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Autore: midsummer    24/09/2012    1 recensioni
« Gli Elements... Per raccontare la loro storia bisogna che narri la vita di molte altre persone. La storia di questi sette ragazzi inizia con un'amicizia, uno di quei legami che riescono ad andare oltre la morte e il dolore, oltre le convenzioni sociali...»
E James, nel silenzio, racconta.

Passato e presente si uniranno. Sei ragazzi scopriranno che la realtà non è affatto ciò che hanno sempre considerato tale e dovranno compiere il loro destino in un regno che li ha aspettati 1000 anni. Tutto sarà deciso dall'antica forza degli Elementi: la limpidezza dell'Acqua, l'amore della Terra, la forza del Fuoco, la bontà della Luce, il coraggio del Buio e il sacrificio dell'Aria.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nihil Difficile Volenti

 

 

 

Ogni uomo su questa Terra è diverso dall'altro: ricchezze, famiglia, aspirazioni, sogni. Non potreste mai trovare due uomini uguali in tutto e per tutto.

Ognuno svolge sul nostro pianeta un cammino differente.

C'è chi ha la possibilità di vedere la luce del giorno per poche ore prima di chiudere definitivamente gli occhi. Certi hanno la fortuna di vedere molte primavere e molti inverni prima di lasciare questo mondo.

Altri interrompono il loro cammino quando sembrerebbe a chiunque, loro stessi compresi, che la strada da percorrere sia lunga e soleggiata.

Secondo un famoso poeta italiano, Ugo Foscolo, la morte dissolve tutto ciò che siamo: non c'è Paradiso né Inferno, solo l'inizio di un sonno eterno che corroderà il nostro corpo. Tuttavia si può continuare a sopravvivere nei ricordi delle persone che ci sono state care e nelle storie che queste racconteranno su di noi: e quando qualcuno parlerà di chi siamo stati, sarà come rivivere -anche se solo per pochi instanti- in quelle parole.

Anche quando la nostra tomba sarà distrutta, l'unica forza che riuscirà a contrastare la morte sarà la memoria dei vivi.

 

 

Oh, Death, оh Death, oh Death,

Won't you spare me over ‘til another year

 

 

La canzone che sua cugina stava cantando era pregna di una profonda tristezza.

Helena pensò che a sua nonna non sarebbe piaciuta. Era una donna allegra, che non si era mai rassegnata: nemmeno di fronte alla malattia che avanzava aveva smesso di sorridere.

Helena aveva cinque anni, all'epoca, ma i suoi genitori le avevano già spiegato che quando sua nonna avrebbe chiuso gli occhi senza preavviso non sarebbe stato per il suo quotidiano riposino pomeridiano.

E ora che era avvenuto, ora che lei era morta... Helena si sentiva un po’ più sola.

 

 

But what is this, that I cant see

with ice cold hands taking hold of me

 

 

Quella volta sua nonna l'aveva chiamata nella sua camera alla clinica.

Era uno stanzone grande e ben pulito in cui la nonna dormiva da sola; Helena aveva sistemato il suo peluche preferito sul comodino perchè le tenesse compagnia e sua madre provvedeva giornalmente a sistemare dei fiori nella stanza per tentare di mascherare quella puzza di candeggina che volteggiava indisturbata tra quelle quattro mura e per mettere un po’ di allegria.

Quando la donna aveva chiesto della nipote, comunque, Helena stava mangiando un panino alla mensa della suddetta clinica: la signora era stata ricoverata dopo un attacco particolarmente potente. I medici sembravano semplicemente aspettare che la fine arrivasse.

«Signora Baker?»

Sua madre aveva alzato lo sguardo dalla pasta che stava mangiando e Helena stessa si era fermata dal raccontare la sua mattinata a scuola.

Entrambe avevano guardato la vecchia infermiera che sorrideva, triste.

«La signora Huggens vuole vedere Helena» disse.

La mamma l'aveva guardata sconvolta, un tremendo presentimento negli occhi improvvisamente lucidi.

 

 

When God is gone and the Devil takes hold,

who will have mercy on your soul?

 

 

Quando Helena era entrata nella stanza, la nonna era stesa sul letto.

Si era voltata verso di lei con un sorriso dolce, facendole cenno di avvicinarsi al letto: era debole, le rughe che le segnavano il viso le davano un'aria stanca e le mani tremavano ma i suoi occhi erano gli stessi di sempre, brillanti dietro le lenti spesse degli occhiali e il suo sorriso era pieno di dolcezza e d'affetto, come al solito.

«Ciao piccolina» la donna sorrise un po’ più ampiamente quando Helena si arrampicò sul letto e le diede un bacio in fronte: le fece spazio perchè si sedesse accanto a lei e la osservò togliersi le scarpe. «Oggi com'è andata a scuola?»

«Bene» rispose dolcemente Helena «Anche se c'è quell'Alexis che è troppo prepotente, mi ha rotto la bambola! Che poi si vanta tanto di averne di più belle, perchè non se la porta da casa? Poi non capisco come fanno Hope e Odette a essere amiche di una così! Posso capire Taylor che si diverte o Kim che..» la bambina non notò il guizzo negli occhi della nonna, continuando a parlare. «...che ha troppa paura per prenderla a pugni.»

«Non dovresti giudicarle così male: prova a conoscerle.»

«Ma Alexis...»

«Helena, ricorda questo: non devi mai giudicare un libro dalla sua copertina. Potresti trovarti molto male in futuro... Io una volta ho fatto quest'errore e ne ho pagato a lungo le conseguenze» sua nonna inspirò a fondo, il braccio piegato sullo stomaco. «Non tutto è bianco e nero nella vita, Lena.»

Dall'alto dei suoi cinque anni di vita Helena si chiese cosa esattamente sua nonna volesse dirle. Piegò il capo, osservandola curiosa.

«Nonnina?»

Sua nonna sembrò riemergere da un sogno: aprì gli occhi e girò la testa verso il soffitto, a fatica.

«Amore, fammi un piacere. Apri il primo cassetto di quel comodino e prendi il bauletto che vi troverai dentro.»

Obbediente la bambina saltò giù dal letto e aprì il suddetto cassetto, trovandoci dentro quello che era un semplicissimo portagioie in legno nero su cui risaltava il dipinto di una rosa bianca.

«E' belissimo nonna!» commentò la bambina, stupita, rigirandosi il cofanetto tra le manine. «Ma che cosa…»

«Questo bauletto apparteneva a una principessa. L'ottenni anni fa ed è ora che tu lo prenda» sua nonna tossì violentemente. «Ti chiedo… solo... un... favore.»

«Nonnina ma cosa…?»

«Promettimi che lo... che lo aprirai solo quando troverai degli amici sinceri...» gli occhi neri della nonna la scrutavano, fieri, nonostante il corpo fosse scosso dalla tosse e il fiato andasse scemando. «Promettimi che… quando... li incontrerai...»

Si piegò in avanti, scossa dalla tosse sempre più forte.

 

 

Oh, Death, оh Death, oh Death,

No wealth, no ruin, no silver, no gold

Nothing satisfies me but your soul

 

 

«Nonna, chiamo la mamma. Tu stai lì, va bene? Io faccio presto, lo prometto e...» Helena si sentiva sempre più spaventata e le mani che stringevano il bauletto tremavano mentre la voce si spezzava in lacrime.

«No Hellie, vie- vieni. Vieni qui. Va tutto bene tesoro mio, va tutto bene...» sua nonna le prese una mano tra le sue. «Promettimi che quando li incontrerai tenterai di essere felice. Promettimi che non proverai a giudicare un libro dalla copertina, mai più. Promettimi che sarai forte. Per la mamma che ha tanto bisogno di te, amore, per il tuo papà e per quei due mascalzoni dei tuoi fratelli.»

La bambina singhiozzò, annuendo.

«Non piangere tesoro, non piangere... Sorridi anche quando il dolore è tanto forte. Vedrai che riuscirai a fare sorridere altri. Sii forte Hellie, ti voglio tanto bene cucciola, la nonna te ne vuole tanto. Ti prometto che un giorno sarai felice, ma tu devi essere forte per quelli che ti circondano. Ti voglio bene bambina mia, ricordatelo sempre.»

I macchinari a cui la donna era attaccata emettevano suoni sempre più forti. La porta si spalancò, facendo entrare due medici e un'infermiera trafelatissimi.

«Riporti questa bambina da sua madre, signora Pepper

Helena si sentì afferrare per le braccia; provò a divincolarsi mentre la trascinavano via.

«NONNA! No! No! Lasciami stare, lasciami stare... Nonna! Nonna!» continuò a scalciare anche quando la donna la portò fuori dalla stanza, le mani strette ancora a un cofanetto che era stato sigillo dell'ultima promessa fatta alla nonna.

Continuò a piangere anche quando sentì le braccia della mamma intorno al corpo. E sua madre pianse con lei.

 

 

Oh, Death,

Well I am Death, none can excel,

I'll open the door to heaven or hell

 

 

 

Quando suo padre era arrivato nella clinica, trafelato, il colletto della camicia storto e la cravatta mezza slacciata, seguito a ruota dai suoi fratelli, Helena stava dormendo tra le braccia della mamma, il viso ancora segnato dalle lacrime e le mani strette al bauletto.

Non disse mai cosa sua nonna le avesse detto e per tre giorni si rifiutò di parlare. Si limitava a sedere sul letto della propria stanza osservando il cofanetto e sentendo sua madre piangere nella stanza accanto.

Poi, la terza notte, la voce della nonna tornò a farsi sentire nella sua testa.

Promettimi che sarai forte. Per la mamma che ha tanto bisogno di te, amore, per il tuo papà e per quei due mascalzoni dei tuoi fratelli

E Helena, pur non capendo esattamente cosa sua nonna intendesse con ''forte'', si alzò e s'infilò nel lettone dei suoi genitori.

Quella notte dormì un sonno senza sogni.

 

 

Oh, Death, оh Death,

my name is Death and the end is here...

 

 

Una volta sua nonna le aveva detto che non esistevano addii, ma solo lunghi arrivederci.

E quando posò il fiore sulla bara seppe che quello sarebbe stato un lunghissimo arrivederci. Perchè quella era, almeno per il momento, la fine.

 

 

 

 

 

Due giorni dopo il funerale, i suoi genitori ricevettero una lettera dal notaio -un signore che, come le spiegarono, si occupava di ''sistemare le carte'' di una persona- a cui l’anziana donna si era rivolta quando la malattia aveva iniziato ad avanzare troppo per essere fermata.

Lo studio del notaio in questione non era molto lontano da casa loro, quindi i Baker, quella mattina, non avevano nemmeno avuto bisogno della macchina: tuttavia, mentre Robert e Peter avevano la scuola anche il sabato, quel giorno l'asilo chiudeva e Helena andò con i suoi genitori.

Sua mamma era pallida quando la svegliò, le labbra strette in una linea sottile e gli occhi lucidi: Helena lasciò che la vestisse docilmente e mangiò in silenzio. Suo padre le allacciò il cappottino e la prese in braccio e poi, tutti e tre, si diressero verso lo studio del notaio.

Ci vollero appena dieci minuti di strada prima che giungessero sotto l'elegante palazzo in cui lavorava il notaio: fu sua madre a suonare.

«Si?» chiese una voce femminile, annoiata.

«Sono la signora Baker. Ho preso un appuntamento qualche giorno fa.»

«Oh sì, salga pure. Primo piano.»

Il portone si aprì con un crac metallico e i tre entrarono nell'elegante androne del palazzo: a dire il vero Helena si sentiva sinceramente intimorita. Che carte aveva sistemato questo notaio? Che cosa doveva dire loro?

Quando arrivarono davanti alla porta di legno accanto a cui era stata appesa la targa dorata col nome dell’uomo, la mamma non ebbe nemmeno bisogno di bussare: ad aprire fu una signorina graziosa, dai capelli di un biondo acceso e le unghie affilate, laccate di rosso.

«Buongiorno!» trillò entusiasta, per nulla scoraggiata dalle espressioni di puro sconcerto comparse sul volto dei tre. «Io sono la segretaria del signor Streamer! Prego, prego, accomodatevi.»

Suo padre la fece scendere dalle sue braccia e immediatamente Helena si attaccò alla gonna della madre, pregando silenziosamente che non lasciassero in compagnia di quella che sembrava la figlia segreta dell'Uomo Nero e di Barbie.

Tuttavia sua madre si piegò verso di lei.

«Hellie, amore, puoi restare con la signorina qualche minuto? Il signor Streamer…»

«Oh no signora, il signor Streamer ha raccomandato che perlomeno per i primi cinque minuti ci fosse anche la bambina! Ma come sei tenera, tesoro!» aggiunse la biondina, chinandosi a tirare leggermente una guancia di Helena. Col risultato di graffiarla.

La bambina le scoccò un'occhiata arrabbiata, imbronciandosi.

Come se non fosse successo assolutamente nulla quella... oca, non c'era modo migliore per definirla, ridacchiò e pregò i tre di aspettare nella sala mentre lei sarebbe andata ad annunciare il loro arrivo al signor notaio: non dovettero comunque rimanere lì granché perchè la strana segretaria tornò dopo qualche minuto dicendo che il dottor Streamer era pronto a riceverli.

Li condusse lungo un piccolo corridoio e fece loro cenno di entrare nella stanza con un sorriso a trentacinque denti -e ne aveva solo trentadue!- accarezzando la testa di Helena quando questa passò, rivolgendole un sorriso quando la bambina si voltò a guardarla male.

Poi la porta si chiuse e l'attenzione di Helena fu attirata dalla stanza in cui era appena entrata.

Era grande, luminosa ed elegantemente arredata: c'era una scrivania in legno scuro con un pc nero ultimo modello, una libreria, diversi vasi con dentro fiori coloratissimi, poltrone dall'aspetto comodo con cuscini riccamente ricamati. C'era persino un piccolo frigo bar e un moderno climatizzatore, in quel momento spento.

Ma ciò che piacque di più a Helena furono sei quadri posti alle spalle dell'uomo che ora si stava alzando per stringere la mano ai suoi genitori e sorriderle: rappresentavano sei ragazzi, cinque donne e un uomo, in compagnia di altrettanti animali.

Un delfino, un unicorno, un lupo, un'aquila, un leone e persino un uccello infuocato con dei lucenti occhi smeraldini.

«Volete qualcosa da bere?»

La voce del notaio la riportò coi piedi per terra e si voltò ad osservarlo mentre si avvicinava al frigo bar.

« Posso avere un succo di frutta?» chiese timidamente.

L'uomo le rivolse un sorriso e annuì, passandole la bottiglietta; Helena l'aprì con un po’ di difficoltà, portandosela alle labbra.

«Allora, il fatto è questo. La signora Huggens ha lasciato il testamento e una parte di questo riguarda direttamente Helena...» l'uomo frugò nel cassetto della scrivania, tirandone fuori una splendida collana dorata con un ciondolo a forma di cuore su cui era stata incisa un'aquila dalle ali spalancate. «...questo medaglione ha, credo, un meccanismo per poter essere aperto. L'unica imposizione del testamento è che la bambina debba portarlo con sé e non separarsene mai; fino ai diciassette anni, per volere della mia assistita, la bambina non deve mai aprirlo.»

La mamma aggrottò le sopracciglia, perplessa, probabilmente pensando alla stranezza di quella richiesta ma non fece domande. Passò il ciondolo alla figlia con un sorriso e le chiese di uscire un momento perchè lei e il papà avevano da discutere con il signore.

«Va bene mamma. Grazie per il succo di frutta, signore.» mormorò educatamente la bambina.

Il notaio le sorrise mentre apriva la porta e usciva, continuando a bere ciò che restava del succo: buttò la bottiglietta nel primo cestino che vide, tenendosi il tappo -ne faceva la collezione- e prendendo a girarsi il ciondolo che la nonna le aveva lasciato tra le mani.

Era bello... Ma cosa c'entrava con lei? C'erano foto di loro due insieme, dentro?

Fu una scritta dietro ad attirare la sua attenzione.

''Nihil Difficile Volenti''.

Che lingua era? E soprattutto: cosa poteva significare?

«Ciao!»

Sussultò.

Era riuscita a tornare miracolosamente indietro ma la segretaria strana stava parlando al telefono e non si era nemmeno accorta di lei; a salutarla, in effetti, era stato un ragazzino biondo di due o tre anni al massimo più grande di lei, intento a leggere un piccolo libriccino.

«Ciao.» mormorò perplessa.

Lui le sorrise -e gli occhi azzurri scintillarono, quasi riflettendo la luce di quel sorriso- e chiuse il libro, avvicinandosi a lei; guardò di sfuggita il ciondolo che la bambina stringeva e si fermò a pochi centimetri da lei.

«Perchè sei triste?»

La domanda la sorprese.

Era vero, era profondamente triste. E si sentiva sola. Ma lui come aveva fatto a capirlo?

Piegò la testa, osservandolo curiosa.

«Tu come lo sai?» gli chiese.

«Non si risponde a una domanda con un'altra domanda» ribatté lui e Helena chinò appena il capo.

«Mia nonna è morta» borbottò, ricacciando a forza le lacrime. Per qualche motivo non voleva piangere, non davanti a lui. Non voleva che la prendesse per una bambina piagnucolosa, anche se non riusciva ad afferrare bene il perchè.

Il bambino la sorprese ancora, poggiandole una mano sul braccio: in qualche modo si sentì protetta come quando abbracciava la mamma o il papà.

Era una bella sensazione di calore che partiva dal punto in cui lui le aveva sfiorato il maglioncino che indossava e si irradiava lungo tutto il suo corpo, fino a toccarle il cuore.

«Se sei triste piangi. Se sei arrabbiata sfogati. Tenerti tutto dentro non risolverà nulla» le sorrise, passandole con dolcezza la mano lungo tutto il braccio. «So che sei forte, so che sei coraggiosa. Supererai tutto questo e molto altro.»

«Come fai a esserne sicuro?»

Gli occhi azzurri del bambino di fronte a lei s'intristirono: lanciò una breve occhiata alla segretaria che stava ancora parlando al telefono e si avvicinò al suo orecchio, come se quello che le stesse dicendo fosse un segreto.

«Io ti conoscevo, ma te ne sei dimenticata. Ma non è colpa tua, non lo è mai stata. Non ho saputo darti la protezione che meritavi.»

Lo guardò intristita.

Non capiva a cosa si riferisse con ''ti conoscevo'' e ''non è colpa tua'' e meno che mai poteva capire cosa intendesse esattamente con ''protezione'', però…

«Sono sicura che non è stata colpa tua. Hai fatto quello che potevi» disse semplicemente. Era un tentativo di rassicurarlo, ma sembrò sortire immediatamente l'effetto sperato perchè la traccia di tristezza sparì dagli occhi del bambino: a ogni buon conto Helena aprì la mano e gli porse il tappo.

«Faccio la collezione» gli spiegò allegra. «Ecco, prendilo! Così quando me lo mostrerai di nuovo io saprò che sei tu e non mi dimenticherò di averti incontrato. Promesso.»

Il bambino sembrò felice di quel regalo: lo prese con un sorriso che contagiò anche Helena, facendoselo scivolare in tasca.

«Ti faccio anche io una promessa» le disse e le porse il mignolo. «Quando ci incontreremo di nuovo io sarò grande e forte e ti proteggerò. E poi ci sposeremo! Ti farò felice e ti aiuterò» aggiunse, serio.

Helena non sapeva esattamente cosa volesse dire ''sposati'' ma in qualche modo si sentì contenta di quelle parole e gli strinse il mignolo.

Poi il bambino si sporse appena e sfiorò le sue labbra con le proprie. Helena sbatté le palpebre, perplessa e lo guardò con aria sorpresa.

«E questo cos'era?» chiese stranita.

«Si chiama bacio.»

Bacio... Helena ricordava vagamente certi discorsi delle sue compagne d'asilo quando parlavano dei maschi e di cose che gli innamorati si davano, tra cui fiori e baci.

E lei che aveva pensato che fossero cioccolatini!

«E perchè me lo hai dato?» gli chiese ingenuamente.

Lui le sorrise.

«Diventerai mia moglie… Devo pur assicurarmi che in qualche modo io ti rimanga impresso!» esclamò con solennità.

No, Helena decisamente non capiva ma il sorriso del bambino che aveva di fronte le piaceva e lasciò perdere. Gli sorrise a sua volta e rimase quasi delusa quando sentì la voce di sua madre chiamarla e vide i suoi genitori entrare nella stanza.

Prima di correre verso di loro si voltò verso quello strano bambino.

«Ricordati della promessa.» gli disse.

Lui annuì.

«E tu ricordati della tua» le mormorò; Helena gli sorrise e gli donò un bacio sulla guancia. Poi la bambina corse via, verso i suoi genitori, facendosi riallacciare il cappottino da suo padre. Quando la mamma la prese in braccio, comunque, si voltò verso il bambino.

Si sorrisero un'ultima volta e poi, quando la porta si frappose tra loro, Helena si ricordò di non avergli chiesto il nome.

Pazienza. Sarebbe stata per un'altra volta.

Dopotutto Helena era abbastanza sicura che lui avrebbe cercato in tutti i modi di mantenere la sua promessa come lei avrebbe mantenuto la propria.

 

  
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