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Autore: Francisco    23/09/2012    1 recensioni
Scatto in piedi e mi guardo attorno confuso, ma nessuno sta guardando verso di me. Leggo l’orrore nei loro sguardi ma sembrano tutti più interessati a qualcosa che sta ai miei piedi, e guardo giù.
Merda.
Sono io, sdraiato per terra con faccia e maglietta insanguinate e gli occhi chiusi. Lo zaino è volato poco più in là.
Solo allora sento l’ambulanza che sta arrivando...
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questo tetto mi è sempre piaciuto. è quello del condominio dove vivo adesso, ci salivo spesso anche prima di tutto questo. Mi rilassa l’idea di avere un po’ di tempo per me stesso, da solo, a pensare ai fatti miei e cercare di risolvere i problemi della mia vita. Dal giorno dell’incidente la ricerca della solitudine non è più tra questi problemi, tanto nessuno può vedermi o sentirmi.
è passata solo qualche ora da quella fatidica mattinata, il momento più traumatico e assurdo della mia vita.
Avevo gli occhi sbarrati e non riuscivo a credere a quello che vedevo, beh credo che chiunque reagirebbe così a vedere in terza persona sé stesso sdraiato per terra moribondo e coperto di sangue. Ammetto che ho provato più volte a svegliarmi, convinto che fosse solo un brutto sogno, ma ogni volta che riaprivo gli occhi il mio corpo giaceva ancora lì in mezzo alla strada.

“Devo accettare la realtà”, ho pensato. “Sono morto, e non rivedrò più tutti i miei amici, i miei genitori, Lidia...” Gli occhi mi si riempirono di lacrime e sentii un grosso nodo in gola.
Dovevo fare un tentativo, che avevo da perdere?
Cominciai a correre, lasciando dietro di me un grande cerchio di curiosi atterriti che con lo sguardo seguivano il mio corpo che veniva portato in barella nell’ambulanza. Ero diretto verso la stazione, dove speravo di trovare il modo più veloce per arrivare dove vivono i miei. In treno dovrebbero essere poco più di venti minuti. Non so cosa speravo. Non so cosa pensavo sarebbe successo, e non ho neanche avuto tempo di rendermi conto della situazione. Avevo solo notato che nessuno mi vedeva mentre ero in piedi vicino al mio corpo ma non avevo intenzione di perdere tempo per capire meglio cosa mi fosse successo, volevo solo essere da qualche altra parte. Volevo andare da lei.

Lidia è la mia vicina di casa. O almeno lo era, prima che mi prendessi un appartamento qui. L’ho fatto per via del liceo, in questo modo ci posso arrivare in poco tempo… Il liceo. Avevo quasi dimenticato cosa fosse successo fino a dieci minuti prima. I preparativi frettolosi, la corsa contro il tempo, e poi… Scrollai la testa, come se potesse aiutare a scacciare via i miei pensieri. Stavo ancora correndo e ormai vedevo la stazione. Mi infilai rapidamente dentro, e poi giù per le scale,per poi imboccare un’altra rampa di scale per salire al binario diretto alla mia città. Non avevo neanche il fiato corto ma non me ne accorsi, perché quando sbucai dal tunnel vidi le porte del treno appena arrivato che già si chiudevano.
In qualunque altra situazione mi sarei semplicemente seduto e avrei aspettato il treno successivo, che di solito arrivava tra i trenta e i quaranta minuti dopo l’arrivo di quello precedente, ma non potevo aspettare così tanto. Feci un ultimo scatto verso il treno e mi avventai su una porta, la più vicina, ormai chiusa. Cominciai a prenderla a manate urlando, sperando che qualcuno si accorgesse di me, ma nessuno si voltò e il treno stava già partendo. Ero arrabbiato, arrabbiato con la sorte, che dal primo istante di quella mattina mi aveva giocato uno scherzo dietro l’altro, ero triste, perché sapevo che la mia vita non sarebbe più stata la stessa, ed ero terrorizzato all’idea di restare da solo, ad aspettare il treno successivo, in compagnia solo del turbinio di pensieri che c’era nella mia mente, la cui unica cura era il sorriso di Lidia.
Il treno accelerava.
Colto da questo enorme miscuglio di emozioni presi la rincorsa e mi lanciai con rabbia verso la porta, forse per protesta, come quando senza quasi pensarci prendi a pugni la prima cosa che ti capita a tiro per il semplice motivo che devi sfogare tutta la rabbia che ti porti dentro. Il turbinio di pensieri non cessava e stavo correndo contro il treno per poi scagliarmici contro con una spallata. La mia mente era pervasa dalla rabbia e dalla paura, e mi stupii di non aver sentito l’impatto con la portiera. Ero dentro, come avevo fatto non lo sapevo, ero nel treno, sdraiato per terra con la porta ancora chiusa e la stazione che accelerava fuori dai finestrini. Tutto quello che avevo dentro scomparve, e nella mia mente era rimasta solo una cosa, come una fotografia: il meraviglioso sorriso di Lidia, il rimedio a tutti i miei dolori. Sorrisi, senza neanche chiedermi come avessi fatto a finire nel treno, mi alzai in piedi e aspettai di arrivare nella città dove ero nato.

Il treno si era fermato e io uscii per primo e ricominciai a correre. Girai a destra, poi a sinistra, di nuovo a destra, correvo, pieno di speranze e senza mai smettere di pensare a lei, e finalmente ero davanti a casa sua.
Guardai nella finestra della sua camera e sorrisi di nuovo: era ancora più bella di quanto ricordassi, e stava ridendo. Parlava al telefono e rideva. Fortunatamente la scuola per lei sarebbe iniziata l’indomani, quindi oggi era ancora a casa. Volli avvicinarmi di più per sentire la sua voce, la sua risata. Avevo già un’idea di come ero passato dalla porta chiusa del treno, d’altronde dopo che mi ero alzato dal mio cadavere quella mattina nulla mi sembrava più impossibile.
Mi avvicinai alla sua porta e la sfiorai con la mano. Poi spinsi più forte ma non funzionò. Posi entrambe le mani e spinsi in avanti con le gambe. Niente.
Allora presi un respiro e chiusi gli occhi. Mi concentrai sui sentimenti che stavo sentendo la prima volta: rabbia e paura. Mi resi conto che pur essendo così vicino non sarei potuto andare da lei e vederla da vicino dopo tutto questo tempo. Una sorta di angoscia mi pervase, e poi sentii come una spinta, una nuova energia dentro di me. Una consapevolezza mi invase la mente: “posso farcela. DEVO farcela!”, e improvvisamente smisi di sentire la porta. Le mie mani fecero uno scatto in avanti come se fosse scomparsa. Riaprii gli occhi e vidi le mie braccia che affondavano nel legno.
Ce l’avevo fatta.
Feci un passo avanti, attraversai la porta completamente ed entrai nell’ingresso.
Conoscevo Lidia da quando ero piccolissimo e c’è sempre stato un legame particolare tra noi, o almeno è quello che pensavo io. Non siamo mai stati insieme, anche se mi sarebbe piaciuto molto. Aspettavo che anche lei iniziasse a provare qualcosa per me, era circa un anno che avevo capito cosa sentivo davvero nei suoi confronti. Era nella mia scuola fino al quarto anno di superiori, ma sono stato bocciato e i miei mi hanno messo in un’altra scuola e sono riuscito a convincerli a farmi vivere là. I miei sono molto permissivi e hanno accettato dato che ero già abbastanza maturo per vivere a più o meno di mezz’ora di distanza da casa loro. Così per un anno sono vissuto lì, mi sono fatto dei nuovi amici e ho superato il quarto anno, ma solo durante quel periodo ho capito quanto mi mancasse, quanto avessi bisogno di vederla, e la cosa è degenerata. Cercavo di vederla il più possibile, ma quando ricordavo che lei non provava lo stesso sentivo sempre un vuoto nel cuore. Poi finita la scuola abbiamo smesso di vederci. Per tutta l’estate quando lei era qui io ero altrove, e quando ero tornato lei era già partita. Era la prima volta da mesi che la vedevo, anche se ci siamo sentiti molto, ma di certo non è la stessa cosa.

Salii le scale e arrivai alla porta di camera sua. Era chiusa e provai ad abbassare la maniglia ma non si muoveva, cioè la sentivo, la stavo toccando e spingevo con tutte le mie forze ma non si abbassava neanche di un millimetro. Poi pensai che ad ogni modo non sarebbe stato il massimo per lei sentire la porta che si apriva da sola dietro di lei, quindi optai per il piano B e attraversai anche quella.
Ero dentro, e lei era lì, col suo sorriso meraviglioso. Stava ancora parlando al telefono e ogni tanto rideva. Sentii l’ultima parte della discussione: “Sì, certo che sono libera… Sì alle cinque va bene, è fantastico! Non vedo l’ora di vederti. Ti amo”.
Sorrise e mise giù, mentre la mia anima cadeva a pezzi. “Ti amo”… Se mi avesse puntato una pistola sul cuore e avesse sparato sarebbe stato meno doloroso. Mi appoggiai sulla porta e scivolai a sedermi per terra, mentre tutto il mio mondo diventava grigio e freddo.

Scrollo la testa, come se potesse aiutare a scacciare via i pensieri. Riprendo contatto col presente. Sono seduto sul bordo del tetto, e guardo la strada diversi metri sotto di me.
Voglio provare qualcosa, qualsiasi cosa, pur di mandare via quella tristezza.
Mi alzo in piedi e apro le braccia. Chiudo gli occhi...

Salto.
  
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