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Autore: midsummer    13/09/2012    1 recensioni
« Gli Elements... Per raccontare la loro storia bisogna che narri la vita di molte altre persone. La storia di questi sette ragazzi inizia con un'amicizia, uno di quei legami che riescono ad andare oltre la morte e il dolore, oltre le convenzioni sociali...»
E James, nel silenzio, racconta.

Passato e presente si uniranno. Sei ragazzi scopriranno che la realtà non è affatto ciò che hanno sempre considerato tale e dovranno compiere il loro destino in un regno che li ha aspettati 1000 anni. Tutto sarà deciso dall'antica forza degli Elementi: la limpidezza dell'Acqua, l'amore della Terra, la forza del Fuoco, la bontà della Luce, il coraggio del Buio e il sacrificio dell'Aria.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Diamond Night

 

 

Ora, immagina la tua vita come un treno di cui i tuoi superiori - pensa ai tuoi genitori come ai tuoi datori di lavoro - ti hanno messo a capo: su un treno salgono e scendono diverse persone, no? Ci sono quelli che guardano il treno da lontano e quelli di cui non ricorderai nemmeno il volto, quelle persone che prenderanno questo treno per periodi alterni e per svariate ragioni: di alcune di esse riconoscerai solo il volto, un'immagine sfuggevole alla tua mente.

E ci saranno quelle persone che prenderanno il tuo treno quando meno te lo aspetti, forse in una giornata di pioggia o forse mentre sei fermo alla stazione e leggi un libro.

E saranno quelle persone a non andarsene mai, nemmeno quando sarai di cattivo umore e il mondo intero sembrerà avercela con te. E quelle persone, magari anche la ragazza che ora non sopporti o quel professore che è così noioso, sì, quelle persone, saranno coloro che conoscerai con la vista e con il cuore.

 

 

 

 

 

 

Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale fu l'immortale mano o l'occhio
Ch'ebbe la forza di formare la tua agghiacciante simmetria?

In quali abissi o in quali cieli
Accese il fuoco dei tuoi occhi?
Sopra quali ali osa slanciarsi?
E quale mano afferra il fuoco?
Quali spalle, quale arte
Poté torcerti i tendini del cuore?
E quando il tuo cuore ebbe il primo palpito,
Quale tremenda mano? Quale tremendo piede?

[William Blake- The Tyger]

 

 

 

 

 

 

Le dita di Joseph scivolano sui tasti d'avorio del pianoforte come una carezza di seta: la stanza è invasa dalla melodia dolce quanto malinconica che il ragazzino sta suonando.

Ognuno, a proprio modo, sente quel suono scivolargli sulla pelle e lasciargli una traccia; Clòe avverte la tristezza intrisa nelle note. Così tanto da poter quasi toccarla con mano.

E' la sera della Vigilia di Natale e fuori nevica copiosamente. I loro genitori sono usciti, come ogni anno da che Clòe si ricordi, e hanno raccomandato loro di non far impazzire eccessivamente le tate.

Raccomandazione caduta nel vuoto, a quanto parrebbe. O meglio, raccomandazione che è stata interpretata in modo del tutto personale perchè, dopo che Dean e Mithya hanno offerto loro da bere dei sospetti succhi d'arancia, tutte e cinque le loro tate hanno deciso di andare a letto.

Clòe sorride, staccandosi dalla finestra. Ha dieci anni ed è la più piccola in quella sala, quella che viene viziata in modo assolutamente mostruoso, protetta e coccolata al di sopra di tutto; vede Alice, la sua migliore amica, guardare con tristezza Joseph e scuote la testa.

Alice ha tredici anni e Joseph quindici. Nonostante la differenza d'età hanno sempre trattato Clòe come loro amica, hanno giocato con lei quando nessun'altro aveva il tempo di farlo e hanno accolto le sue confessioni quando si è accorta di essersi innamorata di James, il fratello minore di Dean, come se fossero due fratelli qualsiasi, un apprensivi.

Per questo, anche, Clòe non ha ancora fatto commenti sugli sguardi dolci che si lanciano di tanto in tanto.

Non ha confidato i suoi sospetti a nessuno, nemmeno a Mithya: suo fratello le vuole bene e, davvero, Clòe lo adora con tutta se stessa ma ,nonostante abbia diciannove anni appena, quel ragazzo è uno dei più pettegoli che conosca, come una vecchia comare di paese, più o meno. Ed è inquietante sapere che tra una caccia e l'altra, un duello o uno scherzo organizzato con Dean abbia il tempo di ficcanasare tra gli affari privati altrui.

Ma è suo fratello, no? E deve essere genetico, il volersi cacciare nei guai...

«Clòe?» una mano fredda le sfiora la spalla. E' un tocco gentile, che ha imparato a riconoscere sin da bambina: vede Hope guardarla con dolcezza, i capelli ricci e biondi legati in un elegante chignon e tra le mani regge un vassoio colmo di dolci.

Hope, come suo fratelo gemello Fred naturalmente, ha venticinque anni. Sono stati adottati dalla madre di Joseph quando erano ancora in fasce ed entrambi sono stati spesse volte soggetti alla curiosità della gente del regno: si mormora che siano figli di due grandi maghi morti durante la Grande Battaglia.

A dire il vero a Clòe non potrebbe importare di meno.

Hope e Fred sono sempre loro, al di là del sangue che scorre nelle loro vene. Sono gli stessi ragazzi che badavano a tutti loro quando i loro genitori, per un motivo o per un'altro, non potevano, che curavano le loro ferite quando si facevano male.

Hope rimane Hope, Fred rimane Fred.

E' una delle più grandi lezioni che sua madre possa averle impartito: non importa il sangue, il denaro che una persona possiede. Sono le azioni a contare, sopra ogni cosa.

E' il cuore la parte davvero importante. Sempre.

La ragazza più grande posa il vassoio sul tavolo dei dolciumi - su cui Mithya e Dean si sono buttati, mentre Bill, intento a rifarsi la manicure con il fratello Tom sdraiato sulle ginocchia, li guarda schifato - e la prende in braccio; quando si voltano Fred è lì, intento a chiacchierare con Laurence e Claire e, per un momento, il tempo in cui il ragazzo alza lo sguardo e Hope si volta, Clòe scorge un lampo di dolcezza in fondo a quegli occhi chiari.

Non ha il tempo d'indagare oltre, però. Hope sorride al fratello e si dirige verso la poltrona su cui James sta beatamente leggendo un libro.

«Jamie

Il sedicenne alza lo sguardo dal libro, nel farlo gli occhiali scivolano un sul naso, posando lo sguardo su Hope. Al contrario di suo fratello James è sempre stato molto tranquillo; a volte, anzi, scherzando i suoi genitori dicono che c'è stato uno scambio nelle culle e che Mithya avrebbe dovuto essere loro figlio, gemello di Dean. Quando lo sente Clòe ribatte sempre che non potrebbe avere come fratello proprio James, visto che sì, beh.. Insomma, James le piace particolarmente.

A quelle parole i grandi ridono sempre e la mamma di Joseph inizia a canticchiare la canzoncina del matrimonio: quando James è presente gli adulti si divertono a metterlo in imbarazzo, lanciandosi occhiate colme di un significato che Clòe non riesce perfettamente a cogliere, anche quando semplicemente la prende in  braccio.

Ma, come dice sempre Hope, i loro genitori sono degli eterni bambini: sono gli stessi che si divertono a scappare da una folla di ministri e camerieri inferociti per organizzare un pic-nic o una gita fuori porta. Ma va bene così, alla fine... Clòe è cresciuta con questa stravagante grande famiglia e sinceramente non potrebbe immaginare nulla di meglio.

«Dimmi Hope» replica con gentilezza James, segnando la pagina del libro che stava leggendo col dito.

«Credo che ormai Nicole dovrebbe arrivare da un momento all'altro» dice Hope, passandogli Clòe. La bambina,felice, si aggrappa al collo di James che mette da parte il libro e l'abbraccia a sua volta, prendendo ad accarezzarle i capelli. «Hai già scelto la storia da raccontare quest'anno?»

E' tradizione che James racconti una storia la notte di Natale. E' bravo con le parole, un talento che molti dicono che abbia ereditato dalla madre, e ha quella particolare abilità di riuscire a far immedesimare l'ascoltatore nella storia: un vaso diventa un calice d'oro in cui un re ha bevuto prima di andare a combattere, un bastone la scintillante spada di un indomito guerriero.

Prima che il ragazzo possa rispondere, però, Dean riemerge dal magico mondo di ciambelline ripiene e torte di mele e li fissa con espressione accigliata.

«Ma è offio che stlolia fuole...»

«Dean, deglutisci prima di parlare. Le tue tonsille non sono molto interessanti» lo rimprovera James, accarezzando i capelli della bambina che ha in braccio, ormai totalmente rilassata.

Dean alza gli occhi al cielo e deglutisce l'enorme boccone di crostata alle fragole che stava masticando.

«Scusa mammina» brontola il suddetto diciannovenne, mettendo su un broncio degno di un bambino di cinque anni. «Dicevo, è ovvio che storia vuole raccontare! Quella dei tre fratelli, ovviamente!»

Passa un momento di silenzio, poi Hope sorride.

«Non è male come idea!» approva. «Sono tre anni che non la racconti più!»

«Ma è lunga!» protesta James.

Hope gli scompiglia i capelli, ridendo e tutti sanno che quella sera la storia che James racconterà sarà proprio quella che suo fratello ha chiesto: adora troppo Dean e Hope e non sarebbe capace di rifiutare loro qualsiasi cosa.

«Sei sporco qui»

Mithya allunga un dito e toglie un di panna dall'angolo delle labbra di Dean per poi succhiarla svogliatamente. Dean gli rivolge un'occhiata indecifrabile e Mithya sorride tranquillo, tirandolo di nuovo verso il tavolo di dolciumi.

Joseph continua a suonare, ma stavolta la melodia è cambiata: ha il sapore di una ninna nanna, questa. Una nenia evanescente come un sogno che potrebbe benissimo accompagnare il sonno di una bambina come l'ultimo viaggio di un'anima verso il luogo di sepoltura. E' un suono di dolorosa bellezza, come l'urlo di un'anima morente.

Clòe alza la testa e osserva il suo migliore amico suonare.

«Che musica è?» chiede incuriosita.

«Dance of death, la melodia che accompagnava i funerali più di mille anni fa.»

Clòe e James alzarono lo sguardo contemporaneamente e Nicole sorride, chiudendosi la porta alle spalle.

Come sua sorella Alice, Nicole ha i capelli lunghi e lisci di un bel castano scuro: ma a differenza della sorella che ha gli occhi verdi, quelli della ragazza sono uno strano miscuglio tra il verde e l'azzurro.

Fred le sfila con gentilezza il mantello dalle spalle e Nicole gli sorride grata, andando a prendere una tazza di cioccolata: Hope stringe lo sguardo, ma è un attimo e poi sorride come se nulla fosse e torna a parlare con Laurence.

«La danza della morte?» chiede Clòe con curiosità.

La musica non cessa, ma Alice e Claire smettono di parlare e Hope alza lo sguardo dal disegno che Laurence le sta mostrando orgogliosamente.

Fred sembra congelarsi sul posto, Dean e Mithya riemergono dal tavolo dei dolci e si scambiano un'occhiata curiosamente cupa. James stesso si è irrigidito e il sorriso sul volto di Nicole si è freddato.

Poi anche Joseph smette di suonare e si volta. Non sorride, scruta semplicemente Clòe.

«Non le hai mai raccontato...» comprende.

«Cosa?» chiede la bambina, sempre più stranita. Mithya interviene a quel punto, con la sua solita voce calma e tranquillizzante.

«Gliel'ha chiesto mio padre» risponde con calma, versandosi una tazza di cioccolata. «Non voleva che fosse traumatizzata. Come quando Nicole ha preso a urlare nel sonno o come io stesso ho faticato a comprendere mia madre, dopo» prende un profondo respiro e Clòe è perfettamente sicura di non averlo mai visto così combattuto. Ma soprattutto, così serio.

Gli occhi blu di suo fratello riflettono le fiamme del camino acceso e l'undicenne scende dalle ginocchia di James per correre ad abbracciarlo: quando sente la carezza di Mithya tra i capelli è come se il masso che le schiacciava il petto si sciolga improvvisamente.

In qualche modo quella carezza la conforta.

«Mithya..» Nicole sembra a disagio, arrabbiata anche per le sue parole, ma il ragazzo scuote la testa e si volta verso James mentre accarezza ancora la testa di Clòe.

«Te la senti di raccontare, stasera?» chiede. Non c'è traccia di scherzo negli occhi dell'amico e James lo avverte: avverte il freddo penetrargli sottopelle, stringergli il cuore in una morsa di dolore.

Annuisce, piano, mentre osserva Mithya inginocchiarsi per arrivare al livello della sorellina e sussurrarle qualcosa all'orecchio, indicandolo. Clòe lo osserva indecisa ma poi annuisce e corre di nuovo verso di lui, arrampicandosi sulle sue gambe.

James aveva sette anni la mattina in cui sua madre lo prese in braccio e lo sedette sulle proprie ginocchia: la madre di Mithya non c'era e gli adulti che lo circondavano avevano visi pallidi e stravolti.

Ricordava Hope e Fred con gli occhi rossi, in un angolo, stretti in un abbraccio. Aveva marchiato nella propria mente i visi seri di Dean e Mithya o l'espressione di puro sgomento sul volto di Nicole.

Sono i più grandi. Non di molto, ma lo sono. Ed è loro dovere tramandare quella storia a tutti gli altri.

Perciò abbraccia Clòe mentre Dean gli si avvicina e gli porge del the, sorridendogli incoraggiante: suo fratello è uno spaccone e la maggior parte delle volte spreca tempo ed energie nell'organizzare scherzi di dubbio gusto. Ma gli vuole bene.

James prende la tazza e Dean si sistema sul tappeto accanto al fuoco, vicino a Mithya, spalla a spalla con il suo migliore amico, le dita a pochi centimetri di distanza da quelle dell'altro; anche Hope e Fred si siedono su alcuni cuscini, la testa della prima appoggiata sulla spalla del secondo, le dita di Fred impegnate ad arricciare ancora di più i capelli della sorella.

Tom cerca una posizione più comoda sulle gambe del fratello, strusciandosi sui pantaloni di Bill con un sorrisetto divertito, ricevendo uno schiaffetto seccato per tutta risposta. Alice si siede accanto a Joseph e intreccia la mano alla sua, ricevendo un sorriso dolce che ha il potere di farla sciogliere: perchè Joseph non sarà bello in modo vistosamente evidente come Dean, James, Mithya o Fred, ma sembra un angelo con i suoi capelli biondi e gli occhi grigi che scrutano il mondo con gentile malinconia. E a lei piace..

Lancia un'occhiata a Claire, seduta in mezzo a Nicole e Laurence. E no, non è la sola.

«Qual è questa storia, Jamie? E perchè siamo tutti qui a sentirla, neanche se fossimo a un matrimonio?» protesta Clòe.

«Tua madre ti ha mai raccontato la storia degli Elements

Clòe ammutolisce, curiosa.

«Gli Elements... Beh, per raccontare la loro storia bisogna che narri la vita di molte altre persone. La storia di questi sette ragazzi inizia con un'amicizia, uno di quei legami che riescono ad andare oltre la morte e il dolore, oltre le convenzioni sociali...»

E James, nel silenzio, racconta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Prologue

 

 

Plant your sword in the ground,

broke the spear and burn the pieces.

The war is over, but what is the price?

The earth cries, watered by our blood.

Break your arrows, wet blood enemy

and that our words can come to you

like a breath of wind.

The war is over, but what is the price?

Plant your sword in the ground,

broke the spear and burn the pieces.

Our peace has the taste of death.

 

 

 

Le offerte sacrificali bruciavano sul fuoco lento accompagnate dalle voci delle sacerdotesse: quello era il canto di coloro che perdevano la vita in battaglia, il canto che faceva risuonare nelle orecchie di chi lo ascoltava le urla di guerra, il rumore dei duelli.

Una melodia che evocava immagini di morte e che lasciava nel cuore solo il freddo che la guerra e la disperazione di una perdita sapevano portare.

Nevicava.

Piccoli fiocchi di neve danzavano nell'aria come lucciole senza luce e il paesaggio imbiancato rendeva tutto quello - il nero degli abiti, il nero delle coccarde intrecciate alle corone di fiori, le lacrime sui volti - quasi ridicolo.

Il discorso del prete le giungeva ovattato, quasi provenisse da chilometri di distanza. Parole che parlavano di coraggio, di fratellanza, di una speranza che era stata mantenuta viva anche quando tutto sembrava perduto: parole vuote, che le pesavano come macigni.

Ma che ne sapeva quello?

Che ne sapeva del dolore nel vedere morire le persone a cui tieni? Della paura di un adolescente nel vedersi addossare responsabilità troppo grandi per essere espresse?

Della tristezza di quei ragazzi ogni volta che si trovavano davanti alle lacrime di una madre, disperata per la perdita del figlio?

Avrebbe voluto ribattere, urlare, dimenarsi. Gridare che quegli eroi erano dei ragazzini che aveva visto crescere, degli adolescenti con tutta una vita davanti, dei progetti, un futuro.

Ma rimase zitta, le labbra strette in una linea sottile sotto il velo nero che le copriva il viso e le mani intorno al corpo per proteggersi dal freddo che dal mausoleo sembrava volerle entrare nel corpo. Gli occhi fissavano ostinatamente le bare di ghiaccio che lei stessa era stata costretta a preparare con la magia, in modo tale che -come il loro ricordo- anche i loro corpi si conservassero perfettamente nel ghiaccio perenne.

Trattenne un sorriso amaro quando, a un cenno del parroco, degli stregoni sollevarono le bare e le posizionarono dentro le rispettive tombe.

Sentiva gli occhi dei presenti scivolarle addosso, come pioggerellina leggera. La ritenevano colpevole? Probabilmente non avrebbero avuto nemmeno torto.

In parte era colpa sua. Avrebbe potuto prevederlo e, in qualche misura, cercare di cancellare parte del dolore che li aveva colpiti: erano stati suoi allievi, in fondo. Si era affezionata a loro, quei sette ragazzi dai caratteri così differenti da sembrare quasi appartenenti a dimensioni diverse.

E tuttavia non aveva mai conosciuto un legame, un'amicizia così forte da andare al di sopra di tutto.

Si guardò intorno, analizzando la struttura della loro definitiva dimora. Piegò appena le labbra: probabilmente non sarebbe piaciuta granchè a nessuno di loro, ma perlomeno avevano permesso che fossero seppelliti insieme.

Il mausoleo era a pianta circolare: sul pavimento di ghiaia era stata fatta disegnare una stella a sette punte e ognuna era puntata verso una piccola costruzione a due piani, di marmo, sulla cui sommità era stata posta una statua rappresentante uno dei sette.

Una costruzione magnifica, qualcosa che i posteri avrebbero ricordato come il simbolo dell'amor patriae per eccellenza.

A osservarlo, lei avrebbe solo ricordato il volto delle persone che erano morte per un regno in cui, per ora, la pace era un miraggio di cui gli abitanti si stavano nutrendo con ostinata cocciutaggine.

Cosa sarebbe successo quando -ed era sicura che ci sarebbe riuscito- lui avrebbe infranto la prigione che lo rinchiudeva al momento?

Poteva passare un giorno, un minuto, un anno.. Nessuno sapeva con esattezza quanto i muri del castello che lo trattenevano avrebbero retto: ma quel che era certo era che il prigioniero non avrebbe mai smesso di pensare a un modo per fuggire, per completare la sua vendetta..

Col cuore gonfio di tristezza e di dolore voltò le spalle a quello spettacolo di morte - il nero degli abiti, il nero delle coccarde intrecciate alle corone di fiori, le lacrime sui volti e le parole vuote- e uscì dall'edificio.

Nevicava.

Camminò in silenzio, raggiungendo una panchina: vi si abbandonò sopra, chiudendo gli occhi.

Era stanca.

Erano state giornate dure, un per tutto. Tra l'organizzazione del funerale, la realizzazione di quelle bare e la preparazione dei cadaveri -che aveva voluto lavare e vestire da sola- non aveva avuto nemmeno il tempo di riposare. O la voglia di farlo.

Tutto giaceva immobile, spossato quasi quanto lei. Non si udiva soffiare il vento,  il parlottare dei bambini, il cinguettare degli uccellini: c'era solo un silenzio di morte, un vuoto inquietante che inglobava tutto l'ambiente circostante.

Tutto era immobile. Anche il tempo sembrava essersi fermato, timoroso di interrompere quell'atmosfera pesante.

Aprì gli occhi.

 

«Non fare il bambino e smettila di mangiare!»

«Ma io ho fame! Sei cattiva, non puoi pretendere che io sia preparato al massimo se poi non posso mangiare quanto mi va!»

« Ma... Hai divorato almeno tre o quattro tonnellate di dolciumi!»

« Su ragazzi, smettetela di litigare..»

« Amyria ha ragione! Dai Aqua, non vedi che non può proprio farne a meno?»

« E' un ingordo!»

« E tu sei una rospa

« Rospa a chi? Ripetilo se hai il coraggio!»

« Rospa, rospa, rospa

« Giuro che se ti prendo io..»

E le risate si diffondevano nell'aria mentre quei due s'inseguivano. Andava così e quasi sempre era più un gioco che una discussione vera e propria.

Ma cos'era l'amicizia senza qualche piccolo scherzo, senza qualche scaramuccia, senza le risate, senza le cadute?

 

L'unica cosa che le era rimasto era il loro ricordo.

Dubitava che avrebbe potuto realmente accettare la loro morte, ma iniziava a comprendere, in parte, il peso del loro sacrificio.

 

  
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