2.1:
8
FEBBRAIO 2029 (Los
Angeles, nella locanda)
Dopo
la calorosa rimpatriata, i due Fratelli Alvin e Simon salirono sul
tavolo e si sedettero sopra di esso.
Non
erano certo composti nel modo che si addiceva a un famoso talent
scout e a un professore plurilaureato dell’U.C.L.A. ma anche questo faceva
parte delle condizioni
che dovevano rispettare per poter condurre una vita tra gli esseri
umani, e
avevano imparato ad accettarlo.
«Scusami
se ti ho fatto aspettare, avrei voluto chiamarti e avvertirti,
ma sai, la fretta. Me ne sono reso conto troppo tardi…
» spiegò Alvin.
«No,
lascia stare Al. L’importante è che ora sei qui.
Sono davvero
felice di vederti.» Gli rispose con un sorriso gioioso e
felice.
«Riesci
a crederci? Sono già passati dieci anni…
»
«Già.»
Tra
i due c’era ancora un forte imbarazzo. Si erano
già visti e parlati
in altre occasioni, ma mai di persona. E ora la sensazione che entrambi
provavano era di
non parlarsi sul serio
da oltre un decennio.
Si
studiavano attentamente a vicenda per analizzare quanto il tempo li
avesse cambiati. Da una parte Alvin osservava l’abbigliamento
formale ed
elegante del docente, con la sua camicia azzurra, i capelli corti ben
rasati e
la cravatta a righe nere grigie che portava al collo,
dall’altra, Simon che
guardava ancora una volta la maglietta cremisi, il ciondolo a forma di
nota
musicale e l’orecchino sull’orecchio sinistro del
talent scout.
«Ok.
Senti, io ho fame quindi la prima cosa che intendo fare è
mangiarmi
qualcosa.» Annunciò Alvin. «Tu hai
già ordinato?»
Simon
ridacchio alla domanda.
«Stavo
aspettando te… »
«Bhe,
in questo caso, che stiamo aspettando?»
Si
alzò in piedi sul tavolo e face segno alla cameriera dei
capelli
ricci di avvicinarsi.
Lei
si avvicinò subito.
«Buon
giorno, signore» disse rivolgendosi ad Alvin
«Allora? Avete deciso
cosa ordinare».
«Sì.
Ci porti un toast, e che sia bello abbondante… »
«E
due caffè!» Aggiunse Simon.
La
cameriera segnò l’ordinazione sul display del suo
palmare.
«Toast
e due caffè, basta così?»
I
due chipmunk si guardarono per chiedersi conferma a vicenda con lo
sguardo poi annuirono alla cameriera.
«Molto
bene, toast e caffè in arrivo!»
Mentre
la ragazza si allontanava, Alvin tornò a sedersi.
«Come
sta Brittany?» Gli chiese Simon.
«Lo
sai, ne avevamo parlato anche per telefono… le è
tornata la nausea e
ultimamente è sempre esausta.»
«Sapete
già se è maschio o femmina?»
Alvin
fece segno di no con la testa.
«Brittany vuole tenersi la sorpresa per il grande giorno… e bhe, chi sono io per contraddirla?»
«Eheh.
E…i crampi allo stomaco?»
«Non
credo ne abbia… » gli rispose portandosi la mano
al mento per
riflettere.
«Non
mi riferivo a lei… »
Si
guardarono in silenzio per un po’, poi Alvin capì.
Simon intendeva i
crampi allo stomaco che probabilmente doveva sentire costantemente
Alvin
all’idea che presto sarebbe diventato padre.
«Oh,
bhe… non farmici pensare!»
Scoppiarono
a ridere.
«Il
peggio sarà quando tornerete dall’ospedale, dopo
sì che comincerà a
bruciarti il “pancino”». Lo prese in giro
Simon mentre continuavano a ridere.
«E
tu lo sai per esperienza, vero?»
«Ci
puoi scommettere!»
Risero
di gusto ancora per un po’, fino a che non si
avvicinò la
cameriera con il loro caffè. Glielo portò su due
tazzine da espresso, in modo
che potesse essere più facile per loro sollevarlo e
portarselo alla bocca per
bere.
Dopo
averla ringraziata ed essere tornati ai loro discorsi, restarono in
silenzio per un po’.
Parlare
della gravidanza di Britt aveva risvegliato il ricordo del loro
litigio di dieci anni prima. Si guardarono a fatica negli occhi.
Entrambi
sapevano che l’altro stava ripensando a quel giorno. La colpa
di tutto era
stata di Alvin, ma anche Simon doveva ammettere con se stesso che se
l’era
presa un po’ troppo.
Stavano
cercando a fatica di ricominciare una vita dopo la tragedia
accaduta alla loro famiglia. Un raggio di speranza nel buio delle loro
anime
era giunto con la notizia che Jeanette aspettava il loro figlio Mark.
Simon
sapeva che prima o poi sarebbe successo. Ricordava bene la volta in cui
era
apparso nei loro sogni per avvertirli di un pericolo imminente. Una
grossa
massa di rami della quercia sotto la quale erano soliti trascorrere le
loro
uscite romantiche da giovani sarebbe stata colpita da un fulmine
durante un
temporale e li avrebbe uccisi schiacciandoli sotto di essa. Mark,
però, che in
quegli anni doveva ancora nascere ed era ancora solo uno spirito che si
era
autodefinito “un Viaggiatore dei Sogni”, aveva
visto nel loro futuro e aveva
fatto di tutto per impedire che ciò accadesse.
Quando
era arrivato il momento di dare delle spiegazioni, disse loro che
non avrebbe potuto avvertirli per tempo in modo diretto, sostenendo che
il
destino avrebbe cambiato le carte in tavola in modi che nemmeno lui
poteva
prevedere. Per fortuna, era riuscito a entrare nei sogni di suo padre
Simon
appena in tempo e a metterlo in guardia sull’imminente
pericolo. Fu così che
per mano di suo padre, Mark riuscì a salvarli entrambi, e
prima di sparire per
sempre dai loro sogni li salutò con la promessa che un
giorno si sarebbero
rivisti.
Quando
entrambi avevano capito che il loro misterioso salvatore era il
figlio che avrebbero avuto un giorno insieme, si ripromisero che una
volta
nato, gli avrebbero dato il nome di “Mark”.
Da
quel giorno sapevano che erano destinati a vivere insieme per sempre
e che avrebbero formato una famiglia tutta loro. Quello che non
immaginavano
erano le circostanze in cui questo sarebbe successo. Mark li aveva
salvati
dalla morte, ma non era riuscito ad avvertirli di quello che diversi
mesi dopo
sarebbe stato per sempre ricordato da loro come l’
“Incidente”.
Quando
avvenne, l’unione della famiglia Seville iniziò ad
andare
rapidamente allo sfascio.
La
gravidanza di Jeanette, seguita dalla nascita di Mark, avrebbe potuto
restituir loro un po’ del legame che i Chipmunks, le
Chipettes e Dave avevano
perso da tempo. Magari non lo avrebbe cementificato come loro avrebbero
voluto,
ma avrebbe dato loro l’illusione di un ritorno alla
normalità. Le cose, invece,
andarono diversamente.
Furono
costretti, per ovvi motivi, a sciogliere la band, e senza
quell’unione che il palco dava loro, iniziarono ad
intraprendere strade
diverse.
Alvin
ricevette presto un’offerta di lavoro da New York come
cantante
solista e decise di accettarla, Brittany, nonostante aveva la
responsabilità di
sostenere Jeanette durante la sua maternità, scelse di
seguire il suo compagno
e ciò provocò le ire di Simon, che si
sentì improvvisamente privato dell’unico
conforto che ancora gli restava. Fu a causa di questa decisione che i
due
litigarono, e fu anche questo il motivo per il quale le due coppie si
separano
per tutti quegli anni.
2.2:
«Il
toast per voi, signori. Buon appetito!» Augurò
loro la cameriera
dopo averglielo riposto sul tavolo.
«Grazie
mille, gentilissima!» Le rispose Alvin facendole
l’occhiolino.
Anche
Simon ringraziò.
«Finalmente!
Ancora un po’ e penso che mi sarei mangiato il
tavolo!»
Disse Alvin.
Simon
ridacchio ancora.
«Sai,
è bello vedere che certe cose non cambiano… bhe,
buon appetito!»
Simon
stava per addentare un piccolo pezzo di toast appena strappato,
quando la frase di Alvin lo bloccò.
«Che
vuoi dire?»
«Quella
tua risatina… sai, ne sentivo la mancanza.»
«Già,
ehehe…oh, ecco… l’ho fatta
ancora… »
Alvin
sorrise.
«Bhe,
però vedo che anche tu sotto sotto non sei cambiato
molto… come ha
reagito Dave quando ti ha visto l’orecchino?» Gli
chiese Simon indicandolo col
dito.
«Oh,
questo…aveva una faccia come se avesse voluto strapparmelo
via
insieme a tutto l’orecchio!»
I
due fratelli risero ancora una volta insieme, mentre mangiavano e
sorseggiavano i loro caffè.
«Correggimi
se sbaglio… dopodomani è il compleanno di Mark,
giusto?»
Domandò Alvin.
«Sì,
dieci anni esatti… il prossimo week end ci sarà
la festa con tutti
i suoi compagni di classe da noi ma… »
«Aspetta
aspetta, scusami se t’interrompo ma… mi stai
dicendo che
accoglierete in casa vostra una band di ragazzini delle elementari
urlanti e… UMANI?»
«Eheheh,
già. Proprio così!»
Alvin
sgranò gli occhi.
«Ma
ce la fate a gestirli tutti?!»
«Lo
facciamo ogni anno, Al. Jeanette sa farsi rispettare, i ragazzi le
danno retta.»
Alvin
era rimasto leggermente shockato dalle rivelazioni appena
ascoltate.
«Bhe,
Brittany me l’aveva detto che era cambiata, ma
così… wow…
comunque, stavi dicendo?»
«Oh,
sì… sai, ho parlato con Dave, e gli ho proposto
di organizzare una
piccola festa di compleanno anche a casa sua dopodomani, niente di
eccessivo,
solo tra familiari… così per una volta potremo
stare di nuovo insieme… come ai
vecchi tempi… »
Alvin
ci rifletté un po’.
«L’idea
mi piace, e sono sicuro piacerà anche a Brittany, sempre
ammesso
che Dave non gliene abbia già parlato… ci verremo
senz’altro, fratellone!»
D’improvviso,
calò un silenzio imbarazzante. C’era una domanda
che
martellava nella testa di Alvin. Aveva cercato di ignorarla fino a quel
momento, ma ora stava spingendo all’interno del suo cranio
come un’orribile
creatura che scavava per farsi strada nel suo cervello. Simon
l’aveva capito.
Non era necessario essere un plurilaureando in Psicologia, Fisica e
Algebra per
capire quale fosse il quesito che Alvin avrebbe voluto porgli.
Pensò
di parlargliene prima che lui avesse tempo di chiederglielo, ma
ora aveva capito che ormai Alvin non avrebbe retto ancora per molto.
Aveva
evitato di chiederglielo nelle mail, di parlarne per telefono o nelle
loro
video chat. Per dieci anni quello era stato l’unico argomento
su cui entrambi
avevano evitato di discutere.
Se
non fosse stato per le trasferte a Los Angeles di Brittany, al
ritorno dalle quali lei gliene parlava di continuo, adesso come adesso
Alvin avrebbe
anche potuto essere convinto che la persona in questione fosse sparita
dalla
circolazione, o ancora peggio, che fosse morta anch’essa.
Alla
fine si fece forza, bevé un altro sorso di caffè
per schiarirsi la
gola, strinse i pugni e finalmente glielo chiese.
«Lui
come sta?»
Simon
smise di mangiare
«Chi?»
Simon lo sapeva. Aveva intuito fin da subito che Alvin glielo
avrebbe chiesto, voleva solo scoprire se avrebbe avuto la forza di fare
il suo
nome.
«Non
prendiamoci in giro, Simon.» Gli rispose con voce seria.
La
felicità e il brio dell’essersi ritrovati si erano
improvvisamente
azzerati dopo che Alvin gli aveva posto quella domanda.
Simon
tirò una profonda boccata d’aria e
parlò.
«Fino
ad ora che cosa sai? Cosa ti ha raccontato Britt?»
«Mi
ha detto che vive ancora con Dave, che è deperito, che
è chiuso in
se stesso e che parla di rado con la gente... e anche che quando parla,
lo fa
con una voce spenta, come se fosse… »
«Senza
anima?» Lo interruppe Simon.
«Sì…
lei ha detto proprio così… ma
come…?»
«Come
lo so? Perché è stato Dave a definirlo
così… »
Dopo
quel breve scambio di parole, i due fratelli restatono in silenzio.
Continuarono a mangiare quel che restava del loro toast e finirono i
loro
caffè.
Fu
Simon a spezzare l’imbarazzante alone di silenzio che li
aveva
avvolti.
«Sai…
io ogni tanto ci provo a parlare con lui… Jeanette dice che
dovrei
rassegnarmi… che ormai è al punto di non ritorno,
però, non lo so… spero sempre
di riuscire a spronarlo ad andare avanti, come abbiamo fatto tutti noi.
Convincerlo a farsi una nuova vita, ricominciare. Ci sono periodi in
cui non ci
dormo la notte a pensare a come aiutarlo… cerca di capirmi
almeno tu, Al… tutti
l’hanno abbandonato… tutti si sono rassegnati con
lui, io… io non voglio!»
Alvin
ascoltava con attenzione, e non appena Simon ebbe terminato di
parlare, colse l’occasione per prendere lui la parola.
«Avete
mai pensato di provare a convincerlo a parlare con uno
psicologo?»
La
domanda irritò Simon.
«Alvin,
dovresti saperlo… ho anch’io una laurea in
psicologia! Fidati!
E’ tutto inutile… ho provato a parlarci, a
psicanalizzarlo, a persuaderlo, a
ipnotizzarlo… tutto quello che mi fosse passato per la
testa, ma niente! Non
c’è verso di farlo cambiare!» Si
fermò per riorganizzare le idee, il discorso
per lui era molto più difficile da trattare di quanto non
avrebbe voluto darlo
a vedere «da quando si è convinto di essere la
causa di tutto, non c’è più
stato verso di fargli accettare la realtà. Non fa altro che
guardare la Tv o
fissare le macchine che passano per strada e a tormentarsi per delle
colpe che
non ha!» Si fermò ancora una volta, mentre Alvin
lo ascoltava in silenzio,
cercando di comprendere le sue ragioni.
«Forse
Jeanette ha ragione…devo smettere di insistere.»
«E
allora perché non ti fermi? Insomma, non fraintendermi, non
sto
dicendo che sbagli, è solo che, insomma… se dici
che non c’è modo di farlo
ragionare, perché non accetti semplicemente la
realtà e ti rassegni?»
Simon
ci pensò per un po’. Voleva dargli una buona
risposta, qualcosa che
lo giustificasse. Non solo Jeanette, ma anche Dave e Britt continuavano
a
ripetergli di rinunciare. Si augurava che almeno suo fratello Alvin,
sangue del
suo sangue, lo comprendesse e approvasse la sua ostinazione, ma se
anche lui
gli diceva di rinunciare, forse doveva dar loro retta.
Alvin
capì il disagio e il malessere del fratello.
«Sai,
io non sono stato poi il fratello migliore del mondo,
tant’è vero
che me ne sono andato lavandomene le mani per anni e lasciando te e
Jeanette da
soli… però… bhe, immagino che se io e
Britt dovremo alloggiare alcuni giorni da
Dave, avrò anche modo di vederlo…quindi
forse… magari vedendo anche me le cose
con lui miglioreranno… lo so che è
un’ipotesi stupida, ma… tanto vale cercare
di scoprirlo, no?»
Simon
sbuffò. Non sapeva cosa pensare. Forse Alvin aveva ragione.
Ora
che la famiglia avrebbe finalmente potuto riunirsi, forse la cosa
avrebbe
aiutato quella persona a riprendersi. Sarebbe stato sufficiente che si
aprisse
un po’ con loro. Anche questo sarebbe stato un trionfale
successo, ora come
ora.
«Sperò
che tu abbia ragione, Al.»
2.3:
Finirono
i rimasugli del loro pranzo, dopo di che si diressero verso il
bancone del Bar per pagare.
Simon
frugò nelle sue tasche alla ricerca di qualcosa, ma Alvin
gli
poggiò una mano sulla spalla e lo fermò.
«Lascia
stare, pago io.»
«No,
dai. Non ce bisogno… »
«Invece
sì, insisto!»
Simon
si fece da parte e lasciò il posto ad Alvin. Questi estrasse
dalla
tasca destra dei suoi jeans taglia chipmunk un piccolo oggetto
rettangolare di
due centimetri di lunghezza per uno di spessore. Era la sua Idkey.
Le
Idkey sono un particolare tipo di chiavi elettroniche inventate nel
2021 e divenute obbligatorie per legge in ogni angolo del mondo. Sono
apparecchi simili alle vecchie USB che vengono rilasciati a tutti i
cittadini
al compimento del loro quattordicesimo anno di età e nel
quale, come una carta
d’identità, sono contenuti e registrati tutti i
dati identificativi del
proprietario. Ne esistono di varie forme e dimensione e
dall’anno 2023, anno in
cui il denaro virtuale era divenuto l’unica forma di valuta
universale, svolgono
anche la funzione di “portafoglio”.
L’invenzione
delle Idkey e il successivo obbligo di renderle
obbligatorie a ogni singolo cittadino finirono per spaccare in due
parti ben distinte
l’opinione pubblica dei cittadini. Da una parte ci fu chi
sosteneva che il loro
uso rappresentava una grave violazione della privacy dalla persona, dal
momento
che qualunque tipo di transazione eseguita con esse veniva prontamente
registrata e salvata nei database statali per essere consultabile a
piacimento
da chiunque avesse potuto avere accesso a quegli archivi, ma
dall’altra, era
anche vero che esse rappresentavano la forma di denaro più
sicura che sia mai
apparsa sulla terra.
Tra
le altre cose, oltre alla registrazione dei propri dati personali e
del proprio denaro, nella memoria dell’Idkey venivano
registrati anche
l’impronta digitale e lo stesso DNA del loro proprietario, in
questo modo, se
si desiderava essere gli unici ad attingere dalle finanze archiviate al
loro
interno, grazie a questa funzione si poteva essere certi che in caso di
furto o
smarrimento nessun altro avrebbe potuto farne uso. Come se
ciò non bastasse, in
caso di perdita della Idkey, il suo possessore non doveva fare altro
che
rivolgersi a un servizio gratuito telefonico o on-line e richiedere la
consegna
di una nuova chiave. Dopo aver proceduto a una serie di rapidi
controlli di
autenticazione, la Idkey smarrita veniva prontamente disattivata dal
servizio e
tutti i dati contenuti in essa trasferiti in una seconda copia che
sarebbe
stata consegnata al richiedente nel giro di poche ore.
A
parte questo, comunque, le Idkey sono state una vera rivoluzione non
solo per gli esseri umani, ma anche per Alvin, Simon e le loro
rispettive
compagne, poiché con essi avevano finalmente la
possibilità di trasportare con
sé grosse somme di denaro senza temere furti o perdite di
qualunque tipo,
inoltre, data la possibilità di personalizzarne la forma e
la dimensione, erano
riusciti anche a farsene consegnare alcune abbastanza piccole da
permettere
loro di portarsele dovunque volessero.
Dunque
Alvin, dopo aver consegnato la propria Idkey alla donna che stava
alla cassa del Bar, aspettò che questa completasse la
transizione della loro
consumazione inserendola nell’apposito lettore, e quando gli
fu riconsegnata
saltò giù dal bancone con Simon e uscirono dal
locale, salutando cameriere e
baristi con dei cordiali arrivederci.
«Quindi
adesso? Cosa facciamo?» Chiese Alvin.
Simon
fece spallucce.
«Per
oggi non ho più lezione, quindi farò un salto
anch’io da Dave. Qui
vicino c’è una stazione degli autobus, tra
mezz’ora dovrebbe esserci una
navetta che ci porterebbe praticamente davanti al suo giardino, quindi
opto per
quella.»
Alvin
era restio.
«Non
sono proprio un amante degli autobus, se devo essere sincero.»
«Sì,
però i taxi costano… »
Alvin
sbuffò.
«Uff…
d’accordo. Andremo in autobus. Infondo sono io il turista,
devo
anche sapermi adattare un po’.»
Simon
ridacchiò ancora. Non era proprio abituato a un Alvin che
sottostava alle condizioni. Pensò che probabilmente tutto
ciò fosse dovuto al
fatto che stava per diventare anche lui papà, e che stesse
finalmente capendo
l’importanza di maturare e responsabilizzarsi. O forse no,
forse erano stati
solo gli anni a cambiarlo. Non ci aveva mai fatto caso nel corso delle
loro
video chat, quindi non seppe darsi una risposta.
I
due fratelli si diressero a piedi alla stazione e una volta giunti fin
lì, aspettando l’arrivo della navetta che li
avrebbe portati da Dave, ad Alvin
fu chiesto in almeno tre occasioni di firmare qualche autografo alla
gente di
passaggio. Lui accontentò tutti, seppur non con lo stesso
entusiasmo di una
volta.
La
navetta arrivò alla fermata in orario e lì i due
fratelli chipmunk
salirono a bordo.
Durante
il viaggio altre due persone chiesero l’autografo di Alvin
Seville, e anch’esse furono accontentate con poco brio del
talent scout.
Arrivati
a destinazione, premettero il pulsante d’avviso di fermata
per
l’autista e quando il mezzo si fu arrestato, si diressero da
questo per pagare
il pedaggio con la Idkey. Questa volta si divisero le spese e ognuno
pagò il
proprio.
Quando
scesero, come diceva Simon, si trovarono effettivamente a due
passi dalla casa di Dave.
Alvin
si avviò subito per il marciapiede, mentre Simon
restò indietro,
pensieroso per l’atteggiamento che aveva manifestato Alvin
all’interno del
mezzo pubblico.
«Sai, pensavo che tu non volessi viaggiare in autobus per un tuo capriccio… » cominciò a parlare. Alvin si fermò e si voltò verso il fratello.
«…
ma in realtà lo fai per gli autografi che la gente ti
chiede, non è
così?»
Alvin
lo guardò in silenzio e annuì senza proferir
parola, con
un’espressione triste sul volto.
«Non
capisco, Al… »
Alvin
Sospirò.
«Il
fatto è che… mi fa tornare in mente i tempi in
cui… insomma… quando
eravamo i “Chipmunks”… “Alvin
e i Chipmunks”… capisci?»
Già,
Simon capiva eccome. Avevano cercato di dimenticare il passato. I
Chipmunks e le Chipettes così come i loro fan, ma qualcuno
ancora non si
rassegnava, qualcuno voleva ancora l’autografo di un
ex-membro di quella band
dei primi anni 2000, oppure desiderava poter dire ai propri conoscenti
di aver
incontrato per strada il famoso talent scout Alvin Seville.
Anche
a Simon e Jeanette capitava ancora di rilasciare qualche
autografo, non con la stessa frequenza di Alvin, ma per lo meno non
erano stati
trascurati dal resto del mondo.
«Dai,
andiamo.» Disse in conclusione Alvin.
Simon
riprese la marcia al suo fianco.
Mentre
percorrevano il giardino, il talent scout notava che nonostante i
dieci anni trascorsi, la casa di Dave era rimasta esattamente come se
l’era
sempre ricordata, con quel prato perfettamente curato e quelle aiuole
nelle
quali crescevano fiori di ogni tipo. Qualcosa tutto sommato era rimasto
uguale,
pensò tra se e se.
Salirono
i tre gradini che precedevano il portico della casa e bussarono
alla porta.
Da
dentro casa sentirono la voce di Dave rispondere e quando
aprì la
porta e li fece entrare, li accolse entrambi con un «Ben
arrivati!» entusiasta.
Dopo
i saluti, i tre si scambiarono qualche breve chiacchiera sul
corridoio e a quel punto Alvin gli fece la fatidica domanda
«Dave, lui dov’è?»
L’entusiasmo
dell’uomo si spense d’improvviso e sul suo volto si
stampò
un’espressione seriosa.
«E’
di là, in sala da pranzo. Abbiamo appena finito di
mangiare.»
Alvin
guardò Simon negli occhi per una manciata di secondi, poi
insieme,
tutti e tre si diressero nella stanza.
Alvin
avanzava davanti a tutti, andando di fretta, mentre alle sue
spalle, con passi più lenti e incerti, si muovevano
affiancati suo fratello e
suo padre.
Quando
entrarono, Alvin lo vide subito. Se ne stava seduto in angolo del
tavolo da pranzo e fissava in silenzio la finestra.
Quando
li vide entrare, si voltò lentamente verso di loro e
iniziò a fissarli.
Alvin
si schiarì la gola e ingoiò la saliva, prese una
lunga boccata
d’aria e lo salutò.
«Ehm,
ciao…Theo.»