Buongiorno a tutti! =)
Sono finalmente tornata, risorta dalle
ceneri in cui il lavoro ha ridotto il mio povero cadavere. Seriamente, scusate per il ritardo, ma la
vita corre e il mio culo pesa troppo per starle dietro. XD
I’M SO SORRY!
Comunque, ora sono qui, con questo capitolo
super- angst e super pieno di informazioni, tutto per voi. È stato un parto
scriverlo, un travaglio lungo ben 15 pagine.
Finalmente, abbiamo un po’ di interazione
Kurtbastian (poca, però) e un sacco di risposte (YAY!)
Per l’ennesima volta, prima di lasciarvi
alla lettura, voglio ringraziarvi.
Ogni lettore, ogni persona che ha messo
questo delirio nelle preferite, nelle seguite o nelle ricordate mi ha regalato
un sorriso. Veramente, GRAZIE!
Un grazie speciale va a chi mi ha scritto,
facendomi sapere cosa ne pensava e rendendomi partecipe di idee, emozioni, etc.
Un cupcake (la mia nuova specialità culinaria) virtuale a: Ily91, Madez, Cup of
tea, Love Mojito, Aurinella e Tallutina. <3
Vi lascio alla lettura.
Baci, Elle.
I should tell you
Capitolo sesto:
“It’s always dark before the dawn”
[…] Prima che
nessuno avesse tempo di rispondere, però, la vibrazione del cellulare di Kurt
lo distrasse, segnalandogli l’arrivo di un messaggio. Aspettando dal pomeriggio
due risposte, entrambe importanti, Kurt prese il telefono, lo sbloccò e lesse:
Da Blaine_Warbler:
Sono d’accordo con te. Dobbiamo parlare, e anche
urgentemente. […]
“Kurt? Kurt?! Kurt!” la dolce voce di Lizzie risvegliò Kurt, caduto in uno stato
catatonico. Non sentiva più le voci di Santana e Sebastian discutere, né la
flebile voce di Lizzie che cercava di zittirli. Non si era accorto che nel
frattempo era stato spinto dentro casa, insieme ai suoi ospiti, e quindi tutti
e quattro si erano ritrovati nel salotto di casa Hummel – Lopez, un silenzio
imbarazzato che li abbracciava. Non percepiva tre paia di occhi, occhi che lo
scrutavano con apprensione, puntati tutti su di lui. L’unica cosa che Kurt
riusciva a sentire, a provare
persino, come se si stessero muovendo sulla sua stessa pelle, erano i dubbi che
lo tormentavano. Cosa voleva dire Blaine? Perché se dovevano parlare
urgentemente, non l’aveva già cercato? E soprattutto, “dobbiamo parlare” non era la frase che usavano nei film per
iniziare una scena drammatica, durante la quale l’eroe, o più spesso l’eroina,
finiva per perdere il suo grande amore?
“Kurt?” Santana sembrava preoccupata,
l’espressione del volto accigliata e il tono di voce premuroso. “È di nuovo per
Rachel?” Kurt, dopo che la coinquilina aveva preteso di sapere perché non
vedesse più la sua cosiddetta migliore amica, le aveva raccontato a grandi
linee, senza scendere nei dettagli, cos’era successo con Rachel. Santana sapeva
quanto ci fosse rimasto male Kurt, quanto avesse sofferto, e come la questione
fosse ancora una ferita aperta. Aveva anche proposto di andare a dirgliene
quattro, in onore dei tempi d’oro in cui si tiravano i capelli e affilavano le
unghie per un assolo al Glee Club.
Kurt scosse il capo. “No,” sembrò
pensarci, e aggiunse: “Anche, ma non adesso.” La risposta confuse terribilmente
sia Santana che Sebastian, ancora spettatore muto di un’enigmatica scena.
Lizzie, l’unica al corrente
dell’intera situazione, domandò: “Ti ha risposto Blaine?”
Kurt si limitò ad annuire, passandole
il suo cellulare. Lizzie lesse il testo del messaggio e, impulsivamente, si
mosse verso Kurt, avvolgendolo in un abbraccio. La sua presa era forte e
decisa, ma allo stesso tempo delicata, leggera e calorosa. Era esattamente ciò
di cui Kurt aveva bisogno in quel momento; lui non ricambiò l’abbraccio, ma
lasciò poggiare il volto sulla spalla dell’amica, rilassandosi.
“Ok, sono confusa,” Santana non
sembrava arrabbiata, o sprezzante, o arrogante, emozioni che spesso ne
caratterizzavano il tono di voce; sembrava semplicemente curiosa, e forse anche
preoccupata. “Cosa c’entra Blaine? E Rachel? Che significa ‘non adesso’? E soprattutto, perché
Smythe e-“ si fermò un attimo, scrutando Lizzie con uno sguardo penetrante. “Perché
ci siamo ritrovati la versione criminale di Alvin Superstar e Heidi in casa?”
Kurt sbuffò, mentre, ascoltando i
buffi soprannomi dell’amica, sorrise forzatamente. “Heidi? Sei seria, Santana?”
Santana incrociò le braccia al petto,
come faceva sempre quando si sentiva attaccata, o giudicata. “Certo, dico,
l’hai vista?” disse, indicando senza vergogna Elizabeth.
Lizzie rise, tranquillizzando Kurt.
“Non ti preoccupare, ho sentito di peggio. Oltretutto, se devo essere sincera,
un po’ mi piace; fa quasi tenerezza.
Comunque – “ aggiunse, voltandosi verso Sebastian e Santana. “Piacere, sono
Elizabeth. Studio alla Parsons con Kurt e sono, anzi – ero, qui per festeggiare una grande vittoria accademica. A questo
punto, però, temo che dovremo rimandare il tutto.”
Lizzie tese la mano verso i due, che
si limitarono a fissarla. Sebastian annuì in maniera appena percettibile nella
sua direzione, Santana, invece, la squadrò da capo a piedi, un sopracciglio
sollevato e lo sguardo duro ed intenso. Per la seconda volta durante quella
giornata, Lizzie si sentì nuda, completamente vulnerabile di fronte al giudizio
di un’altra persona. Ancora una volta, un paio di occhi incisivi ed espressivi
l’avevano inchiodata sul posto, costringendola ad abbassare arrendevolmente il
capo.
“Carina la presentazione,” commentò
sarcastica la latina. “Spiega ancora poco, però.”
Kurt, conoscendo fin troppo bene Santana
e la sua infinita pazienza, decise di
intromettersi, prima che l’amica iniziasse ad urlare qualche oscenità contro la
povera Lizzie. “Oggi M.me Dubois avrebbe scelto un collaboratore per la
creazione di ciò che sarà sulla copertina di Vogue di Dicembre. Ci aveva
chiesto di presentare dei bozzetti, alcuni nostri, originali, altri solo di
modifica di abiti già esistenti. Diciamo che, siccome sia io che Lizzie siamo
due geni artistici –“ Kurt si scambiò un sorriso complice con Elizabeth, che
sorrise radiosa e gli fece l’occhiolino; Santana, invece, fece ruotare gli
occhi, mentre Sebastian sbuffò. “È inutile che ci prendiate in giro, Bonnie and
Clyde, io ed Elizabeth aiuteremo la nostra professoressa nel creare l’ultima
copertina di quest’anno di Vogue!”
“In che senso tu ed Elizabeth? Non
doveva essere uno studente solo?” chiese Santana.
“Vero.
“È stata una scena epica –“ si
intromise Lizzie, la cui voce faceva palesemente trasparire l’eccitazione che
provava nel raccontare quell’avventura. “Sembrava quasi un film.
“Tzè,” la interruppe Kurt. “Dopo
essere stato la carta vincente sia del Coach Tanaka che della Sylvester,
lavorando a stretto contatto per mesi
con quest’ultima – bè, diciamo che
ormai non ho più paura di nulla. Ho avuto più di un faccia a faccia con la morte,
e dopo la nostra chiacchierata della mattina, mi sentivo molto audace e
coraggioso, quindi…”
“Comunque,” riprese la ragazza. “
“ – mais je crois que les idées les plus
brillantes doivent être partagées.’ “ *continuò Kurt con un impeccabile accento francese.
“Grazie per la collaborazione, Kurt,
non sarei mai stata capace di ripetere quella frase.”
Kurt sorrise, facendo cenno a Lizzie
di continuare. “La professoressa continua a fissarlo, impassibile, poi scoppia
a ridere e scuotendo la testa ci dice che ci saremmo visti lunedì; ha raccolto
le sue cose e se n’è andata. Vista la grande occasione, - perché lavorare con un tuo amico per creare
qualcosa che finirà su Vogue non credo sia evento di tutti i giorni - volevamo
festeggiare. Kurt aveva proposto di tornare qui ed invitare anche te, Santana,
alla nostra serata di follie. A quanto pare, però, dovremo rimandare.” Lizzie
concluse il suo racconto con un’occhiata preoccupata in direzione di Kurt, che
sembrava essersi di nuovo abbandonato a pensieri poco piacevoli.
Sebastian era completamente
scioccato. Non sapeva assolutamente chi fosse questo Coach Taniko – Tanake, o quel
che era, ma conosceva benissimo Sue Sylvester. In effetti, l’anno precedente,
aveva seguito tutte le sere ‘L’angolo di
Sue’. Aveva scoperto il programma per caso; un pomeriggio, mentre aspettava
che arrivassero le otto, così che potesse finalmente abbandonare
“Ok,” disse Santana, annuendo.
“Questo spiega la presenza di Heidi in casa nostra, ma non quella di Smythe.
Oltretutto non mi hai ancora detto nulla né di questo fantomatico messaggio di
Blaine, né di cos’ha combinato questa volta Rachel.”
Kurt sospirò, abbandonando la sua
posizione in piedi accanto a Lizzie, per lasciarsi cadere sul divano. Accavallò
le gambe e vi poggiò sopra le mani che, dall’agitazione, stavano torturando i
bottoni del suo gilet. “Credo che inizierò spiegando cosa c’entra Rachel. È la
storia più breve, e probabilmente, la meno –“ si fermò, in cerca della parola
giusta per definire i propri sentimenti nei confronti degli eventi della
giornata. “La meno dolorosa, direi.”
Anche gli altri si mossero. Santana
si accomodò su un piccolo pouf ai piedi del divano; Lizzie si acciambellò per
terra ai piedi di Kurt, mentre Sebastian si sedette elegantemente all’altro
lato del divano.
“Stamattina, dopo il mio incontro con
Sebastian, Rachel mi ha mandato un messaggio.”
“Incontro del quale voglio ogni
singolo dettaglio.” Sibilò Santana.
“Certo che sì,” rispose Kurt, alzando
gli occhi al cielo. “Comunque, Rachel mi ha scritto, invitandomi alla serata di
apertura della NYADA.”
“Quella stronza!” urlò Santana.
“Ancora non ha capito che, solo perché è entrata in quella scuola per damerini,
non significa che sia meglio di noi? Dopo quello che ti ha detto, si azzarda
persino ad invitarti alla sua fottutissima serata? Serata durante la quale, per
l’ennesima volta, dovresti assistere al Rachel Berry’s ego show? Per citare
Mercedes: Hell to the no!”
“Quando ho letto il messaggio mi son
tornati in mente tutti questi ricordi pessimi.” Continuò Kurt. “Ho provato una
terribile nostalgia per casa, e soprattutto per le persone che vi ho lasciato.
Comunque, all’inizio anch’io pensavo di non andarci, ma poi Lizzie mi ha
convinto del contrario. Devo provare il mio punto, devo dimostrarle quanto
valgo. Deve capire che cammino ancora a testa alta, che sono ancora orgoglioso
di me stesso, checché se ne dica. Abbiamo così deciso che ci andremo insieme:
io, Lizzie e te, mia cara Satana. Lizzie sarà la mia spalla su cui piangere e
tu sarai una specie di - body guard?
Insomma, se mai Rachel dicesse o facesse qualcosa di offensivo, tu
interverresti per salvare il mio onore. E per divertirti un po’ con i resti del
corpo di Rachel, dopo che sarai andata tutta Lima Heights contro il suo
sedere.”
Santana sembrò ponderare per un
attimo la sua decisione, prima di sorridere furbescamente. “Oh, mi piace il
piano di Heidi. Sarà proprio come ai tempi del liceo, prima che la Berry mi
convincesse a mettere una sua foto nel mio armadietto, -“
“Hai messo una foto della Berry nel
tuo armadietto?” la interruppe Sebastian con una mezza risata.
Santana lo fulminò con lo sguardo.
“Si, probabilmente avevo una specie di virus quella settimana, qualcosa che ha
alterato la mia funzionalità cerebrale. Comunque, ci sto. Sono prontissima a
fare a pezzi Rachel.” Specie se è per
difendere te, Kurt - aggiunse solo per se stessa. “Adesso, però, voglio
sapere cosa ha fatto Blaine,” non aveva assolutamente un buon presentimento
riguardo quella faccenda.
Kurt rimase per un attimo in
silenzio, fissando un punto indefinito di fronte a sé, poi, prendendo coraggio,
iniziò. “Per farla breve, stamattina ho incontrato – o meglio, mi sono
scontrato – con Sebastian, rovesciandogli addosso il mio caffè.”
“E questo spiega la camicia.” Annuì
Santana.
“Esatto,” confermò Kurt. “Mi ha detto
che Blaine ha partecipato ad una cena degli Usignoli senza di me. Cena che mi
aveva detto essere una partita di baseball,”
Questo spiega l’uscita melodrammatica di questa mattina. Perché
Anderson ha mentito? Sebastian
era smarrito. Non sapeva molto di relazioni stabili, o fedeltà, ma persino lui
sapeva che l’onestà era alla base di un rapporto. E sicuramente il rapporto di
Kurt e Blaine sembrava speciale; anche il cinico Sebastian Smythe una volta
l’aveva definito quasi idilliaco.
Kurt sospirò. “Blaine ultimamente è
distante. Sin dall’intera faccenda di Chandler so che aveva problemi col mio
trasferimento a New York. Problemi che credevo risolti, invece…” abbassò il
capo, scuotendolo. Quando lo rialzò, una lacrima gli stava rigando la guancia e
i suoi occhi erano pieni di dubbio e dolore. Lizzie, dalla sua posizione seduta
ai suoi piedi, allungò un braccio e prese la mano di Kurt, stringendola forte.
In quel momento, durante l’ennesimo sfogo della giornata, non gli importava di
piangere di fronte a Santana e a Sebastian, tra tutte le persone, non gli
importava di mostrarsi vulnerabile. Sicuramente se ne sarebbe pentito poi, ma
in quel preciso istante, aveva bisogno di lasciarsi andare e mostrare tutte le
sue debolezze, mostrare le sue incertezze. “Invece è un po’ che andiamo avanti
a stento, che ci parliamo poco, che lo sento distante. Ha sempre impegni che
non gli permettono di sentirci. Sapevo fossero scuse, oltretutto persino
deboli, ma ora ne ho avuto la conferma.”
Santana si alzò dal suo pouf, e prese
a marciare sul posto. Era terribilmente combattuta: doveva condividere l’ultimo
pezzetto del puzzle, l’informazione che a Kurt mancava? Doveva dirgli ciò che
aveva visto Brittany, o era meglio se a parlargliene fosse stato direttamente
Blaine? Ormai la latina non aveva più dubbi sul fatto che Anderson avesse
mentito a Tina, e questa di conseguenza a Brittany, ma perché? E soprattutto,
cosa doveva fare lei adesso?
“Santana?” Kurt la chiamò con tono
incerto. Non sapendo dei suoi dubbi interiori, credeva fosse la rabbia e la
voglia di vendetta che la caratterizzavano solitamente a farla marciare come un
cadetto per i due metri di spazio che aveva a disposizione.
“Kurt,” iniziò la ragazza con tono
apologetico. “Devo dirti una cosa.” Santana si risedette, e abbracciò se
stessa, mentre continuava. “Stamattina ho sentito Britney. Mi ha detto di aver
visto Blaine con un altro Uccellino, uccellino che era anche un delfino.
Pensavo fosse uno dei suoi soliti deliri, ma abbiamo comunque mandato Tina ed
Artie ad indagare. Stasera, quando l’ho risentita, mi ha detto che Tina, dopo
aver parlato con Blaine, l’ha consolata, dicendole di non preoccuparsi per te.
A questo punto, però…”
Kurt sgranò gli occhi, e si portò una
mano davanti alla bocca. Era veramente sul punto di crollare di fronte alla sua
nemesi, a un’amica nuova di zecca e alla terribile cheerleader che l’aveva
tormentato per anni.
Sebastian e Lizzie, invece, erano
confusi: Delfini e Uccellini? “Scusate,”
iniziò Sebastian. “Qualcuno mi può tradurre l’ultima parte del discorso di
Satana?”
Santana si voltò verso di lui, lo
sguardo arcigno. “Gli Uccellini siete voi, gli Usignoli. I Delfini sono i gay.”
Sebastian e Lizzie erano ancora più confusi dopo questa spiegazione, ma almeno
erano riusciti a capire il senso della frase, più o meno.
“Bene,” disse Kurt, alzandosi dal divano. Non poteva aspettare un
minuto di più, non voleva aspettare un minuto di più, specie se si trattava di
un minuto passato a piangersi addosso. “Direi che dopo questo bel riassunto
della mia vita privata, è il caso che parli con il diretto interessato. Vado in
cucina e chiamo Blaine. Voi fate pure come foste a casa vostra.” Senza
aggiungere nulla più, si diresse verso l’altra stanza e chiuse la porta della
cucina alle sue spalle, lasciando gli altri tre, più confusi e in imbarazzo che
mai, da soli in salotto.
____________________________________________________
Kurt si appoggiò alla porta della cucina, e lasciandosi scivolare
contro essa, si sedette a terra. Aveva bisogno di un appiglio, di sentirsi
stabile per un momento, un attimo solo. Doveva rimettersi a posto, riprendersi
e tornare il Kurt di sempre: forte, sostenuto e coraggioso. Aveva già abbassato
troppo la guardia; probabilmente perché ormai stanco, arrivato al punto di
rottura, ma non esisteva che affrontasse una discussione del genere in quello
stato. Si asciugò le guance con i polsini della camicia, delitto per il quale
si sarebbe punito poi. Prese dei respiri profondi, alzando gli occhi al
soffitto per evitare di versare altre lacrime. Dopo qualche minuto, o qualche giorno, nella cognizione del tempo
di Kurt, si alzò e prese un fazzoletto, soffiandosi il naso. Non c’era uno
specchio in cucina, e probabilmente era la cosa migliore: se si fosse
specchiato, Kurt pensava che gli sarebbe preso un infarto. Andò a recuperare il
portatile che Santana aveva lasciato in giro dopo aver parlato con Britney e
con questo si sedette al tavolo della cucina. Aprì Skype, collegandosi con il
suo account. Aveva pochi amici, i ragazzi del Glee, qualche Usignolo, – che,
dopo l’incidente della settimana di Michael, era stato prontamente bloccato –
il suo fratellastro, suo padre ed ovviamente Blaine. Comparse subito la
richiesta di videochiamata di Blaine; Kurt recuperò l’ultimo briciolo di
determinazione rimastagli, e l’accettò.
____________________________________________________
“Bene,” iniziò Santana. “Adesso, visto che sono la padrona di
casa, devo pure intrattenervi?”
Sebastian grugnì, e le rispose: “Te l’ho già detto, Lopez, non sei
il mio tipo.”
Lizzie ridacchiò di una risata che le morì sulle labbra, dopo aver
incrociato lo sguardo assassino di Santana. “Scusa,” disse flebilmente, poi si
schiarì la voce e continuò. “Così tu sei il famoso Smythe…” sorrise,
rivolgendosi a Sebastian. Questo la guardò stranito, come se avesse
improvvisamente cresciuto due teste. “Scusa, è che oggi Kurt mi ha raccontato
praticamente gli ultimi due anni della sua vita e, se posso permettermi, la tua
figura non è propriamente legata a bei ricordi. Mi chiedevo cosa ci facessi
qui, ecco tutto.”
Sebastian alzò gli occhi al cielo. “La camicia, Heidi, la
camicia.”
“Cazzate,” rispose Santana. “Hai sempre sbandierato la tua
agiatezza economica e i soldi di tuo padre ai quattro venti. Ti sei sempre
vantato di poter comprare tutto e tutti, e ora hai dei problemi a pagarti la
lavanderia per una sola camicia? Oltretutto, sei disposto a venire a casa mia e
di Kurt, tra tutte le persone, per fartela pulire?,” Santana rise, scuotendo la
testa. “Conosco i tipi come te, anzi come noi, qual è il tuo secondo fine?”
Sebastian sapeva che la scusa della camicia non avrebbe retto,
specie con due persone tanto scaltre e tanto caparbie come Kurt e Santana. Ci aveva
sperato, ma… Sospirando, iniziò. “È
vero, quella della camicia è una scusa. Stamattina, dopo che Hummel ha fatto la
sua uscita di scena, qualcosa non mi quadrava. Kurt non scappa, non si chiude
in se stesso e batte in ritirata. Io non lo conosco molto, ma mi ha sempre lanciato
tanta merda, quanta io gliene davo.” Sebastian non si accorse di sorridere in
quel momento, sorriso che invece non scappò né a Santana né a Lizzie. “Insomma,
dopo averlo visto fuggire, dubbioso, ho chiamato Nick e Jeff in cerca di
spiegazioni. Spiegazioni che non avevano, visto che alla loro stessa festa,
hanno preferito chiudersi in camera a scopare. Si sono preoccupati, ed anche
incuriositi, però, così mi hanno chiesto di venire ad indagare, mentre loro si
informavano sugli avvenimenti della cena con Wes e David.” Sebastian terminò e
alzò lo sguardo, solo per incontrare due paia di occhi che lo fissavano. Quelli
di Lizzie erano curiosi, quelli di Santana minacciosi.
“Farò finta di crederti, Smythe,” disse Santana. “Anche se non mi
piacete, ormai tu e Heidi, e anche i tuoi due amichetti gay, siete parte di
questo macello. Macello che mi aiuterete a risolvere.”
“Certo, Santana, siamo tutti qui a tua disposizione.” Ribattè
sarcasticamente Sebastian.
“No, siamo qui per Kurt.” Lo corresse Elizabeth, il tono di voce
gentile e paziente. “E, per quanto non approvi, se vogliamo aiutarlo, dobbiamo
sapere cosa sta succedendo in quella stanza. Santana,” iniziò, voltandosi verso
la latina. “C’è un modo per spiare senza essere visti?”
“Oh, piccola dolce Heidi, zia Snixx ci ha già pensato. Basta
mettersi dietro la porta; quest’appartamento è talmente pessimo che si sente
tutto. E fidatevi, dopo aver sentito ogni santa mattina Lady Gaga, lo so.”
“Ok, non vedremo, ma almeno riusciremo a sentire cosa si dicono.
Ho come un brutto presentimento.” Lizzie si alzò, e si avvicinò silenziosamente
alla porta. Gli altri due fecero lo stesso, provando internamente la stessa
brutta sensazione della ragazza.
____________________________________________________
“Ciao Kurt.” La dolce voce di Blaine
distrasse Kurt dai suoi pensieri, facendogli alzare lo sguardo, che subito
incontrò quello dell’altro.
Blaine stava sorridendo, genuinamente
e teneramente; il suo sorriso, però, non arrivava agli occhi. Normalmente, quando
Blaine sorrideva, o rideva, i suoi bellissimi occhi nocciola si illuminavano,
quasi brillavano, come animati da luce propria. Adesso, invece, erano spenti,
velati da una patina di amarezza e tristezza.
Si poteva dire tantissimo dagli occhi
di una persona. Fin da quando era piccolo, Elizabeth Hummel aveva insegnato al
figlio Kurt che le emozioni si possono mascherare dietro a gesti, dietro
espressioni false e obbligate, dietro parole recitate come da un copione
immaginario, ma gli occhi – l’espressività di uno sguardo non si controlla. Sua
madre gli aveva insegnato a leggere le persone attraverso i loro occhi, gli
aveva insegnato a capirle e a decifrarle senza ascoltare le loro vane parole. Per
quanto potesse essere convenzionale, banale o smielato, Kurt Hummel credeva
veramente che gli occhi fossero lo specchio dell’anima.
Kurt aveva fatto tesoro di ciò che
Elizabeth gli aveva confidato, ed era così che aveva sempre saputo riconoscere
chi avvicinare e chi allontanare. Lizzie, ad esempio, la conosceva da pochi
mesi, ma credeva di non sbagliare nel dire che poteva diventare la sua nuova
migliore amica. I suoi occhi color cioccolato erano profondi, intelligenti e
luccicavano di ingenuità e pura curiosità. Il suo sguardo raccontava di lei che
era una persona affettuosa, acuta e sempre in movimento. Santana al contrario,
aveva occhi d’onice, duri come la pietra che gli dava il colore. Sembrava una
persona fredda, ma ad un occhio attento, non sfuggivano i guizzi che ogni tanto
ne rallegravano lo sguardo, né le paure e le insicurezze che ne trasparivano di
tanto in tanto. Blaine, per Kurt, aveva sempre avuto gli occhi più belli che
avesse mai visto. Erano nocciola, dal taglio orientaleggiante, circondati da
lunghe e folte ciglia. Erano gli occhi di un bambino, stupiti di fronte al
nuovo, felici per le piccole cose, tristi se qualcuno a lui caro soffriva. Lo
sguardo di Blaine era sempre così ipnotizzante, ti stregava dal primo secondo,
senza mai risultare falso, però. Anzi, l’onestà e la genuinità erano tratti
propri di quegli occhi sempre in movimento, sempre alla ricerca di qualcosa di
nuovo, sempre pronti ad osservare e memorizzare nuovi paesaggi, nuove
situazioni, nuove persone.
Ormai, dopo due anni che lo conosceva,
Kurt sapeva riconoscere ogni espressione di Blaine, ogni sfumatura che
illuminava o incupiva i suoi occhi, e in quel momento, ciò che vi leggeva, non
gli piaceva per niente.
“Ciao Blaine.” Rispose mestamente
Kurt.
“Come stai?”
Kurt avrebbe voluto rispondergli
sarcasticamente, usando quella lingua affilata che in più di un’occasione era
stata la sua arma vincente, ma non voleva, non adesso. Non poteva dirgli: di merda, perché credo che il mio fidanzato
mi stia tradendo. Fidanzato che non sento da giorni, che mi deve parlare, ma
non mi chiama e che mi chiede come sto, come se nulla stesse succedendo e
soprattutto, dimentico di quella che era la mia grande giornata.
“Così,” rispose invece amaramente
Kurt con una scrollata di spalle. “Tu?”
Blaine sospirò. “Male.”
Kurt non rispose, continuò a fissare
quegli occhi ormai velati da lacrime, ipnotizzato.
“Devo dirti alcune cose, ed è
tremendamente difficile.”
“Ti ascolto.”
“Ricordi quella partita di baseball
che David aveva organizzato quest’estate con tutti gli Usignoli?” Figurati se non me la ricordo, dopo che
stamattina è stata un pensiero martellante.
“Si,” annuì Kurt, tentennando.
“Ecco, non era una partita di
baseball. David e Wes avevano organizzato una cena a casa di Nick, e avevano
invitato anche noi due. Non volevo mentirti, sul serio, ma volevo veramente
andarci da solo.” Blaine scosse il capo, mordendosi il labbro inferiore. Ormai
le lacrime gli stavano rigando il viso dai lineamenti decisi, scendendo sulle
sue guance, e poi giù, fino al mento. “Volevo andarci da solo per mettermi alla
prova. Tu saresti partito poco dopo per New York, e io sarei rimasto solo.
Sappiamo entrambi che le persone con cui avevo legato di più al McKinley erano
Finn, Puck, Mike e Rachel: tutti e quattro all’ultimo anno. Credevo che sarei
rimasto senza amici, senza un appiglio, e così volevo riallacciare i rapporti
con gli Usignoli, volevo provare a staccarmi da te; non perché lo volessi
davvero, ma perché sentivo che dovevo. Seriamente, credevo di dirti una bugia a
fin di bene. Un tipo di bugie che ora so che non esiste.”
Kurt era pietrificato. Non sapeva
cosa dire, né cosa fare. Voleva sapere di più, voleva capire dove volesse
andare a parare Blaine, ma allo stesso tempo ne aveva paura.
Blaine lo osservò per un attimo,
preoccupato dal suo silenzio, ma continuò comunque. “Alla cena sono riuscito a
riavvicinarmi un po’ a Thad e a Trent, oltre che a Wes e David, e non sai
quanto mi abbia fatto bene. Poi ho conosciuto una persona,”
Ecco la pugnalata che Kurt stava
aspettando, la pugnalata che gli tolse il respiro, che lo squarciò in due.
Sapeva di doversi aspettare qualcosa, ma fu comunque una doccia fredda.
“Kyle. È il cugino di Thad. È un
ragazzo gay che si è dovuto trasferire alla Dalton dalla sua vecchia scuola a
causa del bullismo, proprio come noi due.
Ha iniziato alla Dalton a settembre e Thad l’aveva portato con sé a casa
Duval per fargli conoscere un po’ di persone.” Blaine ora sorrideva veramente,
probabilmente ripensando a questo Kyle. Per la prima volta nella sua vita, Kurt
odiò il radioso sorriso di Blaine.
“Kyle è al terzo anno, canta ed è un
ragazzo dolcissimo. Quando l’ho conosciuto, mi ha ricordato tantissimo te.
Adora la moda, ha una voce unica, ed è,” Blaine si fermò un attimo,
un’espressione sognante dipinta sul volto. “È magico.”
Quel coltello invisibile colpì Kurt
ancora, e ancora, e ancora.
Blaine tornò serio, e osservò
intensamente Kurt. “Io non ti ho tradito, Kurt. Non potrei mai farlo. Ti amo
troppo. Solo che,” Blaine sospirò profondamente. “Solo che mi sono innamorato
di Kyle. Dopo quella cena ho iniziato a vederlo spesso. Era divertente, ci
trovavamo bene insieme, avevamo tantissimi interessi in comune. A me serviva un
nuovo amico, e a lui una spalla su cui piangere, un appiglio dopo ciò che aveva
passato. Anche in questo mi ha ricordato te; mi è sembrato che la storia si
ripetesse.”
Ormai Kurt era impassibile. Sentiva
di non riuscire a respirare, gli mancavano aria ed ossigeno. Gli mancavano le
parole. Ogni emozione gli era stata portata via; non riusciva a piangere, ad
arrabbiarsi, ad urlare – non riusciva a reagire.
“Comunque,” continuò Blaine. “Abbiamo
continuato a vederci. Come amici. Mi ci sono affezionato pian piano, caffè dopo
caffè, cinema dopo cinema, karaoke dopo karaoke. So che sono passati solo due
mesi, ma credo veramente di provare qualcosa di più per lui, qualcosa che va
oltre la semplice amicizia. Ero serio quando ho detto che non ti ho tradito, e
che non lo farei mai. È per questo che ti ho voluto parlare,” Blaine aveva
smesso di piangere. Sembrava più determinato, più sicuro ora. “Credo che sarebbe
meglio se ci lasciassimo.”
Kurt nemmeno se ne accorse quando
iniziò a piangere. Non si accorse di essersi morso il labbro inferiore, come
faceva sempre quando era imbarazzato o agitato, fino a farlo sanguinare. Non si
era accorto di aver stretto le proprie mani, chiudendole in due pugni.
“Io ti amo, Kurt. Ti ho sempre amato
e credo che ti amerò per sempre. Sei stato il mio primo amore, la mia prima
storia seria, la mia prima volta, il mio primo – tutto,” concluse con semplicità Blaine. “Per due anni sei stato il mio tutto.” Blaine aveva ricominciato a piangere,
mentre sorrideva mestamente. “Sai anche tu, però, che ormai la nostra storia
non era più come all’inizio. Sapevamo che la distanza ci avrebbe creato dei
problemi. Io –“ Blaine stava piangendo, ormai vicino a singhiozzare. Kurt lo
vide prendere un fazzoletto e soffiarsi il naso. “Io non credevo sarei stato
quello a lasciarti. Ho sempre pensato che sarebbe stato il contrario. Tu, a New
York, in mezzo a tanti altri ragazzi gay, più fashion di me, più belli di me.
Non sai quanto mi dispiaccia, Kurt. Anzi, credo che tu lo sappia. Tu lo sai,
perché stai provando lo stesso dolore.”
Kurt avrebbe voluto urlare che no,
non lo sapeva, che ciò che stava provando non era nemmeno lontanamente
immaginabile, ma non ci riuscì. Non riusciva ad aprire bocca, non riusciva a
parlare, né a singhiozzare – nulla.
“Io credo che la nostra storia fosse
arrivata da tempo al capolinea, Kurt, e che noi abbiamo sempre rimandato
l’inevitabile. Ormai penso che fossimo innamorati dell’idea dell’amore.” Blaine
tirò su con il naso, e si asciugò le lacrime. “Ci siamo promessi di non dirci
mai addio, ed è una promessa che voglio mantenere, Kurt. Molto prima di stare
insieme, eravamo amici. Sei stato il mio migliore amico, il mio confidente, la
mia metà, molto prima della morte di Pavarotti. Non sono più innamorato di te,
ma come ti ho già detto, ti amo ancora, ci tengo ancora tantissimo a te. Terrò
sempre a te.”
Kurt sospirò. Sapeva che era arrivato
il momento che fosse lui a parlare, a rispondere, a spiegarsi, ma non ci
riusciva. “Io –“ iniziò con tono tremolante ed incerto. “Io devo andare,
Blaine.”
“No, Kurt, aspett –“
Kurt chiudette con forza lo schermo
del computer portatile di Santana, spegnendo così anche la voce di Blaine.
Scoppiò a piangere e corse fuori dalla cucina. Passò oltre i tre, ancora
incollati alla porta per origliare, senza dire una parola. Si diresse in camera
sua, entrandovi e sbattendo la porta.
Lizzie era sconvolta. Lei stessa,
dopo quella telefonata, aveva le lacrime agli occhi. Continuava a fissare la
porta chiusa della stanza di Kurt, preoccupata e angosciata.
Sebastian, invece, iniziava a
sentirsi di troppo. Quello non era il suo posto, specie in un momento del
genere. Iniziò ad insultare mentalmente Nick e Jeff per averlo spedito in
quella casa, ma Santana interruppe i suoi rantoli mentali.
“Bene, chi va a parlarci?” chiese la
latina, voltandosi a squadrare con fare intimidatorio i due ragazzi.
“Scherzi, vero, Lopez? Pensi
seriamente che io possa andare lì dentro e consolare Hummel?” le domandò
Sebastian, un sopracciglio inarcato e il tono di voce tagliente e sferzante,
come se volesse schiaffeggiarla a parole.
“No, non scherzo affatto, -“
Sebastian non la lasciò nemmeno
finire. “Io non parlo di sentimenti, Lopez, non sono Anderson.”
“Fidati, se fossi stato Anderson, in
questo momento non avresti potuto parlare tanto sarebbe stato il dolore.
Comunque, quello che volevo dire, prima che tu mi interrompessi, è che sei
l’unico altro ragazzo gay presente, chi meglio di te può rapportarsi a Kurt in
questo momento?” ritorse Santana, pronta a difendersi.
“Io e le emozioni umane non andiamo
d’accordo; il massimo a cui posso rapportarmi sono sederi e peni. Se credi che
Hummel abbia voglia di scopare, per il bene dell’umanità, farò questo immenso sacrificio.” Sebastian sospirò
profondamente, esasperando la sua finta espressione contrita e penosa. Se doveva essere sincero, non gli sarebbe
dispiaciuto poi tanto portarsi a letto uno come Kurt. Ovviamente non l’avrebbe
mai ammesso, specie con Satana.
“Oh, Sebastian Smythe, martire
subito!” Lo schernì Santana, enfatizzando la crescente irritazione che le stava
provocando l’altro con dei gesti teatrali delle mani.
“Se questo mi guadagnerà un posto in
Paradiso, ben lontano dall’Inferno di cui sei a capo, Satana, sono disposto a tutto!” sibilò l’ex Usignolo.
Lizzie, che finora era stata in
silenzio, muta osservatrice dell’evidente follia dei due, decise che stavano
iniziando ad oltrepassare il limite e che era tempo di intervenire. “Adesso
BASTA!” gridò a pieni polmoni. Elizabeth non perdeva mai la calma; era una
persona sempre disponibile, accomodante e paziente, ma questa volta ne aveva
avuto abbastanza. “Siamo qui perché siamo tutti preoccupati per Kurt. Lo stesso
Kurt che è lì dentro, probabilmente a piangere, a sfogare il suo dolore, mentre
voi, qui fuori, riuscite solo a battibeccare su cose futili e idiote.”
“Io non sono preoccupato per Kurt. Io
non ho sentimenti.” Dissero all’unisono Santana e Sebastian, guardandosi per
l’ennesima volta in cagnesco.
Lizzie chiuse gli occhi, si strinse
la punta del naso tra indice e pollice e prese un respiro profondo. Nella sua vita precedente doveva aver fatto
qualcosa di veramente brutto per dover sopportare due idioti simili. “Per
piacere, potete anche smettere la sceneggiata. Fate gli stronzi, i
menefreghisti, gli egoisti, ma in realtà, siete entrambi ancora qui, a
discutere chi potrebbe aiutare Kurt, perché ci tenete. Se fosse vero che non ve
ne frega nulla di Kurt, o dei suoi sentimenti, perché la voglia di aiutarlo vi
porterebbe a sbranarvi?”
Sebastian sbuffò, a schernire le
parole della brunetta: “Non è la voglia di aiutare Hummel che mi porta a voler
la testa di Satana su un piatto d’argento, è l’irritazione di averla così
vicina.”
“Oh, non ti preoccupare, puoi
allontanarti. Anzi, lo farò io stessa, sento già l’orticaria iniziare a farmi
prudere la pelle.” Santana fece un passo indietro, effettivamente prendendo
distanza da Sebastian, giusto per il gusto di avere l’ultima parola. Dopo un
ultimo sguardo tagliente rivolto a questo, si voltò verso Lizzie: “E comunque,
mia cara Heidi, se sei così pronta ad
aiutare Hummel, perché sei ancora qui a discutere con noi invece di essere lì
dentro con lui?” continuò la latina, puntando il pollice verso la porta della
stanza di Kurt e sollevando un sopracciglio.
“Purtroppo, devo concordare con
“No.” Rispose seccamente Lizzie.
“Codarda.” Sibilò a denti stretti
Santana.
Alzando gli occhi al cielo, Lizzie
continuò. “No, perché Kurt non lo vorrebbe. In questo momento è probabilmente
distrutto, col cuore spezzato e in un lago di lacrime. Avrebbe bisogno
seriamente di una spalla su cui piangere, ma se c’è qualcosa che ho capito di
Kurt nel poco tempo che l’ho conosciuto, ma soprattutto oggi, quando mi ha
raccontato la sua storia, è che è un ragazzo forte, terribilmente tenace e
soprattutto, estremamente orgoglioso. Ha bisogno di stare da solo, elaborare la
situazione e leccarsi le ferite. Domani,” Lizzie sospirò. “Domani avrà bisogno
di amici. Amici veri.”
Santana e Sebastian rimasero in
silenzio, ponderando e valutando le parole della giovane. Finalmente tacciono, pensò una sollevata Lizzie.
Sebastian era stupito. Elizabeth all’apparenza
sembrava solo una ragazzina. Forse era l’aspetto fisico, forse il suo
abbigliamento vivace e colorato, forse era che aveva veramente un anno in meno
rispetto a loro, ma l’ex Usignolo non pensava avesse tanta forza, tanta
passione in sé. Il suo discorso era stato emotivo, pieno di sentimenti che
probabilmente nemmeno lei sapeva di provare, ma che erano traspariti dalla sua
voce e dalle sue parole. Quella che credeva fosse solo una bambinetta, aveva
fatto centro solamente con qualche frase e l’aveva piacevolmente colpito. E
come spesso si vantava, impressionare Sebastian Smythe non era cosa da niente.
Anche Santana era sbalordita, ma per
motivi diversi. Questa ragazza conosceva da pochissimo tempo Kurt, certamente
molto meno rispetto a lei, eppure, l’aveva già capito così bene. Santana si era
sempre creduta un’ottima osservatrice quando si trattava di capire le persone;
per comprendere Kurt, però, le ci erano voluti mesi, se non anni, e
probabilmente ancora non lo conosceva poi così bene come avrebbe voluto.
Oltretutto, il controtenore era una persona estremamente riservata, schiva nel proteggere
le sue emozioni, i suoi pensieri e il suo passato. Eppure con lei si è confidato. Santana non sapeva se esserne
colpita o offesa.
“Credo che Heidi abbia ragione,”
disse cautamente Sebastian. “Forse è meglio se ce ne andiamo, e ne riparliamo
domani. Potrei sempre chiedere anche a Nick e Jeff di aiutarci. Jeff adora
Kurt.”
Santana si riscosse dalle sue
riflessioni e acconsentì. “Si, lasciamolo solo per questa notte e poi vedremo.”
In maniera poco cerimoniosa Santana
recuperò i soprabiti dei due, li congedò senza tante parole e li spinse fuori
dalla porta. Arrivata a questo punto, non vedeva l’ora che quella giornata
finisse. Decise così, di mettervi fine lei stessa; non pensò a sistemare nulla
in quella casa ormai avvolta da un pesante silenzio. Spense tutte le luci, andò
velocemente al bagno, e anche lei si chiuse nella sua stanza, lasciando che quella
notte ancora giovane tentasse di portare sollievo alle ferite aperte durante il
giorno.
* traduzione: “Credo, però, che le idee più brillanti vadano
condivise.”