrò di essere immobile.
Anche
le mani erano bloccate, e poco dopo essersene reso conto,
realizzò
di essere sdraiato a pancia in su, su qualcosa. Un materasso, forse.
«C’è
nessuno? Che mi sta succedendo?!»
Avrebbe
giurato di sentire la sua bocca pronunciare quelle parole,
percepire il suono della sua voce, ma come per le braccia e le gambe,
alla fine
dovette ammettere a se stesso che quelli che per lui erano suoni
concreti, in
verità erano frutto della sua immaginazione, e che quelle
domande in realtà le
aveva solo pensate.
Perse
molto del suo tempo a cercare di spostarsi, muovere un dito, dire
ad alta voce almeno una singola parola, ma alla fine si arrese.
In
lontananza sentiva dei suoni indistinti, quasi impercettibili, e non
era in grado di capire cosa potessero essere.
Non
ricordava nulla, tutto gli sembrava così strano.
Trascorse
del tempo, forse delle ore, che potevano essere benissimo
minuti o giorni, per quel che ne sapeva, e un nome cominciò
ad affiorare nella
sua testa. Theodore. Theodore, sì. Era questo il suo nome. E
poi ci furono
Simon e Alvin. Chi erano loro? I suoi fratelli, adesso ricordava. Erano
tre
chipmunk, e vivevano con un uomo di nome Dave.
Il
tempo continuava a trascorrere, e finalmente quei suoni indistinti in
lontananza diventarono echi di voce, ma non ne comprendeva ancora il
significato.
Cominciarono
a riaffiorare altri nomi, e con essi anche i ricordi. Aveva
una vita. Era diversa da quella che stava vivendo ora, era fatta di
luce,
colori, emozioni, divertimento, avventure. Più le lancette
dell’orologio
scorrevano e più dettagli gli tornavano in mente.
Le
voci che sentiva cominciavano ad avere una propria identità.
Ogni
volta era un timbro di voce diverso. Certe volte gli sembrava che fosse
solo
una di esse a sussurrargli, altre volte che invece fossero in gruppo.
Brittany,
Eleanor e Jeanette erano i nuovi nomi che ricordò. I nomi
delle loro amiche, che vivevano con loro e dalle quali erano
inseparabili.
Quel
continuo di nuovi ricordi ed esperienze che riviveva ogni volta, lo
aiutarono a superare il tempo che scorreva, anche se ormai non si
chiedeva più
quanto ne fosse trascorso.
Gli
sembrava di trovarsi in quello stato da tutta la vita, immerso in
quel buio opprimente che non gli permetteva di muoversi.
Il
nome di Eleanor era diventato presto un’ossessione per lui.
Tutte le
migliori esperienze, i ricordi più felici, le emozioni
più intense le aveva vissute
stando con lei. Si domandava dove fosse ora, dove fossero finiti tutti.
Forse
erano proprio loro a sussurrargli in lontananza, forse Eleanor era
tra loro e lo stava aspettando. Ma lui dov’era? Cosa gli
stava succedendo?
Aveva
smesso di porsi la domanda per lungo tempo, ma ora era arrivato il
momento di trovare una risposta.
In
quel momento non sentiva più le voci. Non ci
badò. Si disse che non
significava niente.
Voleva
solo una risposta, aprire gli occhi e finalmente vedere tutto
quello che il buio gli aveva precluso.
Non
ci era mai riuscito, ma era solo perché non ci aveva mai
provato.
Ora era giunto il momento.
Apri
gli occhi, ordinò a se stesso. Apri gli occhi. E alla fine
li aprì.
Le
palpebre si alzarono a fatica. Si richiusero e tentarono di rispedirlo
nel luogo da cui era appena fuggito, nel buio. Si fece forza e li
aprì ancora
una volta.
Intorno
a lui vedeva il bianco, la luce.
Non
distingueva le forme, tutto sembrava avvolto dalla nebbia.
Un’ombra
scura attraversò il suo campo visivo. Si soffermò
su di lui,
come a studiarlo, e si allontanò con la stessa
rapidità con cui era arrivata.
Theodore
non riusciva ancora a muoversi, avrebbe voluto, ma anche tenere
gli occhi aperti gli sembrava una fatica indicibile.
Alla
fine era troppo stanco per poterli lasciare ancora aperti. Si
lasciò sopraffare dalla stanchezza e li richiuse.
Nel
momento in cui il buio tornò a dominare il suo mondo, cadde
in un
sonno profondo.
3.6:
«Guardate!
Si sta svegliando!» Disse una voce.
«Dici
sul serio?» Rispose un’altra, più
profonda.
«Sì,
guarda!»
Theodore
riaprì gli occhi. Questa volta non fu difficile come prima.
Era
stato un normalissimo risveglio. Ebbe solo un attimo di smarrimento
dovuto al
dubbio di non sapere dove si trovasse.
Si
osservò intorno e gli sembrò di trovarsi nella
stanza di un ospedale.
Il perché ci fosse finito dentro, però, non lo
ricordava.
Dopo
aver riordinato le idee, si concentro sulle persone che si
trovavano intorno a lui.
«Ragazzi,
siete voi?» Domandò loro.
«Sì
Theodore! Oh, sono così felice che sei tornato!»
Gli rispose uno di
loro.
«Alvin,
sei… sei tu?» Farfugliò.
«Si
Theo, e qui ci sono anche gli altri. E guarda, c’è
anche Dave!» Rispose
Alvin con un tono di voce misto tra commozione e felicità.
Mentre
parlava, tutto il gruppo si avvicinava al suo letto. Chi era
abbastanza piccolo da poterlo fare saltò sul materasso,
mentre gli altri,
un’infermiera e un uomo adulto, si limitarono ad avvicinarsi.
L’infermiera
diede solo una rapida occhiata a Theodore per accertarsi
delle sue condizioni.
«Ora
vi lascio soli.» Disse poi.
Theodore
riconobbe subito l’uomo che gli stava vicino, era Dave.
«D’accordo.»
Rispose all’infermiera.
Riconobbe
presto anche gli altri. Oltre ad Alvin, c’erano Simon,
Jeanette e Brittany, che lo fissavano agitati e in trepidazione. Al
contrario
di Dave, però, loro avevano qualcosa di strano. Sembravano
diversi. Jeanette in
particolare aveva una folta chioma di capelli lisci che le scendevano
sulle
spalle. Ma anche gli altri non erano da meno. Benché
avessero tutti più o meno
l’aspetto che lui ricordava, sembravano tuttavia
più vecchi. Cresciuti, era il
termine esatto.
«Ben
tornato, fratellino.» Gli disse Simon a bassa voce con un
grande
sorriso sulle labbra. In seguito gli si avvicinò e lo
abbracciò. Anche gli
altri, a turno, lo fecero. E mentre li abbracciava uno ad uno, non
faceva che
chiedersi dove fosse Eleanor e cosa stesse succedendo. Gli sembrava
anche che
ci fosse qualcosa nella sua testa che doveva ricordare. Qualcosa di
importante,
ma che in quel momento sembrava facesse di tutto per restare nascosto
nel
profondo della sua mente.
«Ti
voglio bene, Theo. Mi sei mancato da morire.» Gli disse Dave
abbracciandolo per ultimo. Commosso e con le lacrime che stavano
cominciando a
scendergli sul volto, bagnando le palpebre.
«Dave,
che sta succedendo? Me lo puoi spiegare?»
Brittany
si fece avanti.
«Non
ricordi nulla?» Chiese non molto sorpresa.
«No,
insomma… non… » Balbettò.
«Hai
avuto un incidente, Theo.» Lo interruppe Simon.
«Sei stato colpito
di striscio da un pirata della strada… la ruota anteriore
dell’auto ti ha
sbalzato a terra e hai battuto la testa sull’asfalto,
poi… poi sei entrato in
coma.»
Theodore
sgranò gli occhi incredulo.
«Un
incidente? Io… io non ricordo niente… »
«Sei stato in coma per tre anni, Theo… oggi è il 26 aprile 2016» intervenne timidamente Jeanette, l’unica che fino ad ora non aveva ancora parlato «i medici dicevano che non ti saresti mai più svegliato, però noi, sai… » si fermò. Fu Alvin a prendere il suo posto per proseguire il discorso. «dicevano che non ti saresti più ripreso, ti avevano dichiarato morto, ma dopo Eleanor, ecco… non volevamo arrenderci, non con te!»
«Eleanor?
Che centra Eleanor?! Dov’è? Perché non
è qui con voi?» Chiese
agitato Theodore, cercando di alzarsi dal suo letto. Simon e Alvin
dovettero
afferrarlo per le spalle per cercare di calmarlo.
«Theodore,
stai calmo, ti scongiuro.» Lo supplicò Simon.
«Lei
dov’è? Voglio vederla!!»
Ordinò Theo urlando e cercando di
ribellarsi alla presa dei suoi fratelli, ma era ancora debole. Dopo tre
anni di
coma i suoi muscoli erano completamente atrofizzati, e se non fosse
stato per
l’improvvisa esplosione di adrenalina non sarebbe stato
nemmeno capace di
mettersi in ginocchio.
Gli
occhi di Jeanette divennero lucidi e cominciò a piangere.
«Lei,
bhe… ecco… Ellie sta…
è…». Tentò di farfugliare
una risposta, ma
non ci riuscì, le si avvicinò Brittany che le
offrì la spalla e la abbracciò
per consolarla.
«Theodore,
calma. Lei non è qui.» Intervenne Dave.
Theodore non aveva altra scelta che obbedire, era stremato ed esausto e ogni più piccolo movimento che compiva gli sembrava uno sforzo immane.
Alvin
e Simon lo lasciarono quando finalmente si tranquillizzò.
«Dov’è Ellie, ragazzi. Io non riesco a ricordarlo. Rispondetemi, vi scongiuro!» Li supplicò cercando di contenere la paura e le lacrime.
Si
guardarono tra di loro imbarazzati. Avrebbero voluto dirglielo, ma sia
Alvin che Simon temevano il rischio di essere troppo freddi e diretti.
Dopo
alcuni sguardi tra loro due e Dave, con Theodore che attendeva con
impazienza
la risposta, alla fine toccò a loro padre parlare, mentre le
Chipettes non
avevano altra scelta che stare in disparte ad aspettare.
Dave
tirò un profondo sospiro e cominciò a spiegare.
«Eravate
insieme quel giorno… tu e lei… l’auto
ha… » anche lui come gli
altri temeva la reazione di Theo. Si augurava che capisse, che gli
risparmiasse
il dovere di dargli la notizia. Si sarebbe accontentato anche di
dovergli dare
solo la conferma, Theodore gli avrebbe chiesto “E’
successo quello?”, a quel
punto Dave avrebbe solo dovuto dire “sì”
o “no” ed era fatta. Invece Theodore
restò in silenzio e continuò a fissarlo.
«L’auto
vi ha investito entrambi e… lei è…
morta sul colpo.»
Complimenti
Dave, che sensibilità! Si rimproverò tra se e se.
Ora
che gli avevano comunicato la notizia, attendevano solo di scoprire
come avrebbe reagito.
Theodore
sgranò gli occhi d’improvviso, incredulo dinanzi
quanto aveva
appena sentito.
«Dave,
non scherzare, dimmi dov’è!»
Cominciò ad agitarsi.
«Theo…»
intervenne Alvin, senza sapere esattamente come continuare la
frase.
«Mi
state prendendo in giro, dov’è lei?!»
Quest’ultima domanda la gridò
tra le lacrime.
Alvin
avrebbe voluto consolarlo, ma nessuna parola avrebbe potuto
aiutarlo in quel momento. Lui meglio di tutti conosceva le sensazioni
che si
potevano provare alla consapevolezza di perdere la propria amata, e se
quel
giorno di cinque anni prima Brittany fosse annegata in mare, niente
avrebbe
potuto alleviare le sue pene.
Theodore
stava attraversando la così detta “fase del
rifiuto”, nessuno
avrebbe potuto fare nulla per fargli accettare la realtà,
era qualcosa a cui
doveva arrivarci da solo. L’unica cosa che Alvin poteva fare
era offrirgli l’amore
di un fratello, così lo abbracciò e lo strinse
forte a se.
Fu
in questo momento che Theodore realizzò. No, non era uno
scherzo.
Eleanor non c’era più.
«No,
non può essere vero, svegliatemi da quest’incubo!
Lei non è morta,
come può essere morta?!» Le urla strazianti di
Theodore penetravano negli animi
dei membri della sua famiglia. Il piccolo chipmunk piangeva,
continuando a
ripetere tra se e se che Eleanor non poteva essere veramente morta.
Simon
si unì all’abbraccio fraterno, sotto gli occhi
addolorati delle
due Chipettes restanti e di Dave, che mai come ora si sentiva
l’estraneo del
gruppo.
3.7:
14
MAGGIO 2016
Theodore
fu dimesso due settimane e mezzo dopo il suo risveglio.
Come
già detto, dopo tre anni trascorsi in coma su un letto
d’ospedale, durante
il quale tutti e cinque i chipmunk avevano avuto il tempo di compiere
ventidue
anni di età, i muscoli di tutte le articolazioni di Theodore
erano finiti per
atrofizzarsi a causa di tutto il tempo trascorso sdraiato nella stessa
posizione senza possibilità di movimento. Prima di essere
dimesso, dovette
superare un lungo periodo di riabilitazione per recuperare in pieno le
funzioni
motorie dovute all’atrofia muscolare della lunga degenza.
Secondo
le previsioni mediche, grazie anche ai progressi della medicina
e delle tecniche di riabilitazione, gli sarebbero stati sufficienti non
più di quattro
o cinque giorni per riprendersi del tutto e poter essere dimesso. I
medici,
tuttavia, non avevano considerato quanto poco sarebbe stato
collaborativo il
paziente.
Durante
tutto il periodo non aveva quasi proferito parola con nessuno, mangiava
poco e quasi sempre sotto costrizione e non si impegnava negli esercizi
della
riabilitazione. Aveva semplicemente perso il desiderio di vivere.
A
tormentarlo ancora di più, il fatto di non aver alcun
ricordo del
giorno dell’incidente. Gli sembrava di aver lasciato qualcosa
in sospeso,
qualcosa che avrebbe voluto fare per Eleanor, e il fatto di non
ricordarsene
gli causava tormento come e più della stessa consapevolezza
di non poterla più
avere accanto a se.
Ci
vollero otto giorni affinché iniziasse ad accettare la nuova
dura
realtà. Intorno a lui tutti si prodigavano per assisterlo e
a far si che non si
sentisse abbandonato. Quando finalmente si rese conto che
l’unico modo per
ritornare a vivere significava dar loro retta affinché
potessero aiutarlo, si
decise a collaborare con lo staff medico e la sua famiglia, e da quel
momento,
il programma di riabilitazione poté svolgersi regolarmente.
Quando
i medici terminarono le analisi su di lui e capirono che si era
completamente ripreso, decisero finalmente di dimetterlo.
Era
il 14 Maggio del 2016, quel giorno vennero solo Dave e Simon a
prenderlo per portarlo a casa. Lo accompagnarono fino alla macchina e
partirono.
Durante
tutto il viaggio, Theodore cercava di distrarsi osservando la
Los Angeles di quel futuro non troppo lontano.
La
maggior parte delle cose erano rimaste pressoché invariate,
mentre
alcuni negozi di cui Theodore aveva memoria erano stati chiusi e
sostituiti con
altre attività.
Il
mondo non è andato molto avanti in mia assenza,
pensò Theodore e
subito si stupì del pensiero che aveva appena formulato, non
era proprio da
lui, si disse tra se e se.
L’unico
che sembrava essere cambiato sul serio era proprio Theodore. Non
si sentiva più allegro e spensierato come ai vecchi tempi,
ma del resto non si
poteva dargli torto. Erano passati diciotto giorni da quando si era
risvegliato
e gli era stata comunicata la notizia della tragedia di Eleanor. Dopo
una lunga
settimana di sofferenza aveva faticosamente imparato ad accettare le
realtà e a
convivere col tormento di quel ricordo che ancora non riusciva a
rievocare,
eppure restava pur sempre la consapevolezza che la sua migliore amica
non c’era
più.
Forse
un giorno si sarebbe finalmente ripreso e avrebbe imparato ad
andare avanti, ma non sarebbe più ritornato quello di prima,
di questo ne era
certo.
Quando
finalmente arrivarono a casa di Dave, Theodore si rese conto di
non ricordare la disposizione delle varie stanze o del loro
arredamento.
Ricordava il giardino e le aiuole perfettamente curati, ricordava gli
esterni
della casa, ma degli interni la sensazione che provò una
volta varcata la
soglia dell’entrata era di totale smarrimento. Si
sentì come un ospite che
viene invitato per la prima volta in una casa nella quale non era mai
stato
prima.
Simon
notò questo suo senso di smarrimento.
«C’è
qualcosa che non va, Theo?» Gli chiese appoggiandogli una
mano
sulla spalla, mentre lui si guardava intorno spaesato.
«Non
so dove andare… non ricordo niente di questa
casa.» Gli rispose con
un tono di voce che gli parve apatico, privo di qualunque emozione
positiva o
negativa.
«Che
vuoi dire?» Domandò Simon, che non era sicuro di
aver capito bene.
Theodore
restò in silenzio per alcuni istanti.
«Non
lo so, mi sembra come di entrare in questa casa per la prima volta
in vita mia.» Rispose con lo sguardo abbassato verso il
pavimento.
Simon non fu molto sorpreso dal sentirglielo dire. I medici li avevano avvertiti che avrebbe potuto soffrire di amnesie selettive riguardo a specifici eventi, luoghi o persone, ma alla domanda “sarebbe mai riuscito a riacquistare la memoria perduta?” non seppero dar loro risposta. L’unica cosa che potevano fare consisteva nel provare a fargli rivivere quelle esperienze delle quali non rammentava.
Decise,
quindi di accompagnarlo a fare un giro per tutta la casa, mostrandogli
le varie stanze e raccontandogli qualche aneddoto divertente su Alvin e
su loro
due nel tentativo di sdrammatizzare un po’ la difficile
situazione. E magari
aiutarlo a risvegliare qualche tassello della sua memoria perduta.
Tentativi
inutili, dal momento che non fu in grado di strappare neanche
mezzo sorriso al fratello.
Finito
il tour del piano terra, salirono insieme le scale per il piano
superiore, dove erano situate le camere da letto.
Fu
a metà dei gradini che Theodore provò una strana
sensazione. Era il
suo ricordo bloccato, quello che per giorni aveva cercato di rammentare
senza
mai riuscirci, e che ora, d’improvviso, sembrava stesse
lottando per
riaffiorare.
Salirono
gli ultimi gradini e Simon stava per cominciare partendo dalla
stanza di Dave, Theodore invece si avviò dalla parte
opposta, verso la loro, e
suo fratello lo lasciò andare senza ostacolarlo.
Fu
tentato dal chiedergli dove stesse andando o se avesse in mente
qualcosa, ma dopo tutta la confusione e lo smarrimento vistogli negli
occhi,
quel fare deciso e convinto doveva pur significare qualcosa, quindi si
disse
che era meglio non interferire.
Theo
si mosse d’istinto, spinto da quella strana sensazione che lo
guidava verso la loro camera da letto. Lì entrò e
dopo essersi guardato un po’
intorno, analizzando i due letti a castello ai lati della stanza e
identificò
subito il suo e quello di Eleanor.
Saltò
su quello della sua amica defunta, mentre Simon se ne stava in
disparte a osservare le sue mosse.
Theodore
guardò i peluche disposti ordinatamente sul copriletto e
sopra
il cuscino, e lì si lasciò sfuggire una lacrima
che sarebbe scoppiata presto in
un pianto copioso, se lui non l’avesse bloccato con un grande
sforzo di
volontà.
Scese
giù con un salto e si arrampicò sul comodino
vicino al letto a
castello delle Chipettes.
C’erano
diverse foto che raffiguravano i Chipmunks e le Chipettes. Una
di queste era una foto di gruppo scattata durante l’estate
del 2011 poco prima
della loro partenza con la “Carnival Dreams”, che
Theodore fissò a lungo,
soffermandosi in particolare sul volto di Ellie.
C’era
qualcosa che ancora gli sfuggiva. Sentiva di essere ad un passo
dal rievocare quel ricordo, eppure la soluzione continuava a sfuggirgli
nonostante l’istinto gli dicesse che ormai c’era
molto vicino.
Saltò
giù di nuovo e, dopo essersi guardato ancora un
po’ intorno,
raggiunse infine la loro scrivania.
«Stai
cercando qualcosa?» Provò a domandargli Simon, ma
senza ottenere
risposta.
Theodore
aprì il primo cassetto in alto, ci frugò dentro
con attenzione
finché l’istinto non gli fece capire che aveva
finalmente trovato quello che
cercava. Una piccola scatoletta rettangolare di tre centimetri per
quattro. La
prese e salì sopra la scrivania dopo aver richiuso il
cassetto.
In
quel momento Simon decise di raggiungerlo, incuriosito da quello
strano piccolo oggetto che era stato sotto gli occhi di tutti per tre
anni e di
cui nessuno fino ad ora sembrava essersene mai accorto.
Theodore
la aprì, trovandoci dentro un piccolo ma splendido anello
che
nonostante non sembrava essere particolarmente costoso, era molto bello
da
vedere, soprattutto se indossato dalla persona giusta.
Doveva
essere il regalo che Theo aveva preparato per Ellie per il giorno
di San Valentino, concluse Simon.
«Ti
ricorda qualcosa?» Provò a domandargli.
Theo
ci pensò per un paio di secondi.
«No.»
«Ma
allora come facevi a sapere che l’avresti trovato
lì?»
«Non
lo so… » prese una pausa, cercava una risposta da
dare a Simon «io…
io non so perché l’ho cercato…
» Balbettò.
Appoggiò
la scatoletta sul banco delle scrivania e prese tra le sue mani
il piccolo anello per studiarlo.
«Ci
sono delle lettere qui, T&E… » disse
parlando ad alta voce tra
se e se, ma rivolgendosi, nel frattempo, anche a Simon
«T&E… Theo e Ellie.»
Fu
come una saetta che gli attraversò la testa.
D’improvviso ricordava
tutto, fin nei minimi dettagli. Come una proiezione su parete, rivide
la scena
degli ultimi istanti prima dell’incidente. Lui ed Eleanor che
attraversavano la
strada, lui che guardava il suo polso immaginandosi come sarebbe potuto
essere
con indosso il suo anello, lui che finalmente dichiarava i suoi
sentimenti per
lei, lei che lo guardava felice, la macchina che infine sopraggiungeva
a folle
velocità e li investiva.
Se
solo fosse stato più attento, se non si fosse
distratto, o se non l’avesse distratta, forse almeno uno dei
due si sarebbe
accorto in tempo del mezzo e tutto questo si sarebbe potuto evitare.
Era questa
la conclusione cui giunse Theo, era questa la verità che i
suoi ricordi avevano
cercato di nascondergli.
«Theo?
Stai… stai bene?» Gli domandò Simon,
preoccupato per lui.
«E’
colpa mia.» Farfugliò.
«Come?»
Gli chiese Simon.
«E’
colpa mia, solamente colpa mia.»
Simon
si sorprese di quella reazione improvvisa.
«Colpa tua? Perché stai dicendo questo, che ti prende?»
«Non capisci, è colpa mia, io… io l’ho distratta mentre attraversavamo le strisce pedonali… »
«No,
Theo! Non devi dirlo neanche per scherzo! E’ stato un
incidente,
non è colpa tua… »
«E’
soltanto colpa mia.» Lo interruppe.
«Theo…
»
«Lei
è morta per colpa mia.»
Quell’idea
s’insinuò nella sua mente come un tumore. Aveva
appena
cominciato a riassemblare i cocci della sua anima quando questa era
andata
nuovamente in frantumi, sfaldandosi in frammenti ancora più
piccoli.
Quel
poco di Theodore che era sopravvissuto all’incidente
morì in
quell’istante e da allora non si sarebbe mai più
ripreso per oltre 10 anni.