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Autore: ElleX26    24/09/2012    8 recensioni
Kurt e Sebastian si rincontrano. Situazioni, luoghi, persone diverse. Anche loro sono un po’ differenti, pur essendo rimasti sempre uguali. Sebastian è ancora l’arrogante ragazzino pieno di sé che odora di sesso. Kurt sta ancora con Blaine, anche se il loro rapporto è ormai danneggiato, probabilmente in maniera definitiva.
Rachel è troppo piena di sé. Santana è sempre uguale, stronza e caliente. Anche Brittany è sempre lei: un gran cuore e una mente persa tra unicorni e delfini. Finn è lontano, parecchi fusi orari più in là. Burt è il solito padre affettuoso, anche se ormai è diventato un senatore molto impegnato. L’era del Glee Club sembra lontana anni luce per chi ormai è completamente proiettato verso una nuova avventura. New York è la cornice perfetta per lasciarsi il passato alle spalle.
Prima FF che scrivo. Kurbastian con un assaggio di Klaine. FutureFic!
Genere: Comico, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Santana Lopez, Sebastian Smythe, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I SHOULD TELL YOU_&

Buongiorno a tutti! =)

Sono finalmente tornata, risorta dalle ceneri in cui il lavoro ha ridotto il mio povero cadavere.  Seriamente, scusate per il ritardo, ma la vita corre e il mio culo pesa troppo per starle dietro. XD

I’M SO SORRY!

 

Comunque, ora sono qui, con questo capitolo super- angst e super pieno di informazioni, tutto per voi. È stato un parto scriverlo, un travaglio lungo ben 15 pagine.

Finalmente, abbiamo un po’ di interazione Kurtbastian (poca, però) e un sacco di risposte (YAY!)


Per l’ennesima volta, prima di lasciarvi alla lettura, voglio ringraziarvi.

Ogni lettore, ogni persona che ha messo questo delirio nelle preferite, nelle seguite o nelle ricordate mi ha regalato un sorriso. Veramente, GRAZIE!

Un grazie speciale va a chi mi ha scritto, facendomi sapere cosa ne pensava e rendendomi partecipe di idee, emozioni, etc. Un cupcake (la mia nuova specialità culinaria) virtuale a: Ily91, Madez, Cup of tea, Love Mojito, Aurinella e Tallutina. <3

 

Vi lascio alla lettura.

Baci, Elle.








I should tell you

 




Capitolo sesto:

 
“It’s always dark before the dawn”

 

 

[…] Prima che nessuno avesse tempo di rispondere, però, la vibrazione del cellulare di Kurt lo distrasse, segnalandogli l’arrivo di un messaggio. Aspettando dal pomeriggio due risposte, entrambe importanti, Kurt prese il telefono, lo sbloccò e lesse:

Da Blaine_Warbler:

Sono d’accordo con te. Dobbiamo parlare, e anche urgentemente. […]

 

“Kurt? Kurt?! Kurt!” la dolce voce di Lizzie risvegliò Kurt, caduto in uno stato catatonico. Non sentiva più le voci di Santana e Sebastian discutere, né la flebile voce di Lizzie che cercava di zittirli. Non si era accorto che nel frattempo era stato spinto dentro casa, insieme ai suoi ospiti, e quindi tutti e quattro si erano ritrovati nel salotto di casa Hummel – Lopez, un silenzio imbarazzato che li abbracciava. Non percepiva tre paia di occhi, occhi che lo scrutavano con apprensione, puntati tutti su di lui. L’unica cosa che Kurt riusciva a sentire, a provare persino, come se si stessero muovendo sulla sua stessa pelle, erano i dubbi che lo tormentavano. Cosa voleva dire Blaine? Perché se dovevano parlare urgentemente, non l’aveva già cercato? E soprattutto, “dobbiamo parlare” non era la frase che usavano nei film per iniziare una scena drammatica, durante la quale l’eroe, o più spesso l’eroina, finiva per perdere il suo grande amore?

“Kurt?” Santana sembrava preoccupata, l’espressione del volto accigliata e il tono di voce premuroso. “È di nuovo per Rachel?” Kurt, dopo che la coinquilina aveva preteso di sapere perché non vedesse più la sua cosiddetta migliore amica, le aveva raccontato a grandi linee, senza scendere nei dettagli, cos’era successo con Rachel. Santana sapeva quanto ci fosse rimasto male Kurt, quanto avesse sofferto, e come la questione fosse ancora una ferita aperta. Aveva anche proposto di andare a dirgliene quattro, in onore dei tempi d’oro in cui si tiravano i capelli e affilavano le unghie per un assolo al Glee Club.

Kurt scosse il capo. “No,” sembrò pensarci, e aggiunse: “Anche, ma non adesso.” La risposta confuse terribilmente sia Santana che Sebastian, ancora spettatore muto di un’enigmatica scena.

Lizzie, l’unica al corrente dell’intera situazione, domandò: “Ti ha risposto Blaine?”

Kurt si limitò ad annuire, passandole il suo cellulare. Lizzie lesse il testo del messaggio e, impulsivamente, si mosse verso Kurt, avvolgendolo in un abbraccio. La sua presa era forte e decisa, ma allo stesso tempo delicata, leggera e calorosa. Era esattamente ciò di cui Kurt aveva bisogno in quel momento; lui non ricambiò l’abbraccio, ma lasciò poggiare il volto sulla spalla dell’amica, rilassandosi.

“Ok, sono confusa,” Santana non sembrava arrabbiata, o sprezzante, o arrogante, emozioni che spesso ne caratterizzavano il tono di voce; sembrava semplicemente curiosa, e forse anche preoccupata. “Cosa c’entra Blaine? E Rachel? Che significa ‘non adesso’? E soprattutto, perché Smythe e-“ si fermò un attimo, scrutando Lizzie con uno sguardo penetrante. “Perché ci siamo ritrovati la versione criminale di Alvin Superstar e Heidi in casa?”

Kurt sbuffò, mentre, ascoltando i buffi soprannomi dell’amica, sorrise forzatamente. “Heidi? Sei seria, Santana?”

Santana incrociò le braccia al petto, come faceva sempre quando si sentiva attaccata, o giudicata. “Certo, dico, l’hai vista?” disse, indicando senza vergogna Elizabeth.

Lizzie rise, tranquillizzando Kurt. “Non ti preoccupare, ho sentito di peggio. Oltretutto, se devo essere sincera, un po’ mi piace; fa quasi tenerezza. Comunque – “ aggiunse, voltandosi verso Sebastian e Santana. “Piacere, sono Elizabeth. Studio alla Parsons con Kurt e sono, anzi – ero, qui per festeggiare una grande vittoria accademica. A questo punto, però, temo che dovremo rimandare il tutto.”

Lizzie tese la mano verso i due, che si limitarono a fissarla. Sebastian annuì in maniera appena percettibile nella sua direzione, Santana, invece, la squadrò da capo a piedi, un sopracciglio sollevato e lo sguardo duro ed intenso. Per la seconda volta durante quella giornata, Lizzie si sentì nuda, completamente vulnerabile di fronte al giudizio di un’altra persona. Ancora una volta, un paio di occhi incisivi ed espressivi l’avevano inchiodata sul posto, costringendola ad abbassare arrendevolmente il capo.

“Carina la presentazione,” commentò sarcastica la latina. “Spiega ancora poco, però.”

Kurt, conoscendo fin troppo bene Santana e la sua infinita pazienza, decise di intromettersi, prima che l’amica iniziasse ad urlare qualche oscenità contro la povera Lizzie. “Oggi M.me Dubois avrebbe scelto un collaboratore per la creazione di ciò che sarà sulla copertina di Vogue di Dicembre. Ci aveva chiesto di presentare dei bozzetti, alcuni nostri, originali, altri solo di modifica di abiti già esistenti. Diciamo che, siccome sia io che Lizzie siamo due geni artistici –“ Kurt si scambiò un sorriso complice con Elizabeth, che sorrise radiosa e gli fece l’occhiolino; Santana, invece, fece ruotare gli occhi, mentre Sebastian sbuffò. “È inutile che ci prendiate in giro, Bonnie and Clyde, io ed Elizabeth aiuteremo la nostra professoressa nel creare l’ultima copertina di quest’anno di Vogue!”

“In che senso tu ed Elizabeth? Non doveva essere uno studente solo?” chiese Santana.

“Vero. La Dubois ha valutato le idee di tutta la classe e alla fine doveva scegliere tra me e Lizzie. Non so cosa mi abbia detto la testa, o dove abbia trovato il coraggio di farlo, ma d’istinto, impulsivamente, le ho chiesto perché non potessimo collaborare entrambi.”

“È stata una scena epica –“ si intromise Lizzie, la cui voce faceva palesemente trasparire l’eccitazione che provava nel raccontare quell’avventura. “Sembrava quasi un film. La Dubois l’ha fissato dritto negli occhi – e io, persino ora, non riesco a capacitarmi del fatto che sia ancora vivo; neanche il basilisco di Harry Potter incuteva così tanto terrore solo con uno sguardo –“

“Tzè,” la interruppe Kurt. “Dopo essere stato la carta vincente sia del Coach Tanaka che della Sylvester, lavorando a stretto contatto per mesi con quest’ultima – , diciamo che ormai non ho più paura di nulla. Ho avuto più di un faccia a faccia con la morte, e dopo la nostra chiacchierata della mattina, mi sentivo molto audace e coraggioso, quindi…”

“Comunque,” riprese la ragazza. “La Dubois lo fissa dritto negli occhi, fulminandolo, e con un tono gelido gli chiede: ‘Pensa di potermi dire come fare il mio lavoro, Signor Hummel?’. In quel momento, io avevo già iniziato a pensare alla scelta delle canzoni per il suo funerale. Kurt, invece, reggendo il suo sguardo, le ha risposto tranquillamente: ‘Assolutamente no, M.me Dubois, -“

“ – mais je crois que les idées les plus brillantes doivent être partagées.’ *continuò Kurt con un impeccabile accento francese.

“Grazie per la collaborazione, Kurt, non sarei mai stata capace di ripetere quella frase.”

Kurt sorrise, facendo cenno a Lizzie di continuare. “La professoressa continua a fissarlo, impassibile, poi scoppia a ridere e scuotendo la testa ci dice che ci saremmo visti lunedì; ha raccolto le sue cose e se n’è andata. Vista la grande occasione, -  perché lavorare con un tuo amico per creare qualcosa che finirà su Vogue non credo sia evento di tutti i giorni - volevamo festeggiare. Kurt aveva proposto di tornare qui ed invitare anche te, Santana, alla nostra serata di follie. A quanto pare, però, dovremo rimandare.” Lizzie concluse il suo racconto con un’occhiata preoccupata in direzione di Kurt, che sembrava essersi di nuovo abbandonato a pensieri poco piacevoli.

Sebastian era completamente scioccato. Non sapeva assolutamente chi fosse questo Coach TanikoTanake, o quel che era, ma conosceva benissimo Sue Sylvester. In effetti, l’anno precedente, aveva seguito tutte le sere ‘L’angolo di Sue’. Aveva scoperto il programma per caso; un pomeriggio, mentre aspettava che arrivassero le otto, così che potesse finalmente abbandonare la Dalton per lo Scandals, stava facendo zapping e si era fermato ad ascoltare le frivole notizie che trasmettevano ad un Tg locale, condotto da una donna ancor più frivola. A fianco di questa, aveva riconosciuto uno dei giudici delle gare di canto coreografato degli anni precedenti – Thad, a causa del suo ruolo da solista, l’aveva obbligato a rivedersi tre anni di esibizioni degli Usignoli. Incuriosito dalle due bizzarre figure, aveva ascoltato annoiato il loro quarto d’ora di gloria. Pronto a spegnere la TV, aveva visto apparire sullo schermo una donna bionda, vestita con una tuta. Il grande pannello alle sue spalle recitava ‘Sue’s corner’ e la targhetta posta di fronte a lei, sulla scrivania alla quale poggiava, diceva ‘Sue Sylvester’. Riconobbe anche lei come una delle insegnanti di uno dei cori rivali, che in passato si era sfidato con gli Usignoli – qualcosa che aveva a che fare con una fissazione orale, qualcosa di sessuale, insomma. Incuriosito dall’espressione arcigna e scaltra della donna, decise di aspettare altri cinque minuti prima di uscire, per ascoltare cos’avesse da dire. Ben presto, Sebastian si ritrovò piegato in due dalle risate, completamente disorientato, ma anche terribilmente divertito, dall’esplosiva carica di follia e tenacia che caratterizzava la personalità della bionda sullo schermo. Prese a seguire la sua trasmissione, trovando nella pazza coach in televisione, una certa somiglianza con se stesso. Pian piano, scoprì che la Sylvester era una delle candidate al congresso per l’Ohio, che era una stronza di prima categoria e che, oltre a concorrere per una carica politica, avere dei doveri coniugali verso sé stessa, essere incinta, dichiarando di avere si e no trent’anni e passare il suo tempo a boicottare le Nuove Direzioni  - qualcosa per cui Sebastian le era estremamente grato – era anche l’allenatrice della squadra delle Cheerleaders del McKinley. Kurt aveva lavorato mesi con la Sylvester – merda! Pensò Sebastian – Kurt Hummel era un ex cheerleader. Un ex cheerleader con un perfetto, e super sexy, accento francese.

“Ok,” disse Santana, annuendo. “Questo spiega la presenza di Heidi in casa nostra, ma non quella di Smythe. Oltretutto non mi hai ancora detto nulla né di questo fantomatico messaggio di Blaine, né di cos’ha combinato questa volta Rachel.”

Kurt sospirò, abbandonando la sua posizione in piedi accanto a Lizzie, per lasciarsi cadere sul divano. Accavallò le gambe e vi poggiò sopra le mani che, dall’agitazione, stavano torturando i bottoni del suo gilet. “Credo che inizierò spiegando cosa c’entra Rachel. È la storia più breve, e probabilmente, la meno –“ si fermò, in cerca della parola giusta per definire i propri sentimenti nei confronti degli eventi della giornata. “La meno dolorosa, direi.”

Anche gli altri si mossero. Santana si accomodò su un piccolo pouf ai piedi del divano; Lizzie si acciambellò per terra ai piedi di Kurt, mentre Sebastian si sedette elegantemente all’altro lato del divano.

“Stamattina, dopo il mio incontro con Sebastian, Rachel mi ha mandato un messaggio.”

“Incontro del quale voglio ogni singolo dettaglio.” Sibilò Santana.

“Certo che sì,” rispose Kurt, alzando gli occhi al cielo. “Comunque, Rachel mi ha scritto, invitandomi alla serata di apertura della NYADA.”

“Quella stronza!” urlò Santana. “Ancora non ha capito che, solo perché è entrata in quella scuola per damerini, non significa che sia meglio di noi? Dopo quello che ti ha detto, si azzarda persino ad invitarti alla sua fottutissima serata? Serata durante la quale, per l’ennesima volta, dovresti assistere al Rachel Berry’s ego show? Per citare Mercedes: Hell to the no!

“Quando ho letto il messaggio mi son tornati in mente tutti questi ricordi pessimi.” Continuò Kurt. “Ho provato una terribile nostalgia per casa, e soprattutto per le persone che vi ho lasciato. Comunque, all’inizio anch’io pensavo di non andarci, ma poi Lizzie mi ha convinto del contrario. Devo provare il mio punto, devo dimostrarle quanto valgo. Deve capire che cammino ancora a testa alta, che sono ancora orgoglioso di me stesso, checché se ne dica. Abbiamo così deciso che ci andremo insieme: io, Lizzie e te, mia cara Satana. Lizzie sarà la mia spalla su cui piangere e tu sarai una specie di - body guard? Insomma, se mai Rachel dicesse o facesse qualcosa di offensivo, tu interverresti per salvare il mio onore. E per divertirti un po’ con i resti del corpo di Rachel, dopo che sarai andata tutta Lima Heights contro il suo sedere.”

Santana sembrò ponderare per un attimo la sua decisione, prima di sorridere furbescamente. “Oh, mi piace il piano di Heidi. Sarà proprio come ai tempi del liceo, prima che la Berry mi convincesse a mettere una sua foto nel mio armadietto, -“

“Hai messo una foto della Berry nel tuo armadietto?” la interruppe Sebastian con una mezza risata.

Santana lo fulminò con lo sguardo. “Si, probabilmente avevo una specie di virus quella settimana, qualcosa che ha alterato la mia funzionalità cerebrale. Comunque, ci sto. Sono prontissima a fare a pezzi Rachel.” Specie se è per difendere te, Kurt - aggiunse solo per se stessa. “Adesso, però, voglio sapere cosa ha fatto Blaine,” non aveva assolutamente un buon presentimento riguardo quella faccenda.

Kurt rimase per un attimo in silenzio, fissando un punto indefinito di fronte a sé, poi, prendendo coraggio, iniziò. “Per farla breve, stamattina ho incontrato – o meglio, mi sono scontrato – con Sebastian, rovesciandogli addosso il mio caffè.”

“E questo spiega la camicia.” Annuì Santana.

“Esatto,” confermò Kurt. “Mi ha detto che Blaine ha partecipato ad una cena degli Usignoli senza di me. Cena che mi aveva detto essere una partita di baseball,”

Questo spiega l’uscita melodrammatica di questa mattina. Perché Anderson ha mentito? Sebastian era smarrito. Non sapeva molto di relazioni stabili, o fedeltà, ma persino lui sapeva che l’onestà era alla base di un rapporto. E sicuramente il rapporto di Kurt e Blaine sembrava speciale; anche il cinico Sebastian Smythe una volta l’aveva definito quasi idilliaco.

Kurt sospirò. “Blaine ultimamente è distante. Sin dall’intera faccenda di Chandler so che aveva problemi col mio trasferimento a New York. Problemi che credevo risolti, invece…” abbassò il capo, scuotendolo. Quando lo rialzò, una lacrima gli stava rigando la guancia e i suoi occhi erano pieni di dubbio e dolore. Lizzie, dalla sua posizione seduta ai suoi piedi, allungò un braccio e prese la mano di Kurt, stringendola forte. In quel momento, durante l’ennesimo sfogo della giornata, non gli importava di piangere di fronte a Santana e a Sebastian, tra tutte le persone, non gli importava di mostrarsi vulnerabile. Sicuramente se ne sarebbe pentito poi, ma in quel preciso istante, aveva bisogno di lasciarsi andare e mostrare tutte le sue debolezze, mostrare le sue incertezze. “Invece è un po’ che andiamo avanti a stento, che ci parliamo poco, che lo sento distante. Ha sempre impegni che non gli permettono di sentirci. Sapevo fossero scuse, oltretutto persino deboli, ma ora ne ho avuto la conferma.”

Santana si alzò dal suo pouf, e prese a marciare sul posto. Era terribilmente combattuta: doveva condividere l’ultimo pezzetto del puzzle, l’informazione che a Kurt mancava? Doveva dirgli ciò che aveva visto Brittany, o era meglio se a parlargliene fosse stato direttamente Blaine? Ormai la latina non aveva più dubbi sul fatto che Anderson avesse mentito a Tina, e questa di conseguenza a Brittany, ma perché? E soprattutto, cosa doveva fare lei adesso?

“Santana?” Kurt la chiamò con tono incerto. Non sapendo dei suoi dubbi interiori, credeva fosse la rabbia e la voglia di vendetta che la caratterizzavano solitamente a farla marciare come un cadetto per i due metri di spazio che aveva a disposizione.

“Kurt,” iniziò la ragazza con tono apologetico. “Devo dirti una cosa.” Santana si risedette, e abbracciò se stessa, mentre continuava. “Stamattina ho sentito Britney. Mi ha detto di aver visto Blaine con un altro Uccellino, uccellino che era anche un delfino. Pensavo fosse uno dei suoi soliti deliri, ma abbiamo comunque mandato Tina ed Artie ad indagare. Stasera, quando l’ho risentita, mi ha detto che Tina, dopo aver parlato con Blaine, l’ha consolata, dicendole di non preoccuparsi per te. A questo punto, però…”

Kurt sgranò gli occhi, e si portò una mano davanti alla bocca. Era veramente sul punto di crollare di fronte alla sua nemesi, a un’amica nuova di zecca e alla terribile cheerleader che l’aveva tormentato per anni.

Sebastian e Lizzie, invece, erano confusi: Delfini e Uccellini? “Scusate,” iniziò Sebastian. “Qualcuno mi può tradurre l’ultima parte del discorso di Satana?”

Santana si voltò verso di lui, lo sguardo arcigno. “Gli Uccellini siete voi, gli Usignoli. I Delfini sono i gay.” Sebastian e Lizzie erano ancora più confusi dopo questa spiegazione, ma almeno erano riusciti a capire il senso della frase, più o meno.

“Bene,” disse Kurt, alzandosi dal divano. Non poteva aspettare un minuto di più, non voleva aspettare un minuto di più, specie se si trattava di un minuto passato a piangersi addosso. “Direi che dopo questo bel riassunto della mia vita privata, è il caso che parli con il diretto interessato. Vado in cucina e chiamo Blaine. Voi fate pure come foste a casa vostra.” Senza aggiungere nulla più, si diresse verso l’altra stanza e chiuse la porta della cucina alle sue spalle, lasciando gli altri tre, più confusi e in imbarazzo che mai, da soli in salotto.

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Kurt si appoggiò alla porta della cucina, e lasciandosi scivolare contro essa, si sedette a terra. Aveva bisogno di un appiglio, di sentirsi stabile per un momento, un attimo solo. Doveva rimettersi a posto, riprendersi e tornare il Kurt di sempre: forte, sostenuto e coraggioso. Aveva già abbassato troppo la guardia; probabilmente perché ormai stanco, arrivato al punto di rottura, ma non esisteva che affrontasse una discussione del genere in quello stato. Si asciugò le guance con i polsini della camicia, delitto per il quale si sarebbe punito poi. Prese dei respiri profondi, alzando gli occhi al soffitto per evitare di versare altre lacrime. Dopo qualche minuto,  o qualche giorno, nella cognizione del tempo di Kurt, si alzò e prese un fazzoletto, soffiandosi il naso. Non c’era uno specchio in cucina, e probabilmente era la cosa migliore: se si fosse specchiato, Kurt pensava che gli sarebbe preso un infarto. Andò a recuperare il portatile che Santana aveva lasciato in giro dopo aver parlato con Britney e con questo si sedette al tavolo della cucina. Aprì Skype, collegandosi con il suo account. Aveva pochi amici, i ragazzi del Glee, qualche Usignolo, – che, dopo l’incidente della settimana di Michael, era stato prontamente bloccato – il suo fratellastro, suo padre ed ovviamente Blaine. Comparse subito la richiesta di videochiamata di Blaine; Kurt recuperò l’ultimo briciolo di determinazione rimastagli, e l’accettò.

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“Bene,” iniziò Santana. “Adesso, visto che sono la padrona di casa, devo pure intrattenervi?”

Sebastian grugnì, e le rispose: “Te l’ho già detto, Lopez, non sei il mio tipo.”

Lizzie ridacchiò di una risata che le morì sulle labbra, dopo aver incrociato lo sguardo assassino di Santana. “Scusa,” disse flebilmente, poi si schiarì la voce e continuò. “Così tu sei il famoso Smythe…” sorrise, rivolgendosi a Sebastian. Questo la guardò stranito, come se avesse improvvisamente cresciuto due teste. “Scusa, è che oggi Kurt mi ha raccontato praticamente gli ultimi due anni della sua vita e, se posso permettermi, la tua figura non è propriamente legata a bei ricordi. Mi chiedevo cosa ci facessi qui, ecco tutto.”

Sebastian alzò gli occhi al cielo. “La camicia, Heidi, la camicia.”

“Cazzate,” rispose Santana. “Hai sempre sbandierato la tua agiatezza economica e i soldi di tuo padre ai quattro venti. Ti sei sempre vantato di poter comprare tutto e tutti, e ora hai dei problemi a pagarti la lavanderia per una sola camicia? Oltretutto, sei disposto a venire a casa mia e di Kurt, tra tutte le persone, per fartela pulire?,” Santana rise, scuotendo la testa. “Conosco i tipi come te, anzi come noi, qual è il tuo secondo fine?”

Sebastian sapeva che la scusa della camicia non avrebbe retto, specie con due persone tanto scaltre e tanto caparbie come Kurt e Santana. Ci aveva sperato, ma…  Sospirando, iniziò. “È vero, quella della camicia è una scusa. Stamattina, dopo che Hummel ha fatto la sua uscita di scena, qualcosa non mi quadrava. Kurt non scappa, non si chiude in se stesso e batte in ritirata. Io non lo conosco molto, ma mi ha sempre lanciato tanta merda, quanta io gliene davo.” Sebastian non si accorse di sorridere in quel momento, sorriso che invece non scappò né a Santana né a Lizzie. “Insomma, dopo averlo visto fuggire, dubbioso, ho chiamato Nick e Jeff in cerca di spiegazioni. Spiegazioni che non avevano, visto che alla loro stessa festa, hanno preferito chiudersi in camera a scopare. Si sono preoccupati, ed anche incuriositi, però, così mi hanno chiesto di venire ad indagare, mentre loro si informavano sugli avvenimenti della cena con Wes e David.” Sebastian terminò e alzò lo sguardo, solo per incontrare due paia di occhi che lo fissavano. Quelli di Lizzie erano curiosi, quelli di Santana minacciosi.

“Farò finta di crederti, Smythe,” disse Santana. “Anche se non mi piacete, ormai tu e Heidi, e anche i tuoi due amichetti gay, siete parte di questo macello. Macello che mi aiuterete a risolvere.”

“Certo, Santana, siamo tutti qui a tua disposizione.” Ribattè sarcasticamente Sebastian.

“No, siamo qui per Kurt.” Lo corresse Elizabeth, il tono di voce gentile e paziente. “E, per quanto non approvi, se vogliamo aiutarlo, dobbiamo sapere cosa sta succedendo in quella stanza. Santana,” iniziò, voltandosi verso la latina. “C’è un modo per spiare senza essere visti?”

“Oh, piccola dolce Heidi, zia Snixx ci ha già pensato. Basta mettersi dietro la porta; quest’appartamento è talmente pessimo che si sente tutto. E fidatevi, dopo aver sentito ogni santa mattina Lady Gaga, lo so.”

“Ok, non vedremo, ma almeno riusciremo a sentire cosa si dicono. Ho come un brutto presentimento.” Lizzie si alzò, e si avvicinò silenziosamente alla porta. Gli altri due fecero lo stesso, provando internamente la stessa brutta sensazione della ragazza.

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“Ciao Kurt.” La dolce voce di Blaine distrasse Kurt dai suoi pensieri, facendogli alzare lo sguardo, che subito incontrò quello dell’altro.

Blaine stava sorridendo, genuinamente e teneramente; il suo sorriso, però, non arrivava agli occhi. Normalmente, quando Blaine sorrideva, o rideva, i suoi bellissimi occhi nocciola si illuminavano, quasi brillavano, come animati da luce propria. Adesso, invece, erano spenti, velati da una patina di amarezza e tristezza.

Si poteva dire tantissimo dagli occhi di una persona. Fin da quando era piccolo, Elizabeth Hummel aveva insegnato al figlio Kurt che le emozioni si possono mascherare dietro a gesti, dietro espressioni false e obbligate, dietro parole recitate come da un copione immaginario, ma gli occhi – l’espressività di uno sguardo non si controlla. Sua madre gli aveva insegnato a leggere le persone attraverso i loro occhi, gli aveva insegnato a capirle e a decifrarle senza ascoltare le loro vane parole. Per quanto potesse essere convenzionale, banale o smielato, Kurt Hummel credeva veramente che gli occhi fossero lo specchio dell’anima.

Kurt aveva fatto tesoro di ciò che Elizabeth gli aveva confidato, ed era così che aveva sempre saputo riconoscere chi avvicinare e chi allontanare. Lizzie, ad esempio, la conosceva da pochi mesi, ma credeva di non sbagliare nel dire che poteva diventare la sua nuova migliore amica. I suoi occhi color cioccolato erano profondi, intelligenti e luccicavano di ingenuità e pura curiosità. Il suo sguardo raccontava di lei che era una persona affettuosa, acuta e sempre in movimento. Santana al contrario, aveva occhi d’onice, duri come la pietra che gli dava il colore. Sembrava una persona fredda, ma ad un occhio attento, non sfuggivano i guizzi che ogni tanto ne rallegravano lo sguardo, né le paure e le insicurezze che ne trasparivano di tanto in tanto. Blaine, per Kurt, aveva sempre avuto gli occhi più belli che avesse mai visto. Erano nocciola, dal taglio orientaleggiante, circondati da lunghe e folte ciglia. Erano gli occhi di un bambino, stupiti di fronte al nuovo, felici per le piccole cose, tristi se qualcuno a lui caro soffriva. Lo sguardo di Blaine era sempre così ipnotizzante, ti stregava dal primo secondo, senza mai risultare falso, però. Anzi, l’onestà e la genuinità erano tratti propri di quegli occhi sempre in movimento, sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, sempre pronti ad osservare e memorizzare nuovi paesaggi, nuove situazioni, nuove persone.

Ormai, dopo due anni che lo conosceva, Kurt sapeva riconoscere ogni espressione di Blaine, ogni sfumatura che illuminava o incupiva i suoi occhi, e in quel momento, ciò che vi leggeva, non gli piaceva per niente.

“Ciao Blaine.” Rispose mestamente Kurt.

“Come stai?”

Kurt avrebbe voluto rispondergli sarcasticamente, usando quella lingua affilata che in più di un’occasione era stata la sua arma vincente, ma non voleva, non adesso. Non poteva dirgli: di merda, perché credo che il mio fidanzato mi stia tradendo. Fidanzato che non sento da giorni, che mi deve parlare, ma non mi chiama e che mi chiede come sto, come se nulla stesse succedendo e soprattutto, dimentico di quella che era la mia grande giornata.

“Così,” rispose invece amaramente Kurt con una scrollata di spalle. “Tu?”

Blaine sospirò. “Male.”

Kurt non rispose, continuò a fissare quegli occhi ormai velati da lacrime, ipnotizzato.

“Devo dirti alcune cose, ed è tremendamente difficile.”

“Ti ascolto.”

“Ricordi quella partita di baseball che David aveva organizzato quest’estate con tutti gli Usignoli?” Figurati se non me la ricordo, dopo che stamattina è stata un pensiero martellante.

“Si,” annuì Kurt, tentennando.

“Ecco, non era una partita di baseball. David e Wes avevano organizzato una cena a casa di Nick, e avevano invitato anche noi due. Non volevo mentirti, sul serio, ma volevo veramente andarci da solo.” Blaine scosse il capo, mordendosi il labbro inferiore. Ormai le lacrime gli stavano rigando il viso dai lineamenti decisi, scendendo sulle sue guance, e poi giù, fino al mento. “Volevo andarci da solo per mettermi alla prova. Tu saresti partito poco dopo per New York, e io sarei rimasto solo. Sappiamo entrambi che le persone con cui avevo legato di più al McKinley erano Finn, Puck, Mike e Rachel: tutti e quattro all’ultimo anno. Credevo che sarei rimasto senza amici, senza un appiglio, e così volevo riallacciare i rapporti con gli Usignoli, volevo provare a staccarmi da te; non perché lo volessi davvero, ma perché sentivo che dovevo. Seriamente, credevo di dirti una bugia a fin di bene. Un tipo di bugie che ora so che non esiste.”

Kurt era pietrificato. Non sapeva cosa dire, né cosa fare. Voleva sapere di più, voleva capire dove volesse andare a parare Blaine, ma allo stesso tempo ne aveva paura.

Blaine lo osservò per un attimo, preoccupato dal suo silenzio, ma continuò comunque. “Alla cena sono riuscito a riavvicinarmi un po’ a Thad e a Trent, oltre che a Wes e David, e non sai quanto mi abbia fatto bene. Poi ho conosciuto una persona,”

Ecco la pugnalata che Kurt stava aspettando, la pugnalata che gli tolse il respiro, che lo squarciò in due. Sapeva di doversi aspettare qualcosa, ma fu comunque una doccia fredda.

“Kyle. È il cugino di Thad. È un ragazzo gay che si è dovuto trasferire alla Dalton dalla sua vecchia scuola a causa del bullismo, proprio come noi due. Ha iniziato alla Dalton a settembre e Thad l’aveva portato con sé a casa Duval per fargli conoscere un po’ di persone.” Blaine ora sorrideva veramente, probabilmente ripensando a questo Kyle. Per la prima volta nella sua vita, Kurt odiò il radioso sorriso di Blaine.

“Kyle è al terzo anno, canta ed è un ragazzo dolcissimo. Quando l’ho conosciuto, mi ha ricordato tantissimo te. Adora la moda, ha una voce unica, ed è,” Blaine si fermò un attimo, un’espressione sognante dipinta sul volto. “È magico.”

Quel coltello invisibile colpì Kurt ancora, e ancora, e ancora.

Blaine tornò serio, e osservò intensamente Kurt. “Io non ti ho tradito, Kurt. Non potrei mai farlo. Ti amo troppo. Solo che,” Blaine sospirò profondamente. “Solo che mi sono innamorato di Kyle. Dopo quella cena ho iniziato a vederlo spesso. Era divertente, ci trovavamo bene insieme, avevamo tantissimi interessi in comune. A me serviva un nuovo amico, e a lui una spalla su cui piangere, un appiglio dopo ciò che aveva passato. Anche in questo mi ha ricordato te; mi è sembrato che la storia si ripetesse.”

Ormai Kurt era impassibile. Sentiva di non riuscire a respirare, gli mancavano aria ed ossigeno. Gli mancavano le parole. Ogni emozione gli era stata portata via; non riusciva a piangere, ad arrabbiarsi, ad urlare – non riusciva a reagire.

“Comunque,” continuò Blaine. “Abbiamo continuato a vederci. Come amici. Mi ci sono affezionato pian piano, caffè dopo caffè, cinema dopo cinema, karaoke dopo karaoke. So che sono passati solo due mesi, ma credo veramente di provare qualcosa di più per lui, qualcosa che va oltre la semplice amicizia. Ero serio quando ho detto che non ti ho tradito, e che non lo farei mai. È per questo che ti ho voluto parlare,” Blaine aveva smesso di piangere. Sembrava più determinato, più sicuro ora. “Credo che sarebbe meglio se ci lasciassimo.”

Kurt nemmeno se ne accorse quando iniziò a piangere. Non si accorse di essersi morso il labbro inferiore, come faceva sempre quando era imbarazzato o agitato, fino a farlo sanguinare. Non si era accorto di aver stretto le proprie mani, chiudendole in due pugni.

“Io ti amo, Kurt. Ti ho sempre amato e credo che ti amerò per sempre. Sei stato il mio primo amore, la mia prima storia seria, la mia prima volta, il mio primo – tutto,” concluse con semplicità Blaine.  “Per due anni sei stato il mio tutto.” Blaine aveva ricominciato a piangere, mentre sorrideva mestamente. “Sai anche tu, però, che ormai la nostra storia non era più come all’inizio. Sapevamo che la distanza ci avrebbe creato dei problemi. Io –“ Blaine stava piangendo, ormai vicino a singhiozzare. Kurt lo vide prendere un fazzoletto e soffiarsi il naso. “Io non credevo sarei stato quello a lasciarti. Ho sempre pensato che sarebbe stato il contrario. Tu, a New York, in mezzo a tanti altri ragazzi gay, più fashion di me, più belli di me. Non sai quanto mi dispiaccia, Kurt. Anzi, credo che tu lo sappia. Tu lo sai, perché stai provando lo stesso dolore.”

Kurt avrebbe voluto urlare che no, non lo sapeva, che ciò che stava provando non era nemmeno lontanamente immaginabile, ma non ci riuscì. Non riusciva ad aprire bocca, non riusciva a parlare, né a singhiozzare –  nulla.

“Io credo che la nostra storia fosse arrivata da tempo al capolinea, Kurt, e che noi abbiamo sempre rimandato l’inevitabile. Ormai penso che fossimo innamorati dell’idea dell’amore.” Blaine tirò su con il naso, e si asciugò le lacrime. “Ci siamo promessi di non dirci mai addio, ed è una promessa che voglio mantenere, Kurt. Molto prima di stare insieme, eravamo amici. Sei stato il mio migliore amico, il mio confidente, la mia metà, molto prima della morte di Pavarotti. Non sono più innamorato di te, ma come ti ho già detto, ti amo ancora, ci tengo ancora tantissimo a te. Terrò sempre a te.”

Kurt sospirò. Sapeva che era arrivato il momento che fosse lui a parlare, a rispondere, a spiegarsi, ma non ci riusciva. “Io –“ iniziò con tono tremolante ed incerto. “Io devo andare, Blaine.”

“No, Kurt, aspett –“

Kurt chiudette con forza lo schermo del computer portatile di Santana, spegnendo così anche la voce di Blaine. Scoppiò a piangere e corse fuori dalla cucina. Passò oltre i tre, ancora incollati alla porta per origliare, senza dire una parola. Si diresse in camera sua, entrandovi e sbattendo la porta.

Lizzie era sconvolta. Lei stessa, dopo quella telefonata, aveva le lacrime agli occhi. Continuava a fissare la porta chiusa della stanza di Kurt, preoccupata e angosciata.

Sebastian, invece, iniziava a sentirsi di troppo. Quello non era il suo posto, specie in un momento del genere. Iniziò ad insultare mentalmente Nick e Jeff per averlo spedito in quella casa, ma Santana interruppe i suoi rantoli mentali.

“Bene, chi va a parlarci?” chiese la latina, voltandosi a squadrare con fare intimidatorio i due ragazzi.

“Scherzi, vero, Lopez? Pensi seriamente che io possa andare lì dentro e consolare Hummel?” le domandò Sebastian, un sopracciglio inarcato e il tono di voce tagliente e sferzante, come se volesse schiaffeggiarla a parole.

“No, non scherzo affatto, -“

Sebastian non la lasciò nemmeno finire. “Io non parlo di sentimenti, Lopez, non sono Anderson.”

“Fidati, se fossi stato Anderson, in questo momento non avresti potuto parlare tanto sarebbe stato il dolore. Comunque, quello che volevo dire, prima che tu mi interrompessi, è che sei l’unico altro ragazzo gay presente, chi meglio di te può rapportarsi a Kurt in questo momento?” ritorse Santana, pronta a difendersi.

“Io e le emozioni umane non andiamo d’accordo; il massimo a cui posso rapportarmi sono sederi e peni. Se credi che Hummel abbia voglia di scopare, per il bene dell’umanità, farò questo immenso sacrificio.” Sebastian sospirò profondamente, esasperando la sua finta espressione contrita e penosa. Se doveva essere sincero, non gli sarebbe dispiaciuto poi tanto portarsi a letto uno come Kurt. Ovviamente non l’avrebbe mai ammesso, specie con Satana.

“Oh, Sebastian Smythe, martire subito!” Lo schernì Santana, enfatizzando la crescente irritazione che le stava provocando l’altro con dei gesti teatrali delle mani.

“Se questo mi guadagnerà un posto in Paradiso, ben lontano dall’Inferno di cui sei a capo, Satana, sono disposto a tutto!” sibilò l’ex Usignolo.

Lizzie, che finora era stata in silenzio, muta osservatrice dell’evidente follia dei due, decise che stavano iniziando ad oltrepassare il limite e che era tempo di intervenire. “Adesso BASTA!” gridò a pieni polmoni. Elizabeth non perdeva mai la calma; era una persona sempre disponibile, accomodante e paziente, ma questa volta ne aveva avuto abbastanza. “Siamo qui perché siamo tutti preoccupati per Kurt. Lo stesso Kurt che è lì dentro, probabilmente a piangere, a sfogare il suo dolore, mentre voi, qui fuori, riuscite solo a battibeccare su cose futili e idiote.”

“Io non sono preoccupato per Kurt. Io non ho sentimenti.” Dissero all’unisono Santana e Sebastian, guardandosi per l’ennesima volta in cagnesco.

Lizzie chiuse gli occhi, si strinse la punta del naso tra indice e pollice e prese un respiro profondo. Nella sua vita precedente doveva aver fatto qualcosa di veramente brutto per dover sopportare due idioti simili. “Per piacere, potete anche smettere la sceneggiata. Fate gli stronzi, i menefreghisti, gli egoisti, ma in realtà, siete entrambi ancora qui, a discutere chi potrebbe aiutare Kurt, perché ci tenete. Se fosse vero che non ve ne frega nulla di Kurt, o dei suoi sentimenti, perché la voglia di aiutarlo vi porterebbe a sbranarvi?”

Sebastian sbuffò, a schernire le parole della brunetta: “Non è la voglia di aiutare Hummel che mi porta a voler la testa di Satana su un piatto d’argento, è l’irritazione di averla così vicina.”

“Oh, non ti preoccupare, puoi allontanarti. Anzi, lo farò io stessa, sento già l’orticaria iniziare a farmi prudere la pelle.” Santana fece un passo indietro, effettivamente prendendo distanza da Sebastian, giusto per il gusto di avere l’ultima parola. Dopo un ultimo sguardo tagliente rivolto a questo, si voltò verso Lizzie: “E comunque, mia cara Heidi, se sei così pronta ad aiutare Hummel, perché sei ancora qui a discutere con noi invece di essere lì dentro con lui?” continuò la latina, puntando il pollice verso la porta della stanza di Kurt e sollevando un sopracciglio.

“Purtroppo, devo concordare con la Lopez. Perché non vai tu a consolare Hummel, se ci tieni così tanto come ci stai dicendo? Forza, che aspetti?” Sebastian accompagnò le sue parole con un eloquente gesto della mano, anche questo volto ad indicare la porta dietro la quale si era rifugiato Kurt.

“No.” Rispose seccamente Lizzie.

“Codarda.” Sibilò a denti stretti Santana.

Alzando gli occhi al cielo, Lizzie continuò. “No, perché Kurt non lo vorrebbe. In questo momento è probabilmente distrutto, col cuore spezzato e in un lago di lacrime. Avrebbe bisogno seriamente di una spalla su cui piangere, ma se c’è qualcosa che ho capito di Kurt nel poco tempo che l’ho conosciuto, ma soprattutto oggi, quando mi ha raccontato la sua storia, è che è un ragazzo forte, terribilmente tenace e soprattutto, estremamente orgoglioso. Ha bisogno di stare da solo, elaborare la situazione e leccarsi le ferite. Domani,” Lizzie sospirò. “Domani avrà bisogno di amici. Amici veri.”

Santana e Sebastian rimasero in silenzio, ponderando e valutando le parole della giovane. Finalmente tacciono, pensò una sollevata Lizzie.

Sebastian era stupito. Elizabeth all’apparenza sembrava solo una ragazzina. Forse era l’aspetto fisico, forse il suo abbigliamento vivace e colorato, forse era che aveva veramente un anno in meno rispetto a loro, ma l’ex Usignolo non pensava avesse tanta forza, tanta passione in sé. Il suo discorso era stato emotivo, pieno di sentimenti che probabilmente nemmeno lei sapeva di provare, ma che erano traspariti dalla sua voce e dalle sue parole. Quella che credeva fosse solo una bambinetta, aveva fatto centro solamente con qualche frase e l’aveva piacevolmente colpito. E come spesso si vantava, impressionare Sebastian Smythe non era cosa da niente.

Anche Santana era sbalordita, ma per motivi diversi. Questa ragazza conosceva da pochissimo tempo Kurt, certamente molto meno rispetto a lei, eppure, l’aveva già capito così bene. Santana si era sempre creduta un’ottima osservatrice quando si trattava di capire le persone; per comprendere Kurt, però, le ci erano voluti mesi, se non anni, e probabilmente ancora non lo conosceva poi così bene come avrebbe voluto. Oltretutto, il controtenore era una persona estremamente riservata, schiva nel proteggere le sue emozioni, i suoi pensieri e il suo passato. Eppure con lei si è confidato. Santana non sapeva se esserne colpita o offesa.

“Credo che Heidi abbia ragione,” disse cautamente Sebastian. “Forse è meglio se ce ne andiamo, e ne riparliamo domani. Potrei sempre chiedere anche a Nick e Jeff di aiutarci. Jeff adora Kurt.”

Santana si riscosse dalle sue riflessioni e acconsentì. “Si, lasciamolo solo per questa notte e poi vedremo.”

In maniera poco cerimoniosa Santana recuperò i soprabiti dei due, li congedò senza tante parole e li spinse fuori dalla porta. Arrivata a questo punto, non vedeva l’ora che quella giornata finisse. Decise così, di mettervi fine lei stessa; non pensò a sistemare nulla in quella casa ormai avvolta da un pesante silenzio. Spense tutte le luci, andò velocemente al bagno, e anche lei si chiuse nella sua stanza, lasciando che quella notte ancora giovane tentasse di portare sollievo alle ferite aperte durante il giorno.

 

* traduzione: “Credo, però, che le idee più brillanti vadano condivise.”

  
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